GPII 1983 Insegnamenti - Alla XXII Sessione della Fao - Città del Vaticano (Roma)

Alla XXII Sessione della Fao - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Assicurare l'aumento di produzione nei Paesi in via di sviluppo

Signor Presidente, Signor Direttore generale, Eccellenze e distinti Delegati e Osservatori.


1. Sono ben lieto che così numerose e qualificate Rappresentanze degli Stati-membri della Fao e delle Organizzazioni internazionali partecipanti da tutto il mondo a questa XXII Sessione della Conferenza, abbiano accolto l'invito a un incontro divenuto tradizionale fin dall'inizio della presenza della Fao a Roma. E' la seconda volta che mi incontro con voi, oltre alla mia visita alla sede centrale della Fao, che rimane un lieto ricordo, fatta nel novembre 1979.

Mi piace qui rinnovare la profonda stima per l'opera che la Fao svolge e l'apprezzamento per le recenti documentazioni sulla situazione alimentare mondiale e sui programmi di lavoro e gli aspetti operativi della Fao. Sono certo che è sempre più evidente quanto il problema di sconfiggere la fame e la denutrizione sia oggetto di assai particolare attenzione da parte della Santa Sede, che segue attentamente ogni iniziativa e attività volta a tale scopo umanitario.


2. Il diritto di avere abbastanza per nutrirsi è certamente un imprescrittibile diritto umano e impone l'impegno di assicurare realmente a tutti gli uomini la sufficienza alimentare. E' evidente che non si può considerare il problema dell'alimentazione dal punto di vista di un aiuto occasionale o del solo aumento della produzione.

So che il tema della sicurezza alimentare è al centro del programma di lavoro della Fao, specialmente in questo ultimo decennio a seguito della Conferenza mondiale sull'alimentazione del novembre 1974. Ma oggi giustamente si va delineando una visione più complessiva della sicurezza alimentare. Essa comprende tre specifici obiettivi: garantire una produzione sufficiente; stabilizzare al massimo il flusso degli approvvigionamenti, specialmente per far fronte ai casi di emergenza; rendere disponibili a tutti coloro che ne hanno bisogno le risorse necessarie allo sviluppo.

Per garantire in ogni momento adeguati rifornimenti all'intera popolazione mondiale, si impone una duplice prospettiva: favorire una produzione e una disponibilità alimentare sufficienti a nutrire, a prezzi accessibili, una popolazione in continua espansione; e, con più immediata scadenza, affrontare difficoltà e crisi in particolari Paesi e regioni.


3. Stando alle valutazioni risultanti dalla vostra documentazione, nel corso dell'ultimo decennio la produzione alimentare è aumentata con un indice di crescita più elevato rispetto al tasso di crescita della popolazione. Dall'insieme di molti dati su diversi aspetti della produzione e dei consumi risulta una confortante affermazione di una globale sufficienza di alimenti in rapporto all'attuale e futura domanda della pur crescente popolazione mondiale.

Ma facendo riferimento a singoli Paesi o ad aree limitate non si può tacere la gravità dell'attuale situazione, confermata anche dalle previsioni per i prossimi decenni del problema reale dello squilibrio tra popolazione ed effettiva disponibilità alimentare. Soprattutto preoccupa il divario che si evidenzia sempre più nella quasi totalità dei Paesi in via di sviluppo tra l'indice di crescita della produzione alimentare e il tasso di aumento della popolazione. Ciò è in particolare contrasto con il fatto che nell'insieme dei Paesi sviluppati la produzione alimentare continuerà ad aumentare, determinando delle eccedenze rispetto alla domanda interna di questi Paesi con popolazione stabilizzata.

E pero importante l'affermazione contenuta in uno studio che conoscete: "I Paesi del mondo in via di sviluppo considerati nel loro insieme (ad esclusione dell'Asia dell'Est) sono capaci di produrre alimenti sufficienti per mantenere il doppio della loro popolazione del 1975 e una volta e mezzo la loro popolazione prevista per l'anno 2000, anche con bassi livelli di entrate".


4. Tale situazione contraddittoria porta a sottolineare i doveri morali che derivano dai rapporti tra Stati e che debbono essere tenuti presenti come criteri ispiratori anche nelle decisioni della presente Sessione della Conferenza della Fao.

Mantiene certamente la sua importanza la riaffermazione del primato dell'agricoltura e di tutto l'insieme dei problemi circa l'aumento della produzione alimentare. Ma si pone in evidenza che più di un aumento della produzione mondiale globalmente considerata, è urgente assicurare l'aumento effettivo della produzione nei singoli Paesi in via di sviluppo. Appare di estremo rilievo il fatto che oggi si affermi come prioritario l'obiettivo dell'auto-sufficienza alimentare di questi Paesi, ottenuto mediante il loro auto-sviluppo, integrato anche dal sostegno esterno, ma realizzato secondo l'ormai classica definizione del "fare affidamento su se stessi". A ciò si aggiunge la giusta preoccupazione di evitare che si aggravi il fenomeno della nuova forma di dipendenza dai Paesi sviluppati, divenuta specie negli ultimi anni più marcata, in seguito alla necessità di importazione di prodotti alimentari da parte dei Paesi in via di sviluppo.


5. Riprendo pertanto un motivo centrale del Messaggio che ho inviato per la terza Giornata mondiale dell'alimentazione: è un nuovo appello alla solidarietà rivolto ai Governi e agli uomini di tutti i continenti, che comporta l'"instaurazione accelerata di un ordine economico internazionale che sia veramente più giusto e fraterno, tanto nella produzione che nella distribuzione dei beni" (Messaggio del


16 ottobre 1983).

Resta da riaffermare il dovere di tutti i paesi di aumentare la produzione: ciò vale anche per quelli più avanzati. Si deve anche rilevare che la concentrazione delle riserve che superano anche il limite considerato necessario dalla Fao per un minimo di sicurezza, avviene in un'area geografica ristretta in cui pochi Paesi detengono quasi la metà delle riserve mondiali di cereali. Inoltre vi sono sintomi di una riduzione dei terreni coltivati non solo per l'erosione e la desertificazione delle terre ma anche a causa dell'artificiosa limitazione della produzione. Si deve compiere uno sforzo per evitare che la rinuncia a coltivare diminuisca la capacità di porre a disposizione dei Paesi bisognosi i prodotti alimentari fondamentali.

Pero appare evidente che in questa fase l'obiettivo più rilevante è certamente quello della distribuzione. Esso implica una ripartizione favorevole ai Paesi in via di sviluppo e un efficiente controllo degli scambi commerciali, soprattutto con l'inversione delle tendenze protezionistiche.


6. La messa a disposizione di alimenti a condizioni accettabili richiede la riduzione dei consumi esuberanti in alcuni Paesi; la rinuncia ad una difesa eccessiva dei livelli dei prezzi alimentari da parte dei Paesi forti produttori e misure speciali in favore dei Paesi a basso reddito e con deficit alimentare, così da favorire le importazioni ordinarie agro-alimentari, e facilitare specialmente quelle che siano dettate da necessità urgenti.

E' doloroso dover constatare che in questa fase vi è una costante riduzione degli aiuti alimentari. Si nota una contrazione delle risorse messe a disposizione mediante la preferibile via multilaterale mentre in pari tempo non si rileva un corrispondente aumento degli aiuti bilaterali. Anche quanto alle riserve è assai apprezzabile il favorire la costituzione di riserve nazionali nei Paesi in via di sviluppo. Ma ciò non significa l'abbandono della volontà di costituire riserve effettivamente internazionali poste a disposizione di organismi multilaterali o almeno un sistema di riserve nazionali coordinate.

Ma un'equa distribuzione richiede anche più ampiamente l'accesso da parte di tutti i Paesi a tutti i fattori, prossimi e remoti che siano, richiesti per il concreto sviluppo: soprattutto investimenti con prestiti a condizioni non onerose per i Paesi più poveri, attuando così un'effettiva ridistribuzione dei redditi tra i popoli. La stabilizzazione dei flussi di risorse e i programmi di assistenza tecnica sono diventati di primaria importanza.


7. Ho esplicitamente affermato nel Messaggio del 16 ottobre che "evidentemente sono i Paesi più avanzati nel loro sviluppo e i loro Governi che per primi sono interpellati dall'urgenza di una tale solidarietà internazionale".

Vorrei aggiungere che ciò implica anche l'accettazione di impegni vincolanti. Come in altre materie non si può non invocare una rinnovata buona volontà che si applichi a una paziente ricerca di Accordi e Convenzioni, magari anche in punti delimitati ma concretamente fissati e attuati. In tal senso si ripete l'invito a riprendere le iniziative necessarie nelle sedi opportune perché si rinnovino le Convenzioni sul commercio dei cereali e sui connessi programmi di aiuti alimentari; o almeno si adottino in forma anche parziale gli obiettivi per la sicurezza alimentare, come nella proposta formulata dalla Fao.

I rilievi fatti sin qui valgono non solo per i prodotti della terra, ma in questo momento in modo particolare anche per i prodotti ittici, in relazione all'accettazione e osservanza delle norme internazionali sancite nella Convenzione sul nuovo diritto del mare.


8. Una prova recente della continua preoccupazione della Santa Sede di collaborare ad ogni opportuna iniziativa è stata data in occasione della Riunione di scienziati di valore mondiale sul rapporto tra scienza e lotta contro la fame.

La Pontificia Accademia delle Scienze ha dato e dà testimonianza di quanto la Chiesa anche sul piano della scienza intende collaborare pure negli specifici obiettivi dello sviluppo agricolo e alimentare (cfr. "L'emploi des fertilisants et leur effet sur l'accroissement des recoltes, notamment par rapport à la qualité et à l'économie").


9. Nei punti all'ordine del giorno di questa Sessione della Conferenza della Fao è rilevante il richiamo all'urgenza di una più ampia azione di formazione sia in ordine alle capacità di partecipazione da parte delle popolazioni al proprio sviluppo che nella preparazione di elementi che siano professionalmente adeguati.

Anche in questo campo vorrei ripetere che le istituzioni e le organizzazioni della Chiesa sono ben disposte a mettere a disposizione le loro varie risorse per fornire assistenza nell'istruzione e nella formazione.

Inoltre aggiungerei la possibilità di una collaborazione nella formazione adeguata di un'opinione pubblica, cosicché non solo i Paesi in via di sviluppo, ma ancor più i Paesi avanzati, possano essere capaci di assumere i sacrifici richiesti dalla solidarietà, collaborino costruttivamente utilizzando le risorse messe a loro disposizione.

Mentre esprimo la speranza che la presente Sessione favorisca l'effettiva realizzazione del programma di lavoro della Fao per i prossimi due anni, invoco sui vostri lavori la luce e l'entusiasmo che vengono da Dio Onnipotente, nel quale "viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (Ac 17,28).

Data: 1983-11-10 Data estesa: Giovedi 10 Novembre 1983

Alle esequie del Cardinale Mozzoni - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La vita terrena del cristiano nella prospettiva dell'eternità




1. "Come la cerva anela ai corsi d'acqua / così l'anima mia anela a te, o Dio. / L'anima mia ha sete del Dio vivente, / quando verro e vedro il tuo volto?" (Ps 41,2-3).

Questa espressione così poetica e commovente del Salmo responsoriale, cari fratelli, mette in meravigliosa evidenza la caratteristica fondamentale del cristiano convinto e fedele, e cioè il senso dell'attesa ansiosa e trepidante dell'incontro finale con Dio. Il cristiano è una persona che attende, vigilante e assetata dell'Amore, della Bellezza, della Felicità, della Sapienza di Dio: "Quando verro e vedro il tuo volto?". Possiamo dire che le parole del Salmo caratterizzano assai bene la vita del Cardinale Umberto Mozzoni, che alla soglia degli ottant'anni ci ha lasciati, dopo aver sempre servito la Chiesa e le anime, nella prospettiva dell'eternità.

Trovandoci riuniti attorno alla bara del nostro amato Fratello Cardinale per questa mesta cerimonia di addio, è naturale ricordare anche solo fugacemente la sua attività e la sua personalità. Nato a Buenos Aires da genitori italiani emigrati in Argentina, torno, ancora bambino, in Italia, dove entro nel Seminario minore di Macerata e quindi nel Seminario maggiore romano. Ordinato sacerdote nel


1927, prosegui gli studi nella Pontificia Università Sant'Apollinare e nello Studium Urbis, conseguendo le lauree in filosofia, in teologia e "in utroque Iure". Rientrato nel 1935 a Macerata, fu parroco e insegnante di teologia e di diritto canonico nel locale Seminario diocesano, fino a quando fu chiamato a far parte del servizio diplomatico della Santa Sede. Presto la sua opera nelle Nunziature apostoliche in Canadà, Inghilterra e Portogallo. Quindi, nel 1954, fu nominato Arcivescovo e Nunzio in Bolivia. In quella Nazione, come successivamente in Argentina e in Brasile, nelle quali fu Rappresentante pontificio per lunghi anni, diede prova dello spirito sacerdotale che ispirava la sua attività, oltre che delle doti di acutezza, di intelligenza e di dedizione al dovere che lo caratterizzavano.

La bontà del suo animo, le sue maniere semplici e cordiali, il suo spirito di carità lo resero benvoluto in tutti gli ambienti, in cui la Provvidenza lo chiamo. In Brasile si distinse in particolare nell'opera svolta a sostegno dei missionari, specialmente di operanti nelle foreste amazzoniche.

Ovunque si sforzo di promuovere la partecipazione del laicato all'apostolato e alla vita della Chiesa. Inoltre ebbe sempre vigile attenzione per i problemi sociali. Nel Concistoro del 5 marzo 1973, fu nominato Cardinale da Paolo VI. Questo ultimo periodo della sua vita fu ugualmente intenso di attività per il servizio svolto come Presidente della Commissione cardinalizia per i pontifici Santuari di Pompei e di Loreto, ma soprattutto per la sollecita collaborazione prestata come membro di diverse Congregazioni della Curia romana e del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica.


2. Come sacerdote, come Vescovo e infine come Cardinale, egli per migliaia di volte si è avvicinato all'altare del Signore per offrire il Sacrificio Eucaristico e rinnovare la sua consacrazione al servizio delle anime: "Verro all'altare di Dio, al Dio della mia gioia, del mio giubilo!" (Ps 42,4). Ora questa lunga e infaticabile donazione è terminata per aprirsi alla gioia senza fine, promessa da Cristo a coloro che lo amano e lo seguono. Ma anche se le sue opere sono ormai entrate nel passato, rimane per noi l'insegnamento della sua fede e della sua vita orientata verso Cristo Gesù fin dalla giovinezza.

Il filo conduttore della sua vita è stata la prospettiva ultraterrena e trascendente, secondo la parola di Gesù: "Io sono la risurrezione e la vita".

Anche a noi, come all'intera umanità travagliata e tribolata da tante ombre e da tanti contrasti, il giovane seduto sulla destra del sepolcro - secondo la narrazione dell'evangelista Marco ora ascoltata - dice: "Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazzareno, il crocifisso. E' risorto, non è qui!" (Mc 16,6). Non dobbiamo temere: Cristo è risorto! Anche noi risorgeremo gloriosi e per sempre! Dobbiamo credere, sperare, amare ogni giorno, ogni momento, con fervore e con coraggio; non perdere tempo, non smarrirci in vane questioni; non spegnere la lampada della certezza entrando nelle tenebre di errori dottrinali o di tortuose ipotesi. La nostra vita deve essere vissuta nella prospettiva dell'eternità gloriosa, convinti - come già affermava il profeta Isaia - che "il Signore eliminerà la morte per sempre, il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto... Ecco il nostro Dio: in lui abbiamo sperato, perché ci salvasse; questi è il Signore in cui abbiamo sperato: rallegriamoci ed esultiamo!" (Is 25,8-9).

Davanti alla salma del nostro fratello, che si è già presentato al giudizio della misericordia di Dio, suona ammonitrice e anche consolatrice la parola dell'apostolo che richiama a tutti noi gli impegni di evangelizzazione e di testimonianza: "La parola di Dio non è incatenata! perciò sopporto ogni cosa per gli eletti perché anch'essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo!" (2Tm 2,9-12).


3. Nella solennità liturgica di san Leone Magno, che oggi festeggiamo, e del quale questa Basilica conserva le reliquie, desidero concludere con la parola autorevole del glorioso Pontefice: "Liberatevi da ogni umana paura - diceva ai fedeli del suo tempo - ed armatevi della saldezza che viene dalla fede... Nessuno ardisca arrossire della croce di Cristo, con la quale il mondo è stato redento. Nessuno esiti a soffrire per causa della giustizia, né dubiti di ricevere la ricompensa promessa, poiché è il travaglio che porta al riposo, è la morte che porta alla vita. Il Cristo ha fatto sue la nostra pochezza e la nostra debolezza, per cui se a lui rimarremo uniti nel confessarlo e nell'amarlo, otterremo la sua stessa vittoria e riceveremo il premio da lui promesso" ("Omelia LI", La trasfigurazione, 7,8).

Questo, dall'eternità che ora ha raggiunto, sembra dirci il Cardinale Umberto Mozzoni, per cui offriamo il Sacrificio Eucaristico e per cui continueremo ancora a pregare invocando per lui la ricompensa da Colui in cui ha creduto e sperato e che ha sempre amato.

Data: 1983-11-10 Data estesa: Giovedi 10 Novembre 1983

A Vescovi australiani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Aiutare i laici a comprendere il valore della loro vocazione

Cari fratelli nell'Episcopato.


1. Ci siamo radunati, nella potenza dello Spirito Santo, per riflettere sulla nostra missione pastorale di Vescovi. E lo facciamo nel contesto dell'intero mistero della Chiesa di Gesù Cristo che siamo chiamati a servire. Parlando il luglio scorso ad altri Vescovi d'Australia, ho accennato che "molto rimane da dire sui laici e la loro condivisione di responsabilità nella proclamazione del Vangelo". Oggi vorrei dunque proseguire sul tema del laicato nella Chiesa.


2. Il Concilio Vaticano II sottolinea la consolante verità che i Vescovi "non sono stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutto il peso della missione salvifica della Chiesa" (LG 30). Come i sacerdoti e i religiosi, i laici hanno un ruolo caratteristico da svolgere, uno specifico contributo da dare alla missione salvifica di Cristo, che egli condivide con la sua Chiesa. Ma il loro contributo dipende dal loro vivere il mistero della Chiesa. Per questa ragione è così importante che i laici debbano avere consapevolezza della grandezza della loro vocazione, coscienza dell'essere componente essenziale della comunità ecclesiale, coscienza di vivere in unione con Cristo. Essi devono capire sempre più le implicazioni delle parole di san Paolo: "Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Ga 2,20). Il Concilio ravvisa davvero il successo dell'apostolato dei laici nel suo dipendere "dalla loro vitale unione con Cristo" (AA 4).


3. Per il Concilio tutta la spiritualità del laicato è fondata sacramentalmente e orientata spiritualmente, perché l'apostolato dei laici è concepito come partecipazione alla missione salvifica della Chiesa, alla quale i laici sono incaricati dal Signore stesso mediante il Battesimo e la Confermazione (cfr. LG 33).

Nello stesso tempo la Chiesa riconosce la qualità secolare di gran parte delle attività dei laici; essa ha stima del loro specifico contributo al rinnovamento dell'ordine temporale e proclama il ruolo speciale che essi devono svolgere nella "nascita di un nuovo umanesimo in cui l'uomo si definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e sorelle e verso la storia" (GS 55).


4. La Chiesa riconosce questa caratteristica responsabilità cristiana dei laici in molti campi, tra cui la politica, il mondo professionale, gli ambiti del sociale, dell'economia e dell'esercito, il mondo della cultura, la scienza, le arti, la vita internazionale e l'influsso estremamente incidente dei mass-media.

I laici sono in grado di esercitare una grande influenza sulla cultura e di rendere uno speciale contributo alla sua evangelizzazione. Questo essi lo possono fare particolarmente nei campi della scienza, della letteratura e dell'arte. E se prendiamo in considerazione le parole di Paolo VI - "la separazione tra il Vangelo e la cultura è senza dubbio il dramma del nostro tempo" (EN 20) - allora noi possiamo renderci conto di quant'è grande la responsabilità per il Vangelo che i laici condividono e quanto essi possono contribuire al suo avanzamento.

In tutto ciò, la Chiesa desidera mostrare la sua fiducia negli specifici carismi del laicato e nella sua capacità di esercitarli per il bene di tutta la comunità. In questo senso, il Sinodo del 1971 parlo di "maturità dei laici che deve essere altamente valutata a riguardo del loro ruolo specifico" ("Il sacerdozio ministeriale", parte seconda, I, 2). In tutte le loro attività temporali, i laici trovano il sostegno della fede e forza immensa nell'importante esortazione di san Paolo: "E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù" (Col 3,17).


5. La gamma delle attività ove i laici proclamano il Vangelo in parole e opere e fanno avanzare il Regno di Dio sulla terra è molto estesa. In ragione della loro vocazione di laici nel mondo, le loro attività secolari hanno un valore profondo agli occhi di Dio. Tutta la sfera dell'attività umana è santificata dalla grazia del Creatore e Redentore.

Ogni degna opera umana rientra nel principio che ho enunciato nella mia enciclica "Laborem Exercens" (LE 27): "Sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi, l'uomo collabora in qualche modo col Figlio di Dio alla redenzione dell'umanità". I laici svolgono un ruolo determinante nella difesa del valore del lavoro umano e nell'assicurare che il corretto concetto di lavoro umano sia applicato alla politica sociale ed economica delle Nazioni.


6. La risposta dei laici alle sfide poste loro dinanzi è stata espressa in molti splendidi modi in Australia. I laici meritano onore e gratitudine per il loro impegno nel campo dell'educazione, per il loro coinvolgimento nella promozione della giustizia e della pace e per il loro incessante e prolungato contributo all'opera caritativa e assistenziale. Che le loro degne attività siano di natura religiosa o secolare, esse promuovono tutte potentemente il Regno di Dio nella misura in cui sono motivate dalla carità ed esprimono la verità dello stato laicale che è entrata col Battesimo. Ogni azione compiuta dal laicato, conforme alla sua vocazione e sostenuta dalla grazia, è un'azione santificante, espressione autentica della vita della Chiesa. Cristo è attivo nelle sue membra. Il Padre continua ad amare il Figlio suo che è vivo nel suo Corpo che è la Chiesa.


7. Di fronte a tutti i problemi del mondo, i laici sono chiamati a manifestare la fede della Chiesa pellegrina con fiducia e gioia. In mezzo alle difficoltà della vita quotidiana la loro voce esprime la serenità della Chiesa, che sa che il Signore è con lei: "Il Signore è mia luce e mia salvezza; di chi avro paura?" (Ps 27,1). In infiniti modi, i laici sono toccati fino al punto dell'esserne oppressi, dai problemi che affliggono l'umanità, e dalla ricerca drammatica dei mezzi per alleviare la sofferenza umana causata dai mali del mondo. E tuttavia essi rimangono un popolo di forte speranza.

In ragione della loro esposizione, i laici sono particolarmente vulnerabili alla sofferenza: quando individui e famiglie sono turbati da ideologie opposte ai valori del Vangelo; quando nelle comunità si insinua l'abuso della droga; quando problemi sociali ed economici causano solitudine, scoraggiamento e alienazione; quando gli effetti del peccato nel mondo pesano considerevolmente sui cuori umani.


8. A causa della loro posizione nella Chiesa e in ragione del loro impegno secolare i laici hanno la vocazione speciale di difendere l'ordine morale nella sua integralità mediante la loro condotta. Soltanto attraverso la loro applicazione concreta dei principi di carità, giustizia e castità i membri della Chiesa possono offrire al mondo una convincente testimonianza degli insegnamenti di Gesù che sempre saranno contestati. Lo splendore della Chiesa di Cristo si rivela nella vita del laicato. La potenza della grazia di Dio è efficacemente attestata dai laici nel loro impegno di applicare la Parola di Dio alle situazioni della vita reale. Essi glorificano Dio respingendo le forze della secolarizzazione e ascoltando con umiltà e fiducia ciò che dice l'apostolo: "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo" (Rm 12,2).


9. Sebbene i laici hanno occupazioni secolari, essi appartengono anche all'unica comunità ecclesiale di cui essi costituiscono la più gran parte. E questa comunità è una comunità di adorazione e di lode. Il Concilio dichiara che è in quanto adoratori che i laici consacrano la Parola di Dio (cfr. LG 34).

L'aspetto del culto è centrale ad una comprensione della piena dignità del laicato quale categoria essenziale all'interno di tutta la Chiesa.

In occasione di un'altra visita "ad limina", ho richiamato l'attenzione su questo fatto: "Quando il nostro popolo... si rende conto di essere chiamato ad adorare e ringraziare il Padre in unione con Gesù Cristo, un'immensa potenza si effonde nella sua vita cristiana... Quando il nostro popolo capisce che tutte le sue preghiere di supplica sono unite a un'azione infinita di Cristo orante, allora vi è nuova speranza e rinnovato incoraggiamento per il popolo cristiano (discorso del 9 luglio 1983). Si, adorazione e preghiera sono entrambi un diritto e una responsabilità per i laici e costituiscono la forza della loro vita.


10. Ogni riflessione sui laici deve includere una riflessione sulla necessità di un'adeguata formazione dei laici. Molto è stato fatto a partire dal Concilio ecumenico e tuttavia molto rimane ancora da fare. E' importante aprire ai laici sempre di più l'accesso ai tesori della fede: la Parola di Dio come è espressa nelle Scritture e nel pieno insegnamento della Chiesa, così come nella sua vita sacramentale. Questa ulteriore formazione renderà necessari speciali progetti educativi - speciali iniziative - ma non dobbiamo mai dimenticare l'incomparabile valore della catechesi sistematica impartita nella parrocchia mediante la predicazione fedele e perseverante della Parola di Dio. In una vita di prolungato contatto personale col Popolo di Dio, nella testimonianza della loro vita di fede, tutti i sacerdoti hanno un'eccellente opportunità di aiutare i laici ad inoltrarsi sempre più nei divini misteri, includendo il posto speciale che i laici occupano nel piano di Dio e nel cuore di Cristo.


11. E' inutile dire, nello spirito pastorale del nostro servizio episcopale, che dobbiamo riservare uno speciale interesse ai cattolici che sbagliano, cercandoli con l'aiuto dei laici e sforzandoci di aiutarli ad assumere di nuovo una partecipazione vitale nella vita della Chiesa.


12. Come Vescovi noi abbiamo il grande privilegio di servire il laicato e di proclamare la sua dignità nella comunità del Popolo di Dio. Il nostro è un ministero di amore pastorale, che include tutto il sostegno possibile da parte dei laici nella causa del Vangelo. Ma sappiamo che questo può avvenire solo se essi vivono il mistero della Chiesa e sono consci della loro grande dignità cristiana.

Uniamoci a san Leone Magno, la cui festa abbiamo celebrato solo ieri, nel magnificare la dignità del nostro popolo: "Agnosce, christiane, dignitatem tuam" ("Omelia di Natale", 21,3).

Questo è il nostro scopo: rafforzare la convinzione cristiana, promuovere nuovo impegno, cosicché nella profonda consapevolezza della sua identità il nostro popolo esclami: "Noi siamo forti nel nome del Signore, nostro Dio" (Ps 20,8). Questa è la nostra preghiera offerta attraverso Maria, la Madre di Gesù: che tutti i fedeli facciano esperienza di ciò che significa essere popolo di culto, popolo di speranza, il Popolo di Dio: "Noi ci affatichiamo e combattiamo perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente" (1Tm 4,10), per Cristo nostro Signore.

Data: 1983-11-11 Data estesa: Venerdi 11 Novembre 1983

A marittimi italiani e a fedeli vari - Città del Vaticano (Roma)




1. Cari fratelli e sorelle, vi saluto tutti, ad uno ad uno, con sincero affetto.

Il mio pensiero si rivolge in primo luogo a voi, gente del mare, che, sotto la bandiera dell'opera "Apostolato del mare" siete venuti così numerosi a questa udienza insieme col Vescovo Monsignor Vincenzo Franco: cappellani, naviganti, pescatori, studenti nautici, pensionati marittimi, familiari, operatori pastorali, personale del Ministero della Marina mercantile e di Società di navigazione, vi saluto tutti di cuore e vi do il benvenuto in questa sede vicina alla tomba di san Pietro, che fu, anche lui, un uomo di mare, come tanti apostoli. So bene che a spingervi a questo pellegrinaggio non è stato solo il desiderio di acquistare personalmente i benefici di ordine spirituale, che la Chiesa intende distribuire a tutti, specie in questa occasione del 1950° anniversario della Redenzione, ma anche il proposito di sviluppare un'azione di sensibilizzazione del mondo marittimo per i significati dell'Anno Santo.


2. L'Anno Giubilare della Redenzione, con l'obiettivo eminentemente spirituale della riconciliazione, vuole richiamare innanzitutto alla mente e al cuore che Dio, per salvarci, si è fatto pellegrino sulla terra. Il pensiero di essere anche noi, tutti, pellegrini per le vie del mondo terreno è un forte stimolo a vivere la vita di quaggiù come esperienza di passaggio, che non deve farci perdere mai di vista l'approdo eterno al quale siamo chiamati.

In tale prospettiva voi che, in modi vari, fate parte della benemerita organizzazione dell'Apostolato del mare, siete in grado di comprendere meglio di tanti altri la realtà della nostra comune condizione terrena.

La vita sul mare o in relazione al mare, a differenza di quella chiamata significativamente di terraferma, è un'esistenza eminentemente mobile, di passaggio da un porto all'altro, attraverso continenti sconosciuti, in mezzo a popoli nuovi. Più che altre categorie di persone, voi avete la sensazione di essere pellegrini o di far parte di una famiglia di pellegrini in continuo cammino verso il porto definitivo di Dio.


3. Per questa ragione voi, nonostante le difficoltà non piccole della vostra condizione personale e familiare, avete modo di vivere più genuinamente i contenuti giubilari della riconciliazione con Dio e con gli uomini.

Riconciliazione con Dio, che è il traguardo supremo della vita umana. A lui fin d'ora possiamo avvicinarci attraverso la contemplazione delle bellezze della natura, la solitudine dei lunghi viaggi o delle lunghe attese; a lui possiamo parlare in ogni momento, perché egli è sempre presente, anche quando la famiglia è lontana, e ci si sente sperduti, quasi come fuscelli, in mezzo all'immensità delle acque.

Riconciliazione con gli altri uomini, a cominciare dai compagni di viaggio o di attesa, per essere loro vicini, nell'amarezza della solitudine e della lontananza; riconciliazione e solidarietà con gli uomini di tutti i continenti ai quali è possibile, con la parola e con l'esempio, dare una testimonianza personale e viva nella fede in Dio che salva.

Carissimi, il cristianesimo nei primi secoli si è diffuso soprattutto per le vie del mare; anche oggi il cammino sulle navi può diventare un cammino di fede vissuta e testimoniata; un itinerario di speranza nella certezza della meta ultima che è l'incontro con Dio: un'occasione di amore verso tutti gli uomini del mondo, che si ha la fortuna di incontrare.

Questo pellegrinaggio nazionale dell'Apostolato del mare sia, dunque, per voi tutti un'occasione privilegiata che vi impegna a vivere con sempre maggiore generosità gli scopi che l'Opera si prefisse quando nacque oltre mezzo secolo fa.

La "Stella maris", che costantemente guardate lungo la vostra rotta seminata di marosi e di burrasche, e che ha dato il titolo al vostro periodico, vi protegga sotto il suo manto di Madre.


4. Sono lieto di rivolgere anche una particolare parola ai pellegrini provenienti dalle diocesi di Otranto, di Novara, di Conversano e Monopoli. Grande gioia mi reca questa vostra visita, carissimi fratelli e sorelle, e per essa vi sono riconoscente. Saluto tutti di cuore, a cominciare dai vostri Vescovi, per passare poi ai sacerdoti delle Comunità parrocchiali, ai religiosi e alle religiose e giungere infine ai fedeli presenti.

La visita dei cari otrantini richiama alla mia mente la giornata così intensa e festosa di quella indimenticabile domenica 5 ottobre 1980, allorché ebbi la possibilità di recarmi nella loro città per concludere l'anno celebrativo del 500° anniversario dell'eccidio del beato Antonio Primaldo e dei suoi ottocento compagni. Le manifestazioni di fede offerte dai fedeli di Otranto e dell'intera penisola salentina sono state per me una chiara testimonianza dei valori cristiani e umani dai quali, per antica tradizione, quella popolazione è contrassegnata. La splendida testimonianza dei martiri idruntini ci richiama a considerazioni valide non solo per i pellegrini di quella diocesi, ma anche per quelli di Novara, Conversano e Monopoli, come anche per ogni cristiano, essendo unica la fede che tutti ci unisce.

La forza segreta, che sostenne i Martiri nel confessare il proprio amore a Dio e la propria adesione a Cristo fino al sangue, fu senza dubbio la loro fede forte e incrollabile. Essi, come ebbi a dire in quella occasione, "dopo aver difeso con tutti i mezzi la sopravvivenza, la dignità e la libertà della loro diletta città e delle loro case, seppero anche difendere, in maniera sublime, il tesoro della fede, ad essi comunicato nel battesimo" ("Insegnamenti di Giovanni Paolo II", III,2 (1980) 790). Dopo cinquecento anni, la loro scelta per Cristo rimane un luminoso punto di riferimento sempre valido e attuale per quanti desiderano mettersi alla sequela del Cristo e vivere in profondità le esigenze del Vangelo.


5. Un'altra indicazione che ci viene dall'intrepida testimonianza dei Martiri è quella sul valore dello spirito di sacrificio e di penitenza. Ricorderete le parole del Signore alla vigilia della sua passione: "Chi ama la propria vita, la perderà, chi invece la sacrifica in questo mondo, la salverà per la vita eterna" (Jn 12,25). La vita cristiana comporta abnegazione, dedizione e offerta di sé: essa non può prescindere dalla croce. Il rinnovamento interiore, a cui L'Anno della Redenzione vi invita, esige questo senso forte dell'impegno cristiano; esige un cambiamento di vita, una "metanoia", una revisione del modo di pensare e di agire; esige il senso del dovere, nella vita privata e sociale, la chiara percezione del bene e del male; esige l'impegno per la promozione della giustizia, specialmente in favore dei fratelli meno favoriti; esige, in una parola, uno spirito nuovo, fatto di sorveglianza morale, di riparazione, di espiazione, cioè di penitenza. La vostra sosta orante e pensosa nella città che è centro del Cristianesimo è un momento quanto mai propizio per una coraggiosa revisione di vita.

Come voi ben sapete, carissimi, questo impegno ascetico non è fine a se stesso, ma è condizione per potere un giorno entrare nella vita eterna e nella gioia che il Signore riserba ai suoi servi fedeli. I Martiri di Otranto, dopo la dura prova, sono stati ammessi alla beatitudine promessa ai perseguitati "per causa della giustizia" e del nome del Signore (cfr. Mt 5,10-11). Anche a voi il Maestro divino ripete oggi, come già al giovane ricco: "Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti... e avrai un tesoro nel cielo" (Mt 19,17 Mt 19,21).

Il Giubileo della Redenzione vuole appunto richiamarci al senso escatologico di questo pellegrinaggio sulla terra; vuole cioè avvertirci dei destini ultimi, che ci attendono, e che la celebrazione giubilare prospetta in modo ultraterreno, nella felice partecipazione alla vita stessa di Cristo.

Con questa speranza nel cuore e con questi auspici, vi assicuro della mia preghiera, perché il Signore confermi i vostri propositi e fecondi le vostre intenzioni, mentre di cuore vi imparto la mia Benedizione.

Data: 1983-11-12 Data estesa: Sabato 12 Novembre 1983


GPII 1983 Insegnamenti - Alla XXII Sessione della Fao - Città del Vaticano (Roma)