GPII 1983 Insegnamenti - 3. Vivere e testimoniare il mistero di Cristo

3. Vivere e testimoniare il mistero di Cristo


Dio ha nella storia risposto a questo desiderio. Mediante la fede abbiamo conosciuto l'opera di salvezza che ha il suo centro, il suo asse e la sua pienezza in Gesù Cristo. E non desistiamo mai dall'annunciare che la salvezza giunge a noi attraverso Gesù Cristo, conformemente alla solenne espressione di Pietro e degli altri Apostoli: "Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (Ac 4,12).

Proprio questo ha fatto san Domenico seguendo le tracce degli Apostoli.

Come disse santa Caterina da Siena, frate Domenico ha sentito la "missione della Parola" ("Dialogo", 158). Vi ha risposto, nutrendo per il Crocifisso un amore appassionato. Il famoso dipinto di Fra Angelico rappresenta magnificamente proprio questo: esso mostra il santo mentre preme le sue mani sulla Croce e abbraccia la figura di Cristo contemplandola con gli occhi, così che le gocce di sangue del Salvatore scorrono su di lui. Nella sua predicazione, san Domenico ha annunciato sempre Gesù Cristo a fondamento del Vangelo.

Penso oggi agli innumerevoli frati, noti e sconosciuti, che oggi come nei passati 760 anni, si dedicano al lavoro dell'esegesi, della patristica, della teologia nel suo insieme, o operano come insegnanti e predicatori, editori o addetti alle comunicazioni sociali, come promotori del Santo Rosario, e come missionari, nella pastorale o in incarichi particolari della Santa Sede. Tutti hanno quest'unico proposito: di compiere il loro servizio con tutte le forze e con cuore disinteressato come umili servitori della Redenzione nel mondo d'oggi.

Il successore di Pietro esprime con gioia all'Ordine di san Domenico la riconoscenza della Chiesa per tutto ciò che ha finora compiuto, perciò incoraggio oggi voi - mentre si celebra il vostro Capitolo generale nel corso dell'Anno Santo 1983 -, i vostri Confratelli, sulla linea dei vostri predecessori, ad aprire nuove possibilità di lavoro per lo studio così come per la predicazione di Gesù, il Crocifisso (cfr. 1Co 1,23 1Co 2,2).

Ciò che il Concilio Vaticano II ha insegnato sugli studi ecclesiali, le indicazioni e le linee direttive del mio predecessore Paolo VI sull'evangelizzazione nell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" così come le mie indicazioni nell'enciclica "Redemptor Hominis" e nell'esortazione apostolica "Catechesi Tradendae", costituiscono una durevole regola di lavoro, che di cuore prego il vostro Ordine di far propria, per essere collaboratori scelti del Magistero ecclesiale, pronti a dispiegare agli occhi del mondo la ricchezza di Cristo, morto e risorto per noi.


4. Relazione vitale con la Chiesa


Arriviamo al terzo principio che giustifica l'esistenza di un Ordine religioso e che ne orienta l'azione: la relazione vitale con la Chiesa. Come indicano il Codice di diritto canonico e le vostre Costituzioni (p. I, c. I, n. 21), c'è un'esigenza di cattolicità, di unità e di apostolicità se si desidera essere Chiesa e lavorare ad un livello universale; e c'è bisogno di rendere sempre più reale e visibile la quarta caratteristica della Chiesa, la santità. Il vincolo col Papa è la migliore garanzia di questo carattere ecclesiale; esso legittima l'azione di un Ordine esteso in tutto il mondo, garantisce la sua libertà, sempre in conformità con le norme che regolano l'attività dei religiosi all'interno delle Chiese locali.

Siate poi certi che nel vostro Ordine non mancherà mai la tradizionale e piena obbedienza al successore di Pietro, con sincero rispetto per il suo Magistero e con quella totale fedeltà alla Santa Sede, che è sempre stata nota caratteristica della vostra Famiglia religiosa.

Auguro al vostro Ordine - il cui motto è Verità - che formi molti figli disposti a servire la Chiesa, e lavorare nella verità e nell'obbedienza, ricordando questo famoso testo delle vostre Costituzioni: "Dal momento in cui per obbedienza noi ci uniamo a Cristo e alla Chiesa, ogni sforzo e ogni mortificazione che facciamo per metterla in pratica è come un prolungamento della oblazione di Cristo e acquista un valore di sacrificio, tanto per noi personalmente quanto per la Chiesa: nella consumazione di questo sacrificio si realizza tutta l'opera della creazione" (l. I, art. II, n. 11).

La relazione vitale tra l'Ordine e la Chiesa ha un'altra dimensione essenzialmente teologica, che scaturisce dalla sua finalità e dalla sua natura, riconosciute dalla Sede Apostolica. Come si legge nella vostra costituzione fondamentale, voi siete nella Chiesa un "ordine clericale", che ha una "funzione sacerdotale e profetica" (V e VI).

La vostra storia è prova che tra vocazione sacerdotale e vocazione profetica non vi è opposizione, ma che esse si incontrano per dare all'Ordine la sua identità e la sua integrità proprio come voleva san Domenico. E' anche vero che, a causa delle differenti condizioni culturali e religiose dei popoli e forse più ancora a causa delle attitudini e i carismi personali, l'una o l'altra di queste funzioni assumono rilievo particolare. In ogni caso, dalla vostra storia, dalla vostra regola, dalla vostra dottrina, si deduce che nell'insegnamento, nella predicazione, nell'esercizio del ministero pastorale, il carisma profetico nel vostro Ordine ha ricevuto il sigillo particolare della teologia, intesa nel senso pieno di san Tommaso come una sapienza che pone a fondamento del pensiero e dell'azione la contemplazione; essa stimola l'azione, la ispira e la regola (cfr. I 1,6; I-II 45,3). Lo stesso san Tommaso, seguendo san Domenico, è stato non solo maestro, ma anche esempio di questa vita di sapienza, alla quale ha sempre potuto guardare l'Ordine come a un aspetto della propria "funzione profetica", che consiste nell'"annunciare ovunque il Vangelo di Gesù Cristo con la parola e con l'esempio", secondo il testo della vostra costituzione fondamentale.

Oggi desidero dirvi, a voi Padri capitolari e a tutti i vostri fratelli d'osservanza: siate fedeli a questa missione di ideologia e di sapienza del vostro Ordine, quali siano le forme - erudite o popolari, accademiche o pastorali, scientifiche o catechetiche - nelle quali potete essere chiamati ad esercitarla.

Ed evidentemente deve continuare ad avere uno spazio privilegiato, al primo posto nel vostro lavoro scientifico e apostolico, l'approfondimento dell'opera teologica e filosofica di san Tommaso d'Aquino. Si impone, per voi più che per altri, la necessità di coltivare la familiarità col pensiero e con gli scritti dell'ineguagliabile Maestro, rinnovare ed arricchire la sua dottrina.

La vostra funzione teologica assicura all'Ordine una relazione vitale con la comunità ecclesiale, ove la verità e la ricchezza dei carismi sono stati posti in unità dallo Spirito, in vista della edificazione del Corpo di Cristo.

5. Vita spirituale


Infine, carissimi Padri capitolari, desidero ricordarvi, sempre sulla traccia delle vostre Costituzioni, che il segreto di un proficuo svolgimento della vostra missione nella Chiesa e nel mondo, il segreto della vostra stessa ripresa numerica e qualitativa dopo la crisi che anche il vostro Ordine ha dovuto affrontare negli scorsi anni, consiste nella fedeltà alla "vita apostolica nel suo significato integrale, in cui la predicazione e l'insegnamento devono sgorgare dall'abbondanza della contemplazione" ("Constitutio Fundamentalis", 4).

E' il quarto fondamento - ma quanto ad importanza è il principale - su cui potete costruire un presente e un avvenire dell'Ordine, degni del suo passato.

Esso si esplicita in cose che ben conoscete e che qui basterà appena accennare per affidarle alla vostra riflessione e, se è necessario, alle risoluzioni del vostro Capitolo: lo spirito di orazione, la vita interiore, lo zelo, l'esattezza e la fedeltà nella celebrazione della Liturgia e, in generale, la regolare osservanza della vita comune, la pratica e lo spirito dei voti, la penitenza.

Il Papa Onorio III riassumeva tutto questo, quando nella lettera a san Domenico e ai suoi primi compagni diceva che per la riforma del mondo moderno e la predicazione della fede, Dio aveva loro "ispirato nell'animo l'amoroso desiderio di abbracciare la povertà e di mettere in pratica la vita regolare..." (Lettera del 18 gennaio 1221, in MOPH XXV, p. 144).

Questa ispirazione divina indicava la via che deve restare vostra anche oggi. Essa non è stata modificata nei punti essenziali e non deve essere compromessa dagli adattamenti e dalle innovazioni di carattere strutturale e funzionale che, lealmente e in armonia con le direttive della Chiesa, voi avete ritenuto e ritenete di apportare all'organizzazione dell'Ordine. Molti esperimenti e tentativi sono possibili, ma a patto che non si abbandoni la giusta via". può anche darsi che, in base a un realistico bilancio di ciò che si è sperimentato, risulti al Capitolo che su alcuni punti si impone un ripensamento.

In particolare, lasciate che vi raccomandi di prestare un'attenzione rinnovata alle qualità della vita conventuale: il silenzio, del quale si diceva tradizionalmente tra di voi che è il "padre dei Predicatori", l'abito "come distintivo della vostra consacrazione" (l. I, c. I, art. V, n. 51), il giusto posto della clausura, stabilita dalle vostre Costituzioni "perché... i frati possano attendere meglio alla contemplazione e allo studio, perché s'accresca l'intimità della famiglia e si possa esplicare l'indole della nostra vita religiosa e la fedeltà ad essa..." (l. I, c. I, art. V, n. 41). Resi forti dalla vita comunitaria, i frati potranno adempiere ai loro compiti sulle strade del mondo, senza nascondere la loro identità, rendendo testimonianza ai valori della vita religiosa liberamente scelta per il Regno di Dio.

6. Conclusione


Quante altre cose vorrei dirvi a cuore aperto e come espressione del mio affetto e del mio apprezzamento per il vostro Ordine, carissimi Padri capitolari! Che le mie parole vi siano di incoraggiamento a camminare nella scia dei vostri confratelli che, con la loro vita, hanno segnato la storia dell'Ordine e, si può dire, della Chiesa stessa.

Poiché devo concludere, lo faro ripetendo con voi alcuni periodi di quella "Preghiera al beato Domenico", che fu scritta dal suo successore, Maestro Giordano, e che deve esservi molto familiare. La ripeto qui come se ci trovassimo davanti alla Tomba del vostro Fondatore, che io pure ho potuto più volte venerare in san Domenico di Bologna: "Tu una volta iniziato il cammino della perfezione, tutto lasciasti per seguire nudo il Cristo nudo, preferendo accumulare tesori nel cielo. Ma, con ancor più forza rinunciasti a te stesso e, portando virilmente la tua croce, ti sforzasti di seguire le orme della nostra sola vera guida: il Redentore. Tu, infiammato dallo zelo di Dio e da ardore soprannaturale, per la sovrabbondanza della tua carità, in uno slancio immenso di generosità ti spendesti tutto per la povertà perpetua, per la vita apostolica e la predicazione evangelica. E per questa grande opera, non senza una ispirazione dall'alto, istituisti l'Ordine dei Frati Predicatori (...). Tu, che cercasti con tanto zelo la salvezza del genere umano, vieni in aiuto al clero, al popolo cristiano... Sii per noi veramente un "dominicanus", ossia un solerte custode del gregge del Signore...".

Cari Frati Predicatori, all'intercessione del vostro Santo Padre Domenico affido voi e tutto il vostro Ordine, come pure l'intera Famiglia domenicana, comprendente, oltre i Frati, le Monache claustrali, le Suore di vita attiva, gli Istituti secolari associati all'Ordine e i numerosi laici e sacerdoti appartenenti alle Fraternità. E di tutto cuore vi imparto la mia benedizione, propiziatrice della divina assistenza per i lavori del Capitolo e di sempre più abbondanti grazie per la vita dell'Ordine, a voi e a me così caro.

Data: 1983-09-05 Data estesa: Lunedi 5 Settembre 1983

Messaggio all'UNESCO - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Per la XVII Giornata Internazionale dell'alfabetizzazione

Al Signor Amadou-Mahtar M'Bow, direttore generale dell'Unesco.

L'8 settembre, per il XVII anno consecutivo, invitate a celebrare la Giornata internazionale dell'alfabetizzazione. Affrontare questo problema così difficile da risolvere, anno dopo anno, senza scoraggiamento, ma al contrario con tenacia incrollabile, mostra la convinzione dei dirigenti e dei membri dell'Unesco: essi sono giustamente sicuri che l'alfabetizzazione sia un'azione essenziale per promuovere la dignità umana, che sia possibile estenderla molto di più, e che occorra sviluppare più ampiamente questa presa di coscienza per suscitare nuovi impegni, generosi e validi.

I vari aspetti del problema dell'alfabetizzazione sono già stati abbondantemente studiati, confrontati e i mezzi messi in atto hanno dato risultati tangibili che via via progrediscono grazie ad iniziative pubbliche e private. E questo si realizzerà sempre meglio se tutti comprenderanno che la dignità dell'umanità è qui in causa - tutti, cioè gli artefici di tali sforzi e i beneficiari -, perché si tratta di un diritto e di un dovere.

Si pensa naturalmente al diritto, per colui che è sfavorito, di essere scolarizzato, educato, istruito, adattato al mondo nel quale deve assumere un ruolo attivo e completo; e al dovere, per colui che è meglio provvisto, di condividere ciò di cui, in fin dei conti, egli fruisce soprattutto grazie alle possibilità offertegli dalla sua storia e agli sforzi dei suoi antenati.

Ma l'analfabeta ha anche il dovere di esigere da se stesso, prima di tutto, e dagli altri, che venga messa in atto questa primaria iniziazione, e di lavorarvi attivamente.

Questa Giornata internazionale dell'alfabetizzazione non dovrebbe forse rendere gli uomini ancora più convinti dei grandi principi che definiscono i loro diritti e i loro doveri? Innanzitutto, tutti i diritti sono indissolubilmente legati tra di loro e, nella misura in cui questo diritto all'alfabetizzazione è ancora trascurato, è la rivendicazione degli altri diritti dell'uomo che ne risulta tanto più ritardata e minimizzata. Del resto, tutti gli uomini sono uniti tra di loro, e, nella misura in cui alcuni, in qualsiasi parte del mondo o in qualsiasi aspetto della loro vita, vedono trascurati i loro diritti, è l'umanità intera che ne è colpita nella sua dignità.

Infine, tutti i diritti sono legati a dei doveri e là dove si trascura di adempiere ad un dovere, il diritto corrispondente resta inevaso: se c'è il diritto alla vita, vi è anche il dovere di favorire e proteggere la vita; se c'è il diritto alla pace, vi è anche il dovere di fare la pace; se c'è il diritto alla libertà, vi è anche il dovere di rendere libero; se c'è il diritto all'alfabetizzazione, vi è anche il dovere di alfabetizzare e di cercare di essere alfabetizzati.

Bisogna augurarsi, signor Direttore generale, che le Nazioni facciano ampiamente eco alla celebrazione della XVII Giornata internazionale dell'alfabetizzazione della vostra Organizzazione, per la quale formulo gli auguri di pieno successo. Possano trovare i mezzi adatti per sensibilizzare l'opinione pubblica nei confronti della grande miseria che rappresenta, per gli adulti o per i bambini, il fatto di restare analfabeti, un po' come lo è, a livello della salute del corpo, la malnutrizione, anch'essa drammatica! Possano impegnarsi sempre più, per suscitare e sviluppare, sia nella propria Nazione come nei Paesi più svantaggiati, iniziative adeguate, nazionali e internazionali! Voglio sperare che una tale Giornata, che tali sforzi contribuiranno a permettere ad un gran numero di persone di superare l'handicap di non saper né leggere né scrivere, a permettere loro di meglio partecipare alla cultura e alla vita di tutta la società, e di trovare ugualmente una possibilità migliore di accedere alle realtà spirituali, espresse esse stesse nei Libri santi. So che un tale progresso si ricollega al disegno di Dio.

Dal Vaticano, 5 settembre 1983.

Data: 1983-09-05 Data estesa: Lunedi 5 Settembre 1983

A Vescovi statunitensi in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Vescovo, segno vivo di Gesù Cristo

Venerabili e cari fratelli in nostro Signore Gesù Cristo.

L'esperienza dell'intera vita post-conciliare della Chiesa conferma esattamente quanto il rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II dipenda dal ministero dei Vescovi: lungo il cammino questo ministero viene concepito, lungo il cammino viene esercitato. Come Vescovi riuniti collegialmente nello Spirito Santo, riflettiamo insieme su alcuni aspetti di questo nostro ministero.


1. E' chiaro che l'economia di salvezza dell'Incarnazione è continuata per mezzo nostro come pastori in servizio scelti per guidare il popolo di Dio alla pienezza di vita che esiste in Gesù Cristo, Verbo Incarnato di Dio. Comprendere la Chiesa del Verbo Incarnato, nella quale ogni grazia viene dispensata tramite la sacra umanità del Figlio di Dio, è comprendere quanto importante sia per ogni Vescovo nella sua stessa umanità di essere segno vivo di Gesù Cristo (cfr. LG 21). Noi che siamo investiti della missione del Buon Pastore dobbiamo renderlo visibile al nostro popolo. Dobbiamo rispondere in modo specifico al grido che sale da ogni parte del mondo: "Vogliamo vedere Gesù" (cfr. Jn 12,21). E il mondo vuole vederlo in noi. La nostra efficacia nel mostrare Gesù al mondo - l'efficacia finale di tutta la nostra guida pastorale - dipende in gran parte dall'autenticità della nostra sequela. La nostra stessa unità con Gesù Cristo determina la credibilità della nostra testimonianza. Proprio per questa ragione siamo chiamati ad esercitare profeticamente il ruolo di santità: anticipare nella nostra propria vita quello stato di santità al quale sproniamo il nostro popolo.

Per essere un segno vivo di Gesù Cristo in santità di vita, noi Vescovi sperimentiamo la necessità di conversione personale - conversione profonda, conversione sostenuta, conversione rinnovata. E io, Giovanni Paolo II, vostro compagno apostolo e vostro fratello Vescovo nella Sede di Roma, per essere fedele alla pienezza del mio mandato, di confermare i miei fratelli (cfr. Lc 22,32), mentre sono consapevole delle mie debolezze e dei miei peccati, sento la necessità di parlare a voi di conversione, la conversione alla quale Gesù invita voi e me. E voi, da parte vostra, nel nome di Gesù mentre desiderate sempre maggiore conversione personale, dovete richiamare il vostro popolo alla conversione, in modo particolare durante questo Anno Santo della Redenzione. Ho sottolineato questo stesso punto rivolgendomi ai Vescovi di New York l'aprile scorso e ho indicato la sua speciale importanza per i religiosi nella lettera che ho scritto a tutti i Vescovi degli Stati Uniti a Pasqua. Nessuno di noi è esente da questa chiamata, questo invito, questo appello alla conversione che viene dal Signore Gesù. Solo tramite la conversione e la santità di vita possiamo riuscire ad essere segni vivi di Gesù Cristo. L'intera nostra umanità comunicherà Cristo solo se noi viviamo in unione con lui, solo se, con la conversione, ci "rivestiamo del Signore Gesù Cristo" (Rm 13,14).


2. In particolare, il Vescovo è un segno dell'amore di Gesù Cristo: esprime ad ogni individuo e a gruppi di qualunque ideologia, con una carità universale, l'amore del Buon Pastore. Il suo amore abbraccia i peccatori con una bontà e naturalezza che rispecchia l'amore redentore del Salvatore. Ai bisognosi, agli angosciati, agli addolorati, egli offre amorevole comprensione e consolazione. Il Vescovo è in modo particolare il segno dell'amore di Cristo per i suoi sacerdoti.

Egli manifesta loro l'amore, l'amicizia, esattamente come a lui sarebbe piaciuto sperimentarla dal suo Vescovo, un'amicizia che sa comunicare la stima, e per mezzo di cordiali rapporti umani può aiutare il suo fratello sacerdote anche ad uscire dai momenti di scoraggiamento, di tristezza o di abbattimento.


3. Come segno dell'amore di Cristo il Vescovo è anche segno della compassione di Cristo, dal momento che rappresenta Gesù, il Sommo Sacerdote che è capace di compatire la debolezza umana, essendo stato lui stesso tentato in ogni modo in cui lo siamo noi, senza aver mai peccato (cfr. He 4,15). La consapevolezza del peccato personale da parte del Vescovo, unita al pentimento e al perdono ricevuto dal Signore, rende la sua espressione umana della compassione più autentica e credibile. Ma la compassione che lui indica e vive nel nome di Gesù non può servirgli da pretesto per equiparare la comprensione misericordiosa di Dio riguardo al peccato e l'amore per i peccatori al rinnegamento della piena verità redentrice che Gesù proclamo. perciò, non può esistere dicotomia tra il Vescovo come segno della compassione di Cristo, e come segno della verità di Cristo.

Precisamente perché il Vescovo è compassionevole e comprende la debolezza dell'umanità e per il fatto che le sue necessità e aspirazioni possono essere soddisfatte solo dalla piena verità della creazione e redenzione, proclamerà senza timore o ambiguità le molte contrastate verità del nostro secolo.

Le proclamerà con amore pastorale, in termini che non offenderanno né alieneranno mai inutilmente i suoi ascoltatori, le proclamerà invece chiaramente, perché conosce la qualità redentrice della verità.

perciò il Vescovo compassionevole proclama l'indissolubilità del matrimonio, come fecero i Vescovi degli Stati Uniti quando nella loro splendida lettera pastorale "Vivere in Cristo Gesù", scrissero: "Il patto tra l'uomo e la donna nel matrimonio cristiano è indissolubile e irrevocabile come l'amore di Dio per il suo popolo e l'amore di Cristo per la sua Chiesa".

Il Vescovo compassionevole proclamerà l'incompatibilità dei rapporti sessuali preconiugali e l'attività omossessuale con il piano di Dio per l'amore umano; contemporaneamente, cercherà con tutte le sue forze di assistere quanti devono affrontare scelte morali difficili. Con la stessa compassione proclamerà la dottrina dell'"Humanae Vitae" e della "Familiaris Consortio" nella loro piena bellezza, senza passare sotto silenzio la verità impopolare che il controllo artificiale delle nascite è contro la legge di Dio.

Dirà a voce alta i diritti di quanti non hanno potuto nascere, dei deboli, degli handicappati, dei poveri e degli anziani, senza badare a come l'opinione popolare corrente considera tali argomenti. Con umiltà personale e zelo pastorale il Vescovo si sforzerà di discernere, non da solo, ma in unione con l'Episcopato universale, i segni dei tempi e la loro vera applicazione nel mondo moderno. Unito ai suoi fratelli Vescovi lavorerà per assicurare la partecipazione di ogni categoria di uomini nella vita e missione della Chiesa, seguendo la verità della loro chiamata.

Questo zelo sarà manifestato nel sostenere la dignità delle donne, e ogni loro leggittima libertà che è conforme alla loro natura umana e al loro stato. Al Vescovo è richiesto di combattere ogni discriminazione delle donne a causa del sesso. A questo riguardo egli deve inoltre cercare di spiegare, con tutta la forza possibile, che l'insegnamento della Chiesa nell'escludere le donne dall'ordinazione sacerdotale è estraneo all'argomento della discriminazione, ma che è piuttosto legato al piano stesso di Cristo per il suo sacerdozio. Il Vescovo deve dar prova della sua abilità pastorale e della sua guida sottraendo ogni sostegno a individui o gruppi che nel nome del progresso, della giustizia o compassione, o per qualunque altra simile ragione, promuovono l'ordinazione delle donne al sacerdozio.

Facendo questo, tali individui o gruppi stanno in effetti danneggiando la dignità delle donne che essi affermano di promuovere e di far progredire. Tutti gli sforzi fatti contro la verità sono destinati a produrre un solo insuccesso, ma anche acuta frustrazione personale. Qualunque cosa possa fare il Vescovo per impedire questo insuccesso e questa frustrazione spiegando la verità, non è solo un atto di carità pastorale, ma anche di guida profetica.


4. In una parola, il Vescovo come segno di compassione è nello stesso tempo segno di fedeltà alla dottrina della Chiesa. Il Vescovo si erige con i suoi fratelli Vescovi e il Romano Pontefice come maestro della fede cattolica, la cui purezza e integrità è garantita dalla presenza dello Spirito Santo nella Chiesa.

Come Gesù, il Vescovo proclama il Vangelo di salvezza non come un consenso umano, ma come una rivelazione divina. L'intera struttura del suo insegnamento è centrata su Cristo che dice: "Come mi ha insegnato il Padre così, io parlo" (Jn 8,28). perciò il Vescovo diventa segno di fedeltà a causa della sua partecipazione al carisma particolare pastorale e apostolico con il quale lo Spirito di Verità dota il Collegio dei Vescovi. Quando questo carisma è esercitato dai Vescovi all'interno dell'unità di tale Collegio, la promessa di Cristo agli Apostoli viene attuata: "Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato" (Lc 10,16). La promessa di Cristo, garantendo l'autorità degli insegnamenti dei Vescovi e imponendo ai fedeli l'obbligo di obbedire, rende molto chiaro il motivo per cui il singolo Vescovo deve essere un segno di fedeltà alla dottrina della Chiesa.

E in questo importante dovere di proclamare il Vangelo in tutta la sua purezza e potenza, con tutte le sue esigenze, il Vescovo accetta volentieri la sfida apostolica che Paolo pone a Timoteo: "Annuncia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina" (2Tm 4,2).


5. E poiché l'insegnamento dei Vescovi, garantito da un carisma, deve essere null'altro che la parola di Dio nella sua applicazione alla vita umana, il Vescovo diviene per il suo popolo un segno della certezza della fede. Chiamato a proclamare la salvezza in Gesù Cristo e a guidare il gregge efficacemente a questo fine, il Vescovo infonde certezza nel popolo di Dio che sa che egli li ascolterà, accetterà le loro numerose intuizioni nella verità della fede e non imporrà inutili fardelli nella loro vita. E ancora essi sanno che l'insegnamento della Chiesa che egli annuncia è ben più che una sapienza umana. La Chiesa, tramite i suoi Vescovi rifiuta ogni trionfalismo; essa pubblicamente nega di avere soluzioni già preordinate per ogni particolare problema, ma dichiara decisamente di possedere la luce della verità rivelata che trascende ogni umano accordo e lavora con tutte le sue forze, così che questa luce della fede possa illuminare le esperienze dell'umanità (cfr. GS 33).


6. Nel comunicare al popolo di Dio la certezza della fede e la serenità che ne promana, il Vescovo ha il ruolo speciale di operare come un maestro di preghiera.

Quanto strettamente il ruolo del Vescovo è collegato qui a quello di Gesù, il Maestro, che con tanta sollecitudine rispose alle richieste dei discepoli di imparare a pregare. Sicuramente ci sono milioni di voci che sorgono da ogni parte delle vostre diocesi unite, dirette a voi e supplicanti: "Insegnaci a pregare" (Lc 11,1). Nel dare la stessa risposta che Gesù aveva dato, voi aprite al vostro popolo gli immensi tesori del nostro Padre, introducendoli al dialogo della salvezza, istruendoli sul ministero della loro divina adozione e offrendo testimonianza alla viva umanità del Figlio di Dio che conosce più di chiunque altro i bisogni e le aspirazioni dei suoi fratelli e delle sue sorelle.

E attraverso la sua stessa personale preghiera il Vescovo comunicherà, in modo convincente, il valore della preghiera, ed egli stesso diverrà più sempre segno vivente del Cristo che prega, che sottomette tutte le sue iniziative pastorali al Padre suo, compresa la vera scelta dei suoi Apostoli (Lc 6,12-13).


7. La scelta dei Vescovi, successori degli Apostoli, è così importante oggi per la Chiesa, come fu la scelta dei Dodici per Gesù. La raccomandazione e la scelta di ogni nuovo Vescovo merita la più grande riflessione nella preghiera da parte di tutti coloro che sono interessati al processo di scelta dei candidati. A questo riguardo, i Vescovi stessi hanno un ruolo speciale nel proporre coloro che essi giudicano i più idonei, con l'aiuto di Dio, ad essere segni viventi di Gesù Cristo, sacerdoti che hanno già provato se stessi come maestri della fede così come è proclamata dal Magistero della Chiesa e che, secondo le parole della lettera pastorale di Paolo a Tito "sono attaccati alla dottrina sicura" (Tt 1,9).

Così come molti Vescovi in questo periodo post-conciliare depongono il loro incarico pastorale e rendono conto del loro gregge, è una grande consolazione di coscienza per loro sapere che essi hanno proposto al Sommo Pontefice, come candidati per l'ufficio episcopale, solo quei sacerdoti che saranno veri pastori in ciascun aspetto della missione pastorale di Cristo di insegnare, governare e santificare il popolo di Dio.


8. E' importante per il candidato all'Episcopato, come per il Vescovo stesso, essere segno di unità per la Chiesa universale. L'unità del Collegio episcopale tramite la "collegialitas affectiva" e la "collegialitas effectiva" è uno strumento atto a servire l'unità della Chiesa di Cristo. L'unità della Chiesa locale non è mai più forte e sicura, il ministero del Vescovo locale non è mai più effettivo di quando la Chiesa locale sotto la guida pastorale del Vescovo locale proclama in parole e opere la fede universale, quando è aperta nella carità a tutte le necessità della Chiesa universale e quando abbraccia fedelmente la disciplina universale della Chiesa.

Il Vescovo è allora chiamato ad essere segno della solidarietà cattolica nella Chiesa locale, che è il riflesso in miniatura della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, che realmente e veramente sussiste nella Chiesa locale.


9. Infine, è evidente in tutto questo che il Vescovo, segno vivente di Gesù Cristo, deve rivendicare a se stesso il titolo e accettare le conseguenze del fatto che è, con Gesù Cristo, un segno di contraddizione. Malgrado ogni rispettoso sforzo di perseguire il dialogo di salvezza, il Vescovo deve annunciare ai giovani e agli anziani, ai ricchi e ai poveri, ai potenti e ai deboli la pienezza della verità che qualche volta irrita e offende anche se libera sempre. La giustizia e la santità che proclama nascono da questa verità (cfr. Ep 4,24). Il Vescovo è consapevole che deve predicare "Gesù Cristo e questi crocifisso" (1Co 2,2), lo stesso Cristo che disse: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24).

Precisamente perché non può rinunciare all'annuncio della Croce, al Vescovo sarà chiesto, più e più volte, di accettare la critica, di sacrificare la popolarità e di ammettere l'insuccesso nell'ottenere un consenso di dottrina accettabile a tutti sulla dottrina. Come segno vivo di Cristo, deve essere con Cristo un segno di fedeltà e perciò un segno di contraddizione.


10. Carissimi e venerabili fratelli, queste riflessioni, anche se incomplete, ci parlano della realtà dell'Episcopato di nostro Signore Gesù Cristo che noi condividiamo. Io le offro a voi come espressione del nostro comune impegno e forse un poco delle nostre comuni mancanze. Come vostro fratello nella Sede di Pietro, umile e contrito, io le offro come uno stimolo di grazia in un momento di grazia, un momento di collegialità e un momento di amore fraterno. Io le offro alla vostra responsabilità apostolica e pastorale verso Gesù Cristo "il Pastore Supremo" (1P 5,4), e verso di me, suo Vicario e servitore. lo le offro come manifestazione di profonda gratitudine per ciò che siete e intendete sempre più diventare, con la grazia di Dio: in Cristo, un segno di speranza per il popolo di Dio, forti e resistenti come il segno della Croce, diventando segno vivente del Cristo risorto.

E il Cristo risorto è la Parola incarnata che comunica attraverso la sua umanità e la nostra il mistero della salvezza nel suo nome.

Nel lasciarvi oggi, i miei pensieri ritornano ancora una volta a uno che è molto amico di molti di noi, vostro fratello Vescovo e mio, il Cardinale Cooke.

Nella sua ora di sofferenza gli ho parlato e gli ho scritto per ringraziarlo di quello che egli è stato nella Chiesa di Dio: un segno vivente di Gesù Cristo, un Pastore fedele, un servo del suo popolo, vivendo e desiderando morire per la Chiesa. Un amico speciale, si; un illustre membro della gerarchia degli Stati Uniti, si; un fedele collaboratore della Santa Sede, si. E ancora, semplicemente, uno dei molti santi Vescovi americani che vivono e muoiono perché Gesù Cristo, il Buon Pastore, possa continuare a guidare il suo popolo alla novità di vita e al compimento della salvezza.

Cari fratelli, non vi è più profondo significato nella nostra vita di Vescovi che essere segni viventi di Cristo Gesù! Maria, Madre di Gesù, ci aiuti a realizzare pienamente questa vocazione.

Data: 1983-09-05 Data estesa: Lunedi 5 Settembre 1983




GPII 1983 Insegnamenti - 3. Vivere e testimoniare il mistero di Cristo