GPII 1984 Insegnamenti - Agli handicappati nel "Killam Hospital" - Halifax (Canada)

Agli handicappati nel "Killam Hospital" - Halifax (Canada)

Titolo: Vengo per dirvi il grande affetto che la Chiesa nutre per voi

Cari amici e diletti bambini al "Izaak Walton" Killam Hospital.


1. Al cominciare di questo nuovo giorno, un giorno nel quale la Chiesa in tutto il mondo celebra L'Esaltazione della santa croce, sono molto lieto di farvi visita in questo ospedale. Saluto voi tutti nel nome di Gesù Cristo. Saluto i medici, le infermiere e il personale, gli handicappati e i malati, i bambini e le loro famiglie. Ringrazio Dio che mi dà la possibilità di trovarmi con voi. Vengo come un pastore e un amico, con il desiderio di assicurarvi del grande affetto che la Chiesa ha per voi. Voi avete un posto speciale nel mio cuore. E le mie preghiere, e le preghiere di tutta la Chiesa sono con voi, particolarmente quando vi sentite più deboli e impotenti.


2. Vorrei ricordare, in questo momento, lo speciale amore che Gesù ha per gli handicappati e i malati, per i bambini e per tutti coloro che soffrono. Per esempio, troviamo nel Vangelo di san Marco il passo seguente: "Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s'indigno e disse loro: "Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso". E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva" (Mt 10,13-16).

Quale straordinaria illustrazione del tenero amore di Gesù per i bambini! E', al tempo stesso, un modello di servizio amorevole che noi, la Chiesa, cerchiamo di imitare nel nostro tempo. Anche noi desideriamo rassicurare tutti i bambini, e tutti coloro che sono malati o handicappati, del nostro profondo interessamento e sostegno. Desideriamo benedirli e presentarli al Signore nella preghiera.


3. E ora vorrei rivolgere poche parole ai medici, alle infermiere, ai genitori e a tutti coloro che hanno cura dei malati e degli handicappati. Voglio prima di tutto ringraziarvi, ed elogiarvi per la vostra dedizione e le vostre fatiche, per le innumerevoli ore di assistenza e di preoccupazione che dedicate a questi piccoli di Dio che sono nel bisogno.

Gesù, durante la sua vita in terra, non solo ebbe uno speciale amore per i bambini e per quelli che sono malati o inabili. Egli si identifico perfino con loro quando disse: "Ero malato e mi avete visitato... ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,36-40). Queste parole registrate da san Matteo mostrano la dignità e il valore del vostro lavoro a favore di questi piccoli. La vostra amorosa dedizione, il vostro generoso servizio, la vostra abilità medica e professionale, sono tutti atti di amore per i bambini o i malati, e sono atti di amore per Cristo che è misteriosamente presente in loro. E la vostra carità e le cure che prodigate danno testimonianza alla dignità e al valore di ogni essere umano, fosse pure il più piccolo e il più derelitto di questi bambini. Voglia Dio benedirvi e sostenervi con la sua grazia.

Con queste poche parole, dunque, assicuro tutti voi dell'amore e dell'interesse della Chiesa e del mio pastorale affetto in Cristo. E chiedo a Dio di benedirvi con i suoi doni di pace e di gioia. Il Dio della vita sia con tutti voi.

Data: 1984-09-14 Data estesa: Venerdi 14 Settembre 1984




Omelia al "Central Commons" - Halifax (Canada)

Titolo: Ribadito l'assoluto valore della vocazione missionaria

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. Come rappresentanti del popolo di Dio nell'arcidiocesi di Halifax, di Cap Breton, di tutta la Nuova Scozia e dell'Isola Principe Edward, siete riuniti in questa acclamazione della liturgia con l'arcivescovo Hayes, con gli altri vescovi e con la Chiesa in tutto il mondo. La Chiesa cattolica celebra oggi la festa dell'Esaltazione della croce di Cristo. Come il Cristo crocifisso è innalzato dalla fede nei cuori di tutti coloro che credono, così egli innalza quegli stessi cuori con una speranza che non può essere distrutta. Poiché la croce è il segno della redenzione, e nella redenzione è contenuta la promessa della risurrezione e l'inizio della nuova vita: l'elevazione dei cuori umani. All'inizio del mio ufficio nella sede di san Pietro ho cercato di proclamare questa verità con l'enciclica "Redemptor Hominis". In questa stessa verità desidero oggi essere unito a tutti voi nell'adorazione della croce di Cristo: "Non dimenticate le opere di Dio" (cfr. Ps 77,7).


2. Per conformarci all'acclamazione dell'odierna liturgia, seguiamo attentamente il sentiero tracciato da queste sante parole nelle quali ci viene annunciato il mistero dell'Esaltazione della croce.

In primo luogo, in queste parole è contenuto il significato del Vecchio Testamento. Secondo sant'Agostino, il Vecchio Testamento contiene ciò che è pienamente rivelato nel nuovo. Qui abbiamo l'immagine del serpente di bronzo al quale si riferi Gesù nella sua conversazione con Nicodemo. Il Signore stesso ha rivelato il significato di quest'immagine dicendo: "E come Mosè innalzo il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il figlio dell'uomo perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna" (Jn 3,14-15).

Durante il cammino del popolo di Israele dall'Egitto alla Terra Promessa - poiché la gente si lamentava - Dio mando un'invasione di serpenti velenosi a causa della quale molti perirono. Quando i sopravvissuti compresero la loro colpa chiesero a Mosè di intercedere presso Dio: "Prega il Signore che allontani da noi questi serpenti" (Nb 21,7). Mosè prego e ricevette dal Signore quest'ordine: "Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta. Chiunque dopo essere stato morso lo guarderà, resterà in vita" (Nb 21,8). Mosè obbedi all'ordine. Il serpente di bronzo posto sull'asta rappresento la salvezza dalla morte per tutti coloro che venivano morsi dai serpenti.

Nel libro della Genesi il serpente era il simbolo dello spirito del male. Ma adesso, per una sorprendente inversione, il serpente di bronzo issato nel deserto diventa una raffigurazione del Cristo, issato sulla croce. La festa dell'Esaltazione della croce richiama alle nostre menti e, in un certo senso, rende attuale, l'elevazione di Cristo sulla croce. La festa è l'elevazione del Cristo redentore: chiunque crede nel Cristo crocifisso avrà la vita eterna.

L'elevazione di Cristo sulla croce costituisce l'inizio dell'elevazione dell'umanità attraverso la croce. E il compimento ultimo dell'elevazione è la vita eterna.


3. Questo evento del Vecchio Testamento è richiamato nel tema centrale del Vangelo di san Giovanni. Perché la croce e il Cristo crocifisso sono la porta alla vita eterna? Perché in lui - nel Cristo crocifisso - è manifestato nella sua pienezza l'amore di Dio per il mondo, per l'uomo.

Nella stessa conversazione con Nicodemo Cristo dice: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui (Jn 3,16-17).

La salvezza del Figlio di Dio attraverso l'elevazione sulla croce ha la sua sorgente eterna nell'amore. E' l'amore del Padre che manda il Figlio; egli offre suo Figlio per la salvezza del mondo. Nello stesso tempo è l'amore del Figlio il quale non "giudica" il mondo, ma sacrifica se stesso per l'amore verso il Padre e per la salvezza del mondo. Dando se stesso al Padre per mezzo del sacrificio della croce egli offre al contempo se stesso al mondo: ad ogni singola persona e all'umanità intera.

La croce contiene in sé il mistero della salvezza, perché nella croce l'amore viene innalzato. Questo significa l'elevazione dell'amore al punto supremo nella storia del mondo: nella croce l'amore è sublimato e la croce è allo stesso tempo sublimata attraverso l'amore. E dall'altezza della croce l'amore discende a noi. Si: "La croce è il più profondo chinarsi della divinità sull'uomo. La croce è come un tocco dell'eterno amore sulle ferite più dolorose dell'esistenza terrena dell'uomo" (DM 8).


4. All'avvento del Vangelo di Giovanni la liturgia della festa di oggi aggiunge la presentazione fatta da Paolo nella sua lettera ai Filippesi. L'apostolo parla di uno svuotamento di Cristo attraverso la croce; e allo stesso tempo dell'elevazione di Cristo al di sopra di tutte le cose; e anche questo ha avuto il suo inizio nella stessa croce: "Gesù Cristo... spoglio se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, e apparso in forma umana, umilio se stesso ancora di più facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" (Ph 2,6-11).

La croce è il segno della più profonda umiliazione di Cristo. Agli occhi del popolo di quel tempo costituiva il segno di una morte infamante. Solo gli schiavi potevano essere puniti con una morte simile, non gli uomini liberi.

Cristo, invece, accetta volentieri questa morte, la morte sulla croce. Eppure questa morte diviene il principio della risurrezione. Nella risurrezione il servo crocifisso di Jahvè viene innalzato: egli viene innalzato su tutto il creato.

Nello stesso tempo anche la croce è innalzata. Essa cessa di essere il segno di una morte infamante e diventa il segno della risurrezione, cioè della vita. Attraverso il segno della croce, non è il servo o lo schiavo che parla, ma il Signore di tutta la creazione.


5. Questi tre elementi dell'odierna liturgia, il Vecchio Testamento, l'inno cristologico di Paolo e il Vangelo di Giovanni, formano assieme la grande ricchezza del mistero del trionfo della croce. Trovandoci immersi in questo mistero con la Chiesa, che attraverso il mondo celebra oggi l'Esaltazione della santa croce, desidero dividere con voi, in una maniera speciale, le sue ricchezze, cari fratelli e sorelle dell'arcidiocesi di Halifax, caro popolo della Nuova Scozia, dell'Isola Edward e di tutto il Canada. Si, desidero dividere con voi tutte le ricchezze di quella croce santa - che, quale stendardo di salvezza - fu piantata sul vostro suolo 450 anni fa. Da allora la croce ha trionfato in questa terra e, attraverso la collaborazione di migliaia di canadesi, il messaggio di liberazione e di salvezza della croce, è stato diffuso ai confini della terra.


6. Nello stesso tempo desidero rendere omaggio al contributo missionario dei figli e delle figlie del Canada che hanno dato la loro vita così "perché la parola del Signore si diffonda, e sia glorificata come lo è anche tra voi" (2Th 3,1). Rendo omaggio alla fede e all'amore che li ha motivati, e al potere della croce che ha dato loro la forza di andare avanti ed eseguire il comando di Cristo: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,20).

E nel rendere omaggio ai vostri missionari, rendo parimenti omaggio alle comunità sparse per il mondo che hanno accolto il loro messaggio e segnato le loro tombe con la croce di Cristo. La Chiesa è grata per l'ospitalità loro concessa di un luogo di sepoltura, da dove essi attendono la definitiva esaltazione della croce santa nella gloria della risurrezione e della vita eterna.

Esprimo profonda gratitudine per lo zelo che ha caratterizzato la Chiesa in Canada e vi ringrazio per le preghiere, i contributi e le varie attività attraverso le quali voi sorreggete la causa missionaria. In particolare vi ringrazio per la vostra generosità verso la missione di aiuto delle società da parte della Santa Sede.


7. L'evangelizzazione resta per sempre il sacro retaggio del Canada, che vanta realmente una storia gloriosa dell'attività missionaria in patria e all'estero.

L'evangelizzazione deve continuare ad essere esercitata attraverso l'impegno personale, predicando la speranza nelle promesse di Gesù e con la proclamazione dell'amore fraterno. Sarà sempre connessa con l'impianto e l'edificazione della Chiesa e avrà una profonda relazione con lo sviluppo e la libertà come espressione del progresso umano. Al centro di questo messaggio, tuttavia, c'è un'esplicita proclamazione di salvezza in Gesù Cristo, quella salvezza determinata dalla croce.

Ecco le parole di Paolo VI: "L'evangelizzazione conterrà sempre - anche come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo - una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto, la salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e misericordia di Dio stesso" (EN 27).

La Chiesa in Canada sarà se stessa se proclamerà fra tutti i suoi membri, con parole e fatti, l'esaltazione della croce, e sempre che, in patria e all'estero, essa sia una Chiesa evangelizzante.

Anche se queste parole vengono da me, c'è un altro che parla ovunque ai cuori dei giovani. E' lo stesso Spirito Santo, ed è lui che fa pressione su ciascuno di noi, come membro di Cristo, per indurci ad abbracciare e a portare la buona novella dell'amore di Dio. Ma ad alcuni lo Spirito Santo sta proponendo il comando di Gesù nella sua forma specifica missionaria: andate a reclutare discepoli di tutte le nazioni. Dinanzi alla Chiesa intera, io, Giovanni Paolo II, proclamo ancora una volta l'assoluto valore della vocazione missionaria. E assicuro tutti i chiamati alla vita ecclesiastica e religiosa che nostro Signore Gesù Cristo è pronto ad accettare e rendere fruttuoso il sacrificio speciale delle loro vite, nel celibato, per l'esaltazione della croce.


8. Oggi la Chiesa, annunciando il Vangelo, rivive in un certo qual modo tutto il periodo che ha inizio il mercoledi delle Ceneri, raggiunge il suo apice durante la Settimana Santa e a Pasqua e prosegue nelle settimane successive fino alla Pentecoste. La festa dell'Esaltazione della santa croce è come il compendio di tutto il mistero pasquale di nostro Signore Gesù Cristo.

La croce è gloriosa perché su di essa il Cristo si è innalzato.

Attraverso di essa, il Cristo ha innalzato l'uomo. Sulla croce ogni uomo è veramente elevato alla sua piena dignità, alla dignità del suo fine ultimo in Dio.

Attraverso la croce, inoltre, è rivelata la potenza dell'amore che eleva l'uomo, che lo esalta.

Veramente tutto il disegno di Dio sulla vita cristiana è condensato qui in un modo meraviglioso: il disegno di Dio e il suo senso! Diamo la nostra adesione al disegno di Dio e al suo senso! Ritroviamo il posto della croce nella nostra vita e nella nostra società. Parliamo della croce in modo particolare a tutti coloro che soffrono, e trasmettiamo il suo messaggio di speranza ai giovani.

Continuiamo a proclamare fino ai confini della terra il suo potere salvifico: "Exaltatio Crucis!": la gloria della santa croce! Fratelli e sorelle: "Non dimenticate mai le opere del Signore"! Amen.

Data: 1984-09-14 Data estesa: Venerdi 14 Settembre 1984




Ai sacerdoti nella chiesa di San Michele - Toronto (Canada)

Titolo: Dalla croce di Cristo il senso e scopo della vita sacerdotale

Testo:

Cari fratelli sacerdoti.


1. Sono lieto che il primo grande incontro della mia visita pastorale alla Chiesa di Toronto mi trovi qui con voi. Vorrei comunicarvi la gioia che provo e quanto io apprezzo tutto quello che voi fate per il santo popolo di Dio. E' molto bello che il nostro incontro abbia luogo nella festa del trionfo della croce. Il significato di questa celebrazione viene sottolineato nella liturgia di oggi. Vi troviamo una ricca fonte di ispirazione per riflettere sul significato che la croce ha per il sacerdozio di Gesù e, di conseguenza, sul significato che ha per la nostra vita sacerdotale.


2. La croce rappresenta il culmine del servizio sacerdotale di Gesù. Su di essa egli offre se stesso come il perfetto sacrificio di riparazione al Padre per i peccati dell'umanità; qui egli stabilisce un patto nuovo e duraturo tra Dio e l'uomo. Questo meraviglioso patto è rinnovato in ogni Eucaristia che noi celebriamo; e in ogni Eucaristia, la Chiesa riafferma la sua identità e la sua chiamata come corpo di Cristo.

Guardando il passo del Vangelo di san Giovanni che abbiamo appena ascoltato, troviamo Gesù che discute con Nicodemo, capo dei Giudei, che "viene nella notte", nelle tenebre, per essere illuminato da colui che è "la luce del mondo". Con le sue domande Nicodemo indica che è alla ricerca della verità su Dio e che desidera conoscere la giusta direzione che la sua vita dovrebbe prendere.

Gesù non lo delude. La sua risposta è chiara e diretta. Rispondendo a Nicodemo, Gesù va al vero centro del messaggio evangelico: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16).

Il Figlio dell'uomo innalzato sulla croce è un segno dell'amore del Padre. Gesù lo conferma quando dice: "Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo" (Jn 10,17). Nello stesso tempo la croce mostra l'obbedienza filiale di Gesù per la volontà del Padre: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera" (Jn 4,34). La croce è veramente un segno dell'amore divino, ma è un amore divino che il Figlio condivide con l'umanità.

Questo amore simboleggiato dalla croce è profondamente pastorale, perché attraverso di esso chiunque crede in Cristo ottiene la vita eterna. Sulla croce il Buon Pastore "offre la vita per le pecore" (Jn 10,11). Il morire di Gesù sulla croce è il ministero supremo, il supremo atto di servizio alla comunità dei credenti. Il sacrificio di Gesù esprime in modo più eloquente delle parole umane la natura pastorale dell'amore che Cristo ha per il suo popolo.

La croce rappresenta la volontà del Padre di riconciliare il mondo attraverso suo Figlio. San Paolo riassume per noi la missione di riconciliazione di Cristo quando scrive: "Perché piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli" (Col 1,19-20).

La croce non abbraccia solo la comunità ecclesiale che si riunisce nella fede, ma la sua sfera di influenza si estende su tutte "le cose che stanno sulla terra e nei cieli". Il potere della croce è la forza riconciliatrice che dirige il destino dell'intera creazione. Nostro Signore rivela il centro di questa forza riconciliatrice quando dice: "Io, quando saro elevato da terra, attirero tutti a me" (Jn 12,32).

La realtà della croce riguarda profondamente la nostra società contemporanea con tutti i suoi progressi tecnologici e scientifici. E' attraverso il sacerdozio di Cristo che questa società raggiungerà il suo destino finale in Dio.


3. Come il senso del sacerdozio di Cristo si scopre nel mistero della croce così anche il senso e lo scopo della vita sacerdotale derivano da questo stesso mistero. Poiché partecipiamo al sacerdozio di Gesù crocifisso, dobbiamo renderci conto ogni giorno di più che il nostro servizio è segnato dalla croce.

La croce ricorda a noi sacerdoti il grande amore di Dio per l'umanità e l'amore personale di Dio per noi. La grandezza di questo amore viene comunicata, prima di tutto, con il dono della vita nuova che ogni cristiano riceve attraverso l'acqua salvifica del Battesimo. Questa splendida espressione dell'amore divino riempie continuamente il credente di gratitudine e gioia.

E quanto meraviglioso è quel dono che Gesù offre ad alcuni uomini - per il beneficio di tutti - di partecipare al suo sacerdozio ministeriale. Chi fra noi sacerdoti non trova in questa chiamata un'espressione dell'amore profondo e personale che Dio ha per ognuno di noi e per la Chiesa intera che siamo chiamati a costruire attraverso il ministero specifico della parola e dei sacramenti? Sapendo che siamo chiamati ad unire le nostre vite con la missione redentrice di Gesù, ognuno di noi percepisce la propria indegnità nell'essere ordinato "uomo di Dio" per gli altri. Questa comprensione ci porti a cercare una maggiore dipendenza da Dio nella preghiera. In unione con Cristo nella preghiera, troviamo la forza di accettare la volontà del Padre, di rispondere gioiosamente all'amore di Cristo e di crescere in santità. In questo processo, il segno della croce ricopre la nostra intera esistenza come sacerdoti, richiedendo sempre più urgentemente di imitare Cristo stesso con una generosità sempre più grande.

Attraverso questa lotta, le parole di san Paolo riecheggiano costantemente nei nostri cuori: "Per me infatti il vivere è Cristo" (Ph 1,21).


4. Come sacerdoti vediamo nella croce anche un simbolo del nostro servizio pastorale agli altri. Come il sommo sacerdote nel nome del quale operiamo, siamo chiamati "non per essere serviti, ma per servire" (Mt 20,28). Siamo incaricati di avere cura del gregge di Cristo, di condurlo "per il giusto cammino per amore del suo nome" (Ps 23,3).

Il nostro servizio principale come sacerdoti è di proclamare la buona novella della salvezza in Gesù Cristo. Comunichiamo questo messaggio, tuttavia, non "con discorsi sapienti con cui la crocifissione di Cristo non si può esprimere", ma con "il linguaggio della croce" che è "per quelli che si salvano, potenza di Dio" (1Co 1,17-18). Una predicazione efficace richiede che siamo impregnati del mistero della croce attraverso lo studio e la riflessione quotidiana sulla parola di Dio.

Il nostro servizio sacerdotale trova la sua più sublime espressione nell'offerta del Sacrificio eucaristico. E davvero, il Sacrificio eucaristico è la proclamazione sacramentale del mistero della salvezza. In questa azione sacra noi rendiamo presente, per la gloria della Santissima Trinità e per la santificazione del popolo, il sacrificio di Cristo sulla croce.

L'Eucaristia porta il potere della morte di Cristo sulla croce nella vita dei fedeli: "Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga" (1Co 11,26). L'Eucaristia è la vera ragione del sacerdozio. Il sacerdote esiste per celebrare l'Eucaristia. Nell'Eucaristia troviamo il significato di qualsiasi altra cosa facciamo. Dobbiamo, infatti, essere attenti a questo grande dono affidato a noi per il bene dei nostri fratelli e sorelle. Quando celebriamo l'Eucaristia, dobbiamo riflettere profondamente su quello che facciamo e come questa azione coinvolga tutta la nostra vita.

Nel 1980, il giorno del Giovedi Santo, ho fatto partecipi i vescovi della Chiesa di questo pensiero, in una lettera a loro indirizzata: "Il sacerdote compie la sua missione principale e si manifesta in tutta la sua pienezza quando celebra l'Eucaristia, e questa manifestazione è più completa quando egli stesso permette alla profondità di questo mistero di diventare visibile, così che solo questo possa risplendere davanti ai cuori e alla mente del popolo attraverso il suo ministero" (n. 2).

Attraverso il suo amore per l'Eucaristia il sacerdote ispira i laici a esercitare il loro specifico e importante ruolo nel servizio liturgico. E rende possibile questo anche esercitando il carisma della sua ordinazione. Nella sua lettera pastorale sul sacerdozio, il cardinale Carter (Lettera pastorale, V, 7) descrive questo aspetto del ruolo del sacerdote: "La sua funzione è di richiamare il popolo di Dio alla propria responsabilità... offrire questo sacrificio di lode che dovrebbe trasformare le loro vite e, attraverso di loro, il mondo. E questo il sacerdote deve farlo "in persona Christi"".

In una parola, il sacerdote innalza Cristo in mezzo all'assemblea così che, sotto il segno della croce, l'assemblea possa essere costruita in unità e amore e renda testimonianza al mondo dell'amore redentore di Cristo.


5. Sotto il segno della croce, sappiamo che ci vengono richiesti alcuni sacrifici.

Questo non ci deve sorprendere perché la strada di Cristo per adempiere il servizio pastorale è la strada della croce. A volte potremo essere scoraggiati, provare solitudine, e perfino rifiuto; potrebbe esserci richiesto di arrivare fino ad un punto tale da sentirci completamente privi di forze. Ci viene sempre richiesto di essere comprensivi, pazienti e compassionevoli con coloro con cui non andiamo d'accordo e con chiunque incontriamo. E dobbiamo accettare queste richieste, con tutti i sacrifici che richiedono, per essere "tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno" (1Co 9,22). E quindi accettiamo ciò che ci viene domandato, non malvolentieri, ma prontamente, si, gioiosamente.

Il nostro impegno sacerdotale di vivere una vita di celibato "per amore del regno dei cieli" è abbracciato anche a beneficio degli altri. Permettetemi di ripetere ciò che ho scritto ai sacerdoti del mondo nella mia lettere del Giovedi Santo del 1979 (n. 8): "Per mezzo del suo celibato il sacerdote diventa l'uomo per gli altri, in modo differente rispetto all'uomo che, legandosi in unione coniugale con una donna, come marito e padre, diventa anche lui un uomo "per gli altri"...

Il sacerdote, rinunciando alla paternità, propria dell'uomo sposato, ricerca un'altra paternità come un'altra maternità, ricordando le parole dell'apostolo riguardo i bambini che egli genererà con sofferenza. Questi sono figli del suo spirito, persone affidate alle sue cure dal Buon Pastore... La vocazione pastorale dei sacerdoti è grande... Il cuore del sacerdote, poiché dovrebbe essere disponibile per questo servizio, deve essere libero. Il celibato è un segno della libertà che esiste per amore del servizio".


6. Inoltre, noi sacerdoti, troviamo nel mistero della croce il potere di riconciliazione di Cristo su tutta la creazione. Noi crediamo che la croce di Cristo offra alla società contemporanea - con le sue scoperte scientifiche, il suo progresso tecnologico, e con la sua alienazione e disperazione - un messaggio di riconciliazione e speranza. Come capi dell'assemblea eucaristica, che è la sorgente di riconciliazione e di speranza per la Chiesa, noi abbiamo la responsabilità di assistere gli altri per umanizzare il mondo attraverso il potere del Signore crocifisso e risorto.

Cari fratelli sacerdoti: noi siamo chiamati a proclamare il messaggio di riconciliazione e speranza di Cristo in un modo veramente speciale, in un modo che la Provvidenza di Dio ha riservato solo a noi. Proclamare la riconciliazione e la speranza non significa solo insistere sulla grandezza del perdono di Dio e dell'amore compassionevole di fronte al peccato, ma anche rendere possibile l'azione indulgente di Cristo nel sacramento della Penitenza.

Più e più volte ho chiesto ai miei fratelli sacerdoti e vescovi di dare una priorità speciale a questo sacramento, così che Cristo possa avvicinare i suoi fratelli e sorelle in un incontro d'amore personale. Il nostro ministero sacerdotale è un atto di stretta collaborazione con il Salvatore del mondo nel portare la sua redenzione nelle vite dei fedeli. E' attraverso la conversione personale realizzata e suggellata dal sangue di Gesù che il rinnovamento e la riconciliazione potranno finalmente permeare tutta la creazione.

Vorrei ora ricordare ciò che dissi lo scorso settembre ad un gruppo di vescovi canadesi a Roma. Si trattava di un appello che riguardava la preparazione della mia visita pastorale. Sperando che possa essere un seguito alla mia visita, faccio ora lo stesso appello a voi: "Invitate tutti i fedeli del Canada alla conversione e alla Confessione individuale. Per alcuni sarà lo sperimentare la gioia del perdono sacramentale per la prima volta in molti anni, per altri sarà una messa alla prova della grazia... La chiamata alla conversione è anche una chiamata alla generosità e alla pace. E' una chiamata ad accettare la misericordia e l'amore di Gesù Cristo".

Cari fratelli, proclamiamo al mondo la riconciliazione e la speranza che noi stessi sperimentiamo nel sacramento della Penitenza. La vocazione alla quale Cristo ci ha chiamati è veramente una sfida al nostro amore. Nella lettera agli Ebrei: "Tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia" (He 12,2).

Poiché oggi rinnoviamo il nostro impegno sacerdotale, offriamo noi stessi a Cristo sulla via della croce. E facciamolo in unione con Maria, sua e nostra Madre.

Data: 1984-09-14 Data estesa: Venerdi 14 Settembre 1984




Incontro con i rappresentanti delle altre chiese e comunioni cristiane - Toronto (Canada)

Titolo: Importanza dell'unità per l'evangelizzazione

Testo:

Cari amici in Cristo,


1. Sono profondamente lieto di unirmi nella preghiera di lode e di domanda a voi, che rappresentate le diverse Chiese e Comunioni cristiane di tutto il Canada. Con profondo rispetto e amore saluto voi tutti con le parole dell'apostolo Paolo: "Grazia a voi e pace da Dio padre e dal signore Gesù Cristo" (2Th 1,2). Desidero anche salutare con profondo rispetto i capi delle altre fedi che sono venuti qui oggi. Vi ringrazio per la vostra presenza a questo servizio ecumenico.

Nel Vangelo, san Matteo ci dice che Gesù "sali sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola li ammaestrava" (Mt 5,1-2). Anche noi siamo discepoli di Gesù e insieme noi andiamo a lui. Andiamo ad ascoltare la sua parola in modo che possa ammaestrarci così come egli un tempo ammaestrava la folla che si radunava attorno a lui sulla montagna.

Desideriamo essere ammaestrati ed ispirati dal suo messaggio di salvezza.

Desideriamo inoltre pregare insieme per il dono dell'unità fra i cristiani e unire i nostri cuori nella lode di Dio: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.


2. E' davvero molto bello essere con voi. Voglio che sappiate quanto vi sia profondamente grato per la "Lettera pastorale ecumenica" che è stata indirizzata alle congregazioni e parrocchie cristiane di tutto il Canada prima della mia visita pastorale. E' stato meraviglioso e rassicurante conoscere l'appoggio spirituale e l'interesse fraterno di così tanti fratelli e sorelle cristiani.

Apprezzo profondamente il caloroso benvenuto che mi avete riservato, e sono molto lieto che abbiate colto questa opportunità per affermare la necessità del movimento ecumenico, per sottolineare molti degli importanti passi compiuti verso la piena unità e per incoraggiare iniziative nuove nonché una preghiera continua per il raggiungimento di quella meta a cui aspiriamo così grandemente.


3. Esattamente venti anni fa - il 14 settembre 1964 - il mio predecessore Paolo VI si è rivolto ai partecipanti al Consiglio Vaticano II nel momento in cui si riunivano per dare inizio alla terza sessione, che doveva promulgare la costituzione sulla Chiesa e il decreto sull'ecumenismo. Verso la fine del suo discorso si rivolse direttamente agli osservatori delle altre Chiese e Comunità ecclesiali dicendo: "Desideriamo ribadire ancora una volta la nostra meta e la nostra speranza di poter un giorno rimuovere ogni ostacolo, ogni incomprensione, ogni sospetto che ancora ci impedisce di sentirci davvero fatti "di un solo cuore e di una anima sola" (Ac 4,22) in Cristo e nella sua Chiesa... ciò è qualcosa di grandissima importanza che affonda le sue radici nei misteriosi disegni di Dio e noi ci adoperiamo, in umiltà e pietà, per divenire degni di una grazia così grande".

Vent'anni dopo che queste parole furono pronunciate, possiamo rallegrarci nel vedere i grandi passi che abbiamo compiuto, poiché in effetti sono stati rimossi molti ostacoli, molte incomprensioni e molti sospetti. Per tutto ciò ringraziamo Dio. Nello stesso tempo sono grato per quest'occasione, e per altre come questa, che ci danno l'opportunità di apprezzare in modo più approfondito ciò che la grazia di Dio ha creato in noi, e che ci danno nuova forza e nuovo coraggio per intraprendere insieme il cammino che ancora ci attende.


4. Nella mia prima lettera enciclica, Redemptor hominis, scritta poco dopo la mia nomina a successore di Pietro, ho affermato: "Nella presente situazione storica della cristianità e del mondo, non appare altra possibilità di adempiere la missione universale della Chiesa, per quanto riguarda i problemi ecumenici, che quella di cercare lealmente, con perseveranza, con umiltà e anche con coraggio, le vie di avvicinamento e di unione così come ce ne ha dato personale esempio papa Paolo VI. Dobbiamo, pertanto, ricercare l'unione senza scoraggiarci di fronte alle difficoltà, che possono presentarsi o accumularsi lungo tale via; altrimenti, non saremmo fedeli alla parola di Cristo, non realizzeremmo il suo testamento" (RH 6).

L'esperienza dei sei anni trascorsi dalla mia elezione ha confermato ancor di più nel mio cuore l'obbligo evangelico "di cercare, lealmente con perseveranza, con umiltà ed anche con coraggio, le vie di avvicinamenio e di unione".


5. Non possiamo rifiutare questo difficile ma vitale incarico poiché è essenzialmente legato alla nostra missione di proclamare a tutta l'umanità il messaggio di salvezza. Il ripristino della completa unità dei cristiani, per cui preghiamo e che aneliamo così grandemente, è d'importanza cruciale per l'evangelizzazione del mondo. Milioni di nostri contemporanei non conoscono ancora Cristo, e altrettanti milioni fra coloro che hanno sentito parlare di Cristo sono impediti di accettare la fede cristiana a causa delle nostre tragiche divisioni.

In effetti, la ragione per cui Gesù pregava perché potessimo essere una sola cosa era precisamente "perché il mondo potesse credere" (Jn 17,21). La proclamazione della Buona Novella di nostro signore Gesù Cristo è notevolmente ostacolata dalla divisione dottrinale che esiste fra i discepoli del Salvatore. D'altro canto, l'opera di evangelizzazione dà i suoi frutti là dove i cristiani di diverse comunioni, anche se non completamente uniti, collaborano come fratelli e sorelle in Cristo, nei limiti del possibile e nel rispetto delle loro singole tradizioni.

Con l'approssimarsi del terzo millennio cristiano assistiamo ad una rapida espansione della tecnologia che eleva il numero sia delle opportunità che degli ostacoli nei confronti dell'evangelizzazione. Tale tecnologia, se da una parte produce certi effetti benefici per l'umanità, dall'altra dà vita ad una mentalità tecnologica che mette alla prova i valori del Vangelo. Esiste la tentazione di perseguire lo sviluppo tecnologico come fine a se stesso, come se fosse una forza autonoma con imperativi interni di espansione, invece di vederlo come una risorsa che deve essere posta al servizio della famiglia umana. Esiste una seconda tentazione che collegherebbe lo sviluppo tecnologico alla logica del profitto e alla costante espansione economica senza il dovuto riguardo per i diritti dei lavoratori o le esigenze dei poveri e degli emarginati. Una terza tentazione consiste nel collegare lo sviluppo tecnologico al perseguimento o mantenimento del potere invece di usarlo come strumento di libertà.

Per evitare questi pericoli, tali sviluppi devono essere esaminati in base ai dettami oggettivi dell'ordine morale e alla luce delmessaggio evangelico.

Uniti nel nome di Cristo, dobbiamo fare domande critiche e porci dei principi morali basilari che siano orientati verso lo sviluppo tecnologico. Per esempio, le esigenze dei poveri devono avere la priorità sui desideri dei ricchi; i diritti dei lavoratori sulla massimizzazione dei profitti; la tutela dell'ambiente sull'espansione industriale incontrollata; una produzione che risponda ad esigenze sociali su una produzione a scopo militare. Queste sfide investono aree importanti della collaborazione ecumenica e formano una parte vitale della nostra missione di proclamazione del Vangelo di Cristo. Ma prima di tutto per questo eleviamo i nostri cuori a Dio, il Padre di nostro Signore Gesù Cristo.

So che da alcuni anni in Canada si stanno compiendo grandi sforzi di collaborazione ecumenica; recentemente si sono manifestati un'intensità sempre maggiore ed un crescente desiderio di unione completa in Cristo. I vari dialoghi teologici fra le Chiese sono stati molto significativi e molle forme di collaborazione tra le Chiese per la giustizia sociale e i diritti umani si sono rivelate particolarmente importanti per affrontare certi problemi tipici della nostra era tecnologica.

Ammiro profondamente lo spirito cristiano che ha prodotto questi sforzi generosi. E vi sollecito a continuare anche se i risultati rimangono incompleti e nonostante l'ingiusta critica che a volte potete incontrare da parte di coloro che non comprendono l'importanza dell'attività ecumenica. Sono pronto a ribadire la posizione della Chiesa cattolica secondo cui tutti gli sforzi validi per promuovere l'unità fra i cristiani sono una risposta alla volontà di Dio e alla preghiera di Cristo. Sono parte essenziale della nostra missione di vivere la verità nella carità e di proclamare il Vangelo di Cristo.


6. La collaborazione ecumenica, come l'abbiamo constatata, può assumere diverse forme: lavorare insieme per portare a compimento i programmi di collaborazione, intraprendere il dialogo teologico e tentare insieme di comprendere il nostro passato tormentato, cooperare nell'opera di giustizia e di umanizzazione della società tecnologica, e così via. Tutte queste azioni hanno un gran valore e occorre compierle con ardore, in particolare quelle che fanno avanzare la verità e ci aiutano a crescere in carità fraterna. Nello stesso tempo, occorre che noi ci ricordiamo del primato delle attività spirituali che il Concilio Vaticano II considerava come l'anima stessa del movimento ecumenico (cfr. UR 8). Penso alla pratica fedele della preghiera pubblica e privata per la riconciliazione e l'unità, alla ricerca della conversione personale e della santità di vita. Senza ciò, tutti gli altri sforzi mancano di profondità e non hanno la vitalità della fede. Senza ciò ci dimenticheremmo anche che san Paolo ci dice chiaramente: "Tutto questo pero viene da Dio che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione" (2Co 5,18).

Non può esserci alcun progresso verso l'unità fra di noi se non c'è approfondimento della santità della vita. Nelle Beatitudini, Gesù indica il cammino della santità: "Beati i poveri in spirito ... Beati gli afflitti... Beati i miti... Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia..." (Mt 5,3ss). Se ci adopereremo per entrare a far parte di coloro che sono detti "beati", noi cresceremo in santità; ma nello stesso tempo apporteremo il nostro contributo all'unità di tutti i discepoli di Cristo, così parteciperemo alla riconciliazione del mondo. La vera santità della vita, che ci avvicina al cuore del Salvatore, rafforzerà i nostri vincoli di carità con tutti, e specialmente con gli altri cristiani.

Sforziamoci di essere nel numero di quei "beati" delle beatitudini, "che hanno fame e sete di giustizia" in un'era tecnologica, che pregano per l'unità fra di loro e fra tutti coloro che credono in Cristo nel desiderio e nella speranza di quel giorno in cui "ci sarà un solo gregge e un solo pastore" (Jn 10,16).

Data: 1984-09-14 Data estesa: Venerdi 14 Settembre 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Agli handicappati nel "Killam Hospital" - Halifax (Canada)