GPII 1984 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Se l'umanità vuole salvarsi deve rivedere i suoi principi di vita

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle.

Giunta l'ora di mezzogiorno dobbiamo aggiungere alla nostra celebrazione eucaristica anche la preghiera dell'Angelus Domini. Ecco, voglio pronunciare questa preghiera, voglio recitarla insieme con voi, prima della benedizione conclusiva della santa messa.

Voglio ancora una volta ringraziare tutti i presenti per la loro fervida partecipazione; voglio estendere questo ringraziamento a tutti i pellegrini che sono venuti a Roma, ma che, a causa della pioggia, non sono potuti entrare nella basilica per partecipare alla nostra assemblea liturgica che, programmata per fuori, sulla piazza, abbiamo dovuto invece riunire nella basilica. Voglio allora unirmi in spirito con tutti i pellegrini, anche quelli che oggi sono qui spiritualmente. E sono molti! Pensiamo al grande mondo del lavoro, in tutti i Paesi, in tutte le nazioni, in tutto il mondo. Insieme con loro vogliamo adesso, carissimi, entrare nella casa di Nazaret, vogliamo avvicinarci a questo banco da lavoro, dove ha lavorato, accanto a Giuseppe, sotto lo sguardo materno di sua madre, il Figlio di Dio. Il Figlio di Dio fatto uomo ha conosciuto l'esperienza dell'umano lavoro. Era uno di noi. E allora là vogliamo entrare, in questa casa di Nazaret; là vogliamo portare tutti i problemi del lavoro dell'uomo contemporaneo, dei popoli del mondo, di questo Paese: tutti i problemi sociali, economici, politici, culturali, morali, tutte le preoccupazioni concernenti il campo del lavoro, specialmente la preoccupazione dovuta alla disoccupazione, disoccupazione di tanti, specialmente giovani. Poi tutti i problemi che ci stanno a cuore, tanto legati alla problematica del lavoro, come i problemi della fame nel mondo, i problemi della pace nel mondo.

Perché questa minaccia della guerra? Perché questi principi della lotta? Si deve dare posto, e posto principale nella vita umana, nella vita sociale, nella vita internazionale, al principio della solidarietà! Si deve risolvere il problema. Anche la lotta, anche una giusta lotta nel campo sociale deve essere sempre subordinata al principio della solidarietà, perché la sola lotta non causa altro che la guerra. Dobbiamo, in questo Anno della Redenzione, rivedere i principi fondamentali con cui vive l'umanità: se non siano falsi, se non debbano essere cambiati per salvare la vera giustizia, per salvare la pace nel mondo, per salvare l'umanità dalla fine. E così ritorniamo in questa casa di Nazaret, ritorniamo vicino a Gesù lavoratore, a Giuseppe, a Maria, a Gesù, ritorniamo alla sacra famiglia.

L'uomo è la finalità del lavoro, la famiglia è la finalità del lavoro, la pace è la finalità del lavoro. Non può essere il lavoro umano alterato, alienato e lo dico, carissimi, nel nome di Gesù, perché è il suo anno, l'Anno Giubilare della Redenzione. Il lavoro umano è redento, è ridato in Gesù Cristo a Dio, è ridato all'uomo, perché sia il suo bene, perché porti al suo sviluppo umano, cristiano, culturale, sociale.

Così, unendoci con Gesù, Maria e Giuseppe nella casa di Nazaret, recitiamo questo nostro "Angelus" della seconda domenica ci Quaresima.

Data: 1984-03-18 Data estesa: Domenica 18 Marzo 1984




Ai lavoratori - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Non c'è opposizione tra spiritualità e impegno socio-politico

Testo:

Cari fratelli e sorelle del mondo del lavoro!


1. Dopo il rito religioso di stamane, che vi ha visti raccolti nella basilica di San Pietro per la celebrazione del Giubileo della Redenzione, ho desiderato incontrarvi ancora in quest'aula, quasi a completare il discorso avviato e arricchirlo ulteriormente.

Non occorre che io vi dica di aver ascoltato con attento interesse le diverse "testimonianze domande", presentate dai vostri delegati e riguardanti dirette esperienze di lavoro: ne è uscito come un mosaico fatto di fiducia, di speranza, di difficoltà, ma anche di coraggio nell'affrontare i problemi emergenti dalla crisi odierna. Io le ho debitamente apprezzate, perché, accanto ai motivi di preoccupazione, costante appare in esse l'ispirazione evangelica, specie dove si rivolgevano alla mia persona con interrogativi di fronte ai grandi mali del nostro tempo, che toccano il futuro dei nostri giovani e il futuro della società.

Anch'io, cari lavoratori, condivido le vostre ansie e vi sono vicino, confermando il vostro impegno di cristiani nell'affrontare e risolvere positivamente quegli interrogativi e problemi.

Anche da questa occasione, che vi ha convocati qui a Roma per celebrare il Giubileo straordinario della Redenzione, è possibile attingere forza e speranza; lo Spirito Santo, che qui vi ha condotto per accogliere, nel Cristo redentore e salvatore del mondo, l'amore misericordioso del Padre nostro che è nei cieli, continuamente opera, diremmo lavora, nelle nostre anime, associandole in quella comunione di vita che è la Trinità. Nessun uomo e niente dell'uomo è fuori da questo mistero di comunione redentiva. Sta in questo stesso mistero di amore la chiave di risposta anche ai molteplici quesiti, che riguardano l'umana esperienza del lavoro, in tutti i suoi aspetti positivi, nonché in quelli negativi segnati dalla sofferenza e dallo sfruttamento.

Infatti, nell'operosità salvifica del Padre che, nel Figlio e nello Spirito, si fa a noi prossimo, il lavoratore cristiano può e deve trovare il senso del suo essere e del suo operare, come i riferimenti più alti per il suo impegno individuale e sociale.

Secondo questa prospettiva l'esperienza del lavoro è una grande occasione per farci santi, poiché il Padre in Cristo e nello Spirito ha tutto santificato e in tutto vuole essere glorificato. Grande e consolante e, direi, onnicomprensivo è il mistero della Redenzione. La vera santità implica insieme il proposito di realizzare "la città dell'uomo", cioè la famiglia, la cultura, il lavoro, l'economia, la politica, i rapporti interpersonali, in modo che l'uomo viva secondo quella dignità essenziale e inalienabile di creatura, fatta a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,27).

Non ci potrà mai essere opposizione, cari lavoratori cristiani, tra spiritualità e impegno nella vita socio-politica: è proprio il riferimento a Dio e alla sua vita di comunione il fondamento più solido per un'azione concreta, positiva, perseverante per gli uomini e tra gli uomini.


2. Fatta questa premessa, vorrei ora riprendere qualcuno dei temi e dei problemi, che sono emersi dalle vostre testimonianze. Avete chiesto, anzitutto, se la comunità cristiana non debba aprirsi al mondo del lavoro. Rispondo subito che essa non solo deve aprirsi, ma ancor di più, deve essere fraternamente e attivamente presente in questo mondo con uno spirito di intelligente comprensione, di vigile discernimento, di amichevole dialogo: deve essere presente non solo per dare, ma anche per ricevere.

In effetti, la comunità cristiana, di fronte alle conseguenze negative della crisi occupazionale e sociale, di fronte alle incerte prospettive del futuro, è chiamata ad esercitare, con generosa passione, un ruolo molteplice studiando i problemi, elaborando soluzioni, assumendo proprie responsabilità: insomma, essa deve essere Chiesa sul territorio, cioè Chiesa presso le case, Chiesa presso le fabbriche, Chiesa "presso l'uomo". Non già la fuga o l'evasione, ma ancora e sempre la presenza, e dunque un originale contributo di idee e di opere. L'uomo contemporaneo ha bisogno dell'amichevole vicinanza della Chiesa, ha sempre bisogno - nella sua dolorante inquietudine e nella ricorrente tentazione della sfiducia - che la Chiesa gli annunci e gli doni il Vangelo della speranza.

Per questo, cari lavoratori, desidero ancora una volta esortare ogni comunità cristiana, perché s'impegni in una costante e viva pastorale del lavoro, fatta di "attenzione ai problemi e alla cultura degli uomini del lavoro, in modo che ad essi non venga mai a mancare un'adeguata proposta di redenzione che Cristo ha realizzato nella pienezza dei tempi" (Discorso ai partecipanti al Convegno "Il lavoro è per l'uomo"; cfr. "L'Osservatore Romano", 19 novembre 1983).


3. In un altro intervento ho colto l'invito a ripensare con voi il tema della solidarietà. E' un tema, questo, che mi è particolarmente caro, e non certo per motivi contingenti, ma per motivi di fondo che toccano la sfera religiosa e morale.

La solidarietà, infatti, prima ancora di essere un fatto culturale, di dar forma a un progetto politico o di orientare una determinata prassi sociale, è una spinta rispondente alla natura dell'uomo e, quando sia inquadrata in quella legge-comandamento di Cristo, che - badate - assume, non sopprime i valori naturali, si eleva alla sfera superiore del vero amore del prossimo. Essa allora ci porta più in alto fino a Dio che per primo, come nostro Padre, ci ama con carità infinita. A questo livello la solidarietà è l'annuncio stupendo che Dio è solidale con l'uomo fino alla morte del suo Figlio sulla croce. In questo e da questo Vangelo deve trovare vigore l'azione sociale dei cristiani, perché diano effettiva concretezza, nell'attualità e varietà delle situazioni, alla vera solidarietà in seno all'umana famiglia.

La crisi in atto, ad esempio, impone a noi cristiani di non abbandonare questa strada della solidarietà; occorre, anzi, scoprire e sperimentare nuove forme di essa, perché la società nel suo insieme progredisca, si sviluppi, diventi più umana.

Come negare, del resto, di fronte alla natura della crisi odierna, che appare più strutturale che congiunturale, perché all'ampiezza delle trasformazioni (rivoluzione tecnologica) sembra corrispondere un rovesciamento di valori, esser sommamente importante che i cristiani associati ripensino alla loro specifica funzione. Che cosa sono e che cosa debbono fare? Non sono forse chiamati ad essere un lievito nella società? "Voi siete il sale della terra", dice loro Gesù (Mt 5,13).

In realtà, la crisi apre un vasto campo di riflessione e di sperimentazione su una molteplicità di temi e di problemi, e ciò esige ovviamente uno sforzo di attenzione per gli opportuni interventi. E chi più dei cristiani che operano nel sociale, di fronte alle cose nuove del vicino Duemila, può e deve attendere al compito esaltante di saldare insieme Vangelo e cultura, Vangelo e vita, Vangelo e futuro? Al riguardo, due mi sembrano i punti meritevoli di particolare attenzione da parte del laicato associato:

a) di fronte alla rivoluzione tecnologica, bisogna mettere in opera grandi capacità di studio e di progettazione, di sperimentazione e di innovazione.

Se l'inarrestabile progresso tecnico può determinare, per un certo verso, dei limiti alla libertà dell'uomo, bisogna pero riconoscere che esso offrirà nuove e più ampie possibilità che devono essere responsabilmente vagliate, come già ho affermato nell'enciclica sul lavoro umano (cfr. LE 1).

b) In secondo luogo, si deve avviare una compiuta riflessione sugli elementi etici del cambiamento, ai fini di una più completa etica del lavoro.

Intorno a ciò ho già affermato che "questa etica sociale, senza disattendere gli obblighi dei singoli, sottolinea quei fattori nazionali e sovranazionali che, sul piano economico, politico e finanziario condizionano in maniera spesso negativa sia la quantità che la qualità del lavoro. Problemi come il lavoro iniquo, disumano, non tutelato e disprezzato, esigono da parte dei cristiani una rinnovata assunzione di responsabilità. L'etica del lavoro riguarda, soprattutto, la dimensione soggettiva di esso, cioè l'uomo come persona, come soggetto dei lavoro" (Discorso ai partecipanti al Convegno "Il lavoro è per l'uomo", 19 novembre 1983).

Sembra opportuno e doveroso l'avvio di questa etica "nuova" del lavoro per superare, da una parte, una certa impostazione talvolta ristretta e, si direbbe, privatistica della morale del lavoro, legata alla semplice considerazione dei doveri degli imprenditori e degli operai e, dall'altra parte, per riesaminare, in ragione dei cambiamenti, la stessa organizzazione del lavoro e i più ampi sistemi socio-politici, entro i quali essa si iscrive.


4. Vorrei, ancora, rifarmi alle vostre testimonianze, laddove si riferivano a varie categorie di lavoratori, accomunate dal bisogno che siano maggiormente riconosciuti e tutelati i loro diritti umani e i loro valori professionali. A questo proposito, desidero rivolgermi a voi con qualche distinta richiesta.

- Ai lavoratori della terra, ai quali più volte ho riservato la mia affettuosa simpatia e il mio incoraggiante insegnamento (l'ho fatto recentemente anche a Bitonto), chiedero di non farci mancare il pane quotidiano e di non farlo mancare in nessuna tavola del mondo. Chiedero anche di mantener fede e di richiamare a tutti i grandi valori umani e cristiani, di cui è stata ed è tuttora portatrice la loro cultura. Ad essi tutta la comunità cristiana guarda con attenzione e interesse per l'importanza veramente fondamentale che riveste la loro opera di coltivatori. Poiché "occorre proclamare e promuovere la dignità del lavoro, di ogni lavoro, e specialmente del lavoro agricolo, nel quale l'uomo in modo tanto eloquente soggioga la terra, ricevuta in dono da Dio, e afferma il suo dominio nel mondo visibile" (LE 21).

- Alle collaboratrici familiari, che stimo per l'opera di assistenza che offrono specialmente agli anziani e agli handicappati, chiedero di colmare la povertà umana delle persone che incontrano con una bontà fatta di amore, di affetto, di pazienza. Nelle loro mani non è una materia inerte, ma è l'uomo, cioè la creatura di Dio, un suo figlio con diritti inalienabili. Chinarsi su di lui per servirlo vuol dire imitare Cristo Signore, che nella sua vita terrena si è chinato sul fratello bisognoso, sofferente, piagato.

- Ai giovani e alle donne, che sono senza lavoro, chiedero di non disperare, ma di intensificare i loro sforzi. Il soddisfacimento delle loro giuste aspirazioni, dipenderà anche dal loro impegno e perseveranza: non mancheranno i frutti di una seria azione di solidarietà nel creare nuovi posti di lavoro. La Chiesa non cesserà, da parte sua, di chiedere iniziative e solidarietà a loro favore.

- Ai disabili e agli handicappati, che pagano il prezzo più alto della crisi, chiedero di continuare ad amare, perché dall'amore crocifisso nasce la salvezza dell'uomo. Nella loro sofferenza si nasconde il mistero salvifico del dolore. Rinnovo l'auspicio che si promuova, "con misure efficaci e appropriate il diritto della persona handicappata alla preparazione professionale e al lavoro, in modo che essa possa essere inserita in un'attività produttrice, per la quale sia idonea" (LE 22).

- Agli immigrati dai Paesi esteri chiedo di tener desto il valore della solidarietà internazionale. Non ci può essere soluzione alla crisi attraverso ristretti nazionalismi; bisogna, invece, recuperare nella solidarietà il senso di una pace vera e di una concordia universale. La Chiesa è portatrice di questa universalità.


5. Vorrei ora chiedere qualcosa non più a voi, ma per voi, a conferma e a tutela di valori fondamentali e, perciò, irrinunciabili.

Prima di tutto, desidero riaffermare che la persona umana deve essere sempre il punto di riferimento dell'intero processo produttivo. E' da abbandonare la prospettiva che considera il lavoratore come forza-lavoro e il lavoro stesso come semplice merce. "Il primo fondamento del lavoro è... l'uomo stesso, e benché l'uomo sia chiamato e destinato al lavoro, il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro. Affermare la preminenza del valore soggettivo del lavoro su quello oggettivo, significa che la misura del valore del lavoro è la dignità del soggetto umano che compie il lavoro".

In secondo luogo, posto il valore preminente della persona, bisogna rivendicare la centralità del lavoro nel ciclo produttivo: profitto e salario, risparmio e denaro pubblico, attività imprenditoriale e sindacale, tutto deve concorrere a garantire in concreto una tale posizione centrale.

Cari lavoratori e lavoratrici! Vi esorto a ripartire da Roma animati dal desiderio di portare ai vostri fratelli lavoratori l'eterno Vangelo della speranza e della fiducia. In questa prospettiva anche la crisi può essere una possibilità, un'occasione positiva per costruire, pur in mezzo alle difficoltà e alle oscurità, un mondo nuovo. Il tempo sacro della Quaresima, che ci prepara alla celebrazione del mistero della morte e risurrezione di Cristo redentore, ci ricorda e ci riporta le ragioni supreme della speranza con l'annuncio di una salvezza che è certa e sicura.

Da parte mia, mentre vi ringrazio per la vostra partecipazione al Giubileo, voglio ancora assicurare che vi porto tutti nel cuore, lavoratori qui presenti, e voi che per diverse ragioni non avete potuto intraprendere il pellegrinaggio e siete rimasti nelle vostre case. Io tutti vi ricordo e prego per voi! San Giuseppe, vostro speciale patrono, vi protegga sempre. E vi accompagni la sua Sposa che è la Mamma celeste, ottenendo che i vostri giusti desideri siano esauditi. Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1984-03-18 Data estesa: Domenica 18 Marzo 1984






Incontro con il clero di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Risolvere le situazioni familiari con la dottrina della Chiesa

Testo:


1. Diventando Vescovo di Roma, quasi sei anni fa, ho trovato questa tradizione dell'incontro con il clero romano e specialmente con i predicatori degli esercizi spirituali agli inizi della Quaresima. Ma, dopo un anno, abbiamo cercato di dare una nuova impostazione a questi incontri e penso che siamo già arrivati a una nuova formula, quella appunto del nostro incontro di oggi. E' un incontro di lavoro durante il quale parlano soprattutto i sacerdoti, coloro che costituiscono il "presbyterium", perché è un incontro riservato al presbiterio romano e questo è naturalmente molto importante per il Vescovo di Roma. Dovrei aggiungere che, nella situazione concreta, questo incontro costituisce per il Vescovo di Roma un certo "lusso".

Tutti voi sapete, infatti, che la missione universale del vostro Vescovo assorbe tanto tempo e che per incontri con il presbiterio della sua diocesi, della sua Chiesa locale, rimane relativamente poco tempo. Ringrazio il cardinale vicario e i miei fratelli nell'episcopato, il consiglio episcopale diocesano, che prendono sulle loro spalle questa responsabilità dell'"episcopé", che è propria di noi tutti. E in questa responsabilità dell'"episcopé", gli incontri con il presbiterio sono una cosa fondamentale. così per me questo incontro, che nella dimensione complessiva di Roma si attua una volta all'anno, è fondamentale.

Si è parlato della famiglia. Monsignor Giannini ha presentato gli orientamenti principali che provengono dalla Commissione pastorale per la famiglia: una commissione pastorale, naturalmente, che vuole orientare la pastorale della famiglia nella diocesi di Roma, in tutte le comunità, soprattutto in tutte le parrocchie. Sono seguite poi le testimonianze - possiamo ben dirlo - di diversi sacerdoti romani, di parroci e viceparroci e di altri ancora. Essi hanno illustrato questo tema e questo orientamento del vicariato con esperienze concrete, qualche volta con le domande, qualche volta con le proposte. così, non in dimensione globale, ma in dimensione parziale, abbiamo ricevuto una certa visione, un certo quadro di questo problema della famiglia, soprattutto della pastorale familiare in Roma.

Vorrei aggiungere a queste considerazioni alcuni elementi che provengono dalla dimensione della Chiesa universale. Noi dobbiamo tenere sempre presente che il Concilio Vaticano II si è occupato della famiglia e lo ha fatto in un storico documento, un documento-guida: la sua parte II. Tra i problemi più urgenti, esso ha consacrato il primo capitolo ai problemi della famiglia e del matrimonio. Vi si trova una sintesi della situazione e della dottrina. La dottrina deve affrontare, giudicare e risolvere la situazione o, piuttosto, le situazioni. Alcuni anni dopo il Vaticano II, nel 1968, è venuta l'enciclica "Humanae Vitae". Questa, lo sappiamo bene, ha trovato una larga contestazione: era certamente una voce profetica della Chiesa e specialmente di papa Paolo VI. La Chiesa e l'umanità, e forse soprattutto il nostro ambiente culturale occidentale, devono e dovranno una gratitudine perenne a questo Papa per averci lasciato l'enciclica "Humanae Vitae".

Se vogliamo riassumere brevemente la dottrina morale in essa racchiusa, l'"Humanae Vitae" dice "si" alla paternità e alla maternità responsabili; dice "no" a ciò che è contrario al disegno di Dio sull'amore coniugale e, quindi, alla dignità della persona degli sposi: in particolare dice "no" a tutto ciò che è contraccezione artificiale. E dice "no" in senso deciso e chiaro.

Dopo la "Humanae Vitae" siamo arrivati al Sinodo del 1980 che si è concentrato sulla famiglia nella missione della Chiesa. Come frutto di questo lavoro collegiale è poi venuta l'esortazione apostolica "Familiaris Consortio".

Possiamo dire che con questi due documenti la Chiesa nella sua dimensione e missione universale ha affrontato i problemi del matrimonio e della famiglia nella loro situazione attuale. Naturalmente questi problemi sono molto diversificati a seconda dei continenti, dei Paesi e della storia. Noi, nella Chiesa locale di Roma, dobbiamo affrontare i problemi pastorali della famiglia alla luce dei principi che si incontrano nella "Humanae Vitae" e nella "Familiaris Consortio". I problemi sono molti, come abbiamo potuto vedere anche in questa conversazione odierna, ma importanti sono soprattutto i problemi sollevati dai due documenti: quello della paternità e maternità responsabili, e quello del rispetto per la vita e per la dignità degli sposi.

Dopo il Sinodo e dopo la "Familiaris Consortio" si è visto necessario formare un organismo centrale della Chiesa, un Consiglio per la famiglia. E a Roma si è vista anche la necessità di formare un istituto scientifico-didattico per la famiglia, ove studiare tutti i problemi che emergono dalla situazione attuale alla luce della dottrina della Chiesa contemporanea.


2. Volevo richiamare l'attenzione di tutti i presenti su questi elementi della dottrina della Chiesa a dimensione universale, perché il lavoro della Chiesa particolare, anche e forse soprattutto quella di Roma, deve riflettere in sé le preoccupazioni e gli orientamenti che sorgono nella Chiesa universale e nel suo insegnamento. Questo lo dico per trovare ancora un riferimento sia all'introduzione fatta da monsignor Giannini, che alla discussione che è seguita.

Mi pare che nell'introduzione e nella discussione si trovi un aspetto molto consolante in cui, possiamo dire, l'orientamento del Vaticano II, dell'"Humanae Vitae", della "Familiaris Consortio" viene recepito. C'è una sensibilità nuova dei pastori per i problemi della famiglia, una ricerca sulla famiglia, nella sua situazione propria, nella sua originalità, nella sua identità umana e cristiana.

Questa ricerca porta a considerare la famiglia, naturalmente, nelle sue diverse difficoltà e nelle situazioni complesse che portano in sé anche una negazione del disegno divino, della dottrina evangelica, e di tutto quello che la Chiesa contemporanea insegna così come ha insegnato durante i secoli. Ne troviamo molti, di questi aspetti, ma troviamo anche un altro elemento consolante; questa famiglia cristiana molte volte si presenta dinanzi a noi come soggetto dell'apostolato, come un partner. Quando noi sacerdoti ci troviamo in difficoltà nel portare avanti la pastorale della famiglia - e non solo quella, ma forse anche altre forme della pastorale parrocchiale e diocesana - scopriamo nelle famiglie, e nelle diverse coppie, i nostri collaboratori animati da spirito apostolico. Possiamo dire questa verità; tutti i cristiani, con la forza del Battesimo e della Cresima, sono chiamati a partecipare all'apostolato della Chiesa. Questa verità trova la sua verifica in molte persone e anche in molte unioni matrimoniali, in molte coppie e in molte famiglie. In questo modo si apre la possibilità di convertire e di evangelizzare la famiglia tramite la famiglia. Penso che questo sia un orientamento giusto nella pastorale familiare, orientamento che ha trovato la sua espressione sia nell'introduzione di monsignor Giannini, sia nei molti interventi.

Devo dirvi che sono soddisfatto di questa conversazione odierna. Se la paragoniamo con la conversazione di un anno fa, penso che si sia compiuto un passo avanti, e questo è molto consolante. Naturalmente questo passo non è l'ultimo: si devono fare ancora molti passi e penso che si debba approfittare dell'esistenza a Roma di questi centri internazionali, come il Consiglio per la famiglia, come l'Istituto per gli studi sulla famiglia. Si deve approfittare della loro presenza, e del loro lavoro per preparare meglio noi stessi, ed anche per preparare meglio i nostri laici e le nostre coppie, e per portare avanti questo apostolato del matrimonio e della famiglia cristiana in tutte le sue dimensioni. Devo constatare - e credo sia un'impressione comune - che in un anno si è fatto certamente un passo avanti, e per questo devo ringraziare tutti: vostra eminenza e i miei fratelli nell'episcopato; ma devo e voglio ringraziare anche tutti i miei confratelli nel sacerdozio che compongono il presbiterio di Roma.

Mi rendo conto che, come Vescovo e Pastore di questa Chiesa, vengo rappresentato in ogni comunità parrocchiale da ciascuno di voi. Siete voi che rappresentate il vescovo nelle comunità parrocchiali, siete voi che portate il peso della responsabilità pastorale in ogni parrocchia, in ogni comunità. Siete voi che, col vostro lavoro quotidiano, lavoro di pastori, di maestri, di insegnanti, lavoro caritativo, assistenziale, con la vostra sollecitudine pastorale, siete voi, carissimi miei fratelli e amici, che rappresentate e in un certo senso realizzate la sollecitudine pastorale del Vescovo di Roma nelle diverse dimensioni e nei diversi ambienti di questa città e di questa Chiesa.

Questo volevo dirvi e volevo anche ringraziarvi per questo, come anche per l'assemblea di oggi, per la nostra conversazione, e per questo atteggiamento che avete dimostrato verso la famiglia e i suoi problemi, verso la sua vocazione, e verso la sua santità.

Vi auguro una buona Quaresima; sappiamo bene che per noi sacerdoti "buona Quaresima" significa anche un grande lavoro. E vi auguro anche una buona Pasqua.

Domenica prossima vi sarà una celebrazione specialissima dell'Anno della Redenzione; una celebrazione con le famiglie e anche un Atto di affidamento alla Madre di Cristo, affidamento di cui la Chiesa e il mondo hanno tanto bisogno.

Voglio ringraziarvi per tutto quanto, in questo anno giubilare, è stato fatto nelle diverse parrocchie e nelle diverse prefetture di Roma per realizzare il programma di questo Anno della Redenzione; voglio augurarvi anche abbondanti frutti per questo lavoro, e per questa speciale iniziativa della Chiesa universale nella nostra Chiesa romana. Voglio assicurarvi che compiendo questo atto di affidamento di tutta la Chiesa e di tutti coloro che popolano la Chiesa e il mondo al cuore di Maria, intendo affidare in un senso del tutto speciale la Chiesa di Roma e tutti voi, miei confratelli nel sacerdozio.

Rispondendo infine a chi mi ha chiesto quale priorità pastorale ho assunto nel mio impegno sacerdotale, devo dirvi che fin dall'inizio io ho dato una certa priorità ai problemi del matrimonio e della famiglia, lavorando soprattutto con i giovani.

Data: 1984-03-22 Data estesa: Giovedi 22 Marzo 1984




Al movimento "Foi et Lumière" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il valore della sofferenza per trovare la gioia dei figli di Dio

Testo:

Cari amici di "Foi et Lumière"


1. Quest'anno numerosi incontri come questo mi hanno familiarizzato col mondo degli handicappati che è al centro delle vostre preoccupazioni e anche della vostra vita. In gennaio, ho ricevuto dei sacerdoti che vivono nelle comunità dell'Arca; in febbraio tutti i membri dell'Arca di Trosly-Breuil. E oggi sono lieto di accogliere i fondatori, i coordinatori responsabili e i delegati del movimento internazionale "Foi et Lumière". Dalla sua fondazione a Lourdes tredici anni or sono, il vostro movimento si è diffuso in molti Paesi oggi rappresentati nella vostra assemblea. Il poco tempo a nostra disposizione stamane, in questa Quaresima dell'Anno Santo, non mi permette di sviluppare ulteriormente i messaggi che ho avuto occasione di rivolgervi, soprattutto all'epoca del vostro pellegrinaggio a Lourdes nel 1981. Ma voi saprete leggere in queste poche parole la stima e l'affetto che nutro per voi, e i miei incoraggiamenti per portare a buon fine un compito tanto significativo per la Chiesa e la società attuale.


2. Quanto cammino percorso in una decina d'anni! In un passato recente, molti bambini e adulti portatori di un handicap mentale si trovavano isolati, emarginati in molti settori della società senza grande speranza di progresso; e spesso le loro famiglie, umiliate, vivevano questa prova ripiegate su se stesse. Oggi, voi avete grandemente contribuito a che questi handicappati, i loro genitori, i loro amici, beneficiassero di incontri regolari in seno a comunità d'amicizia a misura umana. Là si tessono legami personali che aiutano a meglio portare i fardelli gli uni degli altri e ad affrontarli insieme, ricevendo e donando agli altri conforto, stima, ascolto, aiuto reciproco. Là, il clima festoso permette a ciascuno, anche ai più limitati, di esprimere risorse spesso insospettabili e di gustare insieme una gioia autentica. Questi incontri sono anche caratterizzati dalla preghiera e dalle celebrazioni che culminano, per i cattolici, nell'assemblea eucaristica. La carta e la costituzione che avete adottato precisano bene questi mezzi, che richiedono un impegno coraggioso, perseverante e, per i coordinatori e gli animatori, competenze umane di pedagogia e molto amore.


3. Voi comprenderete che insisto sulla fede cristiana. Essa porta in questo ambito uno stimolo, una disposizione di spirito, una grazia che si accordano notevolmente a una tale opera. Voi non potete dimenticare la vostra origine cattolica, l'intenzione dei vostri fondatori e io auguro che coloro che, nel movimento, condividono la vostra fede, compiano gli sforzi necessari per approfondire la loro formazione spirituale specifica, nella fedeltà all'insegnamento del magistero. A tutti auguro di attingere luce nella rivelazione dell'amore di Dio espressa nella Bibbia, di apprendere in particolare da Gesù il rispetto e l'amore per i poveri: gli handicappati mentali sono certo questi poveri, sprovvisti dei mezzi che assicurano la forza e il successo degli altri, molto vulnerabili, ma preziosi agli occhi di Dio, per il quale ogni vita umana ha un valore inestimabile e ogni persona una dignità inviolabile. Di Gesù, san Giovanni dice: "Dopo aver amato i suoi, li amo sino alla fine" (Jn 13,1). Gli handicappati hanno bisogno più degli altri di questo affetto, fatto di tenerezza e di fedeltà, che li rassicura e li fa rifiorire. Ma la fede ci aiuta anche a scoprire le possibilità del loro contributo al mondo che li circonda: esso si arricchisce nel fare esperienza della loro semplicità di cuore, della loro umiltà, della loro gioia, della loro sete d'amore, della loro fiducia. Si, il Vangelo è una Buona Novella per questi poveri e i loro amici, senza dimenticare che essi stessi evangelizzano a modo loro.


4. Il vostro movimento si è ingrandito, si è strutturato, nella fedeltà alle sue origini e nel rispetto delle coscienze, mantenendo la rotta sulla sua finalità umana e spirituale. Si pongono ancora dei problemi, per esempio a proposito della vostra posizione nella Chiesa cattolica e le esigenze di un autentico ecumenismo che si fondi sull'autentico inserimento di ciascuno nella propria Chiesa. Nei vostri rapporti con la Santa Sede, il Pontificio Consiglio per i laici potrà guidarvi opportunamente.

Inoltre, siete coscienti che è necessario cooperare con le altre associazioni della Chiesa e della società che operano nello stesso senso. E voi vi preoccupate di partecipare alle attività della Chiesa, in particolare nell'ambito delle parrocchie, dei pellegrinaggi diocesani o nazionali, perché è importante integrare il più possibile gli handicappati e i loro parenti nel corpo intero della Chiesa ove essi debbono avere pienamente il loro posto.


5. Facendo il bilancio delle difficoltà, delle speranze e dei progetti del vostro movimento, voi vi mettete in ascolto di Dio per domandargli di continuare la sua opera, secondo i suoi desideri. Mi commuove questa disponibilità spontanea, che vi esorto a salvaguardare e a sviluppare. Il presente periodo giubilare ci permette di penetrare sempre più a fondo nella volontà del Signore, riscoprendo l'amore di Dio, santo, vicino e fedele, purificando le nostre coscienze, i nostri comportamenti e i nostri desideri, meditando sul valore misterioso della sofferenza redentrice, come ho di recente proposto al mondo, chiedendo a Gesù risorto di liberare i nostri cuori da tutto ciò che li ingombra, per conoscere la gioia dei figli di Dio.

Che lo Spirito Santo illumini e fortifichi tutti i membri delle comunità "Foi et Lumière", in tutto il mondo. Che ispiri e sostenga i responsabili! Che la Vergine dell'Annunciazione, dal cuore semplice e disponibile, li aiuti ad accogliere i poveri negli handicappati! E io vi incoraggio con la mia benedizione apostolica.

Data: 1984-03-22 Data estesa: Giovedi 22 Marzo 1984






GPII 1984 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)