GPII 1984 Insegnamenti - A due congressi sulla famiglia - Città del Vaticano (Roma)

A due congressi sulla famiglia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Procreazione responsabile: dialogo tra scienza, fede e teologia

Testo:

Cari amici in Cristo.


1. E' una grande gioia per me rivolgere oggi un cordiale saluto ad entrambi i gruppi presenti a questa udienza. Do il benvenuto ai partecipanti al congresso internazionale di filosofia e teologia della procreazione responsabile, organizzato dal Pontificio Istituto per gli studi sul matrimonio e la famiglia e do anche il benvenuto ai partecipanti al secondo Congresso internazionale sulla procreazione responsabile, organizzato dal Centro studi e ricerche sulla regolazione naturale della fertilità dell'università Cattolica del Sacro Cuore.

Sono profondamente lieto che voi siate venuti qui insieme oggi, per dare al mondo una testimonianza unitaria dell'importanza del problema che state studiando. I vostri sforzi congiunti, le vostre scoperte condivise e la collaborazione reciproca al servizio della verità e del benessere dell'umanità, rende onore alle vostre persone e alle vostre vite cristiane. La Chiesa è estremamente grata per ciò che state facendo.


2. In questi giorni del vostro Congresso voi avete instaurato un dialogo tra scienza, etica e teologia su un tema di decisiva importanza; la procreazione responsabile. Questo dialogo risponde ad un'urgente necessità del nostro tempo, una necessità riconosciuta dagli scienziati stessi: la necessità che la conoscenza scientifica e le sue applicazioni siano intimamente guidate dall'etica. Questa "guida dell'etica" non toglie nulla, naturalmente, all'indipendenza epistemologica della conoscenza scientifica. Piuttosto, essa assiste la scienza nell'adempimento della sua più profonda vocazione che è il servizio alla persona umana. Ogni conoscenza della verità - inclusa la verità scientifica - è un bene per la persona umana e per tutta l'umanità. Ma, come sapete, la verità conosciuta attraverso la scienza può essere usata dalla libertà umana per scopi che sono opposti al bene dell'uomo, il bene che l'etica conosce. Quando, in una civiltà, la scienza si separa dall'etica, l'uomo viene continuamente esposto a gravi rischi. L'amore per la persona umana deriva da una visione della verità dell'uomo, della sua dignità e del suo incomprensibile valore. Questa verità e dignità sono eterne, perché la persona è chiamata alla visione beatifica di Dio stesso.


3. Voi scienziati qui presenti avete concentrato la vostra ricerca su un punto preciso; la conoscenza dei periodi fecondi e infecondi nel ciclo della donna, al fine di scoprire metodi diagnostici capaci di stabilirli con certezza. ciò che ho appena detto trova qui un'applicazione particolarmente importante. Infatti, questa conoscenza e i metodi ad essa connessi possono anche essere usati per fini moralmente illeciti. E' su questo punto che deve aver luogo l'incontro con l'etica e la teologia. Grazie alla vostra esperienza e alla vostra preparazione voi potete rendere un contributo molto valido in questo campo.

L'etica filosofica e teologica assume la conoscenza scientifica cosicché quest'ultima diviene la via per la quale la libertà della persona umana realizza la procreazione responsabile. Soltanto in questo modo le coppie sposate, possedendo la conoscenza necessaria, realizzano un'"armonizzazione" di tutte le dimensioni della loro umanità, e salvaguardano la verità integrale dell'amore sponsale. Voi siete consapevoli che ognuno di voi - scienziato, filosofo e teologo - secondo la propria competenza, tende allo stesso obiettivo: il valore morale della procreazione responsabile, e ciascuno completa gli altri, in una precisa gerarchia.

L'esperienza che state compiendo in questi giorni deve continuare.

L'insegnamento dei metodi naturali è estremamente vitale per il bene umano e cristiano di tante coppie, e perciò non dev'essere mai qualcosa di meramente tecnico. Deve essere radicato nella vera scienza e in una visione completa della persona umana.


4. Nei vostri congressi voi avete giustamente dedicato ampio spazio alla riflessione antropologica, sia filosofica che teologica. Al fondo infatti tutti i problemi che avete discusso e discuterete rimandano a quest'unica domanda: chi è l'uomo?, l'uomo nell'unità del suo essere personale, nella verità del suo rapporto con Dio, nel bene del rapporto sponsale. Quando non è chiara la risposta a questa domanda, l'etica del matrimonio è privata della sua base. D'altra parte, la piena verità della creazione e della redenzione è una luce infinitamente luminosa che pone l'etica del matrimonio nella giusta prospettiva.

La vostra opera è perciò al servizio della persona umana, in una civiltà che ha spesso sostituito il criterio di ciò che è buono col criterio di ciò che è utile. Impegnatevi a compiere questo servizio in grande unità fra voi stessi, con coraggio, perché la verità e il bene sono più forti dell'errore e del male,


5. Desidero richiamare la vostra attenzione in modo particolare sulle implicazioni pastorali dei vostri studi sulla procreazione responsabile e sulla vostra promozione dei metodi naturali di pianificazione familiare. Lo studio teologico è basilare perché "la pedagogia concreta della Chiesa deve essere sempre connessa e non mai separata dalla sua dottrina" (FC 33). Inoltre, questo studio conduce a una più chiara comprensione che la pianificazione naturale della famiglia non è in se stessa un fine ma è una delle molte dimensioni della sollecitudine pastorale della Chiesa per le coppie sposate. La riflessione teologica è anche un grande bene per le molte zelanti coppie sposate che dedicano generosamente il loro tempo e le loro energie, spesso a costo di sacrifici personali, ai programmi di insegnamento dei metodi naturali. Queste coppie infatti non sono impegnate in un'attività privata, ma i loro sforzi, uniti a quelli dei pastori della Chiesa, sono parte della responsabilità pastorale della Chiesa di infondere convinzioni e offrire aiuto pratico a tutte le coppie sposate affinché esse possano vivere la loro paternità e maternità in modo autenticamente cristiano e responsabile (cfr. FC 35). La promozione e l'insegnamento dei metodi naturali è, dunque, un'autentica sollecitudine pastorale, che implica la cooperazione da parte dei sacerdoti e dei religiosi, specialisti e coppie sposate, che collaborano tutti col vescovo della Chiesa locale e ricevono aiuto e assistenza da lui.

Nel vostro lavoro con le coppie sposate, vi esorto a mantenere una particolare sensibilità per i loro bisogni, la loro fedeltà alla Chiesa e i sacrifici che essi compiono generosamente per la proclamazione del messaggio del Signore nel e attraverso il loro amore coniugale e la loro vita familiare. La Chiesa non afferma che la paternità e la maternità responsabile sono cosa facile, la grazia del sacramento del matrimonio dà alle coppie cristiane una disponibilità e una capacità di vivere i loro impegni con fedeltà e gioia. Nello stesso tempo, l'uso dei metodi naturali dà alla coppia un'apertura alla vita, che è veramente un dono splendido della bontà di Dio. Li aiuta inoltre ad approfondire la loro comunicazione coniugale e ad avvicinarsi l'uno all'altro in unità, in una vicinanza che dura per tutta la vita.


6. Dobbiamo anche essere convinti che è provvidenziale che esistano vari metodi naturali per la pianificazione familiare in modo da incontrare le necessità delle diverse coppie. La Chiesa non dà approvazione esclusiva ad alcun metodo naturale, ma invita a che tutti possano essere resi disponibili e possano essere rispettati.

La ragione ultima di ogni metodo naturale non è semplicemente la sua efficacia o attendibilità biologica ma la sua coerenza con la visione cristiana della sessualità espressiva dell'amore coniugale. La sessualità infatti riflette il più intimo essere della persona umana come tale e si realizza in modo veramente umano soltanto se è parte integrante dell'amore, col quale un uomo e una donna si impegnano totalmente l'uno con l'altro fino alla morte (cfr. FC 11).

In questi sforzi pastorali, allora, è importante che i vari gruppi per la pianificazione naturale della famiglia lavorino insieme e condividano la loro ricerca e i loro studi al fine di manifestare un'unità di intenti e di impegno. In questo modo la Chiesa sarà meglio in grado di presentare al mondo i valori dei metodi naturali e ridurre quella forte sottolineatura data alla contraccezione, alla sterilizzazione e all'aborto che spesso incontriamo nel mondo. Al cuore di questo lavoro per la pianificazione naturale della famiglia deve esserci una visione cristiana della persona umana e la convinzione che le coppie sposate possano realmente raggiungere, con la grazia di Dio e l'impegno per i metodi naturali, un'unità coniugale più forte e profonda: l'unità, il rispetto reciproco e l'autocontrollo, che sono raggiunti nella pratica della pianificazione naturale della famiglia.

Vi ringrazio ancora una volta per tutto ciò che state facendo nel campo della pianificazione naturale della famiglia e, più in generale, nella promozione di atteggiamenti che a loro volta influenzano l'educazione dei giovani all'amore umano. Il benessere della famiglia e della società è intimamente legato ai vostri sforzi e al vostro successo.

Affido tutti voi a Maria, la Madre del Verbo incarnato, chiedendole di assistervi nella vostra difesa della vita e nel vostro servizio al vero amore.

Data: 1984-06-08 Data estesa: Venerdi 8 Giugno 1984




Per la Giornata missionaria mondiale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Valorizzare la sofferenza come strumento di evangelizzazione

Testo:

Fratelli e sorelle carissimi! "Il sangue dei martiri è seme di cristiani" (Tertulliano, "Apologeticus", 50: PL 1, 534).

Durante il mio recente viaggio apostolico in Estremo Oriente ho avuto la gioia di canonizzare centotré confessori della fede cattolica che, evangelizzando la Corea con l'annuncio del messaggio di Cristo, hanno avuto il privilegio di attestare col supremo olocausto della loro vita terrena la certezza della vita eterna nel Signore risorto.

Tale circostanza mi ha suggerito alcune riflessioni che desidero sottoporre all'attenzione di tutti i fedeli per la prossima Giornata missionaria mondiale.


1. Valore redentivo della croce. - In realtà, le Lettere e gli Atti degli apostoli confermano che è una grazia speciale quella di poter soffrire "pro nomine Iesu".

Leggiamo ad esempio come gli apostoli "se ne andarono... lieti di essere oltraggiati per l'amore del nome di Gesù" (Ac 5,41), in perfetta aderenza a quanto il Redentore aveva proclamato nel discorso della montagna: "Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate..." (Mt 5,11).

Cristo stesso ha attuato la sua opera redentrice dell'umanità soprattutto attraverso la passione dolorosa e il martirio più atroce, additando altresi la via ai suoi seguaci: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 10,24). L'amore passa quindi, inevitabilmente, attraverso la croce e in questa esso diviene creativo e sorgente inesauribile di forza redentiva. "Voi sapete" scrive san Pietro "che non a prezzo di cose corruttibili come l'argento e l'oro foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma col sangue prezioso di Cristo come di agnello senza difetto e senza macchia" (1P 1,18-19 cfr. 2Co 6,20).

Lo abbiamo meditato profondamente, questo mistero straordinario dell'amore divino, nell'Anno Santo della Redenzione da poco concluso. Lo hanno meditato e vissuto nell'intimo del loro cuore milioni di fedeli, molti dei quali accorsi a Roma a rinnovare la loro professione di fede sulle tombe degli apostoli, che per primi hanno condiviso il martirio del Maestro. Fede che già trova una sua prima attestazione ai piedi della croce nelle parole del centurione e di coloro che facevano la guardia a Gesù: "Davvero costui era Figlio di Dio" (Mt 27,54).

Da quell'evento cruciale per la storia umana gli apostoli e i loro successori hanno continuato, nel corso dei secoli, ad annunziare la morte e la risurrezione di Cristo, unico nostro Salvatore: "In nessun altro c'è salvezza; non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (Ac 4,12). Ma è stata in modo particolare la testimonianza della sofferenza fino all'estremo limite, offerta sia da Cristo come dai suoi seguaci, che ha aperto la mente e il cuore degli uomini alla conversione al Vangelo: testimonianza di amore supremo; difatti "nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Jn 15,13).

Ed è questa la testimonianza che schiere di martiri e di confessori hanno sofferto nel tempo, rendendo possibile con il loro sacrificio e la loro immolazione il sorgere e il fiorire delle varie Chiese - come quella coreana cui accennavo all'inizio - e fecondando col loro sangue nuove terre per trasformarle in campi ubertosi del Vangelo; infatti "se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore produce molto frutto" (Jn 12,24).

Questi eroi della fede hanno ben compreso e attuato il concetto fondamentale - da me espresso nella lettera sul senso cristiano della sofferenza umana - secondo il quale se Cristo ha operato la redenzione dell'umanità con la croce e ha sofferto al posto dell'uomo e per l'uomo, ogni uomo "è chiamato a partecipare a quella sofferenza per mezzo della quale ogni umana sofferenza è stata anche redenta. Operando la redenzione mediante la sofferenza Cristo ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di redenzione. Quindi anche ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo" ("Salvifici Doloris", 19).


2. La sofferenza, prezioso strumento di evangelizzazione. - Mi sembra risultino evidenti le implicazioni missionarie di quanto ho esposto. Vorrei pertanto, in questo Messaggio per la Giornata missionaria 1984, esortare vivamente tutti i fedeli a valorizzare il dolore nelle sue molteplici forme, unendolo al sacrificio della croce per l'evangelizzazione, cioè per la redenzione di quanti ancora non conoscono il Cristo.

Sono ancora milioni i fratelli che non conoscono il Vangelo e non godono degli immensi tesori del cuore del Redentore. Per loro il dolore non ha spiegazione sufficiente; è l'assurdo più opprimente e inesplicabile che contrasta tragicamente con l'aspirazione dell'uomo alla felicità totale.

Soltanto la croce di Cristo proietta un raggio di luce su questo mistero; soltanto nella croce l'uomo può trovare una valida risposta all'angoscioso interrogativo che scaturisce dall'esperienza del dolore. I santi lo hanno compreso profondamente e hanno accettato, e talvolta anche desiderato ardentemente, di essere associati alla passione del Signore, facendo proprie le parole dell'apostolo: "Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo in favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1,24).

Invito pertanto tutti i fedeli che soffrono - e nessuno rimane esente dal dolore - a dare questo significato apostolico e missionario alle loro sofferenze.

San Francesco Saverio, patrono delle missioni, nel suo zelo di evangelizzatore, diretto a portare il nome di Gesù fino ai confini della terra, non ha esitato ad affrontare ogni sorta di fatiche: fame, freddo, naufragi, persecuzioni, malattie; solo la morte ha interrotto la sua corsa.

Santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni, prigioniera di amore nel Carmelo di Lisieux, avrebbe voluto percorrere il mondo intero per piantare la croce di Cristo in ogni luogo. "Vorrei - ella scrive - essere missionaria non soltanto per qualche anno, ma vorrei esserlo stata fin dalla creazione del mondo ed esserlo fino alla consumazione dei secoli" ("Storia di un'anima", Manoscritto B, f. 3r). E ha concretizzato l'universalità e l'apostolicità dei suoi desideri nella sofferenza chiesta a Dio e nell'offerta preziosa di se stessa quale vittima volontaria all'amore misericordioso.

Sofferenza che raggiunse il culmine e insieme il più alto grado di fecondità apostolica nel martirio dello spirito, nel travaglio dell'oscurità della fede, offerto eroicamente per ottenere la luce della fede a tanti fratelli ancora immersi nelle tenebre.

La Chiesa, additandoci questi due fulgidi modelli, ci invita non solo alla riflessione ma anche all'imitazione.

Possiamo pertanto collaborare attivamente alla dilatazione del regno di Cristo e allo sviluppo del suo corpo mistico in una triplice direzione: 1) imparando a dare alla nostra propria sofferenza il suo scopo più autentico, che si radica nel dinamismo della partecipazione della Chiesa all'opera redentrice di Cristo; 2) invitando i nostri fratelli sofferenti nello spirito e nel corpo a comprendere questa dimensione apostolica del dolore e a valorizzare conseguentemente le loro prove, le loro pene, in senso missionario; 3) facendo nostro, con carità inesauribile, il dolore che quotidianamente colpisce tanta parte dell'umanità, travagliata dalle malattie, dalla fame, dalle persecuzioni, privata dei fondamentali e inalienabili diritti, quali la libertà; umanità dolente, nella quale si deve discernere il volto di Cristo, "uomo dei dolori", e che noi dobbiamo cercare di alleviare come meglio ci è possibile.


3. La valorizzazione della sofferenza: un programma per le Pontificie opere missionarie. - Questo programma, ampio e completo, richiede in tutti i fedeli una generosa disponibilità. Desidero proporlo a tutti i cristiani, ricordando nuovamente come ogni battezzato è e deve essere, sia pure in diversa misura e maniera, missionario (cfr. AGD 36; Codice di diritto canonico, CIC 781).

Lo affido in modo speciale alle Pontificie opere missionarie, che sono lo strumento privilegiato del dinamismo missionario della Chiesa e che non solo nella specifica Giornata mondiale, ma nel corso di tutto l'anno devono promuovere lo spirito missionario, elemento non già marginale ma essenziale della natura del corpo mistico.

L'opera della Propagazione della fede, l'Opera di san Pietro apostolo per i seminari e le vocazioni sacerdotali e religiose nelle terre di missione, l'Opera della santa infanzia, l'Unione missionaria dei sacerdoti, religiosi, religiose e istituti secolari, costituiscono altrettanti strumenti, collaudati da decenni di esperienze, per la promozione missionaria nei diversi settori.

So bene come queste benemerite opere, oltre a raccogliere i mezzi economici offerti dalla generosità dei fedeli - mezzi indispensabili per la realizzazione di chiese, seminari, scuole, asili, ospedali - attuino un'intensa opera di animazione missionaria. Anche la valorizzazione della sofferenza a scopo missionario, che ho voluto proporre alla speciale considerazione di tutto il popolo di Dio per la Giornata missionaria 1984, costituisce una delle più nobili espressioni del loro apostolato che ha suscitato pronta adesione tra gli ammalati, gli anziani, gli abbandonati, gli emarginati, come anche tra i carcerati.

Ma bisogna fare di più. Sono tante, infatti, le - sofferenze umane che non hanno ancora trovato la loro sublime finalità e il loro sbocco apostolico, dal quale può derivare un bene immenso per il progresso dell'evangelizzazione, per la dilatazione del corpo mistico di Cristo.

E' questa la forma forse più alta di cooperazione missionaria, poiché essa raggiunge la sua massima efficacia proprio nell'unione delle sofferenze degli uomini con il sacrificio di Cristo sul Calvario, rinnovato incessantemente sugli altari.

Carissimi fratelli e sorelle, che soffrite nell'anima e nel corpo, sappiate che la Chiesa fa affidamento su di voi, il Papa conta su di voi perché il nome di Gesù sia proclamato fino ai confini della terra. Vorrei ancora ricordare quanto ho scritto nella lettera sul senso cristiano della sofferenza umana: "Il Vangelo della sofferenza viene scritto incessantemente, e incessantemente parla con le parole di questo strano paradosso: le sorgenti della forza divina sgorgano proprio in mezzo all'umana debolezza. Coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo conservano nelle proprie sofferenze una specialissima particella dell'infinito tesoro della redenzione del mondo, e possono condividere questo tesoro con gli altri. Quanto più l'uomo è minacciato dal peccato, quanto più pesanti sono le strutture del peccato che porta in sé il mondo d'oggi, tanto più grande è l'eloquenza che la sofferenza umana in sé possiede. E tanto più la Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mondo" ("Salvifici Doloris", 27).

Maria, "Regina martyrum" e "Regina apostolorum", risvegli in tutti il desiderio di essere associati alla passione di Cristo redentore universale.

In questa domenica di Pentecoste, che deve essere vissuta in spirito missionario da tutta la Chiesa, sono lieto di impartire la mia speciale benedizione apostolica a quanti, direttamente o indirettamente, spendono le loro energie e i loro dolori per comunicare all'umanità la luce del Vangelo.

Dal Vaticano, 10 giugno 1984

Data: 1984-06-10 Data estesa: Domenica 10 Giugno 1984




Durante il conferimento della Cresima - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Andate dunque e proclamate le "grandi opere del Signore"

Testo:


1. Ecco "è giunto il giorno della Pentecoste" (cfr. Ac 2,1). Col pensiero e col cuore siamo nel cenacolo di Gerusalemme; li infatti si trovavano in questo giorno gli apostoli e i discepoli di Cristo, perseveranti nella preghiera insieme con Maria, sua madre.

Nella lettura del Vangelo secondo san Giovanni, la Chiesa ci conduce nello stesso cenacolo la sera del giorno della risurrezione. Anche allora i discepoli erano li riuniti a porte chiuse "per timore dei Giudei" (Jn 20,19).

Erano ancora recenti gli eventi del venerdi santo. Tuttavia già dal mattino era giunta la notizia della tomba vuota, ed era stata pronunciata l'inconcepibile parola: "E' risorto" (Mt 28,6).

La liturgia della Pentecoste ci conduce al cenacolo nel giorno della risurrezione, poiché in questo giorno - già in questo giorno! - è stato dato agli apostoli lo Spirito Santo. Già in tale giorno è iniziata la Pentecoste.

Cristo entro a porte chiuse, saluto gli apostoli con le parole: "Pace a voi!" (Jn 20,19), mostro loro i segni della sua passione sulle mani, sui piedi e nel costato, e infine disse: "Ricevete lo Spirito; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Jn 20,22-23).

Gli apostoli hanno ricevuto lo Spirito Santo, per accogliere con la sua forza la missione redentiva e salvifica di Cristo: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" (Jn 20,21).


2. Ricordando questo evento del giorno e della sera della risurrezione di Cristo, non possiamo resistere al bisogno di elevare un particolare ringraziamento.

La solennità della risurrezione del Signore, il 22 aprile, ha chiuso il Giubileo straordinario dell'Anno della Redenzione. Oggi, giorno di Pentecoste, dobbiamo ringraziare in modo speciale per quest'anno, per tutto questo santo tempo di più profonda riconciliazione con Dio. Per tutto ciò di cui si è resa partecipe la Chiesa che è in Roma, e anche in tutto l'orbe terrestre.

Rendiamo grazie perché durante l'Anno Giubilare della Redenzione sono risuonate nuovamente le parole: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi...". Perché queste parole sono state ascoltate da tanti vescovi e sacerdoti della Chiesa. Perché sono state ascoltate da vaste porzioni del popolo di Dio in tutto il mondo. Perché si è ravvivato il bisogno della riconciliazione sacramentale con Dio.

Ti ringraziamo, Spirito di verità! Ti ringraziamo, Consolatore, perché hai avvicinato a noi il mistero delle mani, dei piedi e del costato trafitti di Cristo. Perché hai nuovamente avvicinato a noi la profondità e la potenza del mistero della redenzione.


3. Oggi, che è giunto il giorno di Pentecoste, siamo in spirito intorno al cenacolo, che all'improvviso si apri a tutti gli uomini riuniti allora in Gerusalemme in occasione della festa. Siamo là, così come lo erano in quel giorno "Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi..." (Ac 2,9-11).

Tutti si domandavano con grande stupore e meraviglia: "Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?" (Ac 2,7-8).

Si. Erano Galilei quegli apostoli che, all'improvviso, il giorno della Pentecoste, "furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi" (Ac 2,4). Si. Erano Galilei. Ancora al sorgere di quel giorno rimanevano chiusi nel cenacolo, finché "venne all'improvviso dal cielo un rombo... e riempi tutta la casa dove si trovavano" (Ac 2,2) e apparvero lingue di fuoco sopra il capo di ciascuno di essi.

Avvenne ciò che il Signore risorto aveva annunciato loro mentre andava al Padre.

La Chiesa ebbe inizio sulla croce dal suo costato aperto. Il giorno della risurrezione la Chiesa venne manifestata agli apostoli stessi insieme alla potenza dello Spirito Santo, che avevano ricevuto. Nel giorno della Pentecoste la Chiesa si è rivelata al mondo e ha iniziato ad esistere come la comunità universale del popolo di Dio.

Oggi le lingue, molto più numerose ancora, in tutto l'orbe terrestre confermano la potenza dello Spirito-Consolatore nella nascita della Chiesa, avvenuta il giorno della Pentecoste a Gerusalemme. I successori degli apostoli e i confessori del Cristo risorto annunziano "le grandi opere di Dio" in tutte le lingue del mondo umano.


4. "...Nessuno può dire: "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo" (1Co 12,3). Non lo potevano dire nemmeno essi, i primi, gli apostoli riuniti nel cenacolo il giorno della risurrezione. Solamente dopo aver ricevuto lo Spirito Santo - per così dire - dalle mani stesse del Risorto, venne loro, insieme a questo dono, la piena luce della fede e la sua piena potenza.

Si: "Gesù è Signore". così nel giorno della Pentecoste. Davanti agli abitanti di Gerusalemme e ai pellegrini di diversi Paesi, riuniti, pieni della stessa luce e potenza, cominciarono a proclamare pubblicamente: "Gesù è Signore".

E il primo a proclamarlo fu Pietro.

E da questa divina sorgente, in seguito alla parola dell'annuncio apostolico, venne il Battesimo, che ricevettero coloro che ascoltavano. Tutti "sono stati battezzati in un solo Spirito, per formare un solo corpo... Tutti si sono abbeverati a un solo Spirito" (cfr. 1Co 12,13). Essi sono anche la prima generazione di cristiani, di coloro che grazie alla potenza dello Spirito Santo hanno creduto e confessato: "Gesù è Signore".


5. Quante generazioni sono passate su questa terra sin da quel primo giorno, sin dalla Pentecoste di Gerusalemme? La notte della vigilia di Pasqua, qui, in questa stessa basilica di San Pietro, si sono aggiunti a essi i neo-battezzati di diversi Paesi e continenti. E contemporaneamente altri, in tanti luoghi del globo terrestre.

E oggi, nel medesimo luogo, voi già battezzati, giovani cristiani di Roma o provenienti da varie parti d'Italia, vi accostate al sacramento della Confermazione. Esso porta un tale nome, perché per opera dello Spirito Santo conferma e consolida in ognuno di voi ciò che il Battesimo ha iniziato.

Mediante il sacramento della Confermazione o Cresima ciascuno di voi con tanta maggior forza di convinzione desidera confessare: "Gesù è Signore". E non solo confessare col pensiero e col cuore, ma anche trasmettere agli altri e annunziare davanti al mondo, sia con la parola, sia con il modo di agire: "Gesù è Signore".

Tale sacramento imprime un segno particolare nell'anima del cristiano.

Esso è anche base e fonte di ogni apostolato. Rende ognuno di noi simile a coloro che il giorno della Pentecoste sono usciti dal cenacolo di Gerusalemme: cioè agli apostoli. "La vocazione cristiana è per sua essenza vocazione all'apostolato", come insegna il Concilio Vaticano II.


6. Che cosa vuol dire: "Gesù è il Signore"? - Ascoltiamo che cosa dice Pietro su questo tema il giorno della Pentecoste: Gesù Cristo: colui che "fu consegnato... inchiodato sulla croce per mano degli empi,... ucciso... Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere..."; non era possibile... (Ac 2,23-24).

Egli è il Signore della sua propria morte. L'ha accettata spontaneamente, al fine di dare la propria vita per la salvezza del mondo. Dando la vita - mediante la morte - ha rinnovato la vita. L'ha iniziata di nuovo nella storia dell'uomo. Fece si che le anime umane potessero nuovamente partecipare all'albero della vita.

La sua croce è diventata quest'albero. Ed esso nasconde in sé il mistero della vita eterna di Dio. così dunque: nella sua risurrezione Gesù, il Signore della morte, è diventato il Signore della vita. Come Signore della vita si presento in mezzo agli apostoli e diede loro lo Spirito Santo. Disse: "Ricevete".

Voi, che oggi, per il tramite del retaggio apostolico della Chiesa, ricevete lo Spirito Santo nel sacramento della Cresima, andate nel mondo, forti di questa certezza che "Gesù è Signore". Questa certezza trasforma l'uomo e lo aiuta ad andare incontro a tutte le esperienze e le fatiche dell'esistenza terrena.

Andate dunque voi, come tanti altri prima di voi, e nel linguaggio dei nostri tempi, davanti agli uomini del XX e del XXI secolo, proclamate le "grandi opere del Signore".

La pienezza di queste opere è Gesù Cristo. Egli è il Signore.

Data: 1984-06-10 Data estesa: Domenica 10 Giugno 1984




Recita del Regina coeli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Invito a pregare per il viaggio apostolico in Svizzera

Testo:


1. "Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra".

Nella solennità della Pentecoste la Chiesa prega per tutto il creato: "Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! La terra è piena delle tue creature" (Ps 103,24).

Tra le creature della terra c'è l'uomo, creato a immagine e somiglianza del Creatore. In tutto il creato è impresso il segno dello Spirito creatore: onnipotenza e amore dell'eterno. Nell'uomo questo segno è particolare: egli solo tra il mondo visibile è fatto a immagine e somiglianza del Dio invisibile.

Nella solennità della Pentecoste la Chiesa ricorda il settimo giorno della creazione, in cui il Creatore vide che tutto quello che aveva creato era cosa buona - e insieme con l'uomo - "era cosa molto buona" (Gn 1,24-31).


2. Eppure il creato è sottomesso alla distruzione e alla morte. Eppure l'uomo ha iscritto nella sua storia, quasi dall'inizio stesso, la tragica realtà del peccato. Forse la nostra generazione, più che mai ora, vede quanto sono minacciati l'uomo e la terra, patria degli uomini.

La Chiesa, nel giorno della Pentecoste, ricorda la morte che fa "ritornare in polvere" l'uomo e le altre creature della terra e, quindi, con la stessa certezza della fede grida: "Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra". Quanto più importante è la minaccia dell'uomo e del mondo, tanto più fervido è il grido della Chiesa.


3. così prega la Chiesa mediante il cuore della Vergine Immacolata: Madre di Cristo crocifisso e risorto.

Lo Spirito Santo è sceso su di lei. Su di lei prima di tutti. In lei si è iniziato "il rinnovamento della terra". Lei porta in sé l'inizio del mondo migliore ("initium mundi melioris"). A lei dirigiamo, nel giorno della Pentecoste, il nostro saluto pasquale. Ella, Maria, persevera con noi in preghiera, persevera in preghiera con la Chiesa.

[Dopo la preghiera, alla Croce rossa italiana:] Un particolare saluto desidero rivolgere a tutti gli appartenenti alle forze volontarie della Croce rossa italiana, che hanno promosso in questi giorni opportune manifestazioni per celebrare il 120° anniversario di fondazione del benemerito sodalizio, che è stato sempre attivamente presente, con persone e con mezzi, là dove prevalgono sofferenze, malattie e calamità. Mentre esprimo il mio sincero apprezzamento per quanto la Croce rossa italiana ha operato in questi 120 anni, auspico che essa, in sintonia con il suo glorioso passato e nello spirito della sua normativa statutaria, ispirata al messaggio evangelico di carità e di fraternità universale, continui a portare generosamente aiuto, conforto, solidarietà e pace a tutti quelli che si trovano nel dolore, nella sventura e nel bisogno. Con tale auspicio invoco sui membri della Croce rossa italiana la protezione del Signore e imparto una speciale benedizione apostolica, segno della mia sentita stima.

[A un gruppo di emigranti in Svizzera:] Saluto altresi il gruppo di emigrati in Svizzera della provincia di Treviso, aderenti all'Associazione Trevisani nel mondo. Vi ringrazio per la vostra partecipazione a questo incontro mariano e vi auguro che il vostro soggiorno al centro della cristianità sia per voi non solo occasione di arricchimento culturale, ma anche e soprattutto di crescita nella vostra vita cristiana. Come è noto, martedi prossimo, mi rechero, a Dio piacendo, in Svizzera, per una visita pastorale, la quale avrà anche una dimensione ecumenica. Invito tutti a pregare perché il Signore, per l'intercessione della Beata Vergine, che venerero in particolare nel santuario di Einsiedeln, voglia coronare con abbondanti frutti spirituali gli incontri che avro con i fratelli e le sorelle di quella nobile nazione.

[Per le vittime del Punjab:] In questi giorni si sono susseguite notizie di avvenimenti sempre più gravi nello Stato del Punjab, in India. Tragici fatti che fanno registrare il triste bilancio di alcune centinaia di vittime e non paiono, purtroppo, aver trovato ancora fine. Non è mio desiderio entrare nei delicati e complessi motivi che sono all'origine di questi turbamenti in un grande Paese che è crogiolo di razze e di antiche culture, per lo più vivificate da un acuto senso religioso. Ma rattrista il fatto che il luogo dove tante persone hanno trovato tragica morte sia un tempio, dove gli uomini sogliono raccogliersi in preghiera. Sgorga immediato un sentimento di umana pietà per tutte le vittime, accompagnato dall'invocazione perché in una mutua comprensione possa trovarsi la via per comporre l'attuale contesa.

Data: 1984-06-10 Data estesa: Domenica 10 Giugno 1984





GPII 1984 Insegnamenti - A due congressi sulla famiglia - Città del Vaticano (Roma)