GPII 1984 Insegnamenti - Celebrazione ecumenica - San Paolo fuori le Mura (Roma)

Celebrazione ecumenica - San Paolo fuori le Mura (Roma)

Titolo: Il rischio del conflitto spinge i cristiani a riconciliarsi

Testo:

"Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo" (Ga 3,27).


1. San Paolo, l'apostolo delle genti, riassume con questa espressione il mistero della redenzione dell'uomo, dell'incorporazione a Cristo, della creazione dell'uomo a somiglianza del Figlio di Dio, che è "l'immagine del Dio invisibile" (Col 1,15). Infatti "voi tutti siete figli di Dio per la fede in Gesù Cristo" (Ga 3,26). Ed è per mezzo del Battesimo che si è resi partecipi della sua morte e della sua risurrezione, cioè della vita divina. Questo avvenimento di grazia sovrabbondante cancella tutte le divisioni etnico-religiose, le discriminazioni a causa della condizione sociale, della razza e del sesso. "Non c'è più giudeo né greco, non c'è più schiavo né libero, non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Ga 3,28). Gesù Cristo ha realizzato questa unità per mezzo del sacrificio della croce, su cui offri se stesso per il perdono, per il riscatto e per la vita dell'umanità intera. Egli è morto "per radunare insieme nell'unità i figli di Dio dispersi" (Jn 11,52). E' il mistero dell'amore di Dio, che ha creato l'uomo e lo chiama alla salvezza definitiva.

Su questo argomento è attirata la nostra attenzione oggi, festa della conversione di san Paolo, a conclusione della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, che cade nell'Anno Giubilare della Redenzione. Durante quest'anno la celebrazione speciale della redenzione dell'uomo operata da Cristo rende più lucida e impegnativa l'esigenza della piena riconciliazione di tutti i cristiani, accomunati dalla grazia dell'unico Battesimo.


2. "Il Battesimo, infatti, costituisce il vincolo sacramentale dell'unità che vige fra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati" (UR 22). Le tragiche divisioni introdotte tra i cristiani non distruggono questa unità fondamentale; impediscono pero la piena realizzazione delle intrinseche esigenze emananti dal Battesimo. Le divisioni mortificano il Battesimo; esso infatti "è ordinato all'integra professione della fede, all'integrale incorporazione nell'istituzione della salvezza, come lo stesso Cristo ha voluto, e infine alla piena inserzione nella comunione eucaristica" (UR 22). Il Concilio Vaticano II, del quale ricorre oggi il 25° anniversario del primo annuncio dato in questa Basilica, con un'immagine di particolare delicatezza, ha descritto questi due aspetti, entrambi profondamente veri e cioè che la divisione è una realtà peccaminosa che tuttavia non distrugge l'unità profonda generata dalla Grazia. Anche qui si usa l'immagine della veste, della veste di Cristo. Le divisioni, si afferma, "hanno intaccata l'inconsutile tunica di Cristo" (UR 13). Se la veste di Cristo rimane "inconsutile", tuttavia essa è stata intaccata.

"E' stato forse diviso il Cristo - chiede con espressione drammatica san Paolo ai cristiani di Corinto - oppure è stato crocifisso Paolo per voi?" (1Co 1,13). La croce di Cristo, che salva tutti, è un costante appello al superamento di ogni divisione.

L'opera di Cristo per l'umanità, la sua croce e la missione, da lui affidata alla Chiesa, di fare discepoli e battezzare tutte le genti (cfr. Mt 28,19-20), chiamano tutti i battezzati a tendere alla piena unità nella fede e nella vita sacramentale, superando ogni divisione e frattura.


3. La Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani si celebra sempre più concordemente fra cattolici, ortodossi e protestanti. Essa è diffusa ormai nel mondo intero. Il Signore ascolti questa invocazione unanime e renda fecondi gli sforzi sinceri di studio e di dialogo, che si fanno tra i cristiani per il ristabilimento della piena unità. L'unità resta sempre un dono di Dio, perché essa implica il perdono dei peccati, la purificazione dei cuori, la comunione alla vita divina. Si esige pero anche lo sforzo dell'uomo e la perseveranza in un cammino intrapreso "per grazia dello Spirito Santo" (UR 1).

Di anno in anno, la Settimana di preghiera ci fa constatare, assieme alle difficoltà che ancora permangono, anche buoni progressi verso l'intesa ecumenica. E il cuore si riscalda per la gioia, e lo spirito si rafforza per la speranza. Siano rese grazie a Dio.

Quest'anno il Comitato misto fra i rappresentanti della Chiesa cattolica e del Consiglio ecumenico delle Chiese, che sceglie il tema e prepara i testi per l'annuale preghiera per l'unità, ha fatto notare che si pongono in evidenza "convergenze teologiche notevoli circa la natura dell'unità cristiana, il Battesimo e l'Eucaristia, il ministero e l'autorità nella Chiesa". ciò è fonte di gioia profonda per chiunque crede veramente nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Il faticoso cammino verso l'unità voluta da Cristo per i suoi discepoli diventa così concreta espressione della comune volontà di ubbidire al Signore fino in fondo. In questa prospettiva bisogna perseverare con sempre maggiore intensità nella preghiera, consolidare l'azione ecumenica e rafforzare la tensione verso la piena unità.


4. Le contingenze sempre più inquietanti del nostro tempo, i conflitti armati aperti qua e là nel mondo, i rischi di una catastrofe nucleare, la paura dell'uomo, sempre più minacciato, costituiscono un nuovo stimolo per i cristiani a trovare una riconciliazione piena per portare il loro effettivo contributo ai bisogni dell'uomo.

Il profeta Isaia apre la nostra mente alla visione del monte del tempio del Signore, a cui affluiranno tutte le genti. Allora "forgeranno le loro spade in vomeri, e le loro lance in falci" (Is 2,4). La forza sprecata nell'avversione e nella distruzione sarà adoperata per i veri bisogni della vita.

In cammino verso questa meta "nella luce del Signore" (Is 2,5), fondandosi sul comune Battesimo, i cristiani sin da oggi possono congiungere le loro forze per dare insieme una comune testimonianza di fede nell'azione di servizio a tutto l'uomo e a tutti gli uomini. Le sofferenze del mondo di oggi sono una realtà che ci interroga.

Sempre san Paolo, con il suo discorso vivo, attuale ed esigente, ci dice: "Prendete parte alle necessità dei fratelli" (Rm 12,13). La collaborazione pratica tra i cristiani delle varie confessioni è possibile e ad essa il Concilio Vaticano II conferisce anche una potenza di evangelizzazione: "La cooperazione di tutti i cristiani esprime vivamente quell'unione che già vige tra di loro, e pone in più chiara luce il volto di Cristo servo" (UR 12).

Le iniziative di sensibilizzazione, come quella che si apre oggi nell'ambito di questa Abbazia, sono utili a formare una coscienza di partecipazione e di comunione per le sorti dell'umanità. Ad un livello più generale la Santa Sede ha un Gruppo consultivo con il Consiglio ecumenico delle Chiese sulla collaborazione circa il pensiero e l'azione sociale, il quale è ricco di possibilità in questo campo.


5. Alla vigilia del suo sacrificio sulla croce, Gesù affido al Padre i suoi discepoli e tutti coloro che per le loro parole avrebbero creduto in lui. Egli prego: "Che siano una cosa sola, perché il mondo creda" (Jn 17,21). Domando una unità senza alcuna ombra, una unità piena, totale, vitale. Egli invoco: "Che siano perfetti nell'unità" (Jn 17,23).

Lo sforzo dei cristiani verso la piena unità deve perciò continuare, finché non si giunga alla meta indicata da Gesù Cristo. E occorre perseverare nello studio approfondito delle questioni, che ancora dividono i cristiani, nel dialogo franco e leale, nell'azione congiunta, e in particolare nella preghiera che sostiene, fortifica e orienta.

Il Concilio Vaticano II ha consigliato la preghiera in comune con gli altri cristiani: "Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell'unità" (UR 8).


6. A tutti voi qui presenti, a tutti i battezzati del mondo intero, dico con tutto il cuore: la pace e la grazia di Dio siano sempre con voi! Il Signore sia sempre con noi tutti e ci guidi sulle vie che portano all'unità, affinché per mezzo di essa possiamo portare più efficacemente a tutti gli uomini il Vangelo di amore, di riconciliazione e di pace. Amen.

Data: 1984-01-25 Data estesa: Mercoledi 25 Gennaio 1984




A marinai della Forza di pace in Libano - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La paternità di Dio ci faccia comprendere la fratellanza

Testo:

Cari amici, rivolgo oggi un cordiale benvenuto in Vaticano a tutti voi: ufficiali e marinai della marina degli Stati Uniti di stanza a bordo del vascello USS Kennedy. Sono stato informato del vostro servizio in Medio Oriente, un servizio svolto a diretto contatto con la terribile sofferenza che il Libano sta vivendo.

So che quello che avete sperimentato partecipando ad una missione di pace avrà effetti duraturi sulle vostre vite. Siete stati vicini al male dell'odio e alla sua peggiore espressione che è la guerra. Nello stesso tempo voi avete condiviso il sogno di pace e riconciliazione con tanta gente semplice e onesta e anche il sogno di quell'armonia e fratellanza che trascendono ogni diversità e ogni differenza.

La vostra presenza è stata intesa come un aiuto alla creazione di condizioni atte a favorire la pace. Rispondendo a un invito del Governo libanese, voi e i membri provenienti da altri Paesi della Forza di pace avete tentato di offrire una collaborazione di pace a una zona coinvolta nella guerra.

Sono sicuro che il vostro desiderio di vedere stabilita la pace e la fraterna collaborazione sarà confermato qui a Roma. Voi qui state testimoniando, insieme a tanti pellegrini di ogni parte del mondo, la forza di edificazione che risiede nell'unione dell'unica famiglia umana: la forza di vivere insieme, di lavorare insieme e di guardare insieme in alto al Dio e Padre di tutti noi.

Cari amici, la paternità di Dio ci faccia comprendere sempre meglio la fratellanza dell'uomo e l'armonia e l'amore che devono caratterizzare tutte le relazioni umane. Che l'amore di Dio tocchi oggi i cuori di tutti voi.

Data: 1984-01-25 Data estesa: Mercoledi 25 Gennaio 1984





Ad un seminario di teologia morale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Chiesa in prima linea nella difesa della vita umana

Testo:

Ai miei cari fratelli vescovi degli Stati Uniti, del Canada, dell'America Centrale e dei Caraibi.

E' per me una gioia particolare rivolgervi il mio saluto mentre siete radunati per riflettere ancora una volta sul mistero della vita in Cristo Gesù. So che la grande generosità dei Cavalieri di Colombo ha reso possibile a molti di voi di radunarvi per ascoltare, condividere e riflettere sulle ricchezze della vita vissuta nella grazia di Dio. Questa opportunità, fornita dal Centro papa Giovanni XXIII, è molto rara, non solo perché tutti voi avete impegni pressanti, ma anche perché siete separati l'uno dall'altro da grandi distanze. Spero che valutiate questo tempo che passerete insieme come un'occasione speciale, quale essa infatti è. ciò che state facendo qui non sarà tempo tolto al vostro ministero, ma tempo impiegato a rafforzarlo, poiché, come vescovi, siete stati chiamati a insegnare, santificare e guidare. Non potete fare cosa migliore che dare del vostro tempo e la vostra energia, in questa settimana, per discernere più chiaramente ciò che lo Spirito di Gesù sta insegnando nella Chiesa. La vostra comprensione di quell'insegnamento toccherà direttamente la vostra guida della comunità di fede: quella guida, per volontà e potenza del Signore, avvicinerà a lui il suo popolo, facendo di esso il popolo santo che è chiamato ad essere.

Nel corso dei prossimi giorni, voi studierete vari problemi nel vasto ambito della teologia morale. I molteplici problemi del mondo d'oggi, visti con sempre maggiore urgenza attraverso i moderni mezzi di comunicazione, riceveranno certamente l'attenzione che meritano ed io non cerchero ora di elencarli qui.

Ciononostante, vorrei offrirvi un contesto nel quale, e per mezzo del quale, sarete in grado di penetrare la nube talvolta cupa che ha di tanto in tanto oscurato gli insegnamenti della Chiesa nell'ambito della moralità e della vita cristiana.

Quel contesto non è altro che la persona del Signore Gesù stesso che ha detto: "Io sono la via, la verità e la vita" (Jn 14,6). Le sue parole sono sia un fatto che una promessa: non soltanto egli rappresenta l'unica via alla vita eterna, ma ci dà in pegno la sua stessa grazia, il frutto della Redenzione, quella perenne potenza effusa nel mondo mediante la sua croce e risurrezione. Non dovremmo mai cessare di considerare questa sua grazia: è la sola speranza che abbiamo. Gesù è anche la verità: non una verità arida, sterile, ma una persona, presente nel nostro mondo proprio come lo era nel mondo di duemila anni fa. Quando studiamo teologia morale, noi ci chiediamo: "Che differenza comporta Gesù nella nostra vita?".

E Gesù è la vita. I fatti della sua esistenza storica rendono sempre più chiaro questo fatto centrale: la vita in Cristo Gesù è una vita guidata dalla santità e finalizzata alla santità, perché Dio, sorgente e fine di tutta la vita, è santo.

Più profondamente, dunque, si può dire, si deve dire: la Chiesa è per la vita! Il suo magistero è una realtà viva e attiva. Nei membri della Chiesa, uniti dall'unica fede, sostenuti dalla speranza, e viventi nell'amore, è il Signore Gesù stesso che è vivo nel mondo. Attraverso il Vangelo la Chiesa predica la vita e nei sacramenti celebra la vita: la Chiesa è viva nel Signore! Nessuna meraviglia, dunque, che la vita umana, in tutta la ricchezza della sua esistenza, sia difesa dalla Chiesa come la realtà sacra che in effetti essa è. Il vostro studio della teologia morale approfondirà il vostro apprezzamento della vita. Quando, secondo il vostro ministero nelle Chiese locali affidate alla vostra sollecitudine pastorale, voi guidate il vostro popolo ad onorare, difendere, scegliere la vita in tutte le sue dimensioni, voi lo portate a una sempre più stretta relazione col Dio trino e uno, che è comunità eterna di vita e di amore.

Nel far questo per il vostro popolo, siate certi di non poter rendergli servizio migliore. Mediante il vostro ministero pastorale non potete comunicare niente di più prezioso se non una condivisione della vita della santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo, ai quali sia resa gloria nei secoli dei secoli.

Dal Vaticano, 25 gennaio 1984

Data: 1984-01-25 Data estesa: Mercoledi 25 Gennaio 1984




Alla Sacra Romana Rota - La forza innovatrice del nuovo Codice di Diritto canonico



1. Sono molto lieto di incontrare nella tradizionale circostanza dell'inaugurazione dell'anno giudiziario l'intera famiglia del vostro tribunale: uditori, officiali e collaboratori della Rota Romana.

Ringrazio monsignor Decano per le sue cortesi parole, espressione di profondo attaccamento e di sincera comunione col successore di Pietro di tutto il vostro tribunale, e saluto cordialmente tutti i prelati uditori, gli officiali, gli avvocati e gli studenti del corso rotale.

Questa consueta, solenne inaugurazione dell'anno giudiziario mi offre gradita occasione per rinnovarvi l'espressione della mia stima e per dirvi quanta sia la mia riconoscenza per il prezioso lavoro che svolgete con lodevole solerzia a nome e per mandato di questa Sede Apostolica.

Il vostro nobilissimo ministero di servire la verità nella giustizia si vede avvalorato dalle gloriose tradizioni di codesto tribunale, cui fanno degno riscontro la vostra operosità e la competenza universalmente riconosciuta con la quale svolgete il vostro delicato servizio.

L'ultimo documento del Concilio


2. Il nostro incontro di quest'anno viene segnato da un fatto di particolare ripercussione ecclesiale, che ci impone quasi l'argomento. Circa due mesi fa è entrato in vigore il nuovo Codice di diritto canonico, promulgato il 25 gennaio dell'anno scorso. Frutto di lavoro lungo, paziente e accurato, arricchito da diverse consultazioni dell'episcopato che gli hanno impresso una particolare nota di collegialità, esso rappresenta una guida autorevole per l'applicazione del Concilio Vaticano II, e potrebbe anzi considerarsi, come ho detto in altra occasione, l'ultimo documento conciliare. Promulgandolo, ho formulato l'auspicio che esso: "efficax instrumentum evadat, cuius ope Ecclesia valeat se ipsam perficere secundum Concilii Vaticani II spiritum, ac magis magisque parem se praebeat salutifero suo muneri in hoc mundo exsequendo" ("Insegnamenti di Giovanni Paolo II", VI,1 [1983] 234).

La realizzazione di questo mio auspicio dipende in buona parte da come viene accolta e osservata la nuova legge canonica. Già lo diceva il mio venerato predecessore Paolo VI, parlando ad un Convegno internazionale di canonisti: "Verumtamen addamus oportet, fore ut fructus praestantissimi canonicarum legum recognitarum illo tempore et illo tantum modo percipiantur, quibus leges Ecclesiae convictui et societati Populi Dei revera inserantur. Hoc enim nisi fieret, si leges ecclesiasticae, quamvis accuratissime conscriptae et rectissime dispositae, in hominum usu et consuetudine ignorarentur, aut vocarentur in controversiam, aut respuerentur, vanae, pro dolor, inertes et salubri efficacitate destitutae manerent; atque adeo impulsio ad renovationem, nisi in usu niteretur, ad quem leges essent deductae, infirmaretur vel esset fortasse fluxa et evanida ac procul dubio minus sincera et certa" ("Insegnamenti di Paolo VI", VI [1968] 205).


3. La promulgazione e l'entrata in vigore del nuovo Codice di diritto canonico interessano tutta la Chiesa, naturalmente in misura diversa, secondo la condizione giuridica e soprattutto secondo i diversi compiti e funzioni. Parlando a voi, giudici rotali, vorrei far qualche riflessione sul ruolo e sulla peculiare responsabilità che avete nell'impegno ecclesiale, alla luce di quanto al riguardo stabilisce la nuova legge della Chiesa.

Il vostro ministero di "dicere ius" vi pone istituzionalmente in una stretta e profonda relazione con la legge, al cui dettato dovete ispirarvi, conformando ad esso le vostre sentenze. Voi siete i servitori della legge e, come vi dissi in altra occasione, citando Cicerone, voi siete la stessa legge che parla ("", III,1 [1980] 315). Permettetemi ora di sottolineare qualche altro elemento di ciò che deve caratterizzare il vostro atteggiamento di fronte alla legge.

Conoscere la nuova legge Innanzitutto un impegno speciale per conoscere adeguatamente la nuova legge. Nel delicato momento di pronunciare una sentenza, che può avere ripercussioni molto profonde nella vita e nel destino delle persone, voi avete sempre dinanzi agli occhi due ordini di fattori, di diversa natura, che troveranno pero nella vostra pronuncia l'ideale e sapiente congiunzione: il "factum" e lo "ius". I "fatti", che sono stati accuratamente raccolti nella fase istruttoria e che voi dovete coscienziosamente ponderare e scrutare, arrivando, se fosse necessario, fino alle recondite profondità della psiche umana. E lo "ius", che vi dà la misura ideale o criterio di discernimento da applicare nella valutazione dei fatti. Questo "ius" che vi guiderà, offrendovi parametri sicuri, è il nuovo Codice di diritto canonico. Voi dovete possederlo, non solo nel peculiare settore processuale e matrimoniale, che vi sono tanto familiari, ma nel suo insieme, di modo che possiate averne una conoscenza completa, da magistrati, cioè da maestri della legge quali siete. Questa conoscenza suppone uno studio assiduo, scientifico, approfondito, che non si riduca a rilevare le eventuali variazioni rispetto alla legge anteriore, o a stabilirne il senso puramente letterale o filologico, ma che riesca a considerare anche la "mens legislatoris", e la "ratio legis", così da darvi una visione globale che vi permetta di penetrare lo spirito della nuova legge. Perché di questo in sostanza si tratta: il Codice è una nuova legge e va valutato primordialmente nell'ottica del Concilio Vaticano II, al quale ha inteso conformarsi pienamente.

Fedeltà alle norme giuridiche


4. Alla conoscenza segue quasi spontaneamente la fedeltà, che, come vi dissi nel discorso già ricordato, è il primo e più importante dovere del giudice verso la legge ("", III,1 [1980] 315).

La fedeltà è anzitutto accettazione sincera, leale e incondizionata della legge legittimamente promulgata; la quale, a sua volta, deve essere vista come ponderata espressione del "munus regendi" affidato da Cristo alla Chiesa, e quindi manifestazione concreta della volontà di Dio. Una tale raccomandazione di fedeltà, rivolta a persone che, come voi, sono non solo insigni cultori del diritto, ma che per formazione professione hanno un fondamentale orientamento di adesione alla legge, sembrerebbe del tutto superflua. Due considerazioni tuttavia mi inducono a farla.

La prima deriva dalla particolare situazione di "ius condendum", che abbiamo vissuto per più di vent'anni. In quel periodo era spontaneo, direi quasi doveroso, soprattutto negli intenditori e specialisti, un atteggiamento critico riguardo ai progetti o schemi di legge, di cui rilevavano difetti e lati manchevoli nell'intento di migliorarli. Un simile atteggiamento poteva essere allora molto utile e costruttivo in ordine a una più accurata e perfetta formulazione della legge. Ma oggi, dopo la promulgazione del Codice, non si può dimenticare che il periodo di "ius condendum" è terminato e che la legge, ora, pur con i suoi eventuali limiti e difetti, è una scelta già fatta dal legislatore, dopo ponderata riflessione, e che quindi essa esige piena adesione. Ora non è più tempo di discussione, ma di applicazione.

L'altra considerazione parte pur essa da una motivazione simile. La conoscenza del Codice testé abrogato e la lunga consuetudine con esso potrebbero portare qualcuno a una specie di identificazione con le norme in esso contenute, che verrebbero considerate migliori e meritevoli quindi di nostalgico rimpianto, con la conoscenza di una sorta di "pre-comprensione" negativa del nuovo Codice, che sarebbe letto quasi esclusivamente nella prospettiva dell'anteriore. E ciò non solo per quelle parti che riportano quasi letteralmente lo "ius vetus", ma anche per quelle che oggettivamente sono innovazioni reali.

Questo atteggiamento, anche se psicologicamente molto spiegabile, può spingersi fino ad annullare quasi la forza innovatrice del nuovo Codice, che invece nel campo processuale deve farsi particolarmente visibile. Si tratta, come ben potete comprendere, di un atteggiamento sottilmente insidioso, perché sembra trovare giustificazione nella sana regola di ermeneutica giuridica, contenuta nel CIS 6 del CIC del 1917, e nel principio di continuità legislativa caratteristico del diritto canonico.

La forza interpretativa


5. Nella riforma del diritto processuale canonico ci si è sforzati di venire incontro a una critica molto frequente, e non del tutto infondata, concernente la lentezza ed eccessiva durata delle cause. Accogliendo pertanto un'esigenza molto sentita, senza voler intaccare né diminuire minimamente le necessarie garanzie offerte dall'iter e dalle formalità processuali, si è cercato di rendere l'amministrazione della giustizia più agile e funzionale, semplificando le procedure, snellendo le formalità, accorciando i termini, aumentando i poteri discrezionali del giudice, ecc.

Questo sforzo non dev'essere reso vano da tattiche dilatorie o da mancanza di sollecitudine nello studio delle cause, da un atteggiamento di inerzia che diffida di entrare nel nuovo binario di scorrimento, da imperizia nell'applicazione delle procedure.


6. Un altro aspetto importante della relazione del giudice con la legge ruota attorno all'interpretazione di questa. In senso stretto la vera interpretazione autentica che dichiara il senso generale della legge per tutta la comunità è riservata al legislatore, secondo il noto principio: "unde ius prodiit, interpretatio quoque procedat" (Innocenzo III).

ciò nondimeno al giudice spetta una partecipazione molto rilevante nel fissare il senso della legge. Anzitutto la sentenza rappresenta per le parti un'autentica interpretazione della legge (CIC 16 § 3). Applicandola a quel caso particolare, il giudice fa una interpretazione che, sebbene non abbia valore generale, vincola le parti con la stessa forza della legge.

Ma la forza interpretativa è da riporsi soprattutto nella formazione della giurisprudenza, cioè di quell'insieme di sentenze concordanti che, senza avere l'assolutezza dell'antica "auctoritas rerum perpetuo similiter iudicatarum" ("Dig." I.3; "De legibus" I.38; "Nam Imperator"), ha tuttavia un notevole ruolo nel riempire le eventuali "lacunae legis" (CIC 19).

Il valore della giurisprudenza rotale nella Chiesa è stato sempre notevole, data la scienza ed esperienza dei giudici e l'autorità di cui godono come giudici papali. Il CIC 19 del nuovo Codice la consacra espressamente.

Il diritto matrimoniale


7. Nel nuovo Codice, specialmente in materia di consenso matrimoniale, sono state codificate non poche esplicitazioni del diritto naturale, apportate dalla giurisprudenza rotale. Ma rimangono ancora canoni, di rilevante importanza nel diritto matrimoniale, che sono stati necessariamente formulati in modo generico e che attendono un'ulteriore determinazione, alla quale potrebbe validamente contribuire innanzitutto la qualificata giurisprudenza rotale. Penso, ad esempio, alla determinazione del "defectus gravis discretionis iudicii", agli "officia matrimonialia essentialia", alle "obligationes matrimonii essentiales", di cui al CIC 1095, come pure all'ulteriore precisazione del CIC 1098 sull'errore doloso, per citare solo due canoni.

Queste importanti determinazioni che dovranno essere di orientamento e guida a tutti i tribunali delle Chiese particolari, devono essere frutto di maturo e profondo studio, di sereno ed imparziale discernimento, alla luce dei perenni principi della teologia cattolica, ma anche della nuova legislazione canonica ispirata dal Concilio Vaticano II.


8. E' a tutti noto con quanto ardore e tenacia la Chiesa sostenga, difenda e promuova la santità, la dignità e l'indissolubilità del matrimonio, sovente minacciate e corrose da culture e da leggi che sembrano aver perso l'ancoraggio a quei valori trascendenti, profondamente radicati nella natura umana, che formano il tessuto fondamentale dell'istituzione matrimoniale.

La Chiesa adempie questo compito attraverso il suo continuo Magistero, mediante le sue leggi, e in forma particolare attraverso il ministero della sua potestà giudiziaria, che nelle cause matrimoniali non si può scostare da questi valori, costituendo essi un indispensabile punto di riferimento e un sicuro criterio di discernimento.

Ma la preoccupazione di salvaguardare la dignità e l'indissolubilità del matrimonio, mettendo un argine agli abusi e alla leggerezza che purtroppo si devono frequentemente lamentare in questa materia, non può far prescindere dai reali e innegabili progressi delle scienze biologiche, psicologiche, psichiatriche e sociali; in tal modo, si contraddirebbe il valore stesso che si vuol tutelare, che è il matrimonio realmente esistente, non quello che ne ha solo la parvenza, essendo nullo in partenza.

Ed è qui che deve brillare l'equanimità e la saggezza del giudice ecclesiastico: conoscere bene la legge, penetrandone lo spirito per saperla applicare; studiare le scienze ausiliari, specialmente quelle umane, che permettono un'approfondita conoscenza dei fatti e soprattutto delle persone; e saper, infine, trovare l'equilibrio tra l'inderogabile difesa dell'indissolubilità del matrimonio e la doverosa attenzione alla complessa realtà umana del caso concreto. Il giudice deve agire imparzialmente, libero da ogni pregiudizio: sia dal dover strumentalizzare la sentenza per la correzione degli abusi, sia dal prescindere dalla legge divina o ecclesiastica e dalla verità, cercando solo di venire incontro ad esigenze di una male intesa pastorale.


9. Queste sono, cari fratelli, alcune considerazioni che mi premeva fare, sicuro di trovarvi consenzienti in materia di tanta importanza e gravità, specialmente perché quanto vi ho suggerito lo state già facendo con diligenza degna di ogni lode. Vi esprimo il mio compiacimento, nella piena fiducia che il vostro tribunale continuerà ad orientare nella Chiesa il difficile "munus" di "dicere ius cum aequitate".

A tutti imparto di gran cuore la benedizione apostolica, propiziatrice della divina assistenza sulla vostra fatica ecclesiale.

Data: 1984-01-26 Data estesa: Giovedi 26 Gennaio 1984




Ai Vescovi del Costa Rica in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Gioia e gratitudine ai Vescovi per le abbondanti vocazioni

Testo:

Cari fratelli nell'episcopato.


1. A distanza di qualche mese soltanto dal mio viaggio apostolico in America Centrale e dalla mia indimenticabile permanenza in Costa Rica, provo una gioia profonda nell'accogliervi oggi fraternamente nella Roma di Pietro e Paolo, alla quale siete giunti per realizzare la vostra visita "ad limina".

Come non ricordare in questo momento il mio graditissimo incontro con le folle entusiaste del Costa Rica nel Parco metropolitano della Sabana e con l'infanzia che soffre nell'ospedale nazionale dei bambini? Indimenticabile anche il mio incontro con le anime consacrate nella Cattedrale metropolitana, con le migliaia di giovani che mi hanno accolto nello Stadio nazionale, e anche con i giudici della Corte interamericana dei diritti umani e con le supreme autorità della vostra Nazione. Non dimentico questi e altri momenti il cui ricordo continua ad essere per me molto vivo. perciò vi chiedo fin d'ora di portare a tutti i vostri concittadini il mio saluto cordiale; portate loro anche la mia benedizione e dite loro che il Papa non li dimentica ed eleva a Dio le sue preghiere perché la fede illumini ogni passo del loro pellegrinaggio terreno, perché l'amore li faccia essere e sentire sempre fratelli, e perché la pace prevalga sempre da un confine all'altro della vostra Patria.

Riuniti attorno al successore di Pietro, sul quale Cristo edifico la sua Chiesa e al quale ha affidato la missione di confermare i suoi fratelli, so che attendete da me una parola sulla vita ecclesiale nelle vostre diocesi, che voi pascete in comunione fraterna con me nel nome di Cristo, con la preziosa collaborazione dei vostri sacerdoti, religiosi, religiose e laici impegnati nell'apostolato.


2. Il primo tema sul quale desidero riflettere con voi è quello delle vocazioni.

Condividendo la preoccupazione degli episcopati dell'America Latina di fronte alla cronica scarsità delle vocazioni, ho spesso insistito sul fatto che bisogna impegnarsi perché ogni comunità ecclesiale susciti le sue vocazioni, anche come segno della sua vitalità e maturità.

Con voi, amati Vescovi del Costa Rica, rendo grazie a Dio per le numerose vocazioni sacerdotali e religiose con le quali è benedetta la preghiera che per esse elevano tante anime elette, grazie anche all'opera generosa di coloro che si dedicano alla pastorale vocazionale. Con grande gioia ho saputo che il Seminario centrale di San Iosé durante gli ultimi anni è stato al completo e che per il nuovo corso più di cento giovani, debitamente selezionati, hanno espresso la volontà di entrare nel Seminario maggiore.

Mi dispiace molto pero che a causa della mancanza assoluta di spazio quasi la metà di essi non possa essere ammessa. Vi esorto poi, nel nome della Chiesa, a ricercare soluzioni appropriate perché non si sciupino queste preziose vocazioni. Non vanno risparmiati sforzi volti a far si che questi giovani, una volta preparati convenientemente al sacerdozio, possano rendere il loro servizio in altre diocesi del Paese, del Centroamerica o del continente americano dove scarseggiano gli operai evangelici. Un'adeguata distribuzione del clero è un autentico dovere ecclesiale al quale non potete sottrarvi, anche all'interno delle vostre frontiere.

Vegliate anche con diligenza, affinché la formazione sacerdotale che si imparte, tanto nel Seminario centrale come nell'Istituto teologico intercongregazionale dell'America Centrale, dove si forma il clero religioso, aderisca al Magistero della Chiesa e alle norme emanate dalla Santa Sede e dalla vostra Conferenza episcopale. Ricercate, a tal fine, la collaborazione sincera delle Famiglie religiose.

Desidero esprimervi a questo proposito il mio profondo compiacimento per l'accurata formazione che da alcuni anni state dando, tanto qui a Roma come in altri luoghi, ai sacerdoti ai quali avete affidato la grave responsabilità di preparare le nuove generazioni sacerdotali. Prego Dio perché sempre vi aiuti a portare avanti questa preziosa iniziativa. E attraverso di voi desidero far giungere il mio incoraggiamento e la mia gratitudine agli amati educatori del Seminario centrale, alle religiose e a quanti generosamente consacrano la loro vita per garantire il buon andamento di una istituzione ecclesiale tanto importante. Dio benedica anche coloro che, con spirito encomiabile, lavorano per la promozione delle vocazioni diocesane e religiose, gli organismi internazionali di aiuto e quanti sostengono il lavoro di formazione dei futuri ministri della Chiesa.


3. La mia attenzione si rivolge anche all'importantissimo ambito della famiglia.

Infatti, nel suo provvidenziale disegno, Dio ha voluto fare della famiglia il primo "mondo" dell'uomo, l'ambiente più favorevole perché egli nasca, cresca e raggiunga il suo pieno sviluppo. Tanto è preziosa la famiglia che quando il Figlio, il Verbo del Padre, assume la nostra natura umana, lo fa nel seno della Sacra Famiglia. Il Concilio chiama il nucleo familiare "Chiesa domestica" (LG 11), mentre Medellin riassume il ruolo della famiglia nel suo essere "formatrice di persone, educatrice nella fede e promotrice di sviluppo" (cfr. "Documento sulla famiglia e la demografia").

Puebla, da parte sua, afferma che la famiglia è frutto di "una alleanza di persone unite dalla vocazione amorevole del Padre" (Puebla, 582). perciò io stesso ho detto che "Dio, nel suo mistero più intimo non è una solitudine, ma una famiglia" ("", II,1 [1979] 182).

So che fino ad ora il popolo del Costa Rica ha nutrito sempre una stima profonda per la famiglia cementata dal Sacramento del matrimonio. Ma so anche dei gravi pericoli che la minacciano negli ultimi tempi, come l'aumento delle libere unioni o famiglie incomplete, il crescente numero di divorzi, le sistematiche campagne antinatalità, i timidi ma calcolati tentativi di addormentare le coscienze, perché accettino l'aborto o progetti di legge volti a giustificare la sterilizzazione in condizioni che risultano inammissibili per la Chiesa e la coscienza cristiana.

Spetta a voi, come Pastori, far comprendere a tutti il valore immenso che per la Chiesa e la società rappresenta la famiglia e difenderla con perizia - come so che state facendo - di fronte a ciò che indebolisce o minaccia i suoi valori fondamentali. Vegliate diligentemente perché mediante la catechesi, l'insegnamento religioso, i corsi prematrimoniali, i testi appropriati e l'azione dispiegata attraverso i mezzi di comunicazione sociale, si mantenga o si recuperi la stima e l'apprezzamento per la famiglia cristiana.

Deve contribuire molto a questo importante obiettivo anche la pastorale familiare compiuta dai vostri sacerdoti e dai movimenti di apostolato familiare, ai quali con gioia esprimo il mio appoggio e la mia gratitudine, esortandoli a continuare senza perdersi d'animo in un'opera tanto feconda.


4. La gioventù, porzione maggioritaria del continente latino-americano e che acquisisce sempre maggiore importanza nella vita e missione della Chiesa, è un altro campo di opzione prioritaria nell'opera apostolica. Il richiamo di Puebla all'evangelizzazione presente e futura dell'America Latina, continente della speranza del quale fate parte, richiede l'azione evangelizzatrice dei giovani, soprattutto tra quelli della stessa età e condizione.

Fate in modo, poi, che ad essi si imparta una solida formazione cristiana nelle istituzioni educative, dalla scuola fino all'università e dovunque essi si trovino. Che siano tenuti in gran conto nel momento di elaborare e seguire piani pastorali complessivi o particolari di ogni singola diocesi e che i movimenti apostolici giovanili contino di assistenti in numero sufficiente e ben qualificati, imbevuti di profondo spirito ecclesiale.

L'impegno per la giustizia acquista un'urgenza drammatica nella attuale congiuntura dell'America Centrale e diventa per quei popoli sofferenti segno di credibilità per la Chiesa. perciò è di vitale importanza che a sua difesa e promozione si impegnino anche i giovani cristiani, con criteri inequivocabilmente evangelici, come sono riconosciuti dalla dottrina sociale della Chiesa. Potranno così difendersi dal fascino delle ideologie, alle quali, come ho già detto a Puebla, il cristiano non ha necessità di ricorrere per "amare, difendere e collaborare alla liberazione dell'uomo" ("", II,1 [1979] 203).

Preoccupatevi anche con tutta la Chiesa per il grave deterioramento personale e sociale che rappresenta per la gioventù la perdita dei valori morali, richiamandoli insistentemente all'integrità di vita, alla moralità nei costumi e a fare di Cristo, l'eternamente giovane, il loro modello più perfetto. Sarà questo che darà loro forza ed entusiasmo per "rinnovare le culture che, altrimenti, invecchierebbero" (Puebla, 1169).


5. Un altro punto di non poco interesse nel vostro servizio ecclesiale è quello che si riferisce all'opzione per i poveri. Infatti, fin dal principio la Chiesa si è preoccupata dei poveri secondo una duplice prospettiva: quella dell'amore e della giustizia.

Per amore dei poveri, gli apostoli ordinarono dei diaconi (cfr. Ac 6,1-7), perché attendessero sollecitamente alle loro necessità. Da allora e seguendo il loro esempio, milioni di figli e figlie della Chiesa hanno consacrato la loro vita all'assistenza degli orfani e delle vedove, degli infermi e degli anziani, degli abbandonati, dei carcerati, dei rifugiati, di chi ha bisogno di istruzione umana e religiosa, di quanti sono nel mondo immagine del Cristo sofferente.

Con senso di giustizia, la Chiesa ha denunciato e denuncia lo sfruttamento o l'oltraggio all'uomo, immagine di Dio; e, attraverso il suo richiamo universale alla conversione e alla riconciliazione, cerca di costruire, per quanto può, un mondo più giusto, fraterno e umano per tutti. Essa è cosciente che la preoccupazione per i poveri è un aspetto essenziale della missione della Chiesa, e che perciò nessuno può esimersi da tale responsabilità senza mancare al suo dovere.

Perché, allora, la sollecitudine per i poveri provoca talvolta tensioni tra i cristiani, danneggiando gravemente l'unità e la comunione ecclesiale? Motivazioni diverse ad agire a favore del povero spiegano questo fenomeno deplorevole e pericoloso: perché mentre alcuni desiderano farlo mossi talvolta da ragioni di equivoca implicazione politica e persino ideologica, altri lo fanno partendo dall'esempio e dall'insegnamento di Gesù, illuminati dalla dottrina sociale della Chiesa, per dare soluzioni concrete ai problemi e alle necessità delle persone, dei gruppi e settori meno favoriti.

Per parte vostra, spronate i vostri sacerdoti, religiosi e laici ad impegnarsi in questo modo evangelico ed ecclesiale con i poveri. Allora l'amore di Cristo si farà vivo e operante tra di loro; e la comune sollecitudine per gli indifesi, lungi da indebolire l'unità ecclesiale, la rafforzerà sempre più.

Non è superfluo insistere nuovamente sul fatto che l'opzione per i poveri è un'opzione preferenziale, non esclusiva né escludente, poiché la Chiesa, cosciente del fatto che Dio "vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" (1Tm 2,4), non può escludere dalla sua sollecitudine nessuno dei suoi figli né alcun uomo.


6. In questa prospettiva rimane aperto un vasto campo all'azione dei vostri migliori laici. Vi incoraggio, perciò, ad associarli sempre più all'opera stimolante dell'evangelizzazione integrale. Ad essi principalmente spetta trasformare le strutture temporali secondo il piano di Dio, infondere spirito evangelico nella conduzione politica globale della società e iniettare nelle vene del mondo la linfa vitale del Vangelo.

I vostri sacerdoti devono suscitare questa collaborazione, formando accuratamente le loro coscienze, incoraggiando i loro sforzi e nutrendoli col Pane di vita, l'Eucaristia. La vitalità nuova che ciò comunicherà alle loro parrocchie, irradiandosi a tutte le diocesi, sarà la ricompensa migliore per i loro sforzi.

Che tutti i movimenti apostolici laicali delle vostre diocesi - in particolare i delegati della Parola e i catechisti in alcune di esse -, il cui impegno io ben conosco e benedico, trovino sempre nei ministri consacrati incoraggiamento e orientamento. Sarà il modo migliore di ringraziare il Signore per i diversi carismi che, per l'azione del suo Spirito, e per l'edificazione del Popolo di Dio, concede oggi e sempre alla sua Chiesa.


7. Cari fratelli: prima di concludere, desidero mettere in rilievo, con autentica soddisfazione, l'amore per la pace tanto radicato nel vostro popolo e che lo ha portato a privarsi costituzionalmente dell'esistenza dell'esercito come istituzione permanente nel Paese. Molto significativa è anche la decisione del Costa Rica di mantenersi neutrale nei confronti dei gravi conflitti esistenti nell'area centroamericana.

Voglia Dio che il buon esempio della vostra pacifica Nazione contribuisca a che la pace, anelito supremo degli amati popoli centroamericani, tramuti in realtà le profonde aspirazioni di tanti che oggi soffrono, come vittime innocenti, per gli orrori della guerra, dell'odio e della violenza.

Alla Vergine Maria Regina degli Angeli, patrona della vostra patria, affido questa intenzione insieme alle vostre sollecitudini e speranze pastorali, mentre a voi, alle autorità e a tutti i vostri diocesani, imparto con affetto la mia benedizione apostolica.

Data: 1984-01-26 Data estesa: Giovedi 26 Gennaio 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Celebrazione ecumenica - San Paolo fuori le Mura (Roma)