GPII 1984 Insegnamenti - Omelia della Domenica delle palme - Città del Vaticano (Roma)

Omelia della Domenica delle palme - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Realizzare il bene nell'amore, nella verità e nella giustizia

Testo:

"Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore" (Mt 21,9).


1. La Chiesa ritorna ogni anno a queste parole di giubilo e di speranza, che risuonarono sulle vie che portavano a Gerusalemme, mentre Gesù si avvicinava alla città dei suoi destini messianici. La Chiesa ritorna, nella liturgia della Domenica delle palme, a questa gioia e speranza, che accompagnarono l'arrivo di Gesù a Gerusalemme. Egli veniva come uno dei pellegrini alla festa di Pasqua e camminava circondato dalla folla di pellegrini. Non procedeva a piedi, ma su un puledro d'asina, affinché si adempissero le parole del profeta: "Dite alla figlia di Sion: ecco il tuo re viene a te mite, seduto su un'asina, con un puledro figlio di bestia da soma" (Mt 21,5).

Il tuo re...

Portava in sé l'eredità autentica dei re d'Israele, legata all'origine davidica. E portava in sé la missione regale unita al regno di Dio sulla terra.

Questa missione doveva realizzarsi mediante la croce. Gesù di Nazaret andava a Gerusalemme per la sua morte: per una morte terribilmente avvolta da umana ignominia e più vicina di quanto chiunque potesse allora pensare.

Tuttavia nel momento in cui Cristo entro in Gerusalemme, lo circondava l'entusiasmo delle turbe dei pellegrini. E la Chiesa nell'odierna liturgia rivive quest'entusiasmo, per delineare sul suo sfondo in modo più rilevante i contorni del mistero pasquale. Inizia oggi la Settimana Santa, la settimana della passione, della morte e della risurrezione di Gesù Cristo, della stirpe di Davide: di Gesù Cristo il Figlio di Dio.


2. Nell'entusiasmo dei pellegrini, che si recavano a Gerusalemme insieme con Cristo, ebbero una parte speciale i giovani: i bambini e i giovani: "Pueri Hebraeorum".

ciò spiega anche la speciale partecipazione di giovani alla liturgia della Domenica delle palme in piazza San Pietro. così è ogni anno. Ma così è in modo straordinario nel presente Anno Giubilare della Redenzione, in cui la Domenica delle palme è diventata il vertice del Giubileo straordinario dei giovani. Per questo Giubileo siete giunti in pellegrinaggio da diverse parti d'Italia, e anche da vari Paesi e da differenti continenti del globo terrestre.

Con questo vostro pellegrinaggio giovanile voi vi unite a quella gioventù di Gerusalemme, che, seguendo Gesù di Nazaret, esclamava: "Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore", esprimendo così l'entusiasmo messianico.


3. Questo è l'entusiasmo per la persona: Gesù Cristo non cessa d'essere l'ideale, il più perfetto modello d'umanità. I giovani guardano verso di lui perché giovinezza significa un particolare "bisogno" di un modello d'umanità: d'umanità completa, semplice e trasparente, d'umanità "esemplare". Il "bisogno" di una tale umanità è particolarmente forte nei giovani, perché ad essi si impone di più l'interrogativo: come deve essere l'uomo? Quale uomo vale la pena di essere? Chi debbo essere io, per riempire di giusto contenuto quest'umanità che mi è data? I giovani dunque circondano Gesù Cristo nella liturgia della Domenica delle palme, per esprimere l'entusiasmo che la sua persona provoca nelle sempre rinnovantisi generazioni. Sembrano dire: Osanna al Figlio di Davide! Vale la pena di essere uomo, perché tu sei stato uomo! Perché sei venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità! Perché sei stato - mediante l'amore - totalmente "per gli altri". Perché hai riempito l'umanità di contenuto semplice, trasparente e autentico. Tu continuamente ci dai risposta a questi interrogativi, che assillano l'uomo e soprattutto l'uomo giovane.

perciò: sii salutato, Gesù di Nazaret, che entri in Gerusalemme, seduto su di un puledro. Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!


4. La liturgia dell'entrata in Gerusalemme continua a svilupparsi. Nella parte introduttiva, processionale, si inscrive la descrizione della passione di nostro signore Gesù Cristo secondo il Vangelo di san Matteo. Questa descrizione è preceduta dalla lettura tratta dal profeta Isaia e da quella tolta dalla lettera di san Paolo ai Filippesi.

L'apostolo ci introduce nel mistero della redenzione, cioè nel contenuto divino della risposta, che Gesù Cristo dà alla domanda dell'uomo sul vero senso dell'umanità, sul suo senso definitivo e ultimo. L'apostolo scrive: "...Cristo Gesù... pur essendo di natura divina, non considero un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spoglio se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini" (Ph 2,6-7).

Nella Domenica della passione del Signore la Chiesa professa la fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, Figlio consostanziale al Padre. Vero uomo e, insieme, vero Dio.

Nel mistero della redenzione questo Figlio - consostanziale e uguale al Padre - assume la condizione di servo. Dio, nella figura del servo, appartiene all'essenza della redenzione, la quale comporta il superamento del peccato alle sue stesse radici. La radice del peccato sta nel fatto che colui, che non era "uguale al Padre" - prima l'angelo creato, quindi, a sua volta, l'uomo creato - cerca di porsi "alla pari con Dio".

La redenzione vince il peccato alla sua stessa radice, quando colui, che è "uguale a Dio" - come il Figlio al Padre - "si spoglia" dei diritti, che quest'uguaglianza gli dà, e "assume la condizione di servo". Assume questa condizione come uomo, "divenendo simile agli uomini" e per questa via vince il peccato dell'uomo. La vittoria sul peccato dell'uomo, e sul peccato del mondo, sta al centro della redenzione del mondo.


5. Cari giovani amici! Pellegrini dell'Anno Giubilare della Redenzione! Voi, ai quali tanto dice il Cristo-Uomo, professate insieme con la Chiesa, professate insieme col successore di Pietro la fede in Cristo, Figlio di Dio. Allora si svelerà a voi la dimensione essenziale della redenzione. Allora scoprirete, anche, quale grandezza dell'uomo si nasconda nell'atteggiamento di servizio; nella vita programmata come servizio.

Ecco, "divenendo simile agli uomini", il Figlio di Dio "ha assunto la condizione di servo". Il Figlio di Dio serve. E' al servizio di ogni bene dell'uomo. E soprattutto serve il suo bene ultimo, il bene della salvezza.

Così, dunque, "divenendo simile agli uomini", egli è l'"uomo per gli altri". Pero quest'uomo per gli altri - l'uomo che serve - è Dio. E' il Figlio di Dio. Il suo servizio è determinante non solo grazie alla sua nobile dimensione di umanità. Il servizio ha in sé la dimensione divina. Porta con sé il segno del Figlio di Dio.

ciò è inscritto profondamente nella realtà della redenzione del mondo.

Come nel dramma della condanna del mondo, nel dramma del voltare le spalle a Dio, è inscritto il programma "non serviro", così nel Vangelo (cioè nella buona novella) della conversione e della riconciliazione con Dio, nel Vangelo della salvezza del mondo, è inscritto il Cristo che "ha assunto la condizione di servo).

E nello stesso Vangelo, nella stessa buona novella, si inscrive ogni uomo, quando prende da Cristo l'atteggiamento e la disponibilità a servire. Quando diventa - a misura delle proprie possibilità e dei propri compiti - anche "un uomo per gli altri": un uomo che serve.

Accogliete, giovani amici, tale dimensione della redenzione nel progetto di vita, che state formando nella vostra giovinezza. Che esso diventi il frutto particolare del vostro Giubileo. Imparate da Cristo-Redentore a vincere il peccato, a vincere l'egoismo e la concupiscenza che in esso si cela: quella degli occhi, della carne e la superbia della vita, vale a dire l'atteggiamento in esso nascosto: "non serviro".


6. Imparate anche, dall'esperienza della Domenica delle palme, a donare voi stessi, il vostro "io", la vostra vita nella sua piena e totale dimensione, soprattutto a Dio.

Ecco il Cristo "umilio se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome" (Ph 2,8-9).

Cristo, il Figlio di Dio, e Cristo, il vero uomo. Il Figlio di Dio è eternamente nel seno del Padre e unito a lui nello Spirito Santo. Cristo-Uomo, "simile agli uomini in tutto eccetto il peccato", si è donato al Padre fino in fondo per la salvezza del mondo. Offri se stesso al Padre come sacrificio per i peccati del mondo, per i peccati dell'uomo. Cristo - vero uomo - affido se stesso al Padre sino alla fine: a lui affido sino alla fine la propria vita e la propria morte, tutto ciò che costituisce la dimensione dell'esistenza terrena dell'uomo.

E il Padre ha accettato il sacrificio di Cristo. E il Padre ha esaltato il Cristo! Gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome. L'ha esaltato sulla croce, nella morte di croce. E l'ha esaltato nella gloria della risurrezione, traendo dalla sua morte quella vita, che nell'eterno, misericordioso piano di Dio è destinata all'uomo. Questa è la vita eterna. La risurrezione di Cristo è la definitiva rivelazione della vocazione dell'uomo all'immortalità.


7. La liturgia pertanto della Domenica delle palme nell'Anno Giubilare della Redenzione svela a voi, giovani pellegrini, questa verità sull'uomo, la verità che nessun altro fu né sarà mai capace di scoprire. Solo Gesù Cristo.

Questa verità è insieme una chiamata: siamo redenti da Cristo, siamo in Gesù Cristo chiamati alla salvezza, cioè a vivere in grazia di Dio, cioè a vincere il male nell'amore e nella verità vale a dire siamo chiamati alla vera libertà dei figli di Dio; e siamo in Gesù Cristo chiamati alla gloria. Tale è la verità divina sull'uomo. Tale è il disegno di Dio nei riguardi di ciascuno di noi: il "progetto" di Dio, presentato all'uomo, fino in fondo, in Gesù Cristo.

Che cosa dunque attende da noi Cristo? Attende che in questo "progetto di Dio" noi cerchiamo di entrare col nostro "progetto" di vita, con la nostra soluzione esistenziale. Cristo vuole aiutarci in questo con la potenza della verità e dell'amore, che, grazie alle inesauribili riserve della sua redenzione è innestata e consolidata in noi dallo Spirito Santo, il Consolatore.


8. "Pueri Hebraeorum...".

Camminiamo dunque, noi, giovani cristiani, pellegrini dell'Anno Giubilare della Redenzione. Ci uniamo a quella gioventù sulle vie che portavano a Gerusalemme. Essi non sapevano ancora completamente qual è il mistero di Gesù di Nazaret. Non comprendevamo quale realtà nasconde in sé il nome "Messia", figlio di Davide.

Noi lo sappiamo. Siamo testimoni della morte e della risurrezione, della croce e della salvezza. Abbiamo la piena consapevolezza della Pasqua di Cristo.

Con questa consapevolezza "pasquale" ci uniamo oggi alla gioventù di Gerusalemme, esclamando: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell'alto dei cieli".

Dio stesso lo ha esaltato!

Data: 1984-04-15 Data estesa: Domenica 15 Aprile 1984




Recita dell'Angelus

Titolo: Ai giovani: costruite un mondo nuovo alla luce del deserto

Testo:


1. Mentre si avvicina l'ora dell'Angelus, il pensiero va, all'inizio della Settimana Santa, sul Calvario, dove stava presso la croce di Gesù la Madre (cfr. Jn 19,25) e anche un giovane, Giovanni, il discepolo che Gesù amava (Jn 19,26), il discepolo che nell'ultima Cena poso il capo sul petto del Signore (cfr. Jn 13,25), "attingendo dal suo seno i segreti della sapienza e i misteri della pietà" (Ambrogio, "De institutione virginis", 46). Egli scrisse e consegno alla Chiesa quello che gli altri evangelisti non dissero: "Stava presso la croce di Gesù la Madre".

Il lungo silenzioso itinerario della Vergine, iniziato col "Fiat" gioioso di Nazaret, copertosi di oscuri presagi nell'offerta del primogenito nel tempio, trovo sul Calvario il suo coronamento salvifico. "La Madre mirava con occhio pietoso le piaghe del Figlio, dal quale sapeva che sarebbe venuta la redenzione del mondo" (Ambrogio, "De institutione virginis", 49).

Crocifissa col Figlio crocifisso (cfr. Ga 2,20), contemplava con angoscia di madre e con eroica fede di discepola la morte del suo Dio; "e acconsentiva con amore all'immolazione della vittima, che lei stessa aveva generato" (LG 58), per quel sacrificio. Pronuncio allora il suo ultimo "fiat", facendo la volontà del Padre in nostro favore e accogliendoci tutti come figli, per testamento di Cristo: "Donna, ecco il tuo figlio!" (Jn 19,26).


2. "Ecco la tua Madre!", disse Gesù al discepolo; "e da quell'ora il discepolo la prese con sé" (Jn 19,27): il discepolo vergine accolse la Vergine madre come sua luce, suo tesoro, suo bene, come il dono più caro ereditato dal Signore. E l'amo teneramente con cuore di figlio. "perciò non mi meraviglio - scrive Ambrogio ("De institutione virginis", 50) - che abbia narrato i divini misteri meglio degli altri colui che ebbe accanto a sé la dimora dei celesti misteri".

Giovani, accogliete anche voi Maria nel vostro cuore e nella vostra vita: sia lei l'idea ispiratrice della vostra fede, la stella luminosa del vostro cammino pasquale, per costruire un mondo nuovo nella luce del risorto, in attesa della Pasqua eterna del regno.

[In diverse lingue. In italiano:] Con questa solenne cerimonia si conclude il Giubileo dei giovani. Desidero pertanto rivolgere a tutti i giovani il mio affettuoso saluto e un cordiale arrivederci. Saluto e ringrazio, innanzitutto, i giovani italiani ai quali dico: Cristo redentore sia sempre l'amico e la guida del vostro cammino. E' questo il mio augurio ed è questa la mia preghiera, come ricordo dell'esperienza di questi giorni.

[In spagnolo:] Abbiamo celebrato, cari giovani di Spagna e dei diversi Paesi dell'America Latina, la liturgia di questa Domenica delle palme, con la quale si conclude il vostro Giubileo dell'Anno Santo. Nel rivolgervi il mio affettuosissimo saluto di commiato, vi raccomando nuovamente che nel cammino della vostra vita, abbiate sempre presente Cristo. Con lui, anche in mezzo alle prove, avrete la speranza di camminare verso la risurrezione.

[In francese:] Cari giovani, ecco che il vostro pellegrinaggio giubilare ha raggiunto il suo culmine! Comincia la Settimana Santa che ci conduce alla Pasqua. Seguite il cammino di Cristo che abbiamo acclamato in questa celebrazione delle Palme! Restate fedeli al Redentore di tutti gli uomini, siate i suoi testimoni nel mondo! [In inglese:] Oggi, cari giovani di lingua inglese, abbiamo pregato insieme con Cristo Gesù, il Figlio di Dio e il Figlio dell'uomo, colui che dà gioia alla vostra giovinezza e significato alla vostra vita. Ricordate sempre che Gesù Cristo è la ragione per cui siete venuti a Roma; egli è la ragione di questo Giubileo della nostra Redenzione.

[In tedesco:] Vi saluto di cuore, ancora una volta, cari giovani amici, alla fine di questa celebrazione giubilare. Vi incoraggio a conformare la vostra vita attingendo sempre di nuovo alla potenza, alla libertà, e all'amore di Cristo.

Chi cerca la sua amicizia e cammina con lui, trova la luce e il significato della sua vita.

[In portoghese:] Cari giovani, cari fratelli e sorelle di lingua portoghese: al termine di questa liturgia del vostro Giubileo, vi saluto tutti di cuore. Che Cristo sia il compagno di ogni giorno e la guida della vostra vita, illuminata dall'amore, dalla gioia e dalla libertà dei figli di Dio! [In polacco:] Miei cari giovani amici, connazionali! Pellegrini dell'Anno Santo della Redenzione! Oggi abbiamo chiuso il Giubileo dei giovani con la meravigliosa liturgia della Domenica delle palme. Ringrazio con voi Dio perché avete potuto vivere in questa grande comunità di giovani cuori la profondità del mistero della redenzione, e scoprire nuovamente questa grande verità, e cioè che Gesù Cristo, il Redentore del mondo, è il migliore amico di ognuno di voi, è il più perfetto modello di umanità; che egli è la fonte della vera gioia, della vera libertà e del vero amore. Portate con voi, nei vostri ambienti, questa verità.

Condividetela con tutta la gioventù polacca e vivetela ogni giorno. Vi benedico di cuore.

[In croato:] Saluto tutti i giovani croati presenti in piazza San Pietro. Portate le grazie e le gioie del Giubileo dei giovani nella vostra patria come dono a tutti i vostri connazionali.

[In sloveno:] Saluto di cuore anche i giovani sloveni. Gesù Cristo che vi ha portati a Roma sia sempre vostro amico e vostra guida.

Desidero esprimere il mio vivo ringraziamento ai signori cardinali, ai vescovi e ai sacerdoti che in questi giorni del Giubileo dei giovani hanno svolto le varie catechesi nelle differenti lingue e hanno presieduto le celebrazioni eucaristiche, dando un personale contributo alla testimonianza di fede che caratterizza il Giubileo della gioventù. Ringrazio cordialmente anche tutti gli organizzatori che si sono prodigati con impegno e competenza: ringrazio il Pontificio consiglio per i laici e in particolare le varie associazioni e movimenti che insieme hanno collaborato.

Data: 1984-04-15 Data estesa: Domenica 15 Aprile 1984









Omelia alla Messa crismale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'unzione nel ministero della Chiesa

Testo:


1. Oggi, mentre la missione pubblica del Messia sulla terra volge al termine, le parole del Vangelo secondo san Luca ci riportano ancora una volta all'inizio, presentandoci Gesù nella sinagoga di Nazaret e il libro del profeta Isaia.

Gesù legge: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione, e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore" (Lc 4,18-19). Una profezia messianica.

Gesù a Nazaret dice: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito". La profezia messianica si compie in lui.


2. Il Messia è unto con lo Spirito Santo. Ha la pienezza dello Spirito perché è il Figlio di Dio. Si compiono in lui le parole del salmista, riferite direttamente al re Davide.

Dice Dio per bocca del salmista: "La mia fedeltà e la mia grazia saranno con lui / e nel mio nome si innalzerà la sua potenza. / Egli mi invocherà: tu sei mio padre, / mio Dio e roccia della mia salvezza" (Ps 88,25 Ps 88,27).

Solamente come annuncio di Gesù, Davide poteva esclamare così, perché solo Cristo può dire a Dio: "Tu sei mio Padre". Solo Cristo - come Figlio consostanziale al Padre - è unito a lui nello Spirito Santo. E solo Cristo, come mandato dal Padre, ha la pienezza dello Spirito Santo. Ha questa pienezza come Redentore della Chiesa, suo corpo. Ha questa pienezza nella Chiesa per l'intera umanità, per tutti i popoli, le nazioni e le generazioni, per ogni uomo.


3. Il simbolo dell'elargizione dello Spirito Santo è l'unzione. Oggi la Chiesa benedice gli oli che servono all'unzione; in particolare: il sacro crisma, l'olio dei catecumeni e l'olio degli infermi.

La Chiesa, mediante questa speciale liturgia mattutina del Giovedi santo, desidera confessare, che Cristo, avendo la pienezza dello Spirito Santo come Figlio di Dio e Redentore del mondo, da questa pienezza attinge per arricchire costantemente e nuovamente la Chiesa, e nella Chiesa e mediante la Chiesa desidera attingere da questa inesauribile pienezza dello Spirito Santo per arricchire ciascuno e tutti coloro che si apriranno alla potenza della sua redenzione; in particolare la Chiesa desidera attingere da questa pienezza dello Spirito Santo di Cristo, per arricchire ciascuno e tutti, mediante l'amministrazione dei sacramenti: segni di salvezza e di grazia.

I sacri oli - il crisma, l'olio dei catecumeni, l'olio degli infermi - sono destinati al ministero sacramentale della Chiesa.


4. Noi sacerdoti - che oggi concelebriamo quest'Eucaristia mattutina del Giovedi santo - desideriamo confessare che ognuno di noi ha una speciale parte in questa pienezza dello Spirito Santo, che è in Cristo, eterno e unico sacerdote della nuova alleanza.

Il Giovedi santo è il ricordo dell'istituzione del Sacrificio eucaristico. Per celebrare questo santissimo Sacrificio noi siamo stati unti nel sacramento del sacerdozio. Come dispensatori dell'Eucaristia siamo divenuti speciali servitori di Cristo davanti all'intero popolo di Dio. Ci è stata affidata la remissione dei peccati e il ministero degli altri sacramenti insieme con l'insegnamento della fede.


5. Oggi, Giovedi santo, guardiamo con particolare amore a colui, che il Padre "ha consacrato con l'unzione e... ha mandato al mondo": guardiamo a Cristo, che ha la totale pienezza dello Spirito Santo, a favore dell'intera umanità; a Cristo, dalla cui pienezza tutti abbiamo ricevuto e ognuno di noi ha la sua "parte con lui".

Per mezzo di questa "parte", mediante la nostra partecipazione sacerdotale all'unzione messianica di Gesù Cristo, noi siamo i suoi sacerdoti davanti al popolo di Dio, al servizio di questo popolo.

Ringraziamo per il nostro sacerdozio ministeriale colui che l'ha innestato nelle nostre anime. Desideriamo rimanere e perseverare in esso al servizio della salvezza umana. Giuriamo la nostra fedeltà sacerdotale a colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati mediante il suo sangue...


6. Il Giubileo straordinario della Chiesa per l'Anno della Redenzione volge alla fine. In questo Anno Santo abbiamo cercato di rinnovare in noi la grazia del sacramento del sacerdozio. Rendiamo grazie per questo sacramento che cresce sul fondamento del "sacerdozio universale" di tutti i battezzati, come sacramento del servizio salvifico.

Sia eterna gloria a Cristo, "che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre" (Ap 1,6).

Data: 1984-04-19 Data estesa: Giovedi 19 Aprile 1984




Messa in Coena Domini - San Giovanni in Laterano (Roma)

Titolo: Nell'Eucaristia la Chiesa trova la potenza della Redenzione

Testo:


1. "Preso un po' del sangue dell'Agnello lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare" (Ex 12,7).

La prima lettura della liturgia contiene le prescrizioni particolareggiate del Libro dell'Esodo, che riguardano la cena pasquale dell'Antico Testamento.

La morte dell'agnello è rimasta il segno della potenza di Dio, che ha liberato il suo popolo dalla schiavitù egizia. Il suo corpo - "la carne arrostita al fuoco" Ex 12,8) - tutti dovevano consumarlo in fretta, pronti a partire immediatamente quando il Signore "sarebbe passato per il paese d'Egitto" (cfr. Ex 12,12). Da qui: i fianchi cinti, i sandali ai piedi e il bastone in mano.

Porranno il sangue dell'agnello "sui due stipiti e sull'architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare". Questo sangue è divenuto segno di salvezza dalla morte dei primogeniti d'Israele, allorquando la morte colpi tutti i primogeniti in terra egizia.

Nella tradizione dell'antica alleanza, la liberazione dalla schiavitù era stabilmente legata al rito del banchetto pasquale. Era il banchetto dell'agnello: mediante la morte di quest'agnello i figli d'Israele erano stati salvati dalla morte.


2. "Triduum sacrum": oggi inizia il Sacro triduo. Sull'orizzonte della nuova alleanza è apparso "l'Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo". Per la prima volta lo ha indicato Giovanni al battesimo nel Giordano (cfr. Jn 1,29). Al tempo stesso era l'inizio della missione messianica di Gesù di Nazaret in mezzo a Israele.

Sacro triduo. Ecco, si è avvicinato il tempo in cui la figura veterotestamentaria dell'agnello pasquale raggiunge il suo compimento in una nuova e definitiva realtà. Questa è la realtà che Giovanni il Battista aveva annunciato sul Giordano: l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.

Gesù vede "che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani" (Jn 13,3).

Gesù sa che "già il diavolo aveva messo nel cuore di Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo" (Jn 13,2). Gesù "si alza da tavola, depone le vesti... e comincia a lavare i piedi dei discepoli", come servo (cfr. Jn 13,4 Jn 13,5).

Con questo servizio del Giovedi santo si prepara a compiere il sacrificio della croce. Nel sacrificio della croce, il mistero dell'Agnello di Dio deve compiersi sino alla fine: deve compiersi con l'intero contenuto del mistero della redenzione. L'agnello pasquale ne era l'annuncio.


3. Il mistero della redenzione compiuto nella realtà dell'Agnello di Dio deve rimanere come sacramento della Chiesa: il sacramento dell'amore.

Questo è il sacramento legato al rito della cena, al banchetto pasquale.

La liberazione dalla prepotenza del male, dalla schiavitù del peccato e della morte, deve compiersi a prezzo della morte dell'Agnello di Dio. Questa liberazione nel mistero della redenzione si unisce nuovamente al banchetto pasquale.

Il Signore Gesù prende il pane "e dopo aver reso grazie", lo spezza e dice: "Questo è il mio corpo che è per voi; fate questo in memoria di me" (1Co 11,24). Poi prende il calice del vino e dice: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me" (così secondo ciò che ha registrato san Paolo nella prima lettera ai Corinzi 11,25).

"Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga" (1Co 11,26). In questo modo il Sacramento del pane e del vino ha abbracciato una volta per sempre la realtà dell'Agnello di Dio. O, piuttosto, la realtà dell'Agnello di Dio, compiendo nella morte di Cristo la redenzione del mondo, abbraccia per tutti i tempi il Sacramento del pane e del vino istituito durante l'ultima cena: il banchetto pasquale.


4. Ecco che allora la Chiesa, di giorno in giorno, di generazione in generazione, trova sempre di nuovo la stessa potenza della redenzione nel Sacramento della cena del Signore sotto le specie del pane e del vino. E celebrando questo santissimo Sacramento la Chiesa confessa sempre di nuovo: "Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo".

Per mezzo del Sacramento del corpo e del sangue di Cristo la Chiesa si trova costantemente al centro stesso del mistero della redenzione.

Data: 1984-04-19 Data estesa: Giovedi 19 Aprile 1984




Lettera apostolica - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Redemptionis Anno"

Testo:

Ai vescovi della Chiesa cattolica, ai sacerdoti, ai religiosi e religiose, e ai fedeli tutti sulla città di Gerusalemme, patrimonio sacro di tutti i credenti e desiderato crocevia di pace per i popoli del Medio Oriente


1. Venerati fratelli e diletti figli, mentre si conclude l'Anno Giubilare della Redenzione, il mio pensiero va a quella terra privilegiata, situata nel punto di incontro tra l'Europa, l'Asia e l'Africa, dove si è compiuta la redenzione del genere umano "una volta per sempre" (cfr. Rm 6,10 He 7,27 He 9,12 He 10,10). E' la terra che chiamiamo santa per essere stata la patria terrena di Cristo, il quale l'ha percorsa "predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità" (Mt 4,23).

Quest'anno in particolare avrei desiderato rivivere la profonda commozione e l'immensa gioia provata dal mio predecessore, il papa Paolo VI, quando nel 1964 si reco in Terra Santa e a Gerusalemme. Se non mi è stato possibile essere fisicamente là, mi sento, pero, spiritualmente pellegrino nella terra dove fu operata la nostra riconciliazione con Dio, per chiedere al Principe della pace il dono prezioso della redenzione e quello della pace, sospirata dal cuore degli uomini, dalle famiglie, dai popoli e, in particolare, dalle genti che abitano proprio in quella regione. Penso specialmente alla città di Gerusalemme, dove Gesù, offrendo la sua vita, "ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo... distruggendo in se stesso l'inimicizia" (Ep 2,14).

Gerusalemme, ancora prima di essere la città di Gesù redentore è stata il luogo storico della rivelazione biblica di Dio, il punto in cui più che in ogni altro luogo si è intrecciato il dialogo tra Dio e gli uomini, quasi il punto d'incontro tra la terra e il cielo.

A essa i cristiani guardano con religiosa e gelosa affezione, perché là tante volte è risuonata la parola di Cristo, là si sono svolti i grandi eventi della redenzione, cioè la passione, morte e risurrezione del Signore. A Gerusalemme è sorta la prima comunità cristiana e vi si è mantenuta nei secoli, anche in mezzo a difficoltà, una presenza ecclesiale continua.

Per gli ebrei essa è oggetto di vivo amore e di perenne richiamo, ricca di numerose impronte e memorie, fin dal tempo di David che la scelse come capitale e di Salomone che vi edifico il tempio. Da allora essi guardano, si può dire, ogni giorno ad essa e la indicano come simbolo della loro nazione.

Anche i musulmani chiamano Gerusalemme "la Santa" con un profondo attaccamento che risale alle origini dell'Islam ed è motivato da luoghi privilegiati di pellegrinaggio e da una presenza più che millenaria e quasi ininterrotta.

Oltre a così rare ed eminenti testimonianze Gerusalemme accoglie comunità vive di credenti, la cui presenza è pegno e fonte di speranza per le genti che in tutte le parti del mondo guardano alla città santa come a un proprio patrimonio spirituale e un segno di pace e di armonia. Si, perché nella sua qualità di patria del cuore di tutti i discendenti spirituali di Abramo, che la sentono immensamente cara, e in quella di punto di incontro, agli occhi della fede, tra la trascendenza infinita di Dio e la realtà dell'essere creato, Gerusalemme assurge a simbolo di incontro, di unione e di pace per tutta la famiglia umana.

La Città santa racchiude quindi un profondo invito alla pace rivolto a tutta l'umanità, e in particolare agli adoratori del Dio unico e grande, Padre misericordioso dei popoli. Ma purtroppo si deve riconoscere che Gerusalemme permane motivo di perdurante rivalità, di violenza e di rivendicazioni esclusiviste.

Questa situazione e queste considerazioni fanno salire alle labbra le parole del profeta: "Per amore di Sion non mi terro in silenzio, per amore di Gerusalemme non mi daro pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada" (Is 62,1).

Penso e sospiro il giorno nel quale tutti saremo davvero così "ammaestrati da Dio" (Jn 6,45) da ascoltarne il messaggio di riconciliazione e di pace. Penso al giorno nel quale ebrei, cristiani e musulmani potranno scambiarsi a Gerusalemme il saluto di pace che Gesù rivolse ai discepoli, dopo la sua risurrezione dai morti: "Pace a voi!" (Jn 20,19).

I romani pontefici, soprattutto in questo secolo, hanno seguito sempre con trepidante sollecitudine gli avvenimenti dolorosi nei quali Gerusalemme è stata coinvolta per molti decenni e hanno prestato vigilante attenzione ai pronunciamenti delle istituzioni internazionali che si sono interessate della Città santa.


2. In numerose occasioni, la Santa Sede ha invitato alla riflessione e ha esortato a trovare una soluzione adeguata alla complessa e delicata questione. Lo ha fatto perché profondamente preoccupata della pace tra i popoli, non meno che per motivi spirituali, storici, culturali, di natura eminentemente religiosa.

L'umanità intera, e in primo luogo i popoli e le nazioni, che hanno in Gerusalemme i loro fratelli di fede, cristiani, ebrei e musulmani, hanno motivo di sentirsi in causa e di fare il possibile per preservare il carattere sacro, unico e irripetibile della città. Non solo i monumenti o i luoghi santi, ma tutto l'insieme della Gerusalemme storica e l'esistenza delle comunità religiose, la loro condizione, il loro avvenire non possono non essere oggetto di interesse e di sollecitudine da parte di tutti.

In effetti, è doveroso che si trovi, con buona volontà e lungimiranza, un modo concreto e giusto con cui i diversi interessi e aspirazioni siano composti in forma armonica e stabile e siano tutelati in maniera adeguata ed efficace da uno speciale statuto internazionalmente garantito, così che una parta o l'altra non possa rimetterlo in discrimine.

Sento anche il pressante dovere, di fronte alle comunità cristiane, a coloro che professano la fede nel Dio unico e che sono impegnati nella difesa dei valori fondamentali dell'uomo, di ripetere che la questione di Gerusalemme è fondamentale per la giusta pace nel Medio Oriente. E' mia convinzione che l'identità religiosa della città e in particolare la comune tradizione di fede monoteistica possono appianare la via a promuovere l'armonia tra tutti quelli che variamente sentono la Città santa come propria.

Sono convinto che la mancata ricerca di una soluzione adeguata della questione di Gerusalemme, così come un rassegnato rinvio del problema, non fanno che compromettere ulteriormente l'auspicabile composizione pacifica ed equa della crisi di tutto il Medio Oriente.

E' naturale, in questo contesto, ricordare che nella regione due popoli, l'israeliano e il palestinese, sono da decenni contrapposti in un antagonismo che appare irriducibile. La Chiesa, che guarda a Cristo redentore e ne ravvisa l'immagine nel volto di ogni uomo, invoca pace e riconciliazione per i popoli della terra che fu sua. Per il popolo ebraico che vive nello Stato di Israele e che in quella terra conserva così preziose testimonianze della sua storia e della sua fede, dobbiamo invocare la desiderata sicurezza e la giusta tranquillità che è prerogativa di ogni nazione e condizione di vita e di progresso per ogni società.

Il popolo palestinese, che in quella terra affonda le sue radici storiche e da decenni vive disperso, ha il diritto naturale, per giustizia, di ritrovare una patria e di poter vivere in pace e tranquillità con gli altri popoli della regione.

Tutte le genti del Medio Oriente, ciascuna con un proprio patrimonio di valori spirituali, non potranno superare le tragiche vicende nelle quali sono coinvolte - penso al Libano tanto provato - se non sapranno riscoprire il vero senso della loro storia, che tramite la fede nell'unico Dio le chiama a una convivenza pacifica di intesa e di mutua collaborazione.

Desidero, pertanto, attirare l'attenzione degli uomini politici, di quanti sono responsabili dei destini dei popoli, di chi è a capo di istituzioni internazionali, sulla sorte della città di Gerusalemme e delle comunità che là vivono. A nessuno, infatti, sfugge che le varie espressioni di fede e di cultura presenti nella Città santa possono e debbono essere un coefficiente di concordia e di pace.

In questo Venerdi santo in cui ricordiamo solennemente la passione e la morte del Salvatore vorrei invitare tutti voi, venerabili fratelli nell'episcopato, e tutti i sacerdoti, le persone consacrate, i fedeli di tutto il mondo a mettere tra le speciali intenzioni delle loro preghiere l'invocazione a favore di una soluzione giusta del problema di Gerusalemme e della Terra Santa, e per il ritorno della pace nel Medio Oriente.

Nell'Anno Santo che sta per concludersi e che abbiamo celebrato con grande gioia spirituale sia a Roma sia in tutte le diocesi della Chiesa universale, Gerusalemme è stata il termine ideale, il luogo naturale a cui si rivolgevano i nostri pensieri di amore e di gratitudine per il grande dono della redenzione che nella Città santa fu operata dal Figlio dell'uomo a vantaggio di tutta l'umanità.

E poiché frutto della redenzione è la riconciliazione dell'uomo con Dio e di ogni uomo con i suoi fratelli, così dobbiamo invocare che anche a Gerusalemme, nella Terra Santa di Gesù, i credenti in Dio possano ritrovare, dopo così dolorose divisioni e discordie, la riconciliazione e la pace. Questa pace annunziata da Gesù Cristo, in nome del Padre che sta nei cieli, renda così Gerusalemme segno vivente del grande ideale di unità, di fratellanza e di convergenza tra i popoli, secondo le parole luminose del libro di Isaia: "Verranno molti popoli e diranno: venite, saliamo sul monte del Signore al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri" (Is 2,3).

Infine, impartiamo di cuore la nostra benedizione apostolica.

Roma, 20 aprile 1984

Data: 1984-04-20 Data estesa: Venerdi 20 Aprile 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Omelia della Domenica delle palme - Città del Vaticano (Roma)