GPII 1983 Insegnamenti - Al pellegrinaggio di Benevento - Città del Vaticano (Roma)

Al pellegrinaggio di Benevento - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Solo l'amore a Dio e ai fratelli dà dignità all'esistenza umana

Carissimi fratelli e sorelle di Benevento!


1. Grande è la gioia che provo nell'accogliervi, in Udienza speciale, in questa Sala, che è divenuta luogo privilegiato di incontri di fede e di dialogo ecclesiale.

A tutti voi, beneventani, rivolgo il mio cordiale saluto e il mio benvenuto; saluto in particolare il vostro venerato Pastore, Monsignor Carlo Minchiatti, e lo ringrazio per le cortesi espressioni, con le quali, interpretando l'animo di tutti voi, ha voluto introdurre questo incontro così significativo e importante. Esprimo anche il mio affettuoso saluto alle autorità e personalità qui presenti, come pure a tutti i gruppi qualificati della vostra Chiesa beneventana: al clero, ai religiosi e alle religiose, agli alunni del Seminario, al laicato cattolico, specialmente ai giovani che vivono in profondità la propria esperienza spirituale nei diversi movimenti ecclesiali.

A voi, figli della terra campana, nella quale si sono incrociate antiche e diverse civiltà: da quella sannita a quella romana, da quella longobarda a quella aragonese, si rivolge il mio pensiero, per esortarvi a conservare nel vostro animo l'eredità di quel nobile patrimonio spirituale e culturale, che tanto ha distinto il genio della vostra gente semplice, laboriosa, austera, umana e pia, ma anche fiera e gelosa delle proprie tradizioni storiche e religiose.

La vostra presenza richiama alla mia mente anche i rapporti che, attraverso i secoli, sono fioriti tra la vostra terra e la mia Patria. Come è noto, il canonico camaldolese san Benedetto, nato a Benevento verso il 970-975, fu a capo del primo gruppo di missionari che si reco tra i popoli slavi e, in particolare, in Polonia, a predicare il Vangelo e impiantarvi la Chiesa di Cristo.


2. Accogliendovi quest'oggi nel clima spirituale e tonificante dell'Anno Giubilare della Redenzione, che voi con fervore state vivendo nel centro della cattolicità, non posso fare a meno di attirare la vostra attenzione sul vero significato dello straordinario avvenimento ecclesiale che stiamo celebrando. Esso non è una manifestazione come tante altre, alle quali ci si contenta di essere solo esteriormente e momentaneamente partecipi, ma, al contrario, un solenne richiamo a riflettere seriamente sul ministero centrale della storia umana, cioè sulla Redenzione, offerta a noi da Cristo con la sua passione, morte e risurrezione. Si tratta di un evento che ci riporta al momento culminante della missione salvifica di Cristo, quand'egli sparse il suo sangue per l'universale riconciliazione degli uomini col Padre. Infatti, come dice l'apostolo Pietro: "Non a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia" (1P 1,18-19).

In un'epoca, in cui l'attrattiva delle cose terrene e la corsa al benessere sembrano assorbire potentemente gli interessi dell'uomo, rendendo così più difficile la stima e la pratica dei valori superiori dello spirito, è necessario un tempo di grazia, quale è quello dell'Anno Giubilare: esso invita tutti a superare le tentazioni del materialismo, dell'edonismo e del consumismo, che danno la parvenza di una vita più facile perché più libera, mentre in realtà rendono l'esistenza meno umana e meno rispondente alle aspirazioni più profonde del cuore. Il Giubileo vuol ricordare al mondo moderno che bisogna guardare anche al cielo, e offre l'occasione propizia per rettificare i pensieri e per rimettere nella loro giusta prospettiva i valori che, soli, danno un significato, uno scopo, una dignità al nostro esistere: l'amore di Dio prima di tutto e al di sopra di tutto, e poi l'amore verso i fratelli. Ecco la conversione e la riconciliazione, a cui la Chiesa chiama i suoi figli durante questo Anno Santo, in questa ora di grazia per le anime, per le comunità ecclesiali e per il mondo.


3. Siamo in giorno di sabato, dedicato a Maria, e nel mese di ottobre, consacrato alla recita del Santo Rosario. Non posso perciò non additare al vostro sguardo l'ineffabile figura della Vergine santissima, Madre dei credenti.

Cristo, nostro Redentore, è venuto fra noi seguendo la via della generazione umana: ha voluto avere una Madre! Ha voluto incarnarsi mediante il mistero vitale di una Donna. Ella quindi fa parte del mistero della salvezza; Cristo è venuto a noi da lei e ci appare sempre nelle sue braccia; egli è diventato uomo come noi, nostro fratello, per il ministero materno di Maria. Se vogliamo perciò essere cristiani dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto provvidenziale che unisce la Madonna a Gesù: ella ci conduce a lui: "per Mariam ad Iesum!".

Carissimi beneventani, che avete il vostro ideale riferimento mariano nel Santuario francescano della Madonna delle Grazie, non vi stancate mai di guardare e di onorare la Vergine santissima! Com'è consolante avere davanti a voi la sua immagine, il suo ricordo, la sua dolcezza, la sua umiltà, la sua purezza e la sua grandezza! Sia ella la vostra alleata e la vostra avvocata; sia la fiducia dei poveri, degli umili e dei sofferenti; sia il "rifugio dei peccatori".

In questo pellegrinaggio diocesano, in cui voi volete rinnovarvi e riconciliarvi col Signore mediante il sacramento della Penitenza, chiedete a Maria che vi ottenga la grazia di una confessione straordinaria, che ridoni pace e gioia ai vostri cuori e vi faccia vivere sempre da autentici testimoni del Vangelo.

Con tali voti invoco dal Signore onnipotente pienezza di grazie su di voi e su tutti i vostri cari, mentre vi imparto la propiziatrice benedizione apostolica.

Rivolgo il mio saluto affettuoso ai pellegrini della diocesi di Nocera Umbra e Gualdo Tadino e della diocesi di Fabriano e Matelica, guidati rispettivamente dai Vescovi Monsignor Sergio Goretti e Monsignor Luigi Scuppa.

Che questa vostra venuta a Roma, carissimi fratelli e sorelle, costituisca un'intensa esperienza di fede e vi consenta di attingere a piene mani alle fonti di grazia e di misericordia che scaturiscono dal cuore squarciato del Redentore crocifisso. L'Anno Santo, che avete voluto celebrare sulle tombe degli Apostoli segni un "momento forte" nella vostra vita e vi impegni ad una più generosa coerenza con la realtà nuova posta in ciascuno di voi dal Battesimo. Il mondo ha bisogno anche della vostra coraggiosa testimonianza. A tutti la mia apostolica benedizione

Data: 1983-10-08 Data estesa: Sabato 8 Ottobre 1983

Al pellegrinaggio ungherese - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Rinnovamento interiore e generosa riconciliazione

Signor Cardinale, venerati Confratelli nell'Episcopato, carissimi fedeli.


1. Siate i benvenuti! Nel rivolgervi il mio cordiale saluto, vado col mio pensiero alla vostra diletta Patria, nella quale da tanti secoli ormai la fede cristiana ha posto radici profonde e ha conosciuto fioriture meravigliose di santità personale, di iniziative sociali, di pensiero e di arte. Avete tradizioni gloriose alle spalle; a voi l'onore e la fierezza di esserne degni! Siete venuti a Roma in Pellegrinaggio nazionale, per celebrare sulle tombe degli Apostoli il Giubileo della Redenzione. Vi siete incamminati sulle orme di tanti altri vostri connazionali che, nel corso dei secoli, hanno diretto i loro passi verso questo centro della cristianità. I vincoli, che uniscono l'Ungheria con la Sede di Pietro, sono stati sempre molto intensi e vivi. Consapevoli di ciò, i cattolici ungheresi di oggi hanno voluto che vi fosse qui un segno tangibile della loro devozione alla Chiesa che, per volontà di Cristo, "presiede all'universale comunione della carità" (sant'Ignazio, "Ep. ad Romanos"). E tre anni or sono, proprio in questo giorno, l'8 di ottobre, ho inaugurato nelle Grotte vaticane la Cappella ungherese dedicata alla "Magna Domina Hungarorum". Sono lieto che il nostro incontro si svolga nell'anniversario di quella data significativa, e confido che la venerazione per la Vergine santissima continui ad orientare gli animi delle nuove generazioni verso Colui che Maria genero per la salvezza del mondo.


2. "Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (Ac 4,12). Cristo è il Redentore. Non ve n'è altri al di fuori di lui.

Voi capite quindi perché, in questo 1950° anniversario della Redenzione, io abbia rinnovato agli uomini di oggi l'esortazione: "Aprite le porte al Redentore!". La Chiesa ripropone alle generazioni che si susseguono nel mondo il "lieto annunzio" di quel fatto decisivo che ha cambiato le sorti dell'umanità. La Redenzione sta alla radice della storia della Chiesa; essa costituisce al tempo stesso l'orizzonte di speranza, in cui si muove la storia del mondo intero.

Possano i cuori di tanti nostri contemporanei aprirsi alla "grazia specifica dell'Anno della Redenzione", come ho scritto nella Bolla di indizione del Giubileo, il cui testo è stato tradotto anche nella vostra lingua e pubblicato in bella veste tipografica. Che si giunga davvero ad "una rinnovata scoperta dell'amore di Dio che si dona" e ad "un approfondimento delle ricchezze imperscrutabili del mistero pasquale di Cristo" (Bolla "Aperite portas", 8).

Ciò suppone, come ben potete comprendere, l'impegno di un sincero rinnovamento interiore e di una generosa riconciliazione con Dio e con i fratelli.

E' soltanto a tale condizione, infatti, che la realtà "oggettiva" della Redenzione può diventare "soggettiva", producendo i suoi frutti di liberazione e di gioia nella vita del singolo individuo.

Cristo offre a tutti, senza discriminazione, i doni di grazia ottenuti mediante la sua morte e risurrezione. La "Porta Santa" aperta, attraverso la quale può entrare chiunque lo desideri, è simbolo appunto della universale volontà di salvezza con cui Dio si fa incontro all'uomo, lo accoglie e lo introduce a gustare la gioia e la pace della sua Casa.


3. Carissimi fratelli e sorelle dell'Ungheria, questo Anno Santo vi riserva un motivo particolare di esultanza. Voi celebrate, infatti, il IX centenario della canonizzazione dei vostri primi santi: nel 1083 san Ladislao, durante il pontificato di san Gregorio VII, proclamava santi in Székesfehérvar Stefano, Emerico e Gerardo, insigni figure di uomini a cui la vostra Patria deve, con la predicazione del Vangelo, la promozione dell'unità nazionale nella concordia e nella pace.

Né va dimenticata un'altra ricorrenza anniversaria: nel 1683, dopo la liberazione di Vienna, che ho ricordato durante la mia recente visita a quella capitale, anche Esztergom, città in cui ha sede il Primate di Ungheria, fu liberata. In quella circostanza il generale Sobieski - come ha riferito il Cardinale Lékai - si uni al popolo ungherese per cantare il "Te Deum" nella cappella Bokocz della Cattedrale.

Sono memorie storiche, che emergono dal passato con tutto il fascino della grandezza umana e cristiana che le circonda: valgano esse a dettare ai figli della Nazione ungherese di oggi sentimenti e propositi degni di un così ricco patrimonio ideale! Affido questo auspicio alla potente intercessione della "Magna Domina Hungarorum", implorando da lei per voi, per i vostri cari e per l'intera Nazione prosperità, concordia operosa e stabile pace. Vi accompagni, quale pegno del mio costante affetto, la propiziatrice benedizione apostolica, che vi imparto di cuore.

Data: 1983-10-08 Data estesa: Sabato 8 Ottobre 1983

Commemorazione di Pio XII e Giovanni XXIII - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Due pontefici di fede indomita e di operosa e feconda carità

Signori Cardinali! Confratelli nell'Episcopato!


1. Ringrazio sinceramente i Cardinali Giuseppe Siri e Franz König, che con tanta efficacia hanno illustrato e presentato alla nostra considerazione rispettivamente i Papi Pio XII e Giovanni XXIII di venerata memoria.

Il mio ringraziamento si rivolge anche agli altri Cardinali, ai Vescovi e alle personalità, che con la loro presenza non hanno semplicemente voluto ricordare, ma onorare questi due grandi Pontefici, i quali, con la loro azione e il loro insegnamento, hanno ben meritato non solo l'amore della Chiesa, ma dell'umanità. La storia, serena e oggettiva, potrà e dovrà testimoniare e dimostrare, ancor più e ancor meglio di quanto non abbia potuto fare fino ad oggi, la loro grandezza spirituale e la loro dimensione universale.


2. Pio XII - Eugenio Pacelli, Papa per diciannove anni - si erge come uno strenuo difensore e appassionato servitore della pace: nel suo primo messaggio del 3 marzo, all'indomani della sua elezione, dalla Cappella Sistina egli rivolgeva ai figli della Chiesa e a tutti gli uomini l'invito e l'esortazione alla pace.

Scrisse e opero instancabilmente perché la guerra - la terribile seconda guerra mondiale - non scoppiasse; poi fece di tutto per ridurre gli effetti deleteri e tragici dell'immane conflitto, che si allargava sempre più e mieteva milioni di vittime; si adopero con tutti i mezzi per affrettare la pace e per lenire le sofferenze del duro dopoguerra. "Con la pace nulla è perduto, tutto lo può essere con la guerra!"; questa sua angosciata esclamazione, quasi gridata alla vigilia del disastro, non fu purtroppo ascoltata, e fu una profezia! Nei suoi diciannove Discorsi natalizi, che il suo successore defini "monumento della sua sapienza e del suo apostolico fervore", Pio XII tratto della pace come armonia di giustizia e di carità; pace delle coscienze; pace delle famiglie; pace sociale; pace internazionale. Papa Paolo VI, che per anni aveva quotidianamente lavorato al suo fianco, poté dire di lui: "Lo dobbiamo ricordare.

Pio XII, come uomo forte ed amoroso, per la difesa della giustizia e della pace, sollecito per ogni umana sventura, resa multiforme e immensa specialmente nel periodo di guerra; egli era del tutto alieno da atteggiamenti di consapevole omissione di qualche suo possibile intervento ogni qualvolta fossero in pericolo i valori supremi della vita e della libertà dell'uomo; anzi egli ha osato sempre tentare, in circostanze concrete e difficili, quanto era in suo potere per evitare ogni gesto disumano e ingiusto" ("Insegnamenti di Paolo VI", XII (1974) 222).

Noi vogliamo anche ricordare, dell'indimenticabile Papa, il luminoso Magistero in campo biblico, teologico, morale, sociale; la nuova traduzione del Salterio; gli scavi presso la tomba di san Pietro; l'indizione e la realizzazione dell'Anno Santo del 1950, che porto a Roma milioni di pellegrini assetati di Dio; la definizione solenne del dogma dell'Assunzione di Maria santissima, il 1° novembre dello stesso Anno Santo del 1950.


3. A lui successe Giovanni XXIII, Angelo Giuseppe Roncalli. Poco più di quattro anni di pontificato, ma contrassegnato dalla sua personalità di Supremo Pastore mite, sereno, lungimirante, che ha lasciato una traccia indelebile nella storia della Chiesa. Dopo qualche mese dalla sua elezione, il 25 gennaio 1959, a San Paolo fuori le Mura dava l'annuncio del Concilio Ecumenico, del Sinodo romano e della Revisione del Codice di Diritto canonico per la Chiesa Latina. egli poté vedere la conclusione del Sinodo romano, diede inizio e segui le prime fasi del Concilio e della riforma giuridica. Ma questi due eventi ecclesiali portarono senz'altro la sua impronta profetica e rimarranno legati al suo nome e alla sua intuizione, che intravedeva la necessità del "rinnovamento" interiore e dell'"aggiornamento" di alcune strutture della Chiesa pellegrina, che deve camminare e dialogare con gli uomini del suo tempo.

Del fecondo Magistero di Giovanni XXIII restarono due Documenti, che suscitarono, alla loro pubblicazione, una profonda eco ed emozione in tutto il mondo: l'enciclica "Mater et Magistra" del 15 maggio 1961, per il 70° anniversario della "Rerum Novarum" di Papa Leone XIII, e la "Pacem in Terris", dell'11 aprile 1963, quasi nell'imminenza della sua dipartita. "La pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell'ordine stabilito da Dio", era il tema grandioso di quel Testamento spirituale, lasciato dal grande cuore di Giovanni XXIII a tutta l'umanità, in sintonia e coerenza con l'insegnamento e con l'impegno del suo predecessore Pio XII.

Non posso non sottolineare l'intenso impulso che Giovanni XXIII ha dato, con la sua personalità, con la sua opera e con il suo magistero, all'ecumenismo.

Nel primo solenne annuncio del Concilio, egli poneva l'unione dei cristiani come uno dei grandi fini dell'Assise ecumenica; le Comunità non cattoliche venivano invitate a seguirlo "in questa ricerca di unità e di grazia" ("Discorsi, Messaggi, Colloqui del S.P. Giovanni XXIII", I, 133). Da allora parlo costantemente di tale finalità del Concilio, invito continuamente alla preghiera, all'impegno, all'azione, alla vicendevole comprensione; ebbe incontri con personalità di Confessioni e Comunioni cristiane. Nella fase preparatoria del Concilio col motu proprio "Superno Dei", del 5 giugno 1960, istituiva, oltre alle varie Commissioni, uno specifico Segretariato al fine di manifestare l'amore e la benevolenza della Sede Apostolica verso i cristiani non cattolici, perché potessero seguire i lavori del Concilio e trovare più facilmente la via per raggiungere quell'unità invocata da Gesù. Nasceva così il Segretariato per l'unione dei cristiani.

Per tale unione Giovanni XXIII offriva la sua vita al Signore: "Offro la mia vita per la Chiesa, la continuazione del Concilio Ecumenico, la pace del mondo, l'unione dei cristiani... La mia giornata terrena finisce; ma Cristo vive e la Chiesa continua il compito suo; le anime, le anime: "ut unum sint, ut unum sint"..." (o.c. V, 618). Furono le sue ultime parole, pronunciate su questa terra.

Noi rendiamo oggi il nostro doveroso e umile ringraziamento alla Trinità Santissima, per aver dato alla Chiesa questi due Papi, nei quali essa con legittima fierezza può guardare come a sicure guide ed esempi di fede indomita e di carità feconda.

Data: 1983-10-08 Data estesa: Sabato 8 Ottobre 1983

Alla Messa per gli sposi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cooperate nell'amore di Cristo all'opera della creazione

"Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza... Dio creo l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creo; maschio e femmina li creo" (Gn 1,26-27).


1. Cari fratelli e sorelle! Ministri del Sacramento, mediante il quale divenite oggi sposi in Gesù Cristo! Vi do un cordiale benvenuto, e vi saluto come pellegrini del santo Giubileo dell'anno della Redenzione.

Insieme con voi, fissiamo lo sguardo sull'eterna opera del Creatore, che dura nel mondo creato di generazione in generazione. Quest'opera è ogni uomo: uomo e donna creati a immagine di Dio. Ciascuno di voi è espressione dell'amore eterno.

Quindi giustamente - dopo aver ascoltato la lettura del libro della Genesi - abbiamo cantato il responsorio: "Il nostro Dio è grande nell'amore".

L'Amore di Dio si manifesta in ciò che è l'uomo nell'opera della creazione: uomo e donna. Dio creatore "vide" per primo che "quanto aveva fatto era cosa molto buona" (Gn 1,31).


2. Oggi fissiamo gli occhi sull'eterno disegno del Creatore, che nell'opera della creazione dell'uomo - dell'uomo e della donna - ha inscritto l'eterno sacramento.

Questo sacramento, il matrimonio, che diventa oggi il vostro ruolo, la vostra parte. Oggi voi adempite la parola del Creatore: "L'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne" (Gn 2,24). Oggi diventate di fronte a Dio e agli uomini "una sola carne", e tale unione ha la sua sorgente nell'amore.

Dio, che è "grande nell'amore", vi accoglie, così come accolse quei primi - uomo e donna - che egli aveva creato a sua immagine e somiglianza. Oggi diventate, mediante il sacramento, cooperatori del Creatore e coamministratori nell'opera della creazione. Siete chiamati a riempire la terra e a soggiogarla (cfr. Gn 1,28).

Grandi sono la vostra vocazione e la vostra responsabilità. Il Creatore vi chiama come sposi alla procreazione: alla procreazione responsabile. Assumere nel matrimonio il compito della paternità responsabile, vuol dire cooperare coscientemente con l'azione del Creatore. Vuol dire trattare il mistero della vita con la massima venerazione. Professare in "opere e verità" la santità e l'inviolabilità della vita umana, di cui diventate in questo sacramento amministratori. Ciò significa anche discernere i ritmi della fecondità umana e secondo questi ritmi guidare la vostra paternità. Tutto ciò appartiene alla cooperazione cosciente con il Creatore.


3. Dio Creatore è, al tempo stesso, Padre. In lui è contenuto il supremo prototipo della vostra vocazione. Infatti come sposi dovete diventare genitori: padre e madre.

Dio-Creatore come Padre vi accoglie oggi in Gesù Cristo. Il matrimonio - sacramento della creazione - diventa in Gesù Cristo sacramento della Nuova alleanza.

Il Padre vi accoglie oggi come figli e figlie nel Figlio eternamente amato, vi fa partecipare a quell'amore con cui Cristo ha amato la Chiesa: l'"ha amata... e ha dato se stesso per lei" (Ep 5,25). A quest'amore fa riferimento l'Autore della Lettera agli Efesini quando scrive: "E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa...". Siete quindi chiamati all'amore. Potete divenire "una sola carne" soltanto se in voi opera l'amore, che è il dono dello Spirito. Potete divenire, in quanto "una sola carne", amministratori del sacramento della creazione, soltanto se siete pronti a ripetere con la parola, col cuore e con l'opera: Dio è amore, amiamoci gli uni gli altri, come Dio ci ha amati.


4. Cari fratelli e sorelle! Voi stessi sentite che questa alleanza sacramentale delle anime e dei corpi, che oggi stringete, può essere consolidata soltanto nell'amore. In quell'amore. In quell'amore che proviene da Dio... Esso è inscritto nel cuore umano, e contemporaneamente "è più grande" di questo cuore. Deve essere più grande, perché possa perdurare anche quando il cuore umano delude.

Ecco: il Padre eterno trae l'alleanza dal sacramento degli sposi non solo dall'opera della creazione, ma anche da quell'amore con il quale Cristo ha amato ciascuno di voi, quando "ha dato se stesso" (Ep 5,25).

Questo stesso Cristo si trova oggi dinanzi a voi, cari sposi, "ministri del grande sacramento", e dice: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore" (Jn 15,9). Lo dice Cristo. E ciò è allo stesso tempo il più grande augurio che vi può fare la Chiesa in questo giorno solenne: Rimanete nel suo amore! Il vostro amore non cessi mai di attingere a quell'amore col quale egli ha amato. Allora il vostro amore non si esaurirà mai. Esso non vi deluderà mai. Si sveleranno dinanzi a voi quella profondità e maturità che corrispondono alla vocazione di sposi e di genitori: ministri responsabili dell'opera della creazione, collaboratori del Creatore e del Padre. "Questo vi ho detto - aggiunge Cristo - perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Jn 15,11).

La Chiesa vi augura oggi questa gioia.


5. Partecipiamo al santo Giubileo dell'Anno della Redenzione mediante i sacramenti della Chiesa. Oggi - in questo luogo venerando, nella Basilica di San Pietro - voi, cari sposi, che venite dall'Italia e da diversi Paesi, ricevete il sacramento del matrimonio come frutto della Redenzione di Cristo, che continuamente permane nella Chiesa. E allo stesso tempo siete ministri di questo sacramento, amministrandolo vicendevolmente: il marito alla moglie e la moglie al marito.

Espressione di ciò sono le parole della promessa matrimoniale, che tutti e due voi fate.

Il Sacramento porta in sé la Grazia che consolida la nostra vita umana in Dio e la indirizza costantemente a Dio. Sul fondamento spirituale e soprannaturale della Grazia divina sta posta la via della vostra redenzione, che passa attraverso la costruzione della comunità matrimoniale e familiare. E perciò, nella seconda lettura, parla a noi san Paolo con le seguenti espressioni della Lettera ai Romani: "Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale... per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono; a lui gradito e perfetto" (Rm 12,1-2).

E in seguito l'apostolo dà molte indicazioni che hanno rilevante importanza per la costruzione della comunità matrimoniale e familiare: "La carità non abbia finzioni... amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda... Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera... premurosi nell'ospitalità... Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri... Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini" (Rm 12,9-17) Fratelli e sorelle! La grazia del sacramento del matrimonio viene concessa oggi a voi dall'abbondanza della Redenzione di Cristo, perché collaboriate con essa. Mediante la cooperazione si costruisce la comunione matrimoniale e familiare. Su di essa si appoggia l'unità indissolubile che oggi reciprocamente vi siete promessa. Ricorrete incessantemente a questa grazia sacramentale nella preghiera e nel comportamento. Ricorrete in particolare ad essa, quando sulla vostra strada incontrerete difficoltà e prove.

Cristo desidera di essere con voi, sempre!


6. In questo periodo si sta svolgendo il Sinodo dei Vescovi sul tema: "Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa". Tre anni fa - nell'anno 1980 - il Sinodo dei Vescovi lavoro sul problema "del matrimonio e della famiglia nella missione della Chiesa". Il frutto di questo lavoro è stata l'esortazione apostolica "Familiaris Consortio", che desidero consegnare ad ogni coppia di sposi nell'odierna occasione.

Mentre estendo il mio affettuoso pensiero ed esprimo i miei auguri ai presenti che ricordano il 25° o il 50° anniversario di matrimonio, desidero recitare la preghiera che tre anni fa - nel corso del Sinodo - abbiamo più volte ripetuto: Dio, dal Quale proviene ogni paternità in cielo e in terra, Padre, che sei Amore e Vita, fa' che ogni famiglia umana sulla terra diventi - mediante il tuo Figlio, Gesù Cristo, "nato da Donna", e mediante lo Spirito Santo - sorgente di divina carità, un vero santuario della vita e dell'amore per le generazioni che sempre si rinnovano.

Fa' che la tua grazia guidi i pensieri e le opere dei coniugi verso il bene delle loro famiglie e di tutte le famiglie del mondo.

Fa' che le giovani generazioni trovino nella famiglia un forte sostegno per la loro umanità e la loro crescita nella verità e nell'amore.

Fa' che l'amore, rafforzato dalla grazia del sacramento del matrimonio, si dimostri più forte di ogni debolezza e di ogni crisi, attraverso le quali, a volte, passano le nostre famiglie.

Fa' infine, te lo chiediamo per intercessione della Sacra Famiglia di Nazaret, che la Chiesa in mezzo a tutte le Nazioni della terra, possa compiere fruttuosamente la sua missione, nella famiglia e mediante la famiglia.

Per Cristo nostro Signore, che è la via, la verità e la vita, nei secoli dei secoli. Amen.

Data: 1983-10-09 Data estesa: Domenica 9 Ottobre 1983

Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Santo Rosario, memoria della Redenzione




1. Tra i molti aspetti che i Papi, i santi e gli studiosi hanno rivelato nel Rosario, uno va doverosamente ricordato in quest'Anno Giubilare. Il Santo Rosario è una memoria continua della Redenzione, nelle sue tappe salienti: l'Incarnazione del Verbo, la sua Passione e Morte per noi, la Pasqua che egli ha inaugurato e che si compirà eterna nei cieli.

Considerando infatti gli elementi contemplativi del Rosario, cioè i misteri attorno ai quali si snoda la preghiera vocale, possiamo meglio capire perché questa corona di Ave sia stata chiamata "Salterio della Vergine". Come i Salmi ricordavano a Israele le meraviglie dell'Esodo e della salvezza operata da Dio, e richiamavano costantemente il popolo alla fedeltà verso il patto del Sinai, così il Rosario ricorda continuamente al popolo della nuova alleanza i prodigi di misericordia e di potenza che Dio ha dispiegato in Cristo a favore dell'uomo, e lo richiama alla fedeltà nei confronti degli impegni battesimali. Noi siamo il suo popolo, egli è il nostro Dio.


2. Ma questo ricordo dei prodigi di Dio e questo richiamo costante alla fedeltà passa, in certo modo, attraverso Maria, la Vergine fedele. Il susseguirsi delle Ave ci aiuta a penetrare, di volta in volta, sempre più profondamente, nell'altissimo mistero del Verbo incarnato e salvatore (cfr. LG 65), "con il cuore di colei che al Signore fu più vicina" ("Marialis Cultus", 47).

Perché anche Maria, come Figlia di Sion ed erede della spiritualità sapienziale di Israele, ha cantato i prodigi dell'Esodo; ma, come la prima e più perfetta discepola di Cristo, ha precorso e vissuto la Pasqua della nuova alleanza, custodendo in cuore e meditando ogni parola e ogni gesto del Figlio, associandosi a lui con fedeltà incondizionata, indicando a tutti la strada del nuovo patto: "Fate quello che vi dirà" (Jn 2,5). Glorificata oggi nel cielo, mostra realizzato in sé l'itinerario del nuovo popolo verso la Terra promessa.


3. Il Rosario dunque ci immerga nei misteri di Cristo, e nel volto della Madre proponga ad ogni fedele e a tutta la Chiesa il modello perfetto di come si accoglie, si custodisce e si vive ogni parola e ogni evento di Dio, nel cammino ancora in atto della salvezza del mondo.

(Indirizzo di saluto a gruppi di pellegrini:) Il mio saluto particolare va a tutti i fedeli di lingua spagnola che sono convenuti in piazza San Pietro per recitare con il Papa la preghiera dell'Angelus. Un saluto speciale ai pellegrini spagnoli di Becerrie de la Sierra e Moralzarzal. Con la mia benedizione per tutti e ciascuno.

Saluto infine tutti i pellegrini di lingua italiana qui presenti; in particolar modo il pellegrinaggio diocesano di Genova, guidato dal Cardinale Arcivescovo Giuseppe Siri. Carissimi, mi compiaccio per la vostra presenza, che ha avuto il momento più significativo nella celebrazione per l'acquisto dell'indulgenza giubilare. Mentre auspico per voi e per ogni persona a voi cara l'abbondanza di elette grazie celesti, vi rinnovo la mia speciale benedizione.

Data: 1983-10-09 Data estesa: Domenica 9 Ottobre 1983

Agli "Amici dell'università di Lovanio" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La cultura al servizio della Chiesa e della società

Cari signori.

Ho il piacere di ricevervi come "Amici dell'università di Lovanio", guidati dal mio Fratello nell'Episcopato, il Cardinale Godfried Danneels. Infatti, senza avervi studiato né insegnato, come al contrario voi che siete diplomati di questa "Alma Mater", ho sempre provato molta simpatia e stima per questa prestigiosa università. L'ho visitata numerose volte quando andavo in Belgio: ho incontrato molti professori o antichi allievi, a Roma, presso il Collegio belga, nel vostro Paese e per il mondo; ho apprezzato il loro lavoro e le loro pubblicazioni caratterizzate in generale da una grande competenza scientifica, nei diversi campi e da una profonda preoccupazione di fedeltà alla Chiesa.

Io auguro che le due università che hanno preso il posto dell'antica proseguano sempre la loro missione nel medesimo spirito. Viene così compiuto un grande servizio ecclesiale, io penso in particolare alle facoltà di scienze ecclesiastiche, perché nei cambiamenti attuali o negli sforzi di adattamento, è importante discernere l'essenziale, mostrare il radicamento del messaggio della Chiesa nella sua Tradizione vivente e far fronte alle nuove questioni con questa solida formazione teologica. L'università di Lovanio ha reso e rende anche oggi un grande servizio alla società, perché la competenza culturale e tecnica che avete acquisito nelle diverse branche del sapere, secondo una prospettiva cristiana, vi permette oggi di esercitare le vostre responsabilità con molto più profitto umano e morale per coloro che vi circondano.

E' in questo senso che vanno i voti ferventi che io formulo per voi.

Legati ad una università di cui avete beneficiato e di cui siete legittimamente fieri, uniti da amicizia con gli altri anziani, voi potrete continuare a portare il vostro contributo alle diverse comunità ove Dio vi ha chiamati a lavorare. Vi auguro anche un fruttuoso cammino di Anno Santo, e la partecipazione alla grande opera della riconciliazione. E vi benedico di gran cuore, insieme alle vostre famiglie e ai vostri amici.

Data: 1983-10-11 Data estesa: Martedi 11 Ottobre 1983

Per la III Giornata dell'alimentazione - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Equilibrare la distribuzione dei beni e favorire l'autosviluppo

A sua Eccellenza Monsignor Edouard Saouma, Direttore della Fao.

La terza Giornata mondiale dell'alimentazione, il merito della cui costituzione va all'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura, riveste un'importanza che non dovrebbe sfuggire a nessun abitante del pianeta. Tocca un problema cruciale e che è causa di divisioni tra classi sociali, Paesi e vaste regioni del mondo. L'umanità ne sta diventando più cosciente e la Chiesa è sempre preoccupata di portarvi il suo contributo alla sua soluzione. E' per questo che, conformemente alla specifica missione che mi spetta sul piano del magistero etico e dell'opera di pacificazione, voglio lanciare ai governi e agli uomini di tutti i Continenti un nuovo appello alla solidarietà, che si inscrive in maniera particolare nel quadro di questo Anno Giubilare della Redenzione in cui la Chiesa invita alla riconciliazione con Dio e tra gli uomini.

I rappresentanti dei governi che si occupano particolarmente di questo problema sanno bene che il doloroso fenomeno della povertà e della fame di numerose popolazioni del globo non appartiene, purtroppo, a un passato ormai trascorso. Certamente, le calamità naturali hanno la loro colpa in questa tragedia. Ma siamo pero costretti a riconoscere che gli uomini stessi contribuiscono ad aggravare le ingiustizie socio-economiche, risultanti molto spesso da sistemi ideologici e politici, o dallo scoppio di guerre e guerriglie.

La documentazione fornita dalle Agenzie specializzate mostra che, nel corso dell'ultimo decennio, il tasso dell'alimentazione mondiale è stato globalmente adeguato, grazie all'aumento della produzione alimentare, comparativamente più elevato di quello della popolazione. E numerose scoperte, alcune delle quali sono recenti, permettono di pensare all'avvenire con sicurezza, pur non perdendo di vista le previsioni della crescita demografica.

Detto questo, rimane sempre il fatto che milioni di esseri umani continuano a soffrire per la fame e vedono anzi la loro situazione aggravarsi, particolarmente in Asia, in Africa e in America Latina. La questione estremamente preoccupante è dunque quella degli squilibri e delle insufficienze alimentari, che esistono nelle regioni del mondo particolarmente segnate da una continua diminuzione delle loro disponibilità alimentari rispetto ad una popolazione in rapida crescita. Inoltre, questi Paesi veramente sfavoriti sembrano votati ad una dipendenza sempre più grande nei confronti delle Nazioni sviluppate, a livello delle importazioni di prodotti agro-alimentari. In questo io vedo uno dei grandi scandali della nostra epoca. E' infatti una situazione di violenza, nei confronti di popolazioni umane. E non si tratta di superarla con altre forme di violenza contro la vita, ma con l'instaurazione accelerata di un ordine economico internazionale veramente più giusto e più fraterno, sia a livello della produzione che a quello della distribuzione dei beni.

Questo ordine richiede non solamente una distribuzione equa delle risorse necessarie alla vita e spesso alla sopravvivenza di popoli in miseria, grazie per esempio al dono delle eccedenze alimentari da parte di popolazioni più ricche, ma anche una messa in opera molto più energica di tutti i fattori che concorrono all'autosviluppo concreto di ogni Nazione: vale a dire degli strumenti adeguati e soprattutto degli investimenti e dei prestiti a condizioni convenienti per i Paesi poveri. Insomma, è tutto il sistema economico del mondo intero che deve essere rimodellato. Un sistema economico internazionale che dia una priorità etica allo sviluppo di tutti i Paesi e di ogni persona umana.

Evidentemente, sono tutti i Paesi più avanzati nel loro sviluppo e i loro governi che sono i primi ad essere interpellati dall'urgenza di una tale solidarietà internazionale, e che devono collegare armoniosamente la loro azione con le Organizzazioni internazionali dipendenti dall'Onu, così come con le Agenzie specializzate nel settore agricolo, alimentare, finanziario e commerciale. E' ugualmente necessario precisare che anche le Organizzazioni non governative, sorte da iniziative generose e autonome, hanno il loro ruolo, talvolta molto prezioso.

Ma per essere pienamente efficaci, queste organizzazioni hanno bisogno di coordinare la loro azione con gli organismi ufficiali.

Il popolo cristiano, da parte sua, sarebbe infedele all'esempio e all'insegnamento del suo Fondatore se non si impegnasse completamente nei suoi doveri di solidarietà con coloro che soffrono di sotto-alimentazione. Il capitolo 25° del Vangelo secondo san Matteo è sconvolgente per chiunque lo legga in modo obiettivo e sincero. Gesù Cristo si identifica in qualche modo con i più piccoli dei suoi fratelli che hanno potuto dire: "Avevo fame". In ogni epoca, le comunità cristiane hanno tentato di vivere al servizio dei poveri, degli affamati. E molto spesso in modo ammirevole! Gli albi d'onore dei santi e delle istituzioni nate per alleviare le miserie umane sarebbe interminabile. Mi permetto solo di sottolineare che la Santa Sede, attraverso il suo rappresentante presso la Fao, è stata tra i primi a sottoscrivere e a lanciare il "Manifesto" del 14 maggio 1963 che proclamava il diritto dell'uomo di mangiare secondo la sua fame, e le Organizzazioni socio-caritative della Chiesa furono tra le più sollecite a diffondere l'appello del 16 ottobre 1965 per la mobilitazione dei giovani nella campagna contro la fame.

In quest'anno, consacrato nel mondo intero alla commemorazione solenne dell'avvenimento della Redenzione, io non smetto mai di esortare i discepoli di Cristo ad avvicinarsi a Dio, ma ugualmente a ritrovare profondamente l'amore dei loro simili, siano essi vicini o lontani, e soprattutto quando essi sono schiacciati da condizioni di vita intollerabili, tra i quali la sotto-alimentazione, la fame. Chiedo, oltre che ai credenti, a tutti gli uomini di buona volontà di operare sempre più per la riconciliazione tra le classi sociali e i popoli dell'universo, e a partecipare molto attivamente all'instaurazione, ancora meglio programmata e più risoluta, della giustizia per tutti, della dignità per tutti, della felicità per tutti, grazie ad una lotta accanita e concertata contro la miseria e la fame sulla nostra terra.

Di tutto cuore invoco sulla vostra importante assemblea come sulla sua azione per il futuro la luce e la forza di Dio.

Dal Vaticano, 12 ottobre 1983

Data: 1983-10-12 Data estesa: Mercoledi 12 Ottobre 1983



A un gruppo di cittadini libanesi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'intesa nazionale è possibile in un Libano libero e unito

Beatitudine, venerabili fratelli nell'Episcopato, cari sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli del Libano qui presenti. Questo incontro con voi tutti, questa mattina, è per me motivo di grande gioia, perché mi dà l'opportunità di salutare attraverso di voi la Chiesa che è in Libano, nella sua multiforme ricchezza di riti e di tradizioni spirituali venerabili. Accogliendovi, desidero indirizzare attraverso di voi un saluto affettuoso alla vostra cara Patria così dolorosamente provata e che, giustamente a causa delle sue tribolazioni, mi è particolarmente vicina.

Il mio pensiero si volge anche verso i nostri fratelli delle Chiese Orientali, i cui Capi spirituali mi hanno recentemente visitato, Sua Santità il Catholicos di Cilicia Karekine Sarkissian e Sua Beatitudine il Patriarca d'Antiochia Ignace Hazim.

Desidero infine ricordare i vostri concittadini di religione musulmana con i quali vivete e lavorate e che, con voi, hanno sopportato le terribili sofferenze che la guerra inevitabilmente provoca.

Ma è evidentemente in modo del tutto speciale che vorrei ricordare, dall'inizio di questo incontro, il dramma vissuto in queste ultime settimane dalle popolazioni delle montagne dello Chouf, vittime della più atroce violenza. I mezzi di comunicazione sociale ci hanno fatto condividere praticamente ora dopo ora l'orrore dei massacri di cui sono state vittime cristiani e drusi e, in particolare, la prova di tante famiglie cristiane che hanno visto distruggere e bruciare le loro case, le loro chiese, i conventi e tutto ciò che avevano accumulato a prezzo di tante fatiche.

La Santa Sede, in questi tragici momenti, non ha risparmiato nessuno sforzo. Come sapete, con mezzi limitati e conformi alla sua natura specifica, essa si è sforzata senza posa di contribuire ad alleggerire e a circoscrivere questa esplosione di odio e di crudeltà. Io stesso non smetto mai di ricordare alla coscienza del mondo e dei responsabili delle Nazioni la necessità di aiutare i libanesi a mettere fine a queste lotte fratricide e di invitare tutti i Paesi amanti della libertà a sostenere le legittime autorità libanesi nei loro sforzi volti a ristabilire la normalità, ad assicurare l'indipendenza della loro Nazione e a liberarsi da tutte le interferenze straniere che gravano così pesantemente sulla vita di questo piccolo Paese. Tutte le iniziative diplomatiche della Santa Sede e gli incontri di questi ultimi giorni hanno come unico scopo quello di contribuire a far convergere le buone volontà e a richiamare l'imperioso dovere della fraternità tra figli del medesimo Dio.

Le loro Beatitudini i Patriarchi e i Vescovi qui presenti hanno voluto, ancora una volta, condividere con me le angosce e le preoccupazioni di tutti i libanesi, ma anche l'indefettibile speranza di questo popolo coraggioso, temprato nella prova, che può tuttavia esclamare con l'apostolo Paolo: "Tutto posso in Colui che mi dà la forza" (Ph 4,13)! Si, cari fratelli e figli, questa mattina il Papa desidera lasciarvi un messaggio di speranza da trasmettere a tutti i vostri concittadini. Speranza nella buona volontà di coloro che, attraverso gli organismi della vita internazionale, hanno a cuore la sorte del Libano. Speranza nelle buone intenzioni dei libanesi che, a dispetto di tutti gli ostacoli, hanno in mano l'avvenire del loro Paese.

Speranza soprattutto di coloro che, a motivo della loro fede in Gesù, il Cristo di Dio, credono che la pace sia sempre realizzabile, che sia sempre possibile guardarsi come fratelli e che il dialogo abbia finalmente l'ultima parola.

Se Cristo ci ha riconciliati con il Padre, se egli si è fatto nostro fratello, se la Chiesa è come il sacramento... dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1), è dunque soprattutto a voi, cristiani del Libano, specialmente in questo Anno del Giubileo della Redenzione, che è affidato il compito di mostrare che questa "intesa nazionale" che tutti i vostri compatrioti desiderano è sempre possibile: è possibile per coloro che sono capaci di cambiare il loro cuore, di ritornare verso Dio, di convertirsi, per imparare a ripetere "Padre nostro"; è possibile per tutti coloro che in Libano sono fieri di una lunga esperienza di coesistenza tra diverse tradizioni spirituali e culturali, cosa che costituisce l'originalità di questo Paese; è possibile per tutti coloro che accettano di stimarsi reciprocamente e di essere così in grado di costruire una Patria a servizio dell'uomo, a tal punto è così vero, come scrivevo nell'enciclica "Dives in Misericordia", che "l'amore e la misericordia fanno si che gli uomini s'incontrino tra loro in quel valore che è l'uomo stesso, con la dignità che gli è propria" (DM 14).

Queste convinzioni devono, sicuramente, essere sostenute dagli sforzi politici che vengono perseguiti sia a livello nazionale che internazionale.

Bisogna risolvere senza indugiare problemi urgenti quali la drammatica situazione della città assediata di Deir el-Kamar e degli altri villaggi, ove la popolazione è in qualche modo ostaggio di elementi armati che controllano la regione. Bisogna anche pensare all'inverno che si avvicina e dunque far fronte alla precaria situazione dei rifugiati sprovvisti di tutto: ho la convinzione che numerose organizzazioni caritatevoli in tutto il mondo sapranno mostrarsi generose. Occorre soprattutto che i poteri pubblici impieghino tutte le loro energie per ristabilire la fiducia tra i cittadini, prendendo coraggiosamente le decisioni che si impongono affinché tutti i libanesi si raggruppino attorno alle loro legittime autorità, preoccupate di assicurare nella dignità e nell'indipendenza l'avvenire di una Nazione in cui ciascuno si sentirà ascoltato, parte beneficiaria di un destino comune, artefice della ricostruzione di un Libano nuovo.

So che in tutto questo voi troverete nei vostri Vescovi dei Pastori attenti. E' verso di loro, giustamente, che io mi volgo ora per incoraggiarli nella loro missione così esigente. Cari fratelli nell'Episcopato, in questi tempi difficili, i vostri fedeli guardano a voi e si aspettano molto da voi. E' questo più che mai il momento di raccogliere tutte le energie delle vostre comunità, di operare insieme e organicamente per far brillare in mezzo a tante miserie e incertezze la luce del Vangelo di Colui che è "colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare" (Ep 3,20). In questo compito arduo, conviene dirlo, avete la possibilità di poter contare sulle risorse spirituali dei vostri fedeli che nessuna difficoltà ha fatto vacillare.

Profondamente attaccati alla loro fede cristiana, essi hanno avuto la forza quando era necessario di versare il loro sangue per il Nome di Gesù Cristo. Voi siete ugualmente sicuri della dedizione instancabile dei vostri sacerdoti che hanno sempre voluto rimanere a fianco del loro gregge fino alla morte. Potete appoggiarvi infine su quel capitale di generosità che rappresentano in terra libanese i membri delle famiglie religiose maschili e femminili che, per tanti infelici e disperati, incarnano la Provvidenza di Dio. Si, Beatitudini e cari fratelli nell'Episcopato, tutti non chiedono che di essere orientati affinché i loro passi si rafforzino. Tutti costituiscono il vostro tesoro: quale ricchezza tra le vostre mani! Concludendo, desidero ripetere a tutti l'assicurazione della mia sollecitudine paterna. Essa vi è manifestata tutti i giorni della presenza tra voi del mio nunzio, Monsignor Luciano Angeloni, che sono felice di salutare qui e che tiene la Santa Sede costantemente informata sull'evoluzione della situazione del vostro Paese così come delle attività delle vostre comunità ecclesiali.

Possa lo Spirito Santo, presente tra noi, pervaderci affinché ciascuno di noi sia illuminato a misura delle sue responsabilità! Il Signore misericordioso vi doni la forza di guardare in avanti, "anche se ora, come scriveva l'apostolo Pietro, dovete essere per un po' di tempo afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore" (1P 1,6-7)! Voglia Nostra Signora del Libano ridare ai cuori induriti il senso della condivisione e della benevolenza! La mia paterna e affettuosa benedizione sia per voi tutti qui presenti, per i Vescovi, il clero, i religiosi e le religiose e il popolo di Dio del Libano il pegno dell'abbondanza delle consolazioni e della protezione di Dio Onnipotente!

Data: 1983-10-13 Data estesa: Giovedi 13 Ottobre 1983

Al pellegrinaggio del Liechtenstein - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cristo e la Chiesa nel programma dei cristiani

Altezze Serenissime, cari fratelli e sorelle del principato del Liechtenstein.


GPII 1983 Insegnamenti - Al pellegrinaggio di Benevento - Città del Vaticano (Roma)