GPII 1984 Insegnamenti - Ad un congresso di broncologia - Città del Vaticano (Roma)

Ad un congresso di broncologia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ciascuno di noi è chiamato ad essere il buon samaritano

Testo:

Signor presidente, signore e signori.

Sono molto lieto di darvi oggi il benvenuto in Vaticano e di avere questa opportunità di incontrarvi durante il quarto Congresso mondiale di broncologia.

La vostra visita al Papa nell'ambito del vostro congresso manifesta da parte vostra un'acuta consapevolezza della dimensione spirituale e religiosa della persona umana che è la beneficiaria della vostra conoscenza scientifica. Per me è un'opportunità per riaffermare quanto ho scritto nella mia recente lettera apostolica sulla sofferenza umana, che cioè "buon samaritano è colui che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo qualunque essa sia" ("Salvifici Doloris", 28). Qui sta la ragione della profonda gratitudine della Chiesa per tutto ciò che state facendo nella lotta per alleviare e guarire la malattia.

Oggi ho l'opportunità di incoraggiarvi nella vostra ricerca scientifica nell'ambito della broncologia. Il vostro attuale congresso è il quarto di una serie che è iniziata a Tokyo nel 1978 sotto la guida del vostro presidente onorario, il professor Ikeda. Dopo un secondo congresso a Düsseldorf e un terzo a San Diego, vi siete nuovamente radunati qui a Roma per discutere i più recenti sviluppi nel vostro campo. E lo farete con la più alta competenza e abilità tecnica.

Lasciate che io mi soffermi su un altro e più generale aspetto della vostra attività professionale che vi dà talvolta una comprensione privilegiata del mondo della sofferenza umana. Quanto spesso, quando vi avvicinate ai sofferenti, voi siete colpiti dalla presenza di una dimensione più profonda, pervasiva, che non è solamente "psicologica", ma una risposta veramente "spirituale" al dolore, un riflesso della natura trascendente di ogni essere umano, E' speranza della Chiesa, e oggetto dei suoi sforzi in vari campi, che il progetto della conoscenza scientifica e tecnologica sia sempre accompagnato da un parallelo avanzamento nel rispetto per l'inestimabile dignità e dimensione spirituale di ogni individuo.

Ognuno di noi, nel suo cuore e nella sua attività, è chiamato ad essere un "buon samaritano". Siamo chiamati ad assomigliare a quel personaggio descritto da Gesù che provvedeva ai bisogni del suo prossimo. Siamo chiamati in altre parole a impegnarci attivamente e personalmente per alleviare i bisogni dei nostri fratelli e delle nostre sorelle.

Che i doni di Dio siano con ciascuno di voi nel vostro sollecito servizio alla salute e al bene della famiglia umana. Nelle mie preghiere io raccomando volentieri a Dio il successo del vostro congresso e invoco su di voi e le vostre famiglie le sue benedizioni di gioia e di pace.

Data: 1984-06-11 Data estesa: Lunedi 11 Giugno 1984




Messaggio televisivo alla Svizzera - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Luogo di passaggio e incontro, sappia sempre testimoniare Cristo

Testo:

[Alla Svizzera di lingua tedesca:] Cari fratelli e sorelle della Svizzera, nei prossimi giorni mi rechero in visita nel vostro Paese, una visita programmata da lungo tempo. Me ne rallegro molto. Il mio viaggio è soprattutto un evento ecclesiale. Infatti è rivolto a tutti i cristiani cattolici della Svizzera, che sono in particolar modo legati al Vescovo di Roma, successore di san Pietro. E' per me anche una grande gioia potermi incontrare con i rappresentanti delle altre Chiese, per riflettere con loro e per approfondire con il colloquio e la preghiera la nostra comune responsabilità per l'unione dei cristiani. I giorni della mia visita in Svizzera sono caratterizzati dal motto: "Aperti allo Spirito di Cristo".

Ho pregato affinché voi, i fedeli di Cristo della Svizzera, e io stesso possiamo sperimentare effettivamente questo Spirito di Cristo. Possa lo Spirito di Cristo riempire i nostri cuori, quando insieme ascoltiamo la parola del Signore e celebriamo la morte e la risurrezione del nostro Salvatore. Possa lo Spirito di Cristo essere con noi anche nel corso dei numerosi incontri previsti.

Mentre mi appello alle vostre preghiere per questa intenzione, vi saluto tutti molto cordialmente.

Ringrazio fin da ora per la benevolenza che molti di voi hanno mostrato nei miei confronti e nei confronti del mio ministero nella Chiesa. Estendo questo ringraziamento anche alle vostre autorità, soprattutto ai governi cantonali e del Paese, che mi riserveranno una fraterna ospitalità, e anche ai numerosi organizzatori e aiutanti, che hanno reso possibile, con il loro impegno personale, questa visita pastorale nel vostro Paese.

Possa il Signore accompagnare gli incontri che verranno, il vostro Paese e tutti i suoi cittadini con la sua particolare benedizione! [Alla Svizzera italiana:] Carissimi fratelli e sorelle della Svizzera italiana! A voi tutti il mio saluto cordiale! Nel rivolgervelo, già sento pulsare in me la gioia del prossimo incontro con voi. "Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune voi e io" (Rm 1,11-12).

Sono lieto che la mia visita pastorale alla Chiesa che è in Svizzera avvenga nell'anno commemorativo del quarto centenario della morte del grande vescovo, amico e celeste patrono delle vostre terre, san Carlo Borromeo.

Sulla "via gentium", che attraversa le vostre regioni, cammino a suo tempo il messaggio evangelico grazie al lavoro dei missionari e dei monaci, ma anche grazie alla testimonianza dei viandanti, dei mercanti, dei soldati, e si impianto in Europa con radici profonde sin dai tempi più remoti. Il vostro Paese - terra circonfusa da un particolare splendore della natura - è ancor oggi un luogo di passaggio e di turismo: sappia sempre testimoniare Cristo e il Vangelo.

La Vergine Maria - da voi venerata con tanta filiale pietà in numerosi santuari come quello del Sasso di Locarno o di Morbio Inferiore, santuari che visitero spiritualmente, inginocchiandomi davanti all'immagine della Madonna delle Grazie nella cattedrale di San Lorenzo in Lugano - benedica il nostro incontro e apra i nostri cuori all'azione dello Spirito di Cristo, affinché col generoso contributo di tutti il fermento evangelico continui ad agire nella società di oggi con rinnovata efficacia e gli uomini della presente generazione possano riconoscere in Cristo il loro Redentore, trovando in lui la risposta appagante agli interrogativi fondamentali del loro cuore.

[Alla Svizzera di lingua francese:] Sono molto contento di avere, per la prima volta, l'occasione di rivolgermi, attraverso i mass-media, a tutti e a ciascuno dei cittadini e degli abitanti della Svizzera, dove sto per avere la fortuna di potermi recare. E, per salutarvi, oso riprendere il saluto stesso di Gesù risuscitato ai suoi discepoli: "La pace sia con voi" (Jn 20,19).

Voi sapete che questo augurio - così forte - è rivolto a ciascuno dei discepoli del Signore, a quelli di oggi come a quelli di ieri. Più che un augurio, di cui la pace è uno dei "frutti" (cfr. Ga 5,22), è, nello stesso tempo, un invito e un incoraggiamento ad una vocazione magnifica ed esigente.

Ma io credo che la pace possa essere e debba diventare la vocazione specifica di un Paese. Questo appello si è fatto sentire più volte nella storia della Svizzera, ogniqualvolta eravate minacciati da difficoltà interne. Ma la vostra fiducia nelle forze superiori della pace vi ha permesso di superarle. La storia, a livello internazionale, ricorderà pure che avete saputo essere, e lo siete sempre, cooperatori attivi di tanti sforzi, umili e difficili, intrapresi dagli uomini di buona volontà, perché l'ideale della pace resti, malgrado tutto, un luogo di autentica speranza. Si, "che la pace sia con voi"! E che il mio pellegrinaggio in mezzo a voi ne sia una nuova espressione e una nuova speranza nella carità di Cristo!

Data: 1984-06-11 Data estesa: Lunedi 11 Giugno 1984




Arrivo all'aeroporto Kloten - Zurigo (Svizzera)

Titolo: Una visita pastorale alle Chiese locali

Testo:


1. [In tedesco:] Con grande gioia giungo oggi nella Confederazione elvetica.

Questa e un'altra importante tappa sulla strada del mio pellegrinaggio, che, dal giorno della mia elezione a vescovo di Roma, mi ha condotto nel nome del Vangelo dai miei fratelli e dalle mie sorelle nella fede e da molti uomini di buona volontà in diversi Paesi e continenti. Dio ha disposto che questa visita non avesse luogo nella primavera del 1981, bensi proprio oggi.

Nel momento in cui, come successore di Pietro, metto piede sul suolo svizzero, saluto con deferenza e in spirito di amicizia e di amore in Gesù Cristo, Salvatore dell'umanità, tutti i cittadini di questo stimato popolo, soprattutto i cristiani cattolici ed evangelici. Saluto rispettosamente tutti coloro che sono venuti qui e in particolar modo lei, illustre signor presidente della Confederazione, insieme ai rappresentanti dello Stato e della società, il reverendissimo presidente della Conferenza episcopale elvetica, sua eminenza Schwery, i fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, e tutti gli ospiti che mi onorano con la loro presenza. Ringrazio sentitamente i responsabili per questo amichevole invito e il signor presidente della Confederazione per il suo cordiale indirizzo di benvenuto.


2. Mentre la mia prima visita in Svizzera nel 1982 era dedicata ad alcune importanti organizzazioni internazionali, che hanno trovato nel vostro Paese ospitale accoglienza, quella di questi giorni sarà soprattutto una visita pastorale alle Chiese locali di questo Paese. Ancor prima che gli eventi storici unissero in un solo Stato le libere città e i Cantoni di questa regione alpina, è stata la religione cristiana a riunire insieme gli uomini e le popolazioni di questi monti maestosi e delle valli, nonostante le loro diverse origini e lingue, nell'unica Chiesa di Gesù Cristo. Sin dall'inizio il cristianesimo si è radicato profondamente nelle anime e nelle tradizioni del popolo elvetico. Mi auguro che i numerosi incontri dei prossimi giorni servano a farci nuovamente riflettere su questa comune vocazione cristiana e, come popolo di Dio della nuova Confederazione, insieme a Cristo, a ringraziare e lodare Dio, Creatore di tutti gli uomini, per le sue "opere meravigliose (1P 2,9 1P 2,10).

La sfida, che l'età moderna rappresenta per l'umanità e per il cristianesimo, addolora ancor più noi cristiani per le laceranti fratture e polarizzazioni che anche oggi, come nel passato, ci dividono. L'agognata testimonianza comune, in un mondo sempre più secolarizzato, di tutti i cristiani a Cristo e agli uomini da lui salvati, ci impegna a sforzi sempre maggiori per superare gradualmente tutte le difficoltà che dividono dall'interno e dall'esterno, nella piena verità e nell'amore di Cristo "perché il mondo creda" (Jn 17,21). Per questa ragione mi rallegro soprattutto per gli incontri che avro nel corso della mia visita con i fratelli e le sorelle nella fede che sono divisi.

Dio faccia si che questi incontri possano approfondire la reciproca comprensione e rafforzare e sviluppare ulteriormente la nostra comune testimonianza di fede.


3. Con questa visita desidero esprimere la mia profonda stima a tutto l'amato popolo della Svizzera, che gode di grande considerazione nell'ambito della comunità delle nazioni non soltanto per il suo fiorente benessere economico, ma anche per la sua squisita ospitalità e per la solidale collaborazione internazionale. La sua tradizionale neutralità gli ha garantito lunghi periodi di pace e di progresso sociale, e ha altresi creato le premesse per uno straordinario impegno umanitario, specialmente nei periodi di gravi conflitti internazionali.

Vorrei qui ricordare - a nome di tutte le altre organizzazioni umanitarie, soprattutto a favore delle popolazioni sofferenti dei Paesi in via di sviluppo - soltanto l'istituzione e l'attività umanitaria della Croce rossa internazionale.

Non posso infine non ricordare il particolare legame che unisce la Svizzera alla Sede di Pietro grazie al Corpo della guardia svizzera, nel quale, da molti secoli, giovani cittadini elvetici hanno assicurato protezione e aiuto al successore di Pietro nell'esercizio dei suoi numerosi compiti apostolici, e hanno suggellato la loro fedeltà perfino col proprio sangue. Per tutto ciò vorrei ringraziare sentitamente, nel corso della mia visita, tutto il popolo della Svizzera e soprattutto i cattolici, nel nome di Cristo e della Chiesa, e allo stesso tempo incoraggiarli e confermarli nella fedeltà alla loro chiamata e al loro mandato di cristiani nel mondo d'oggi.

[In francese:] E' naturale che, fin dal mio arrivo, mi esprima sia pure brevemente nelle vostre tre lingue nazionali. Infatti questo pellegrinaggio mi conduce in questo Paese nel quale la pluralità delle tradizioni linguistiche non contraddice la comune identità degli svizzeri e la loro coesione; essa anzi contribuisce ad arricchire un patrimonio culturale prestigioso. L'influenza della Confederazione elvetica è tanto più grande in quanto la diversità delle sue lingue le permette di essere apprezzata da un gran numero di interlocutori attraverso il mondo e di accoglierli generosamente in casa propria. Unendomi alla gratitudine di tanti uomini e donne per ciò che hanno ricevuto da voi, sono lieto di invocare la benedizione di Dio su tutti gli svizzeri che offrono anche a me oggi la loro ospitalità.

Il vostro Paese, crocevia di differenti civilizzazioni, si esprime pure in lingua italiana. Desidero pertanto rivolgere anche in questa lingua un saluto carico di stima e di affetto a tutti i cittadini svizzeri di ogni condizione, categoria ed etnia! Che Iddio Uno e Trino, la cui protezione fu invocata fin dall'inizio della vostra storia nazionale, continui ad elargire su di essi il dono della pace, della concordia operosa, della giustizia, della fraternità e della solidarietà, simboli di antiche e mai assopite virtù su cui poggia il vero progresso integrale del Paese.

Dio benedica, per intercessione del vostro patrono, san Nicola da Flüe, la Svizzera e tutti i suoi abitanti.

Data: 1984-06-12 Data estesa: Martedi 12 Giugno 1984




Omelia della messa - Lugano (Svizzera)

Titolo: La Chiesa è l'ambito della nuova esistenza dell'uomo

Testo:


1. "I fratelli erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (Ac 2,42).

Il testo del secondo capitolo degli Atti degli apostoli, poc'anzi proclamato, ci pone davanti agli occhi gli inizi stessi della Chiesa, appena uscita dal cenacolo nel giorno della Pentecoste. Essa è stata condotta fuori dal luogo dell'attesa e della preghiera con la potenza dello Spirito Santo, per annunziare in mezzo agli uomini provenienti da diverse nazioni "le grandi opere di Dio" (Ac 2,11).

La scorsa domenica, solennità della Pentecoste, abbiamo avuto la gioia di rivivere proprio quel "giorno fatto dal Signore": il giorno della nascita della Chiesa.

Oggi, attraverso il racconto del libro degli Atti, siamo testimoni - si potrebbe dire - di un giorno ordinario di questa Chiesa, che è appena nata. Ecco la comunità che permane assidua "nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli... nella frazione del pane e nella preghiera". Questa comunità mantiene ancora un quotidiano collegamento col tempio di Gerusalemme (quindi partecipa ancora al culto dell'antica alleanza) e al tempo stesso, spezzando il pane a casa (cfr. Ac 2,46), celebra già l'Eucaristia, il sacramento della nuova ed eterna alleanza. Il sacramento mediante il quale si è plasmata e continua a plasmarsi quotidianamente la Chiesa da quasi duemila anni.


2. Questo testo degli Atti è importante. In esso emergono alcuni elementi costitutivi della Chiesa di Cristo: la parola di Dio, accolta da una comunità di credenti, che si raccoglie per la celebrazione dell'Eucaristia, intorno agli apostoli, i quali in seguito provvederanno ad assicurarsi dei successori nelle persone dei vescovi. Da allora ad oggi, e fino alla fine dei tempi, la realtà piena della Chiesa non si può avere se non sulla base di questi elementi essenziali. La Chiesa dei primi tempi, che ha il suo inizio nel cenacolo gerosolimitano e nella comunità primitiva riunita intorno agli apostoli, è già strutturata così. Essa è - si potrebbe dire - la Chiesa "locale" e contemporaneamente è pure la Chiesa "universale". "Locale", perché legata a un luogo, a Gerusalemme; ma anche "universale", perché in essa confluiscono, come il giorno della Pentecoste rende manifesto, genti provenienti da diverse nazioni. Col prodigio delle lingue lo Spirito ratifica tale multiforme presenza, consentendo a ciascuno di ascoltare gli apostoli nel proprio idioma natio.

Animati dal medesimo Spirito Santo, desideriamo abbracciare queste due dimensioni della Chiesa nell'odierno incontro e durante tutta la settimana.

La visita del Vescovo di Roma e successore di Pietro vuole dimostrare, con particolare evidenza, come questa vostra diocesi di Lugano e tutte le diocesi della Svizzera - ciascuna delle Chiese che si trovano nella vostra patria - vivendo la propria vita, vivono ad un tempo la vita della Chiesa universale: della Chiesa che è una in tutto il mondo. "Una, sancta, catholica et apostolica ecclesia".

La Chiesa è il popolo di Dio: "la nazione il cui Dio è il Signore, il popolo che si è scelto come erede" (Ps 3,12). Le parole del salmo dell'odierna liturgia parlano di Israele, che era il popolo di Dio dell'antica alleanza. E al tempo stesso parlano del nuovo Israele, della Chiesa che si è estesa oltre i limiti vetero-testamentari di una sola nazione.

"In tutte... Le nazioni della terra è ricordato un solo popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i cittadini del suo regno, non terreno ma celeste. E infatti tutti i fedeli sparsi per il mondo comunicano con gli altri nello Spirito Santo e così chi sta in Roma sa che gli Indi sono sue membra" (LG 13).

Il popolo: la comunità degli uomini viventi che Dio abbraccia contemporaneamente tutti insieme e ciascuno in particolare. Li abbraccia come Creatore e come Padre, come Redentore e Spirito che compenetra tutto. "Il Signore guarda dal cielo, / egli vede tutti gli uomini. / Dal luogo della sua dimora scruta tutti gli abitanti della terra, / lui che, solo, ha plasmato il loro cuore / e che comprende tutte le loro opere" (Ps 32,13-15).

Tutti e ciascuno sono penetrati dall'eterno disegno dell'amore divino.

Tutti e ciascuno "riscattati" dallo stesso infinito prezzo della redenzione di Cristo. Tutti e ciascuno sottomessi al soffio dell'unico Spirito di verità.


3. L'odierna liturgia ci parla di quest'unità mediante l'analogia evangelica della vite e dei tralci. "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo" (Jn 15,1).

Così dice Gesù ai suoi discepoli durante il discorso d'addio nel cenacolo.

Sul vasto suolo dell'umanità il Padre celeste ha innestato questa vite: il Figlio di Dio nato nel tempo dalla Vergine Maria. E tutti gli uomini, come tralci, sono stati pervasi dalla linfa della vita nuova che è in questa vite. Ogni tralcio che in me non porta frutto - dice Gesù - il Padre lo toglie e ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto" (Jn 15,2).

Che cosa è la Chiesa in ogni sua dimensione, "universale" e "locale"? E' l'ambiente della nuova esistenza dell'uomo. Mediante questo ambiente l'uomo, figlio della terra, ha una nuova esistenza in Gesù Cristo, Figlio di Dio. Come un tralcio nella vite. Questa è quindi anche l'esistenza dei figli di Dio. perciò la Chiesa è il luogo della divina coltura. Noi tutti che costituiamo la Chiesa - tutti e ciascuno - dobbiamo portare frutto in Cristo. "Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me... Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla... In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi.

Rimanete nel mio amore" (Jn 15,4-5 Jn 15,8-9).

4. Nella nostra meditazione sulla Chiesa in ogni sua dimensione dobbiamo rifarci costantemente a questa stupenda analogia. In essa è contenuta la ragione più profonda dell'unità e insieme della pluralità della Chiesa. Questa analogia ha anche la sua particolare importanza, perché mostra come le due dimensioni della Chiesa, che si esprimono nelle determinazioni "universale" e "locale", possano aderire correttamente l'una all'altra, custodendo al tempo stesso tutta la ricchezza contenuta in ciascuna.

L'unità scaturisce da Cristo-vite mediante l'azione dello Spirito Santo, mandato sugli apostoli il giorno della Pentecoste. E' quindi l'unità del corpo e dello Spirito, come proclama l'autore della lettera agli Efesini (4,4-6): "Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti".

Così, dunque, l'unità della Chiesa proviene in definitiva dal Padre.

Proviene dal Padre mediante Cristo, la vite, nello Spirito Santo. Cercate "di conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace", scrive l'apostolo Paolo (Ep 4,3). E' una raccomandazione che ha valore perenne.

Anche i cristiani di oggi debbono confrontarsi con essa. Ogni comunità locale, raccolta intorno al suo vescovo, è veramente e pienamente Chiesa. Questa coscienza è diventata così forte dopo il Concilio Vaticano II, che oggi possiamo dire, con una formulazione gravida di conseguenze, che è nelle Chiese particolari e dalle Chiese particolari, cioè nelle e dalle diocesi, che sussiste la sola e unica Chiesa cattolica (cfr. CIC 368). ciò significa che dove una comunità è riunita col suo vescovo, nella fede e nella fedeltà al Signore risorto, è veramente realizzata la Chiesa. Ma la realtà del corpo mistico di Cristo non si esaurisce in essa. La Chiesa particolare non può quindi rimanere sola, non può vivere una fraternità soltanto a livello locale, ma deve realizzare la comunione anche con le altre Chiese. Nel Nuovo Testamento noi leggiamo come già fra le varie Chiese di allora c'era unità, testimoniata mediante scambi di aiuti e di informazioni, viaggi e accoglienza di persone, e soprattutto mediante la ferma adesione alla medesima fede, agli stessi sacramenti, alla prassi disciplinare introdotta dagli apostoli, concordemente accolta e costantemente aggiornata dai loro successori. In particolare il libro degli Atti ci informa che, quando da Gerusalemme inizio l'espansione del messaggio evangelico col conseguente formarsi di nuove comunità nei vari luoghi ove esso giungeva, queste comunità continuavano a far riferimento a un centro, a una Chiesa madre, che era, allora, Gerusalemme, il luogo dove, in un primo tempo, viveva Pietro con gli altri apostoli.

Anche i cristiani di oggi sono impegnati a vivere la stessa esperienza di unità: non può esistere una Chiesa locale che non sia in comunione con le altre, che non sia aperta alle sofferenze e alle gioie delle altre Chiese locali, che non cerchi di sintonizzarsi con esse nel modo concreto di testimoniare davanti al mondo di oggi gli eterni valori del Vangelo. Non può esistere una Chiesa locale che non alimenti una sincera e profonda comunione con la Sede di Pietro.


5. La Chiesa è "una". Ogni pluralità è in questa unità. Tale pluralità è - come leggiamo in seguito nel testo dell'apostolo Paolo - pluralità di vocazioni: "per rendere idonei i fratelli a compiere il mistero, al fine di edificare il corpo di Cristo" (Ep 4,12). Edificare il corpo di Cristo oggi, così come, sin dalla prima generazione, hanno edificato questo corpo gli apostoli, i profeti, gli evangelisti, i pastori e i maestri. La pluralità delle vocazioni è vera in quanto deriva dall'unità e la costruisce. ciò che si riferisce alle persone, è valido anche per le comunità. Ciascuna comunità nella Chiesa è vera (corrisponde alla tradizione evangelica e apostolica) in quanto si sviluppa dall'unità e a un tempo la costruisce. Ogni "Chiesa locale" è vera (corrisponde alla sua definizione evangelica e apostolica) in quanto si sviluppa dall'unità della Chiesa "universale" e insieme la edifica.


6. In questa celebrazione eucaristica all'inizio della mia visita pastorale in Svizzera desidero salutare tutte le comunità ecclesiali riunite nelle vostre Chiese locali. La Chiesa di Basilea, quella di Coira, quella di Losanna, Ginevra e Friburgo, quella di San Gallo, quella di Sion e anche del Grigioni italiano. Con particolare intensità di sentimenti saluto la diocesi di Lugano rivolgendo uno speciale pensiero al pastore, monsignor Ernesto Togni, ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e a tutto il laicato.

Saluto tutte queste Chiese con una venerazione che corrisponde alla loro dignità evangelica e apostolica. Do loro il bacio fraterno della pace. E al tempo stesso esprimo il fervido augurio che ciascuna di queste Chiese, permanendo stabilmente nell'unità della Chiesa universale, compia la missione di cui parla lo Spirito Santo nel testo della lettera agli Efesini: affinché "arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (4,13). In altre parole auguro, come servo e custode dell'unità della Chiesa, che si compia in voi, cari fratelli e sorelle, il mistero della vite e dei tralci.

Ciascuno amministri generosamente e con costanza la grazia che gli è stata data "secondo la misura del dono di Cristo" (Ep 4,7). Questo dono costruisce sempre la Chiesa, sia nella sua dimensione universale, sia in quella locale.


7. Ad accogliere un tale dono vi dispone, carissimi cattolici svizzeri, la vostra storia. Essa, infatti, è storia di un Paese in cui unità e diversità hanno saputo infondersi in una diuturna esperienza di serena concordia, di reciproco rispetto, di operosa collaborazione. Queste vostre tradizioni possono esservi di grande aiuto nell'aprirvi all'impegno di adesione generosa alla dimensione universale della Chiesa. In ciò poi, voi cattolici del Canton Ticino, siete ulteriormente facilitati in ragione delle vicende ecclesiastiche della vostra comunità, che ha potuto attingere al ricchissimo patrimonio religioso suscitato da uomini della statura di sant'Ambrogio e di san Carlo Borromeo. La vostra condizione di diocesi relativamente giovane, in posizione geografica di confine, costituisce uno stimolo alla ricerca di una comunione sempre più profonda con le altre Chiese, pur nella fedeltà a quella particolare fisionomia ecclesiale che hanno maturato nel corso dei secoli le generazioni dei vostri avi sotto la guida dei loro pastori, tra i quali mi è caro ricordare, con speciale menzione, il servo di Dio monsignor Aurelio Bacciarini.


8. Sappiate essere all'altezza del vostro glorioso passato! Vi auguro l'abbondanza dei doni di Cristo. Vi auguro di essere "aperti allo Spirito di Cristo", secondo il motto che avete scelto per questa mia visita. E' un motto che riassume bene l'esigenza più profonda di ogni Chiesa particolare, che voglia vivere in pienezza la propria missione. Essa deve essere un organismo ben strutturato ed efficiente, per testimoniare attivamente la salvezza di Dio nel mondo. Ma deve essere, prima di tutto e soprattutto, animata e continuamente trasformata dallo Spirito di Cristo.

E' lui che "rinnova la faccia della terra". Non sentiamo forse tutti alla fine del XX secolo dopo Cristo quanto questa faccia della terra, abitata dagli uomini, abbia bisogno di rinnovamento? Il rinnovamento decisivo non potrà venire che dall'azione vivificante dello Spirito, il quale solo è in grado di "convincere il mondo" (cfr. Jn 16,8) circa la divinità di Cristo, redentore dell'uomo e vera speranza della storia.

Diciamo, perciò, col salmista: "L'anima nostra attende il Signore, / egli è nostro aiuto e nostro scudo. / In lui gioisce il nostro cuore / e confidiamo nel suo santo nome" (Ps 32,20-21).

Si, confidiamo! Amen.

Data: 1984-06-12 Data estesa: Martedi 12 Giugno 1984




Al Consiglio ecumenico delle Chiese

Titolo: Servire insieme l'umanità nel nome del Vangelo

Testo:

Cari fratelli e sorelle, "Grazie e pace a voi da Dio nostro Padre e dal Signore nostro Gesù Cristo" (Ep 1,2).


1. Vi ringrazio di avermi invitato a rendervi visita, qui al Centro ecumenico, durante la mia visita pastorale ai cattolici della Svizzera. Il fatto di incontrarci, per pregare insieme e conversare fraternamente, in questo periodo dell'anno in cui i cristiani, ovunque nel mondo, celebrano l'avveninimento della Pentecoste, è particolarmente significativo. In effetti, come dice sant'lreneo: "A Pentecoste lo Spirito è disceso sui discepoli con potere su tutte le nazioni per introdurle nella vita e aprire loro il Nuovo Testamento; ed è per questo che, animati da un unico sentire, i discepoli celebrano le lodi di Dio in tutte le lingue, mentre lo Spirito raccoglieva in unità le tribù separate e offriva al Padre le primizie di tutte le nazioni" (Adv. Hae III, 17,2). La Pentecoste, ovvero il dono dello Spirito per la Chiesa è la fonte, sempre vivificante, della sua unità, è il punto di partenza della sua missione. E noi ci incontriamo in questi giorni.

Il semplice fatto della mia presenza tra di voi, come Vescovo di Roma, in visita fraterna al Consiglio ecumenico delle Chiese, è un segno di questa volontà di unità. Fin dall'inizio del mio ministero come Vescovo di Roma, ho insistito sul fatto che l'impegno della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico era irreversibile e che la ricerca dell'unità costituisce una delle sue priorità pastorali (cfr. ad esempio l'invito alla preghiera per la sesta assemblea del Cec (24 luglio 1983, cfr. La Traccia 1983, n. 7, pp. 735-736). Il nuovo Codice di diritto canonico esprime del resto molto chiaramente l'obbligo dei vescovi cattolici di promuovere, in ottemperanza alla volontà di Cristo, il movimento ecumenico (CIC 755, § 1).


2. Certo, quando la Chiesa cattolica entra nell'impresa ecumenica, severa ed irta di difficoltà, essa porta con sé una convinzione. Nonostante le miserie morali che nel corso della storia hanno contraddistinto la vita dei suoi membri e persino quella dei suoi responsabili, essa è convinta di aver conservato nel ministero del Vescovo di Roma, in piena fedeltà alla tradizione apostolica e alla fede dei padri, il polo visibile dell'unità e la garanzia di questa. Già sant'Ignazio di Antiochia non salutava forse la Chiesa "che presiede nella regione dei romani" come quella "che presiede alla carità", alla comunione? La Chiesa cattolica, in effetti, crede che quel vescovo, il quale presiede alla vita della Chiesa locale fecondata dal sangue di Pietro e Paolo, riceve dal Signore la missione di rimanere il testimone della fede confessata da questi due corifei della comunità apostolica e che, nella grazia dello Spirito Santo, fa l'unità dei credenti. Essere in comunione con lui significa attestare visibilmente di essere in comunione con tutti gli uomini e le donne che confessano la medesima fede, che l'hanno confessata dal giorno della Pentecoste e che la confesseranno "finché non venga" il giorno del Signore. Questa è la nostra convinzione di cattolici, e noi sappiamo che la nostra fedeltà a Cristo non ci consente di rinunciarvi. Noi sappiamo pure che tutto ciò costituisce una difficoltà per la maggior parte di voi, la cui memoria è forse segnata da certi ricordi dolorosi per i quali il mio predecessore Paolo VI implorava il vostro perdono. Bisognerà tuttavia discuterne in spirito di franchezza e amicizia. con quella serietà pregna di promesse che il lavoro di preparazione del documento di "Fede e costituzione" su "Battesimo, Eucaristia e Ministero" ha già manifestato. Se il movimento ecumenico è veramente sostenuto dallo Spirito Santo. questo momento giungerà.


3. La Chiesa cattolica e le Chiese-membro del Consiglio ecumenico delle Chiese hanno una lunga storia in comune; condividono il ricordo penoso di separazioni drammatiche e di polemiche reciproche che ferirono profondamente l'unità. Nel corso di questa comune storia non abbiamo mai smesso di avere in comune molti di quegli elementi, o beni, con i quali la Chiesa si edifica e dai quali è vivificata (cfr. UR 3). Questa storia, al giorno d'oggi, diviene quella della riscoperta della comunione incompleta, eppure reale, che esiste tra di noi; tutti gli elementi che compongono, o dovrebbero comporre questa comunione, sono progressivamente situati nella loro giusta prospettiva, con tutte le conseguenze che questa nuova percezione comporta per la collaborazione tra di noi e per la comune testimonianza.


4. Abbiamo, prima di tutto, preso coscienza del nostro comune Battesimo e del suo significato. Le affermazioni delle assemblee di Nuova Delhi o di Evanston esprimono, su questo punto, la stessa convinzione del decreto del Concilio Vaticano II sull'ecumenismo: "Col sacramento del Battesimo, quando secondo l'istituzione del Signore è debitamente conferito e ricevuto con la debita disposizione di animo, l'uomo è veramente incorporato a Cristo crocifisso e glorificato... Il Battesimo quindi costituisce il vincolo sacramentale dell'unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati" (UR 22). Certo, esso "di per sé è soltanto l'inizio ed esordio, poiché esso tende interamente all'acquisto della pienezza della vita in Cristo" (UR 22). Ma noi tutti, battezzati col vero Battesimo, siamo tutti stretti nel vincolo del medesimo e indivisibile amore del Padre, vivificati dal medesimo e indivisibile Spirito di Dio, incorporati nell'unico Figlio. Se è vero che siamo divisi tra di noi, siamo tuttavia avvinti da ciò che Ireneo chiamava "le due mani del Padre" (il Figlio e lo Spirito). Ecco ciò che ci spinge a riannodare i vincoli di comunione. Si tratta di accettare di essere ciò che noi siamo per Dio, in virtù di "un solo Battesimo", a causa di "un solo Dio e Padre di tutti, che regna su tutti, attraverso tutti e in tutti" (Ep 4,6). Se siamo ancora divisi, siamo, non di meno, tutti immersi nel mistero di Pentecoste, l'antitesi di Babele. Le nostre divisioni contrastano quindi con l'unità già esistente e sono per questo tanto più scandalose.


5. Insieme abbiamo imparato a percepirci in comunione nel rispetto della parola di Dio. Grazie al rinnovamento degli studi biblici, ove gli esegeti di tutte le confessioni cristiane hanno lavorato gomito a gomito. certe vecchie polemiche del passato, che ci opponevano da secoli, sono apparse vane. Come non menzionare qui il cardinale Bea, il quale consacro al servizio dell'unità i due ultimi decenni di una lunga vita votata allo studio e all'insegnamento della Scrittura? Quando il Concilio Vaticano II afferma: "Occorre che la predicazione ecclesiale, così come la stessa religione cristiana, sia interamente nutrita e sostenuta dalla Sacra Scrittura" (DV 21), non fa altro con ciò che esprimere una certezza comune. La parola di Dio viene anche compresa, in misura sempre crescente, in riferimento alla vita e alla testimonianza della comunità ecclesiale, la quale è portatrice di quello stesso Spirito di cui Giovanni diceva: "Egli vi insegnerà ogni cosa", "egli vi guiderà alla verità intera" (Jn 14,26 Jn 16,10). E come non sottolineare. anche se non siamo ancora pienamente d'accordo sull'interpretazione di certi punti importanti di questa parola di Dio, il significato positivo di questa crescente unanimità?


6. Vi è un altro aspetto del mistero cristiano che ora ci unisce più che in passato. Abbiamo insieme appreso a comprendere meglio il ruolo dello Spirito nella sua completezza. Questa riscoperta - della quale il rinnovamento della liturgia cattolica è contrassegnata - ci ha resi sensibili a dimensioni nuove della nostra vita ecclesiale. Lo Spirito è la fonte di una libertà che permette di rinnovare nella fedeltà quanto riceviamo dalle generazioni che ci hanno preceduto. Egli sa inventare nuove vie dal momento che trattasi di procedere insieme verso un'unità che è insieme fondata sulla verità e rispettosa della ricca diversità dei valori realmente cristiani che hanno la loro genesi in un comune patrimonio (cfr. UR 4).


7. Per la nuova attenzione alla presenza dello Spirito la nostra preghiera ha assunto un accento particolare. Essa si è maggiormente aperta all'azione di grazia, nella quale noi ci distacchiamo dalle nostre preoccupazioni personali per fissare il nostro sguardo sull'opera di Dio e sulle meraviglie della sua grazia.

Questo sguardo ci dona una coscienza nuova del disegno di Dio sul suo popolo nella certezza del primato delle iniziative divine. Non ci basta più di implorare insieme e di intercedere, ma tendiamo sempre più a benedire Dio per l'opera della sua grazia.

La preghiera occupa del resto, nelle nostre preoccupazioni, un posto di riguardo. Se ancora non ci è possibile celebrare insieme l'Eucaristia del Signore comunicando ad una stessa messa, ci sta sempre più a cuore di porre la preghiera comune al centro delle nostre riunioni, anche quando si tratta di austere sedute di lavoro. A tal proposito è significativo il fatto che l'assemblea di Vancouver, la scorsa estate, sia stata dominata dalla realtà della preghiera in comune, garantita quotidianamente in fervore e dignità, e che la tenda della preghiera sia diventata il simbolo di questo avvenimento ecumenico di così grande importanza. E oggi, non ci incontriamo forse nella preghiera? Questa crescita in comune nella fedeltà al comando dell'apostolo: "Pregate senza interruzione, rendete grazie in ogni circostanza" (1Th 5,17-18) è l'inequivocabile segno della presenza dello Spirito del Signore in seno alla nostra ricerca. Ci indica che ci troviamo sulla strada giusta.


8. Avanzando in tal modo insieme ed avvicinandoci reciprocamente, ci è divenuto possibile, in questa esperienza di preghiera, di sviluppare quella reale "solidarietà fraterna" con il Consiglio ecumenico e le sue Chiese-membro di cui parlava il papa Paolo VI (Messaggio all'assemblea di Nairobi, 1975). Una collaborazione multiforme si è così sviluppata. Prima di tutto nella ricerca teologica, seria e perseverante, di fede e costituzione. Si tratta di un lavoro ecumenico fondamentale: l'unità nella professione della fede condiziona infatti l'esito di tutti i nostri comuni sforzi i quali, a loro volta, sono un mezzo importante di progresso verso questa unità nella fede.


9. In effetti servire insieme, in nome del Vangelo, l'umanità è un modo necessario di fare la verità e quindi di procedere verso la luce (cfr. Jn 3,21). Non è casuale che le dichiarazioni dell'assemblea di Uppsala sul servizio della creazione e quelle della Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo coincidono in diversi punti. La ricerca del Consiglio ecumenico sulla giustizia e la pace, il suo impegno al servizio dei poveri e dei bisognosi, il suo incessante lavoro in difesa della libertà e dei diritti umani sono preoccupazioni costantemente condivise dalle comunità cattoliche.

La difesa dell'uomo, della sua dignità, della sua libertà, dei suoi diritti, del senso pieno della vita, è una preoccupazione centrale della Chiesa cattolica; essa si sforza, dovunque ne ha la possibilità, di contribuire a promuovere le condizioni necessarie allo sviluppo dell'uomo, nella piena verità della sua esistenza di essere creato e redento da Dio, nella convinzione che "quest'uomo è la via principale che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione" (RH 14). Intervenendo in favore dell'uomo, qualunque sia il regime politico del Paese, essa tiene a sottolineare la distinzione e la relativa autonomia della Chiesa e dello Stato. Essa rispetta la funzione nobile e difficile di coloro che hanno l'incarico della promozione del bene comune, essa intrattiene con loro un dialogo e perfino delle relazioni stabili, di comune accordo, al fine di far progredire la pace e la giustizia, giudicando tuttavia che il suo ruolo non è quello di intervenire nelle forme di governo che gli uomini si danno nella sfera temporale, e neppure quello di fomentare una loro trasformazione violenta. Essa invita invece i suoi membri laici a prender parte attivamente nella loro gestione e nel loro orientamento in conformità ai principi evangelici; e si riserva da parte sua la libertà di giudicare, dal punto di vista etico, le condizioni che favoriscono il progresso delle persone e delle comunità, o quelle, al contrario, che ledono gravemente i diritti della persona, la libertà civile e quella religiosa (cfr. GS 42 GS 75).

A proposito di quest'ultima questione la Chiesa cattolica auspica che le altre Chiese e comunità cristiane elevino insieme ad essa la loro voce perché siano garantiti l'autentica libertà di coscienza e di culto dei cittadini, e la libertà delle Chiese di formare i ministri e dar loro gli strumenti di cui hanno bisogno per la maturazione e l'espressione della fede dei loro fedeli. Molti uomini di buona volontà e numerose istituzioni internazionali comprendono oggi l'importanza di questo diritto fondamentale; ma, dinanzi alla gravità dei fatti, mi sembra necessario che la totalità dei cristiani e delle comunità cristiane, quando hanno la possibilità di esprimersi, apportino la loro comune testimonianza su ciò che per essi è vitale.


10. Del resto noi ci dovremmo trovare sempre più insieme in ogni campo dove l'uomo, gravato dal suo ambiente, sperimenta grandi difficoltà a vivere secondo la dignità della sua vocazione, sia sul piano sociale, sia su quello etico e religioso. Quanti valori umani sono oscurati nella vita delle persone e delle famiglie! L'equità nelle relazioni, l'autenticità dell'amore, l'apertura fraterna e generosa agli altri. Malgrado le nostre separazioni e i nostri metodi d'azione spesso differenti - sia sul piano del pensiero sia su quello dell'azione sociale - ci troviamo spesso uniti e rendiamo testimonianza comune di una stessa visione fondata sulla stessa lettura del Vangelo. Capita, senza dubbio, di non trovarci d'accordo sui mezzi. Le nostre posizioni nel dominio dell'etica non sono sempre identiche. Ma ciò che già ci unisce ci permette di sperare che perverremo un giorno ad una convergenza in questo campo fondamentale.

Si, la volontà di "seguire Cristo" nel suo amore per coloro che sono nel bisogno ci conduce ad un'azione comune. Questa comunione a servizio del Vangelo, per quanto temporanea, ci lascia intravvedere ciò che potrebbe essere, ciò che sarà, la nostra totale e perfetta comunione nella fede, nella carità e nell'Eucaristia. Essa non è quindi un incontro meramente accidentale, ispirato dalla sola pietà di fronte alla miseria o dalla reazione dinanzi all'ingiustizia, ma appartiene invece al nostro cammino verso l'unità.


11. Noi ci incontriamo pure nell'inquietudine per l'avvenire dell'umanità. La nostra fede nel Cristo ci fa percepire in comunione nella medesima speranza, onde affrontare le forze di distruzione che assalgono l'umanità, erodono i suoi fondamenti spirituali, la conducono sull'orlo dell'abisso. L'opera creatrice e redentrice di Dio non può essere inghiottita da tutto ciò che il peccato accende nel cuore dell'uomo, né può essere messa definitivamente sotto scacco. Ma questa considerazione ci conduce ad una percezione acuta della nostra sensibilità di credenti dinanzi all'avvenire dell'uomo e alla presa di coscienza della gravità delle nostre divisioni. Nella misura in cui esse oscurano la nostra testimonianza in un mondo che corre verso il suicidio, costituiscono un ostacolo all'annuncio della Buona Novella della salvezza in Gesù Cristo.


12. La nostra comunione nell'azione si fonda in effetti sulla condivisione della comune sollecitudine per l'evangelizzazione. Non è una semplice coincidenza che lei, dottor Potter, sia stato invitato a parlare ai vescovi riuniti a Roma per il Sinodo del 1974, la cui profonda riflessione sull'evangelizzazione nel mondo moderno è contenuta nell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi". Voi avete esposto davanti al Sinodo la maniera nella quale il Consiglio ecumenico comprende il compito missionario. Già in questa occasione apparve chiaro come le grandi questioni dell'urgenza dell'evangelizzazione e dei suoi metodi, del dialogo con le altre religioni e delle relazioni del Vangelo con le culture, erano poste a tutti i cristiani invitandoli a una nuova fedeltà nella missione.

I nostri incontri e i nostri scambi in questa materia hanno mostrato che noi siamo tutti d'accordo nel professare che "non vi è vera evangelizzazione se il nome, l'insegnamento, la vita, le promesse, il regno e il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non sono annunciati" (EN 22). Ma noi riconosciamo altresi "che è impossibile accettare che l'opera di evangelizzazione possa o debba negligere le questioni, estremamente gravi, e talmente agitate al giorno d'oggi, concernenti la giustizia, la liberazione, lo sviluppo e la pace nel mondo. Se ciò accadesse, equivarrebbe a ignorare la dottrina del Vangelo sull'amore del prossimo che soffre o si trova nel bisogno" (EN 31).


13. Per la Chiesa cattolica sono i vescovi che hanno la responsabilità di orientare e di coordinare i diversi aspetti e lo sforzo dell'evangelizzazione; di aiutarla a serbare la sua ispirazione autentica, a rispettare la libertà essenziale dell'adesione alla fede e ad evitare che si degradi in proselitismo o che si infeudi alle ideologie del momento. L'armonioso sviluppo di una collaborazione con la Chiesa cattolica richiede che si tenga conto, per quanto concerne la missione del vescovo, di questa convinzione del resto condivisa da parecchie delle Chiese - membro del Consiglio ecumenico.


14. Esattamente quindici anni orsono il mio predecessore papa Paolo VI vi rese visita e si felicito delle relazioni fra il Consiglio ecumenico e Chiesa cattolica. Tengo ad esprimervi il mio desiderio, come ho già fatto parecchie volte, che la collaborazione fra di noi aumenti e si intensifichi ovunque ciò sia possibile. Il gruppo misto di lavoro fra Chiesa cattolica e Consiglio ecumenico delle Chiese ha un compito importante da compiere. Dovrà inventare le vie che renderanno subito possibile "di unirci coscientemente nella grande missione che consiste nel rivelare Cristo al mondo" (RH 11).

Facendo insieme la sua verità noi manifesteremo la sua luce. Questo sforzo in vista di una comune testimonianza è una delle priorità assegnate al gruppo misto di lavoro. ciò richiederà un nuovo sforzo di formazione ecumenica e di approfondimento dottrinale. Ma la nostra testimonianza non potrà essere veramente e completamente comune se non quando saremo pervenuti all'unità nella confessione della fede apostolica.


15. Oggi, dinnanzi a Dio e a Cristo Gesù, nella forza dello Spirito Santo, noi possiamo render grazie dei progressi che noi abbiamo insieme compiuto nel cammino verso l'unità. Questi progressi non ci permettono di tornare indietro.

Ringraziandovi per tutto ciò che il Consiglio, fin da principio, ha fatto da parte sua per aiutarci a crescere insieme, io non posso che ricordarvi la ferma determinazione della Chiesa cattolica di fare ogni sforzo perché brilli un giorno la luce della koinonia ristabilita. E come potremmo mai farlo, senza sforzarci di continuare a crescere nel mutuo rispetto, nella reciproca fiducia, e nella comune ricerca dell'unica verità? Lunga è la via e occorre rispettarne le tappe. Ma noi crediamo nello Spirito.

Cari fratelli e sorelle in Cristo, così come il mio venerato predecessore Paolo VI all'inizio della seconda sessione del Concilio Vaticano II (29 settembre 1963) nel momento in cui abbordo la grave questione dell'unità, anch'io vorrei essere in mezzo a voi un umile adoratore e servitore di Cristo, del Cristo nella pienezza della sua maestà, così come è rappresentato nelle nostre splendide Chiese d'Oriente e d'Occidente! E' lui che, nella gloria che condivide con il Padre, si innalza sulla nostra assemblea di credenti e la benedice. E noi, ai quali tante cariche sono affidate al servizio delle Chiese, noi ci rivolgiamo verso di lui e verso il Padre implorando - per rendere più efficacemente testimonianza e servire la salvezza dell'uomo - i lumi e la forza dello Spirito Santo. Un po come gli apostoli e i primi discepoli riuniti nel primo Cenacolo con Maria, la madre di Gesù. E il Cristo redentore che è il nostro principio, la nostra via, la nostra guida, la nostra speranza e il nostro destino. Possa egli donare alla sua Chiesa sulla terra di essere sempre più, nel suo mistero e nella sua unità visibile, un'epifania dell'amore che unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Data: 1984-06-12 Data estesa: Martedi 12 Giugno 1984






GPII 1984 Insegnamenti - Ad un congresso di broncologia - Città del Vaticano (Roma)