GPII 1983 Insegnamenti - Omelia nell'Ascensione del Signore - Città del Vaticano (Roma)

Omelia nell'Ascensione del Signore - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Garanzia dell'esaltazione e dell'elevazione della dignità umana

"Ascende il Signore tra canti di gioia!".


1. E' motivo di profonda letizia per la Chiesa tutta, e anche per l'umanità, la celebrazione liturgica del mistero dell'Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo, il quale è stato esaltato e glorificato solennemente da Dio. La Liturgia applica oggi a Cristo, che ritorna al Padre, le parole esultanti che il salmista dedica all'Eterno: "Ascende Dio tra le acclamazioni, / il Signore al suono di tromba. / Cantate inni al nostro re, cantate inni. / Dio è re di tutta la terra, Dio regna sui popoli, / Dio siede sul suo trono santo!" ().

In questo "mistero della vita di Cristo, noi meditiamo, da una parte, la glorificazione di Gesù di Nazaret, morto e risorto, e, dall'altra, la sua partenza da questa terra e il suo ritorno al Padre. Tale glorificazione, anche nel suo aspetto cosmico, è sottolineata da san Paolo, il quale ci parla della straordinaria grandezza della potenza di Dio nei nostri riguardi, manifestata in Cristo "quando lo risuscito dai morti / e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, / al di sopra di ogni principato e autorità... / e di ogni altro nome che si possa nominare / non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro" (Ep 1,20-21).

L'Ascensione di Cristo rappresenta una delle tappe fondamentali della Storia della salvezza, cioè del piano di amore misericordioso e salvifico di Dio nei confronti dell'umanità.

Con la sua chiara e profonda limpidezza, san Tommaso d'Aquino, nelle sue meditazioni sui "misteri della vita di Cristo", sottolinea mirabilmente come l'Ascensione sia causa della nostra salvezza, sotto un duplice aspetto: da parte nostra, in quanto la nostra mente si muove verso Cristo, con la fede, la speranza, la carità; da parte sua, in quanto, ascendendo, egli ci ha preparato la via per ascendere anche noi al cielo; poiché è il nostro Capo, occorre che le membra lo seguano là, dove egli le ha precedute: "L'Ascensione di Cristo è direttamente causa della nostra ascensione, dando quasi inizio a questa nel nostro Capo, al quale è necessario che le membra si uniscano" (III 57,6, ad 2).


2. L'Ascensione non è solo la glorificazione definitiva e solenne di Gesù di Nazaret, ma è anche la caparra e la garanzia dell'esaltazione, dell'elevazione della natura umana. La nostra fede e la nostra speranza di cristiani sono oggi rafforzate e corroborate, in quanto siamo invitati a meditare non soltanto sulla nostra pochezza, sulla nostra fragilità, sulla nostra miseria, ma anche su quella "trasformazione", ancor più mirabile della stessa creazione, che Cristo opera in noi quando siamo a lui uniti mediante i sacramenti e la grazia.

"Noi commemoriamo e liturgicamente celebriamo il giorno, nel quale l'umiltà della nostra natura è stata elevata nel Cristo sopra tutte le schiere celesti - ci dice san Leone Magno -, sopra tutte le gerarchie angeliche, al di là dell'altezza delle potestà, fino al trono di Dio Padre. Ora in questa trama di operazioni divine noi siamo stabiliti ed edificati: così più meravigliosamente risulterà la grazia di Dio, quando... la fede non dubita, la speranza non vacilla, la carità non illanguidisce. Questa è veramente la forza dei grandi spiriti, questa è la luce delle anime autenticamente fedeli: credere senza esitazione a quel che non appare agli occhi del corpo e là volgere il desiderio, dove non si può portare lo sguardo" ("Sermo LXXIV", 1: PL 54, 597).


3. Nel momento in cui Gesù si distacca dagli Apostoli, dà ad essi il mandato di rendergli testimonianza a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra (cfr. Ac 1,8) e di predicare a tutte le genti "la conversione e il perdono dei peccati" (Lc 24,47).

La Solennità dell'Ascensione, in questo Anno Giubilare della Redenzione, è quindi per tutti noi un pressante invito ad un impegno singolare di penitenza e di rinnovamento interiore, è una chiamata universale alla conversione. Poiché - come ho scritto nella Bolla di indizione dell'Anno Santo - tutti siamo peccatori, tutti abbiamo bisogno di quel "radicale mutamento di spirito, di mente e di vita che nella Bibbia si chiama appunto "metanoia", conversione. E questo atteggiamento è suscitato e alimentato dalla parola di Dio che è rivelazione della misericordia del Signore (cfr. Mc 1,15), si attua soprattutto per via sacramentale e si manifesta in molteplici forme di carità e di servizio ai fratelli ("Aperite portas Redemptori", 5).

E' questo il ricco significato liturgico, teologico e spirituale della odierna Solennità. Desidero pertanto far mie le parole che un altro grande mio predecessore, san Gregorio Magno, rivolgeva, in questa occasione, ai fedeli di Roma riuniti in San Pietro: "Dobbiamo con tutto il cuore seguire Gesù là dove sappiamo per fede che è salito con il suo corpo. Fuggiamo i desideri della terra: non ci soddisfi alcuno dei legami di quaggiù, noi che abbiamo un Padre nei cieli... Anche se siete sballottati nel risucchio delle occupazioni, gettate fin da oggi nella patria eterna l'àncora della speranza. Non cerchi, la vostra anima, se non la vera luce. Abbiamo sentito che il Signore è salito al cielo: riflettiamo con serietà a quello che crediamo. Nonostante la debolezza della natura umana, che ci trattiene ancora quaggiù, l'amore ci attragga al suo seguito, poiché siamo ben certi che Colui che ci ha ispirato tale desiderio, Gesù Cristo, non ci deluderà nella nostra speranza" ("In Evangelium", Homilia XXIX, 11: PL 76, 1219).

Nel concludere queste mie riflessioni sul mistero che celebriamo, rivolgo il mio deferente e cordiale saluto a Sua Beatitudine Ignazio IV Hazim, Patriarca greco ortodosso di Antiochia, qui presente, il quale è in questi giorni a Roma per una serie di incontri e di colloqui ecumenici con la Santa Sede. Nel porgere all'illustre ospite un sincero e fraterno "benvenuto", anche a nome di tutta la Chiesa di Roma, auspico che questo Anno Giubilare possa contribuire ad affrettare il tempo della desiderata piena unione di tutti coloro che credono in Gesù Cristo, Figlio di Dio, incarnato, morto, risorto e asceso al cielo! così sia!

Data: 1983-05-12 Data estesa: Giovedi 12 Maggio 1983

All'Assemblea delle Superiore generali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Natura comunitaria dell'apostolato religioso

Sorelle carissime in Cristo!


1. Abbiate il mio saluto più sentito. E' sempre motivo di gioia per me incontrare le religiose ed esprimere apertamente la profonda stima della Chiesa per la loro vita di consacrazione totale al Signore, il vivo interesse e la fiducia che la Santa Sede nutre per loro e per la loro missione.

Ma l'incontro di oggi assume un'importanza tutta particolare, per il carattere così universale di cui si riveste: nella persona, infatti, delle Superiore generali dei vari Istituti religiosi, sparsi per tutto il mondo, si esprime, in un certo modo, la presenza in Roma di tutte le religiose e il loro desiderio di testimoniare la propria devozione alla Chiesa e al Papa, e di accogliere personalmente i suoi insegnamenti e le sue direttive.

Di tutto cuore, pertanto, e per il vostro tramite, trasmetto una particolare benedizione a tutte le religiose del mondo: alle contemplative; a quante, in umile generosità, sono dedite al servizio dei fratelli; a quelle provate dagli anni, dalle infermità del corpo e dello spirito: i sacrifici di tutte hanno un prezzo incomparabile agli occhi del Signore.

A voi, riunite a Roma per approfondire la "Spiritualità apostolica delle religiose", voglio, innanzitutto, offrire una parola d'incoraggiamento e di conforto, quale richiede una missione così importante, così delicata, ma, allo stesso tempo, così pastorale, conferitavi dalla vostra stessa elezione: quella di edificare nel Cristo una comunità fraterna, dove, al di sopra di tutto, Dio sia cercato e amato (cfr. CIC 619).


2. Il tema dei vostri lavori, preparato da alcuni anni, è ricco d'insegnamento e vi offre occasione, non solo di trattare delle vostre attività apostoliche, ma più ancora di attingere alle fonti che devono alimentarle.

Vivamente vi consiglio di meditare, altresi, gli insegnamenti del nuovo Codice di diritto canonico, inerenti a questo argomento: esso vi offrirà preziose luci su di una componente fondamentale della vostra vita. Infatti il Codice ricorda, in primo luogo (cfr. CIC 673), che l'apostolato dei religiosi consiste, anzitutto, nel dare testimonianza della loro vita consacrata, nutrita di preghiera e di penitenza. Questa affermazione fondamentale è di particolare importanza, in quanto colloca al suo vero posto il ruolo apostolico dei religiosi. Proprio mediante il loro intimo essere essi si inscrivono nel dinamismo della Chiesa, assetata dell'assoluto di Dio, chiamata alla santità. Questa santità, essi soprattutto, sono chiamati a testimoniare (cfr. EN 69).

Prima di tradursi in annunzio o azione, l'apostolato è rivelazione di Dio presente nell'apostolo. E questa rivelazione postula che la religiosa sia in contatto intimo e costante col Signore. In tal modo, l'essere nella pienezza delle proprie forze oppure inferma, giovane oppure di età avanzata, efficiente o priva di ogni attività diretta, poco importa: l'evangelizzazione è reale e profonda nella misura in cui la vita del Cristo si riflette mediante la vita personale. I grandi evangelizzatori sono stati eminentemente anime di preghiera, anime interiori: essi hanno sempre saputo trovare il tempo per una prolungata contemplazione.

In questo momento storico in cui tutte voi avete motivo di sofferenza per la mancanza di operaie apostoliche, è quanto mai bene soffermarsi a meditare questa verità, nella fiducia che ha più valore l'"essere" che non il "fare" sempre limitato, quest'ultimo, e imperfetto. Siate certe, inoltre, che la vostra fedeltà coraggiosa e gioiosa alle esigenze fondamentali della vita consacrata, offrirà invito pressante alle giovani, sempre pronte alla generosità, a seguire il Signore sulla via tracciata da voi.


3. In questa ottica, benché non presenti tra voi, mi è caro riaffermare con forza il ruolo eminentemente apostolico delle Claustrali. Lasciare il mondo per votarsi, nella solitudine, ad una preghiera più profonda e costante, non è altro che una maniera particolare di vivere e di esprimere il mistero pasquale del Cristo, di rivelarlo al mondo e, quindi, di essere apostolo.

Sarebbe errore ritenere le Claustrali creature separate dai loro contemporanei, isolate e come tagliate fuori dal mondo e dalla Chiesa; sono, invece, ad essi presenti, e in maniera più profonda, con la stessa tenerezza di Cristo, come afferma la "Lumen Gentium" (LG 46). Non fa, dunque, sorpresa che Vescovi delle nuove Chiese sollecitino, come una grazia eminente, la possibilità di accogliere un Monastero di religiose contemplative, anche se operaie di apostolato attivo sono ancora in numero così insufficiente.

Suore di vita contemplativa! Vi sia cara la vostra vocazione; essa è più preziosa che mai nel mondo di oggi, che sembra non poter trovare la pace. Il Papa e la Chiesa hanno bisogno di voi; i cristiani contano sulla vostra fedeltà.


4. Voi, votate alle opere di apostolato attivo, siate sempre maggiormente convinte degli insegnamenti del Concilio, così opportunamente ricordati nel Codice.

Viveteli! La vostra vita, cioè, sia penetrata di spirito apostolico, e ogni vostra azione apostolica animata da spirito evangelico. In questo modo le vostre attività costituiranno un autentico "servizio" umilmente rispettoso delle persone, sollecito nell'evitare pressioni indebite e ogni intollerabile carattere di dominio.

Vi esorto ancora a non dimenticare mai che l'apostolato religioso è, per sua natura, comunitario: la testimonianza data da una religiosa non può essere puramente individuale; essa è comunitaria, e tutte le religiose sono chiamate a esercitare l'apostolato nella linea del carisma riconosciuto dalla Chiesa e per mandato delle loro legittime Superiore. Non si tratta di una semplice dipendenza disciplinare, ma di una realtà di fede. Dobbiamo incessantemente ricordarci che siamo nella Chiesa, incorporati intimamente in essa, ordinati alla sua missione, inseparabili dalla sua vita e dalla sua santità, come insegna la "Lumen Gentium".

Questa concezione deve stimolare, nelle religiose, la volontà di lavorare in stretta e profonda unione con il Magistero della Chiesa e la sua Gerarchia. Certo, nel compimento delle molteplici, tradizionali forme del vostro apostolato dovrete non venir meno all'ascolto dei contemporanei, per ben comprendere i loro problemi e le loro difficoltà, ed essere meglio in grado di venire loro in aiuto.

Non dimenticate mai, tuttavia, che le scuole, gli ospedali, i centri di assistenza, le iniziative orientate verso il servizio dei poveri, lo sviluppo culturale e spirituale dei popoli, non soltanto conservano la loro attualità, ma, debitamente aggiornati, si rivelano spesso luoghi privilegiati di evangelizzazione, di testimonianza, di autentica promozione umana.


5. può essere tuttavia necessario abbandonare opere o attività per poter consacrarsi ad altre, creando comunità più ristrette per rispondere ai bisogni più pressanti dei poveri di certe regioni. Conosco la vostra preoccupazione di presenza presso i poveri, e apprezzo i vostri sforzi in questo senso. Pertanto, come dicevo non molto tempo fa alle religiose di san Paolo (3 luglio 1980), mi sembra opportuno ricordare qui alcune esigenze delle nuove forme di presenza.

Innanzitutto queste devono essere sempre condotte in un clima di preghiera. L'anima che vive abitualmente alla presenza di Dio e si lascia colmare dal calore della sua carità, sfuggirà con facilità alla tentazione di particolarismi e di opposizioni che comportano il rischio della divisione; potrà interpretare alla luce del Vangelo l'opzione per i poveri e per le vittime dell'egoismo degli uomini senza cedere al radicalismo socio-politico che, prima o poi, produce effetti contrari a quelli che ci si augura e genera nuove forme di oppressione; in fine, l'anima che è in contatto con Dio troverà il mezzo più adatto con cui avvicinarsi alle persone e inserirsi negli ambienti senza mettere in questione la sua propria identità religiosa, e nascondere o mascherare la specifica originalità della sua vocazione che è quella di seguire Cristo povero, casto e obbediente.

Del resto, queste esperienze devono ugualmente essere preparate attraverso un serio studio, in un costante dialogo in seno all'Istituto, con le superiore responsabili, e in collaborazione con i Vescovi interessati. così i programmi verranno elaborati dopo aver esaminato le possibilità di successo (cfr. Lc 14,28ss), senza temere i rischi, ma agendo sempre in conformità con le esigenze più urgenti e secondo il carattere dell'Istituto.

Infine, sarà importante continuare queste esperienze in accordo con la gerarchia, applicandosi umilmente e coraggiosamente, all'occorrenza, a correggerle, a sospenderle o a orientarle in maniera più adeguata. Ma soprattutto, sempre e in tutto, comportatevi come figlie amorevoli della Chiesa, aderendo generosamente e fedelmente al suo Magistero autentico, garanzia di fecondità. La fedeltà promessa a Cristo non può mai essere disgiunta dalla fedeltà alla Chiesa.

"Chi vi ascolta, mi ascolta" (Lc 10,16).


6. L'Anno Santo che stiamo celebrando dal 25 marzo e la preparazione al Sinodo dei Vescovi del prossimo settembre, vi sono di inestimabile aiuto nel compimento della vostra missione di evangelizzazione. L'Anno Santo ci invita a riscoprire le ricchezze della salvezza e ci chiama così ad un impegno personale di rinnovamento, mediante la penitenza e la conversione.

La celebrazione di questo avvenimento, per tutti i cristiani e perciò per i religiosi, è un serissimo appello al pentimento e alla conversione. Ci fa riscoprire il senso del peccato e ci fa divenire consci del nostro essere peccatori. Ci fa riscoprire il sentimento di Dio. Questo atteggiamento di conversione si mostrerà in modo particolare in un più sincero accostamento ai Sacramenti e ci spingerà a praticare una carità che sia basata sulla verità e che promuova la giustizia. Vorrei sottolineare a questo punto il legame reale e profondo che esiste tra la vita fraterna dei religiosi e il tema stesso dell'Anno Santo. Esso è perfettamente illuminato dal nuovo Codice di diritto canonico (CIC 602): "Mediante la loro comunione fraterna, fondata e radicata nella carità, i religiosi daranno un esempio di riconciliazione universale in Cristo".

In questo stesso spirito di comunione e di gioia, desidero ripetere il mio cordiale benvenuto a tutti voi che siete venuti a Roma per questo Convegno. Il mio contatto con i membri delle due Unioni internazionali dei Superiori generali è un modo valido per raggiungere i religiosi di tutto il mondo e per mantenere un contatto permanente con lo sviluppo della vita religiosa. Giovedi di questa settimana ho avuto il piacere di incontrarmi con il comitato esecutivo dell'Unione dei Superiori generali. Oggi incontro voi e spero di avere in futuro ulteriori contatti con entrambe le Unioni.

Tornando a casa, portate la mia particolare benedizione alle sorelle delle vostre Congregazioni.

La Beata Vergine Maria, la prima dei redenti, la prima ad essere stata strettamente associata all'opera della Redenzione, sarà sempre vostra guida e modello. Come Maria, la Madre di Gesù, che fu totalmente consacrata alla persona di suo Figlio e al servizio della Redenzione, così anche voi e le vostre sorelle imparerete a non sapere nient'altro se non Gesù Crocifisso, che è divenuto per noi saggezza, giustizia, santificazione e redenzione (cfr. 1Co 1,30 1Co 2,2).

Data: 1983-05-13 Data estesa: Venerdi 13 Maggio 1983

A sindacalisti cristiani svizzeri - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Difendere gli interessi e i diritti dei lavoratori

Signore, Signori.


1. Siate i benvenuti in questa Casa, in cui i vostri compatrioti hanno l'onore di assicurare la guardia e l'accoglienza, e in cui molti altri svizzeri sono venuti in visita una settimana fa. Ma il vostro gruppo ha una particolare caratteristica: rappresenta numerose migliaia di lavoratori del Cantone Vallese, sindacalisti cristiani confederati.

Il sindacalismo presenta una sua tipica fisionomia secondo la storia e le tradizioni di ogni Paese, e soprattutto in funzione delle condizioni di vita e dei sistemi sociali in vigore. Comprendete che non posso definire esattamente i vari aspetti delle vostre attività sindacali nel vostro Cantone Vallese. Ma esistono elementi comuni a tutti i sindacati, norme e condizioni che ci si augura di trovare ovunque. Su questo tema mi sono espresso nella mia enciclica "Laborem Exercens" (LE 20), e davanti all'Organizzazione internazionale del lavoro a Ginevra, il 15 giugno dell'anno scorso.

Nelle città industriali o nei Paesi che io visito, desidero intrattenermi con i lavoratori e i loro rappresentanti sindacali. Qui mi accontento di ricordare alcuni aspetti.


2. Rendo innanzitutto omaggio ai lavoratori che voi rappresentate, sicuramente di diverse professioni e ambienti sociali. Senza ignorare il carattere talvolta faticoso del lavoro - che il cristiano considera nel quadro della vita di lavoro di Gesù e della Redenzione -, la Chiesa si augura che gli uomini siano fieri e felici del loro lavoro. Quest'ultimo non ha forse come fine la piena realizzazione degli uomini come soggetti del lavoro, di unirli, di procurare alle loro famiglie, alla società, all'umanità, sussistenza e progresso sotto tutti gli aspetti, dominando la terra, governandola e arricchendola?


3. Apprezzo anche il vostro impegno sindacale, perché mostra la vostra volontà di essere solidali per assicurare condizioni giuste e degne a tutti i vostri compagni di lavoro, non solamente nella stessa impresa o nella medesima professione, ma a tutti i lavoratori della vostra regione, almeno a livello di Federazione. Bisogna infatti difendere gli interessi esistenziali dei lavoratori in tutti i settori in cui i loro diritti sono in causa. Questo suppone l'esistenza di sindacati autonomi in rapporto al potere politico, in cui i lavoratori si associno liberamente, ricerchino soluzioni eque, senza violenza, in un dialogo fermo e reciproco, con acuto senso della loro responsabilità che non ignora le condizioni economiche del loro Paese e le esigenze del bene comune.


4. Ma c'è nel vostro impegno una nota che sono molto felice di rilevare: voi avete voluto formare sindacati cristiani. Cosa significa questo, se non che la vostra lotta è una lotta per la giustizia sociale, per la dignità e il bene integrale dei lavoratori, e che rifiuta di essere una lotta contro gli altri (cfr. LE 20), di mantenere un clima di lotta di classe, di favorire un egoismo di gruppo, di legarsi ad una lotta politica di parte, di impiegare mezzi di violenza? Ancor più, la vostra azione deve contribuire, come dicevo il 15 gennaio


1981 ai delegati di "Solidarnosc", ad "elevare la morale della società", in ciò che concerne certamente le relazioni tra i lavoratori e gli imprenditori, ma anche sotto gli altri aspetti, che si riferiscono in particolare alla coscienza professionale, all'attenzione ai più sfortunati, alle condizioni della vita familiare.


5. Infine, non dimentico che voi siete venuti in pellegrinaggio e mi congratulo con voi di questa partecipazione comune al cammino proposto in questo Anno Giubilare della Redenzione a tutti i figli della Chiesa cattolica e ai loro fratelli cristiani che vogliono unirsi ad essi. Dobbiamo operare una conversione affinché la vita personale, familiare, sociale si purifichi e si rinnovi, si lasci penetrare da una fede profonda e da una reale carità, fruttifichi in gesti di riconciliazione e di pace. Ma sapete che questo sarebbe un'utopia se fossimo affidati alle sole nostre forze umane. Il rinnovamento deve operarsi nelle coscienze, vivendo la riconciliazione con Dio, accogliendo il suo Spirito Santo, come il tempo liturgico attuale ci invita a fare in modo particolare. Il pellegrinaggio alle tombe degli apostoli e dei martiri, la preghiera in comune, in unità con il successore di Pietro e le sue intenzioni, vi aiutano e vi dispongono ad edificare la Chiesa nei vostri ambienti, attorno al vostro Vescovo, con lo specifico apporto di tutti i membri delle vostre comunità cristiane.

Formulo i migliori voti per ciascuno di voi, per la felicità e le santità delle vostre famiglie, per il buon andamento delle vostre associazioni sindacali, per i vostri compagni di lavoro che sono in difficoltà e in particolare per coloro che sono disoccupati - siano essi svizzeri o lavoratori immigrati - e per tutto il vostro Paese che spero di visitare presto.

Prego lo Spirito Santo di accordarvi la sua luce e la sua forza e, di tutto cuore, vi imparto la mia benedizione apostolica.

Data: 1983-05-14 Data estesa: Sabato 14 Maggio 1983

Lettera all'Arcivescovo Oscar Saier - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Per il Congresso catechistico di Friburgo

Al mio illustre fratello Oscar Saier, Arcivescovo di Friburgo.

Di cuore saluto nel Signore i partecipanti al Congresso catechistico di quest'anno a Friburgo: Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, così come tutti coloro che si adoperano per una viva trasmissione della fede nel loro Paese. Il mio saluto sincero va anche ai numerosi ospiti provenienti da altri Paesi.

Lo slogan del vostro Congresso sottolinea proprio ciò che oggi è in gioco nella trasmissione della fede. Infatti, l'apprendimento della fede, il fatto che essa trascende e dà compimento a tutta la vita, è possibile solo in un contatto vivo con una comunità di credenti. Solo in una concreta condivisione della vita, coloro che si accostano per la prima volta alla fede della Chiesa possono crescere.

Per grazia di Dio, nel vostro Paese molti lavorano all'importante compito della trasmissione della fede ai più giovani e a coloro che sono in ricerca: insegnanti di religione nei diversi tipi di scuola, soprattutto molti degni collaboratori nella catechesi a livello parrocchiale, educatrici delle scuole materne, responsabili delle organizzazioni giovanili cattoliche, ma soprattutto molti genitori.

Rendo omaggio ai vostri sforzi intesi a costruire una fraterna comprensione e un'autentica collaborazione tra coloro che si trovano in diversi ambiti. Sarebbe un danno al vostro compito comune se voi sprecaste anche solo una piccola parte della vostra energia in un confronto poco solidale o addirittura diffidente. Il mondo ha bisogno della vostra utile testimonianza di fede comune, ne hanno bisogno gli uomini.

Create tra di voi rapporti intessuti di rispetto reciproco, intima concordia ed efficace collaborazione. Ciò porterà ad un positivo rinnovamento comune e a un fruttuoso rinnovamento del lavoro catechetico nel vostro Paese in unità coi vostri Vescovi e la Chiesa tutta.

Nella vostra solidale collaborazione e nell'insegnamento catechistico, non tralasciate di considerare il significato che i bambini e i giovani hanno per voi stessi. Dalla freschezza con la quale alcuni di loro scoprono nuovamente Gesù e il suo messaggio, voi stessi potete imparare molto. Con loro anche il vostro cuore può cominciare a infiammarsi nuovamente. Il Risorto stesso è colui che cammina con voi nella persona dei bambini e dei giovani quando, a volte, siete profondamente preoccupati per le difficoltà del vostro lavoro e per gli apparenti insuccessi.

Auguro e imploro per la Chiesa del vostro paese ciò che ho augurato a tutta la Chiesa nel mio Documento sulla catechesi: "Possa la presenza dello Spirito Santo, grazie alle preghiere di Maria, concedere alla Chiesa uno slancio senza precedenti nell'opera catechetica, che ad essa è essenziale!" (CTR 73).

Affinché anche i lavori della presente Conferenza catechistica possano portare un fruttuoso contributo, imparto di cuore a tutti i partecipanti, con l'aiuto illuminante e fortificante di Dio, la mia particolare benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 14 maggio 1983

Data: 1983-05-14 Data estesa: Sabato 14 Maggio 1983

Omelia per due nuovi Beati - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il sangue di Versiglia e Caravario fondamento della Chiesa cinese

Cari fratelli e sorelle.

Il Vangelo di questa domenica, tra l'Ascensione di Cristo al cielo e l'attesa dello Spirito Santo, nel suo contenuto più profondo ben si adatta alla solenne beatificazione dei due novelli martiri, che oggi la Chiesa presenta alla venerazione dei fedeli. E ben si accorda anche la prima lettura della Messa, che ricorda il sacrificio del protomartire Stefano. Il Vescovo Luigi Versiglia e il giovane sacerdote don Callisto Caravario, infatti, sono i "protomartiri" della Congregazione Salesiana, qui riunita in questa gioiosa circostanza attorno all'altare del Signore. La sua esultanza è quella di tutta la Chiesa: ma si capisce che per l'Istituto Salesiano possa avere un carattere tutto particolare, poiché questa solenne cerimonia viene in qualche modo a suggellare, in misura eloquente, oltre un secolo di lavoro nelle missioni in tutti i continenti, a partire dalla Patagonia e dalle terre Magellaniche. Si realizza così una visione profetica del fondatore san Giovanni Bosco, il quale, sognando con predilezione per i suoi figli l'Estremo Oriente, vaticino frutti meravigliosi e parlo di "calici colmi di sangue".

Chi riceve la Parola di Dio e la custodisce nel suo cuore, diventa inevitabilmente oggetto dell'odio del mondo (cfr. Jn 17,14). I martiri sono coloro che, pur di star fedeli a questa parola di vita eterna, accettano che l'odio del mondo giunga fino al punto di toglier loro la vita terrena. Essi danno una testimonianza particolarmente viva del detto del Signore, secondo il quale chi "perde" per lui la propria vita, la ritrova (cfr. Mt 10,39).


2. Il martirio - si dice tradizionalmente - suppone negli uccisori "l'odio contro la fede": è a causa di essa che il Martire viene ucciso. Ed è vero. Questo odio contro la fede può pero manifestarsi obiettivamente in due modi diversi: o a causa dell'annuncio stesso della Parola di Dio, oppure a causa di una certa azione morale, che trova nella fede il suo principio e la sua ragione d'essere.

E' sempre per la sua testimonianza di fede, che il Martire viene ucciso: nel primo caso, per una testimonianza esplicita e diretta; nel secondo, per una testimonianza implicita ed indiretta, ma non meno reale, e anzi in un certo senso più completa, in quanto attuata nei frutti della fede, che sono le opere della carità. In tal senso, l'apostolo Giacomo può dire con tutta proprietà: "Con le mie opere ti mostrero la mia fede" (Jc 2,18).

Ne viene quindi che gli uccisori danno mostra di odiare la fede non solo quando la loro violenza si getta contro l'annuncio esplicito della fede, come nel caso di Stefano, che dichiara di "contemplare i cieli aperti e il Figlio dell'Uomo alla destra di Dio" (Ac 7,56), ma anche quando tale violenza si scaglia contro le opere della carità verso il prossimo, opere che obiettivamente e realmente hanno nella fede la loro giustificazione e il loro motivo. Odiando ciò che sorge dalla fede, mostrano di odiare quella fede che ne è la sorgente. Questo è il caso dei due Martiri Salesiani. A questa conclusione sono giunti gli atti del processo canonico.


3. Secondo l'insegnamento e l'esempio del Divin Maestro, il martirio con cui si dona la vita per i propri amici, è il segno del più grande amore (cfr. Jn 15,13).

A ciò fanno eco le parole del Concilio Vaticano II, allorché si afferma: "Il martirio, col quale il discepolo è reso simile al Maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo e a lui si conforma nell'effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come insigne e suprema prova di carità" (LG 42). E questo perché, come spiega san Tommaso (II-II 124,3) col martirio si dimostra di rinunciare a ciò che abbiamo di più prezioso, cioè la vita, e di accettare ciò che vi è di più ripugnante, cioè la morte, specie se preceduta dal dolore dei tormenti.

I due Martiri Salesiani hanno dato la loro vita per la salvezza e l'integrità morale del prossimo. Si posero infatti a scudo e difesa della persona di tre giovani alunne della missione, che stavano accompagnando in famiglia o sul campo dell'apostolato catechistico.

Essi difesero a prezzo del loro sangue la scelta responsabile della castità, operata da quelle giovani, in pericolo di cadere nelle mani di chi non le avrebbe rispettate. Un'eroica testimonianza, dunque, a favore della castità, che ricorda ancora alla società di oggi il valore e il prezzo altissimi di questa virtù, la cui salvaguardia, connessa col rispetto e la promozione della vita umana, ben merita che si metta a repentaglio la stessa vita, come possiamo vedere e ammirare in altri fulgidi esempi della storia cristiana, da sant'Agnese fino a santa Maria Goretti.


4. Il gesto di supremo amore dei due Martiri trova un suo più vasto significato nel quadro di quel ministero evangelico, che la Chiesa svolge a favore del grande e nobile popolo cinese, a partire dai tempi del padre Matteo Ricci. Infatti, in ogni tempo e in ogni luogo il martirio è offerta di amore anche per i fratelli e in particolare per il popolo a favore del quale il martire si offre. Il sangue dei due Beati sta perciò alle fondamenta della Chiesa cinese, come il sangue di Pietro sta alle fondamenta della Chiesa di Roma. Dobbiamo quindi intendere la testimonianza del loro amore e del loro servizio come un segno della profonda convenienza tra il Vangelo e i valori più alti della cultura e della spiritualità della Cina. Non si può separare, in tale testimonianza, il sacrificio offerto a Dio e il dono di sé fatto al popolo e alla Chiesa della Cina.

Il Cristianesimo, come dimostra la sua storia millenaria fino ai nostri giorni, si trova a suo agio presso tutte le culture e tutte le civiltà, senza identificarsi con nessuna. Esso trova una spontanea consonanza con tutto quanto c'è di valido in esse, perché l'uno e le altre hanno una medesima origine divina, senza il rischio della confusione o della competizione, perché si pongono su due ordini differenti di realtà: rispettivamente quello della grazia e quello della natura.

La gioiosa circostanza di questo rito di beatificazione suscita e rinforza in noi la speranza di un progresso nella elaborazione delle strutture e del dialogo, destinati a favorire questa esigenza di armonizzazione, nel popolo cristiano della Cina, tra la dimensione dell'impegno sociale e della coscienza nazionale, e quella della comunione con la Chiesa universale: un'esigenza intrinseca al messaggio di Cristo e conforme alle istanze più profonde delle Nazioni e delle culture. La cultura, ogni cultura, sale verso Cristo, e Cristo discende verso ogni cultura. Possa anche la Cina, come ogni altra nazione della terra, comprendere sempre meglio questo punto d'incontro.


5. Ma un altro pensiero s'impone alla nostra attenzione. Nello sfondo di questo tragico e grandioso episodio si collocano con evidenza due concezioni della donna tra loro inconciliabili: o la donna come persona, responsabilmente protesa all'attuazione della sua dignità morale, e convenientemente facilitata e protetta in ciò dall'ambiente umano e sociale: ed ecco la scelta dei due Martiri e delle tre giovani ad essi affidate; oppure la donna come oggetto e strumento del piacere e degli scopi altrui. Ecco allora la scelta degli uccisori.

Queste due opposte concezioni della donna hanno, nella Scrittura e nella Tradizione cristiana, una stretta relazione con la figura di Maria santissima, della quale sono rispettivamente la fedele incarnazione e la totale negazione. I due Martiri da tempo avevano forgiato la loro concezione della donna e della sua dignità alla luce del modello mariano. Lo scontro con gli aggressori, per quanto subitaneo e imprevisto, li trovava quindi pronti. Essi si spengono nella luce di Maria, che avevano filialmente onorato e predicato per tutta la vita.

Il viaggio che li porta all'immolazione inizia con la benedizione e sotto gli auspici di Maria Ausiliatrice, Patrona della Congregazione Salesiana. La fatale aggressione si scatena a mezzogiorno, dopo che la comitiva aveva salutato la Madre di Dio con la recita dell'Angelus. Questa dolce preghiera prepara la lotta vittoriosa contro le insidie del male. I nomi di Gesù, Maria e Giuseppe risuonano forti sulla bocca dei Pastori e delle pecorelle del gregge, non appena si profila l'aspro scontro con i nemici della fede e della purezza, che non intendono lasciarsi sfuggire la preda neppure davanti al delitto.


6. Monsignor Versiglia e don Caravario, sull'esempio di Cristo, hanno incarnato in modo perfetto l'ideale del Pastore evangelico: Pastore che è ad un tempo "agnello" (cfr. Ap 7,17), che dà la vita per il gregge (Jn 10,11), espressione della misericordia e della tenerezza del Padre; ma, allo stesso tempo, agnello "che sta in mezzo al trono" (Ap 7,17); "leone" vincitore (cfr. Ap 5,5), valoroso combattente per la causa della verità e della giustizia, difensore dei deboli e dei poveri, trionfatore sul male del peccato e della morte.

perciò, oggi, a poco più di mezzo secolo dal loro eccidio, il messaggio dei novelli Beati è chiaro e attuale. Quando la Chiesa propone qualche modello di vita per i fedeli, lo fa anche in considerazione dei particolari bisogni pastorali del tempo nel quale avviene tale proclamazione.

A noi dunque il dovere di ringraziare innanzitutto il Signore che, con l'intercessione dei nuovi Beati, ci dona una nuova luce e un nuovo conforto nel nostro cammino verso la santità, ma anche nello stesso tempo il proposito di meditare il loro esempio e di imitarlo, in proporzione delle nostre forze, e in relazione alle diverse responsabilità e circostanze. Penso soprattutto ai Confratelli Salesiani, ma l'esempio di un Santo vale sempre per tutta la Chiesa.

Cristo ci doni il suo Spirito affinché possiamo riuscire in ciò. La Vergine santissima, Maria Ausiliatrice, ci assista maternamente in questi santi propositi.

Data: 1983-05-15 Data estesa: Domenica 15 Maggio 1983


GPII 1983 Insegnamenti - Omelia nell'Ascensione del Signore - Città del Vaticano (Roma)