GPII 1983 Insegnamenti - A scienziati e artist - Vienna (Austria

A scienziati e artist - Vienna (Austria

Titolo: La natura e l'arte conducono al mistero di Dio

Gentili Signore e Signori.


1. Lieto di questo incontro, vi saluto tutti. Sia i ricercatori e gli insegnanti delle università, delle scuole superiori e delle Accademie d'Austria, sia gli artisti nei campi delle arti figurative, della musica, della letteratura e del cinema. Tra voi ci sono anche rappresentanti della stampa, della radio e della televisione. Da ultimo coloro che, nella Chiesa austriaca, sono impegnati in un incontro creativo con la scienza, l'arte e i mezzi di comunicazione sociale, sotto la guida del signor Cardinale.


2. Se non avessi potuto incontrarvi, la mia visita in Austria avrebbe perso un importante elemento. Il vostro Paese ha dato un insostituibile contributo alle scienze e alle arti nello scambio - pieno di contrasti ma fruttuoso - di molte culture attraverso i secoli, e voi date il vostro apporto a questa ricca eredità oggi e per il futuro. La storia della scienza e dell'arte in Austria, come anche in Europa, è legata in molti modi alla storia della fede e della Chiesa. Dei conflitti hanno pesato su questo rapporto, e lo hanno quasi interrotto. Questi conflitti pero non devono far distogliere il nostro sguardo dagli sforzi comuni, così ricchi di successo, né devono pregiudicare un nuovo dialogo fra scienza, arte e Chiesa per il bene degli uomini.


3. Anche se da sponde diverse, noi ci incontriamo ugualmente nei problemi dell'uomo e del suo mondo, nella sollecitudine per lui e nella speranza per lui. E facciamo questo in una situazione mondiale nella quale il futuro dell'uomo è gravemente minacciato. In un tale frangente, tutti gli uomini consapevoli, di buona volontà e creativi sono chiamati a unire più che mai le loro forze affinché le catastrofi non blocchino e interrompano la via degli uomini, la via dell'umanità.


4. Tre anni fa, presso la sede dell'Unesco, a Parigi, rivolsi un appello a tutti i rappresentanti li convenuti di tutte le culture della famiglia umana: "Ecco l'uomo!.. E aggiunsi: "Si deve amare l'uomo perché è uomo". Qui a Vienna, dinanzi a voi, vorrei ripetere queste parole. L'uomo è il denominatore comune di tutte le scienze e di tutte le arti, e i mezzi di comunicazione debbono avere questo scopo: unire gli uomini tra di loro.

L'uomo come individuo, come compagno e figlio di Dio è anche il tema della Chiesa: a tal punto che nella mia enciclica "Redemptor Hominis" affermavo (RH 14): "Quest'uomo è la prima via che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'Incarnazione e della Redenzione".

La Chiesa confessa la fede eroica che l'uomo è l'immagine di Dio e che il suo futuro si compie in lui.


5. Vi prego di interpretare sotto quest'ottica i pensieri semplici che sto per formulare. Ogni scienza trova il suo compimento nell'uomo e per l'uomo. In certo modo ciò vale anche per la teologia, che si occupa dell'uomo in modo tale da superarlo e vederlo partendo dal suo Creatore. In tutti i suoi rami, la scienza si è altamente specializzata. Questa è una delle premesse per quelle scoperte e per quegli sviluppi, che ci riempiono di meraviglia per lo spirito dell'uomo e sollecitano i credenti a lodare il Creatore di questo spirito. L'applicazione tecnica del progresso scientifico ha molto migliorato le condizioni di vita dell'uomo. Si pensi soltanto ai successi nella lotta contro la fame e la sofferenza.

Anche la libertà dei valori, rivendicata dalla scienza, la neutralità dei valori nel suo operare, possono agire in modo purificatore sull'analisi liberando da ogni preconcetto, purché essa non si assolutizzi a tal punto da non riconoscere più l'imprescindibile esigenza dei valori morali.


6. Come ogni operare dell'uomo, anche quello della scienza e delle sue applicazioni tecniche è soggetto a una imprescindibile ambivalenza. L'uomo è minacciato da ciò che egli stesso produce. Guardando alla catastrofe di Hiroshima il fisico Jakob Robert Oppenheimer ha riconosciuto: "I fisici hanno conosciuto il peccato".

In considerazione delle molteplici minacce all'umanità come conseguenza dei progressi della tecnica, nasce spesso uno scetticismo nei confronti della scienza e della tecnica, che a volte si trasforma addirittura in ostilità. Eppure la rinuncia alla scienza e all'applicazione tecnica dei suoi progressi non può risolvere i problemi; può farlo soltanto uno sfruttamento continuo, e addirittura più intenso di entrambi, s'intende prendendo l'uomo come unità di misura. Perché non sono la scienza e la tecnica come tali a minacciare l'uomo, ma la presa di distanza dalle norme morali.


7. E' tempo che l'uomo - immagine di Dio - diventi nuovamente padrone e fine ultimo della scienza e della tecnica, affinché l'opera del suo spirito e delle sue mani non divori lui e il mondo che lo circonda. perciò la scienza, la tecnica e la politica si devono porre quei problemi che hanno come fine ultimo sia l'uomo nella sua insostituibile singolarità che l'umanità intera. Problemi la cui temporanea messa da parte ha reso nel frattempo possibile il progresso scientifico. Problemi della filosofia e della religione che mirano al senso, ai limiti, alle priorità e al controllo dell'operare scientifico e tecnico; naturalmente, nella loro ricerca della verità, non deve trattarsi di una limitazione o di una diversa definizione della cosiddetta ricerca di base. Questi problemi li troviamo nel primo libro della Bibbia come costante domanda di Dio all'uomo: "Adamo, dove sei?" e "Caino, dov'è tuo fratello Abele?". La sensibilità a questi problemi dipende in gran parte anche dal contributo delle scienze umane, delle quali ho parlato nel mio discorso all'Institut Catholique di Parigi, che sono il capitale acquisito del nostro tempo: esse mostrano tuttavia, nonostante gli orizzonti che ci hanno aperto, anche i loro limiti.


8. E' incoraggiante sapere che si sta facendo più forte l'alleanza fra coloro che, come scienziati, si pongono queste domande. Al di là dei confini delle Nazioni e dei blocchi, si è formata una comunità mondiale di scienziati che, spinti dalla responsabilità morale, non sono insensibili di fronte ai pericoli rappresentati dalle manipolazioni genetiche, dagli esperimenti biologici e dalla realizzazione di armi chimiche, batteriologiche e nucleari. Un esempio lo hanno dato 58 scienziati di tutto il mondo che, nel settembre del 1982, alla chiusura di un convegno alla Pontificia Accademia delle scienze, hanno pubblicato una dichiarazione su come evitare la guerra atomica ("L'Osservatore Romano", edizione tedesca, n. 26, 1° luglio 1983, pp. 13-14).


9. L'uomo e il suo mondo - la nostra terra che nel primo viaggio spaziale si è presentata come una stella di colore verde e azzurro - devono essere tutelati e aiutati a progredire. Questo significa usare con cautela la vita, anche la vita animale e tutta la natura animata e inanimata. La terra, nell'orizzonte della fede, non è una riserva da saccheggiare senza limiti, ma è una parte del mistero della creazione della quale non ci si deve soltanto servire, ma davanti alla quale si deve rimanere stupiti e alla quale si deve venerazione.


10. Lo stupore non apre soltanto una via spesso dimenticata alla natura come creazione di Dio, ma anche una via all'arte come opera dell'uomo che crea. Max Reinhardt, che è stato uno dei fondatori dei Salzburger Festspiele, ha definito l'arte un mezzo di vita, cioè una condizione della vita umana nascente. E il poeta Rainer Maria Rilke, che appartiene alla vostra area culturale, parla dell'opera d'arte, della musica come di una cosa che trasporta, che consola e che aiuta.

Aiuto dell'uomo: questa è una bella definizione dell'arte, una bella missione per l'arte. Ma a questa missione l'arte corrisponde solo se lega la sua libertà all'umano. Da parte sua l'umano si rende manifesto con tutte le sue speranze, ma anche con i suoi pericoli, solo quando viene visto nell'orizzonte dell'infinito, nell'orizzonte di Dio, che in definitiva è alla base di ogni desiderio e aspirazione dell'uomo e può esso solo appagarli.

Sia l'individuo che la collettività hanno bisogno dell'arte per interpretare il mondo e la vita, per gettare luce sulla situazione epocale, per comprendere l'altezza e la profondità dell'esistenza. Hanno bisogno dell'arte per rivolgersi a ciò che supera la sfera del puramente utile e che quindi promuove l'uomo. Hanno bisogno della letteratura e della poesia: della loro parola talvolta morbida e delicata ma anche profeticamente adirata, che spesso matura meglio nella solitudine e nella sofferenza. Secondo un profondo pensiero di Beethoven, l'artista è in certo qual modo chiamato a un servizio sacerdotale.


1 1. Anche la Chiesa ha bisogno dell'arte, non tanto per affidarle incarichi e quindi chiederle un servizio, quanto per acquisire una maggiore e più profonda conoscenza della "conditio umana", dello splendore e della miseria dell'uomo. Ha bisogno dell'arte per sapere meglio cosa si trova nell'uomo: in quell'uomo al quale deve annunciare il Vangelo.

Più particolarmente la Chiesa ha bisogno dell'arte per la sua liturgia, che nella sua pienezza vuole essere un'opera d'arte ispirata dalla fede, includendo tutte le forze creative tratte dall'architettura, dall'arte figurativa, dalla musica e dalla poesia. Intesa nella sua dimensione escatologica la liturgia vuole partecipare allo splendore e alla risonanza della Gerusalemme eterna, della quale la Bibbia parla in un linguaggio artistico nel suo ultimo libro. Questa città è il luogo in cui la bellezza e la bontà, che così spesso e così dolorosamente svaniscono nel corso della storia, sono riunite per sempre.

Albert Einstein dice che accanto alla culla della vera arte e della vera scienza si trova il mistero. Nel profondo di questo mistero si trovano la religione e la Chiesa, che si ricollegano così all'arte e alla scienza.

Si è parlato talvolta di fine imminente o già sopraggiunta dell'arte. Da questo punto di vista le cose vanno per l'arte, ma anche per la filosofia, in modo molto simile come per la Chiesa. Io stesso ho fiducia nella inesauribilità dell'arte in tutti i suoi campi, perché sono convinto della inesauribilità dello spirito umano e della fantasia umana: "Dio creo l'uomo a sua immagine e somiglianza" (Gn 1,27). Dal colloquio che si sta via via riaprendo tra arte e Chiesa possiamo forse aspettarci come risultato a lungo termine anche opere d'arte che aprano in una maniera nuova gli occhi, le orecchie e il cuore agli uomini, siano essi credenti o alla ricerca.


12. Permettetemi ora di rivolgermi in particolar modo a voi, che svolgete un importante servizio per gli uomini come giornalisti. Il vostro servizio è di mediazione, i suoi strumenti si chiamano quindi mezzi di comunicazione. Vi ringrazio per il vostro grande contributo nel far giungere la parola della Chiesa a tanti uomini anche in queste giornate della mia visita.

In nome delle innumerevoli persone che attendono da voi questo servizio e che ne hanno bisogno, vi chiedo questo: costruite con perseveranza ponti tra le sponde più separate e distanti, oltre le frontiere. Il vostro Paese vi offre particolari possibilità per questo. Considerate gli uomini e la società non solo con un occhio implacabilmente diagnostico, ma con uno sguardo di speranza, con la sagacità che rileva possibili cambiamenti in meglio. Fate che sia possibile sperimentare la notizia buona almeno altrettanto appassionatamente quanto quella spiacevole. Ed anche quando la notizia è spiacevole, mettete in evidenza il bene che vi è legato.


13. "Ecco l'uomo!". Con questa parola vorrei riepilogare le mie riflessioni.

Onorati scienziati, artisti e giornalisti, non siate mai ciechi e sordi verso l'uomo che spera, che ama, che è angosciato, che soffre e che sanguina. Siate i suoi difensori, proteggete il suo mondo: questa terra bella e minacciata.

V'incontrerete così con i desideri e le preoccupazioni della Chiesa, che tiene fissi gli occhi su colui del quale Pilato disse: "Ecce homo!", "Ecco l'uomo!".

Gesù Cristo - Figlio di Dio e dell'uomo - è la via alla vera umanità. E' anche il traguardo. Possa essere donato a molti di riconoscerlo di nuovo, anche attraverso di voi.

Data: 1983-09-12 Data estesa: Lunedi 12 Settembre 1983

Alla Conferenza episcopale austriaca - Vienna (Austria

Titolo: Il nuovo stile del ministero del Vescovo

Miei cari confratelli nell'Episcopato, questo incontro ha un carattere familiare.

Oggi la nostra cerchia è piccola e raccolta. Ho già incontrato in precedenza la maggior parte di voi. Alcuni li conosco già da molto tempo e - come il Presidente della vostra Conferenza episcopale, il nostro riverito Cardinale - sono in confidenza e vicino a loro, grazie ai molti colloqui avuti.

Ma anche un incontro familiare può essere a volte un momento di chiarimento, quando le situazioni particolari richiedono una parola che serva da orientamento nel momento presente e da indicazione per il futuro. In questo senso vorrei rivolgermi a voi oggi. Lasciate che io vi comunichi quali sono i miei pensieri, o piuttosto lasciate che io rifletta insieme a voi su un punto di vista che concerne il servizio alla Chiesa del vostro Paese.

Negli ultimi anni è cambiato il modo di esercitare il servizio episcopale. La concezione della Chiesa che ci viene dal Concilio, come pure il pensiero contemporaneo, hanno cambiato considerevolmente lo stile ministeriale del Vescovo. I Vescovi oggi devono essere più vicini ai loro fedeli. I recinti delle convenzioni e alcuni formalismi sono caduti. E chiunque sente nel Vangelo il richiamo ad una maggiore fratellanza fra i cristiani, non può essere che grato per questa riscoperta di una maggiore unione. Di più: chi porta il carico di questo ministero riconosce in essa una possibilità, nell'incontro diretto con molti cristiani, di mettere in evidenza il proprio rapporto con Dio e in tal modo rendere efficace la propria personale convinzione di fede per la pastorale.

Io stesso lo sperimento su di me nel corso delle mie visite domenicali nelle parrocchie romane. Mi sembra che gli uomini d'oggi abbiano bisogno di essere energicamente rafforzati nella fede attraverso la testimonianza di coloro che sono legati a Dio. Per tutti i membri della Chiesa, soprattutto per i confratelli nel ministero sacerdotale, lo scambio spirituale può essere di grande aiuto sulla via che porta a Dio e per il servizio pastorale. Per concludere, questi incontri sono per noi stessi una forza spirituale. Come si aspetta l'Apostolo delle genti, per esempio, quando scrive alla propria comunità di Roma: "Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io" (Rm 1,11).

Per questo il nuovo stile del ministero del Vescovo non offre soltanto una buona possibilità - diventa in un certo senso un impegno, un eccezionale strumento pastorale in un periodo in cui per molti uomini l'immagine di Dio è diventata oscura e incomprensibile.

L'esperienza dell'apparente assenza di Dio non grava soltanto su coloro che sono divisi e lontani, ma è generale. La corrente spirituale della coscienza sociale odierna influenza quindi allo stesso modo i membri attivi della Chiesa, che, anche se non sono del mondo, vivono in questo mondo. Le necessità e i desideri sono comuni a tutti gli uomini. La Chiesa non è un'isola beata. Le esigenze e i problemi dell'opinione pubblica trovano nelle diocesi e nelle comunità la loro eco provocatrice.

Per questo l'accorto Pastore deve innanzitutto, nel mondo e nella Chiesa, creare lo spazio alla luce che proviene dalla fede nell'efficace presenza di Dio. L'influsso del secolarismo è evidente. Smentisce tutti coloro che considerano luoghi comuni le professioni del Credo. "Credo in Dio, Padre Onnipotente...". Questa frase incide veramente nella vita del cristiano di oggi? Il cattolico del nostro tempo raramente imposta la propria esistenza nella prospettiva di Dio. Il legame quotidiano con Dio non è congenito. Partendo da questo presupposto, il fatto che tutti i membri della Chiesa vivano le loro decisioni, timori e gioie in diretto colloquio con il Padre Celeste, sarebbe un'illusione.

Al contrario: oggi è più forte che mai il problema, quando le implicazioni insite nell'opera della Chiesa non vengono chiarite dal lavoro pastorale, quando l'implicita premessa del rapporto con Dio viene data per garantita. Quando non ci sforziamo più di vivere consapevolmente questo rapporto, questo perde la sua forza.

Gesù nella sua vita pubblica non tralascia alcuna occasione per ricordare la vicinanza del Padre, come testimonia il Vangelo di Giovanni. Spesso lega esplicitamente l'avvenimento al Padre nei cieli, come nel colloquio con Nicodemo o con la Samaritana; come nella guarigione del paralitico e del cieco nato o durante il grande discorso dell'Eucaristia. Ovunque egli insegna, porta spiritualmente i suoi ascoltatori verso il Padre che agisce: che manda il Figlio, che ha dato la vita al Figlio, le cui opere dovranno essere rese pubbliche, che dà il pane della vita e al quale si deve adorazione. La proclamazione del Regno di Dio, vale a dire che noi uomini siamo veramente e infinitamente condizionati dal fatto che Dio è il nostro Signore, è per Gesù il senso della sua venuta.

Tutti i quattro Vangeli proclamano di conseguenza, come per Gesù il Padre sia sempre presente, come incessantemente la sua anima lo cerchi. I Vangeli fanno anche capire che Gesù desidera rendere profondamente consci della presenza del Padre i suoi ascoltatori. Il Signore operava in mezzo a un popolo che - con la propria storia e religiosità, nella vita spirituale e nelle usanze - era in un rapporto esemplare con Jahvè. Quanto più ha bisogno di questa indicazione l'uomo d'oggi, al quale Dio sembra così lontano, che ha perfino inventato una "teologia della morte di Dio!".

Vivere la vita di tutti i giorni nella prospettiva dell'immagine di Dio, è sempre sulle labbra di Gesù. Quindi non gli preme innanzitutto l'esigenza di assicurarsi la sua propria dignità e legittimità; egli riconosce in primo luogo che è il Padre che è più grande (cfr. Jn 14,28). Piuttosto è in quest'ottica che si articola la potenza del suo essere; questa potenza gli dà la parola. Perché il legame con il Padre è per lui universale.

Per cortesia, non fraintendetemi! Non vorrei raccomandarvi come unico metodo pastorale il riferimento esplicito e sempre nuovo al Padre, che agisce ed è presente, in tutti i nostri discorsi e nelle opere della Chiesa. Il volgersi costantemente al Padre che è nei cieli come tecnica di cura delle anime sarebbe una grave profanazione. Piuttosto la consapevolezza della sua vicinanza deve crescere, in modo da manifestarsi da sola nelle parole e nelle azioni. Le nostre comunità e soprattutto i nostri confratelli sacerdoti dovrebbero trovare nel nostro legame con Dio la più profonda motivazione di tutto il nostro servizio.

Così potremmo convincere efficacemente i nostri fratelli e sorelle di questa presenza di Dio e risvegliare in loro il desiderio di cercare sempre più intimamente l'unione con Dio e con la sua volontà.

Chi vuole vivere profondamente questo rapporto con il Padre che è nei cieli, non può far nulla di meglio che guardare a Gesù. Il Nuovo Testamento ci dà - anche se non in modo completo - indicazioni sul modo in cui Gesù cura la confidenza col Padre. Innanzitutto ci sono riferimenti sui tempi lunghi della preghiera, che qui voglio ricordare, per esempio prima della scelta dei dodici Apostoli (cfr. Le 6,12).

La comunione col Padre nella preghiera prolungata, nella - per così dire - immersione mistica, è la fonte decisiva dell'abbandono di Gesù nel Padre.

Protetto dal Padre, non si chiede con timore che ne sarà del domani e consiglia anche a chi lo ascolta di non puntare sul denaro e sui beni, ma di rinunciare alle preoccupazioni del possesso e della sicurezza. Egli garantisce con sovrano coraggio per Dio e per il suo onore, senza timore degli uomini. Egli affascina i suoi contemporanei che, per suo mezzo, onorano Maria (cfr. Lc 18,27) e in lui magnificano la forza di convinzione di un uomo, che parlava "come uno che ha autorità".

Nell'esemplarità del suo essere, il Signore è per noi ben più di un semplice modello. Non seguiamo Gesù lungo la strada biblica, come facciamo per altri grandi personaggi del passato. Ci immergiamo piuttosto in un'unione intima e piena di amore con lui, che ha superato gli eventi della storia e che è presente in spirito a ognuno di noi, in tutti i tempi.

Così uniti a lui, possiamo, attraverso lui, consegnare la nostra esistenza al Padre. Possiamo difenderci dalla disperazione che deriva dalla lontananza da Dio. Possiamo arginare il gorgo del materialismo degli uomini, perché testimoniamo la nostra fiducia nella bontà del Padre. E perfino un'opposizione decisa dell'opinione pubblica, all'interno della Chiesa e della società, non può incrinare il nostro coraggio, quando difendiamo i diritti di Dio e la fede della Chiesa universale.

Il Concilio Vaticano II ha detto chiaramente cos'è e come deve agire il ministero episcopale. Soprattutto la costituzione apostolica ci ricorda che noi Vescovi "presiediamo in luogo di Dio al gregge, di cui siamo i Pastori, quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo" (LG 20). Le riflessioni che ho fin qui espresso sono sottolineate dall'assicurazione di questa stessa frase, che noi compiamo il nostro servizio "al posto di Dio".

Noi esercitiamo il nostro servizio come singoli e nella nostra responsabilità individuale. Pero ad ogni Vescovo è dato il potere di esercitare il già menzionato triplice ufficio, soltanto in quanto egli è membro del Collegio universale dei Vescovi. Per questo motivo, con la nomina a Vescovo, deriva un esplicito impegno all'unità. Poiché è stato lo Spirito di Dio, che ci ha affidato, nella successione degli Apostoli, la cura della Chiesa di Dio, cos'altro, se non l'unità potrebbe determinare il nostro agire? Questa unità è determinante per la vostra Conferenza episcopale e per i suoi lavori. Nessuno può valutare quanto siano importanti le riflessioni e le decisioni di questa piattaforma ecclesiale per gli uomini e le Chiese locali della vostra Patria, e anche al di là di essa. Ancora più significativa è l'unità collegiale con tutto l'Episcopato. E questa nasce soltanto quando tutto il Collegio episcopale si raccoglie intorno al Papa come supremo Pastore; perché il Collegio episcopale, senza il suo capo, si disperderebbe. Anche se esistono questioni teologiche ed etiche, che ci rendono, nella nostra qualità di Vescovi, segni di contraddizione per il nostro impegno all'unità, nonostante ciò la "communio", in questo contesto, diventa un'esigenza teologica fondamentale.

La costituzione apostolica scrive anche: "I Vescovi quando insegnano in comunione col romano pontefice devono essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità; e i fedeli devono accordarsi col giudizio del loro Vescovo dato a nome di Cristo in materia di fede e di morale, e aderirvi col religioso ossequio dello spirito" (LG 25).

Cari fratelli nell'Episcopato, il Concilio Vaticano II è stato per la Chiesa un nuovo inizio pieno di promesse, i cui impulsi sono stati determinanti per il vostro servizio in Austria. Anche le mie visite in altri Continenti e Paesi vogliono dare maggior forza a queste innovazioni. Sono profondamente convinto, che questo rinnovamento svilupperà una dinamica tanto più efficace quanto più costantemente e fedelmente noi, i Pastori del gregge, cercheremo, nell'unione con Gesù, la vicinanza del Padre che è nei cieli.

Solo allora saremo condizionati dallo Spirito di Cristo, e non dalle nostre singole idee. Solo allora riusciremo ad essere padri spirituali dei nostri sacerdoti e, come fratelli persuasivi, a trasmettere loro la vivida scintilla della speranza, che molti di loro richiedono. Essi, a loro volta, potranno ispirare i laici delle loro diocesi, a dare la giusta risposta alle provocazioni che vengono dalla società e dallo Stato e a sopportare il peso della vita, alla luce della gioia che essi trarranno dall'unione in Dio (cfr. He 12,2).

Possa la Madre di Dio - che il vostro popolo venera da molto tempo e intimamente in molti luoghi del vostro Paese - intercedere per noi affinché questo nostro incontro fraterno possa essere benedetto da Dio.

Data: 1983-09-12 Data estesa: Lunedi 12 Settembre 1983



Alle organizzazioni internazionali - Vienna - L'uomo, dopo Dio, è misura e fine di ogni progetto



Illustrissimi Direttore generale dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica, Direttore generale dell'ufficio delle Nazioni Unite e Direttore esecutivo dell'Organizzazione per lo sviluppo industriale delle Nazioni Unite, Rappresentanti e Funzionari delle diverse organizzazioni internazionali che hanno il loro quartier generale qui alla United Nation City.

A tutti voi rivolgo l'espressione del mio rispetto e della mia stima. Lo faccio tanto più volentieri in quanto so che molti membri delle vostre famiglie stanno seguendo questo nostro incontro, e ne sono profondamente interessati, così come lo sono per tutte le vostre attività degne di rispetto che esse appoggiano come solo le famiglie sanno fare.


1. Permettete che vi esprima il mio sincero apprezzamento per l'invito a visitare questo luogo dove istituzioni così importanti lavorano per tutelare e promuovere la vita umana in settori cruciali dell'impegno umano: l'uso pacifico dell'energia atomica, la promozione industriale particolarmente nei Paesi in via di sviluppo, le leggi commerciali, lo sviluppo sociale e umanitario e lo spinoso problema della lotta alla droga. Tutte queste istituzioni ed uffici testimoniano la pressante necessità di lavorare insieme nel mondo d'oggi, per poter operare costruttivamente nei vari e complessi settori della vita umana. Occuparsi di questi problemi offre possibilità di agire per il bene o per il male in modi che le generazioni passate non hanno avuto modo di affrontare.

E' per questo che il primo dovere che condividiamo è quello di lavorare insieme, di mettere insieme le nostre capacità, di raggiungere un accordo comune con lo sforzo e l'impegno comune. perciò le organizzazioni e gli uffici che sono qui riuniti condividono la stessa visione e lo spirito che sono propri dell'Organizzazione delle Nazioni Unite in quanto tale e che, come ho affermato a New York nel 1979, "unisce e associa, non divide, né crea opposizioni" (Discorso alla XXXIV assemblea generale dell'Onu, 2 ottobre 1979, n. 4). La caratteristica dominante che deve contraddistinguere le vostre azioni deve essere sempre quella di unire e associare, non di dividere e creare opposizioni. Questa caratteristica nasce dallo spirito che ha dato vita alle vostre organizzazioni. Essa è rafforzata dalle richieste che il contenuto dei vostri campi di specializzazione richiede da voi.


2. Nella mia enciclica "Laborem Exercens" (LE 5) ho riflettuto sul lavoro in senso oggettivo e mi sono riferito allo sviluppo dell'industria e della tecnologia moderna nella varietà delle sue espressioni come campi d'azione per riproporre in modo nuovo il problema del lavoro umano" e come un insieme di strumenti che l'uomo utilizza nel suo lavoro. Ho preso in esame la "giusta affermazione della tecnica come un coefficiente fondamentale di progresso economico".

Riflettendo su questo principio e applicandolo alle vostre diverse attività, siete stati sfidati ad impegnarvi con nuovi metodi ad esaminare il rapporto uomo-tecnologia. Solo esaminando i punti di interazione tra la persona umana e la tecnologia possiamo individuare quei criteri atti a guidare l'impegno presente e futuro che siete chiamati ad adempiere. A questo fine, consci dei molti elementi da prendere in considerazione nell'esame di questi punti di interazione, vorrei oggi richiamare la vostra attenzione sui due fattori indispensabili che devono essere tenuti costantemente in considerazione.


3. La vera complessità della materia, oggetto del vostro lavoro, richiede un livello di formazione e di istruzione che possono assorbire tutto il vostro tempo e la vostra abilità. Essere padroni anche di una sola delle discipline che contribuiscono alla nostra conoscenza dell'energia nucleare è un impegno costante e una vocazione. Per questo vi può essere la tentazione di lasciare che il contenuto e la metodologia determinino, in modo totale la vostra visione della vita, dei valori che abbracciamo e delle decisioni che prendiamo. Per questo, a causa delle esigenze interiori che queste discipline estremamente complesse coinvolgono offrendo all'umanità un grosso contributo, è estremamente importante che venga sempre mantenuto il primato dell'uomo quale criterio dei nostri giudizi e delle nostre decisioni.

L'uomo è il soggetto del lavoro e di tutte le discipline intellettuali e scientifiche. L'uomo è, dopo Dio, misura e fine di tutti i progetti cui miriamo in questo mondo. Sia che si tratti di progetti industriali per i Paesi in via di sviluppo, dei reattori nucleari, o di programmi atti a migliorare la società, è la persona umana il principio conduttore. Nessun progetto, per quanto tecnicamente perfetto o industrialmente accurato, ha una sua giustificazione se mette in pericolo la dignità e i diritti delle persone che esso coinvolge. Ogni iniziativa delle vostre organizzazioni dovrebbe essere comprovata dalla domanda: ciò è utile alla causa dell'uomo in quanto uomo? Una simile riflessione non sarà sempre facile da fare, ma è necessaria.

Nessuno può negare che la complessità dell'industria, della tecnologia, delle scienze nucleari e delle numerose organizzazioni della società moderna devono essere avvicinate nel pieno rispetto per tutte le componenti che dominano la nostra attenzione. Alla luce di questa realtà e consapevoli del loro potenziale, voglio e devo insistere sul fatto che l'impegno e lo sforzo che giustamente mettete negli aspetti intellettuali, tecnologici, scientifici ed educativi devono sempre essere congiunti a una sensibilità e a una dedizione per la causa dell'uomo che noi proclamiamo formato a immagine di Dio, e perciò degno di totale dignità e rispetto.


4. Il secondo criterio che vorrei brevemente menzionare, ci pone nel contesto del mondo in cui viviamo. Esso è la considerazione che dobbiamo operare per il bene di tutto il popolo, per il benessere della società, per ciò che tradizionalmente definiamo il bene comune. Per voi, ciò significa vedere nel vostro lavoro un contributo non solo ad un progetto specifico o ad un determinato governo o istituzione, ma anche un contributo a tutta la popolazione mondiale. perciò voi potete misurare il valore di un progetto dall'impatto che esso avrà sulla cultura e gli altri valori umani così come il benessere economico e sociale di un popolo o di una Nazione. In questo modo la vostra opera si colloca nell'ampio e stimolante contesto del bene presente e futuro del mondo. Interessatevi a tutte le Nazioni di questa terra. La promozione del bene comune nella vostra attività richiede rispetto per le diverse culture delle Nazioni e dei popoli, unito al senso di solidarietà dei popoli e delle Nazioni sotto la guida del Padre comune. Il progresso di una Nazione non si potrà mai realizzare a spese di un'altra Nazione.

Il progresso di tutti, con una giusta utilizzazione della vostra capacità, è la migliore garanzia che il bene comune assicuri ad ogni popolo ciò di cui esso ha bisogno e cui ha diritto.


5. Queste mie poche parole porgo oggi a voi come incoraggiamento. Come Capo della Chiesa cattolica i cui membri sono disseminati in tutto il mondo, desidero esortare tutti voi ad essere servi di quel mondo che ha bisogno di essere sempre più unito attraverso gli sforzi che ognuno di voi è chiamato a fare nella sua sfera di attività. Come servi della verità delle nostre discipline, servi del bene comune di tutte le Nazioni e di tutte le genti, possiate essere sempre più intimamente uniti in compiti che sfrutteranno le vostre capacità e la vostra conoscenza per far avanzare il benessere, l'armonia e la pace di tutti i popoli per le generazioni future.


6. Permettetemi di richiamarmi ad una figura straordinaria di un'altra generazione - un uomo conosciuto e ammirato come apostolo della pace, un uomo la cui immagine così spesso raffigurata nell'arte è familiare a tanti di voi, e le cui idee sono cristallizzate in espressioni che effettivamente manifestano al mondo moderno il suo spirito. Si, gli ideali di san Francesco d'Assisi sono un anello di congiunzione per tutte le generazioni, poiché uniscono uomini e donne di buona volontà di tutti i secoli alla ricerca della pace, i cui obiettivi spirituali sono incoraggiati dall'onesto impegno e dal duro lavoro concordato ogni giorno dagli esperti di tanti settori e discipline. E' nel suo spirito che mi permetto di parlare dei vostri contributi al mondo, di ciò che voi siete in grado di fare per l'umanità, lavorando insieme come fratelli e sorelle, sotto la comune paternità di Dio: Signore facci strumenti della tua pace! Dove c'è disperazione - speranza! Dove c'è buio - luce! Dove c'è tristezza - gioia! E dove c'è morte, facci seminare la vita! Dove c'è guerra facci portare la pace! Signore, facci servi effettivi dell'umanità, servi di vita, servi di pace!

Data: 1983-09-12 Data estesa: Lunedi 12 Settembre 1983


GPII 1983 Insegnamenti - A scienziati e artist - Vienna (Austria