GPII 1984 Insegnamenti - Omelia alla concelebrazione - Flüeli (Svizzera)

Omelia alla concelebrazione - Flüeli (Svizzera)

Titolo: Saper guardare oltre i propri confini alle altrui necessità

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle! "Il nome di Gesù sia il vostro saluto!". Con queste parole di saluto del vostro patrono, desidero venire tra di voi qui a Flüeli. Qui è vissuto e ha operato il santo frate Nicola. Qui egli ha condotto una felice vita familiare per 23 anni con sua moglie Dorotea e ha allevato i suoi dieci figli.

Qui, dopo una difficile lotta interiore, ha preso la decisione di abbandonare fratelli, sorelle, moglie e figli, campi e casa per amore del nome di Cristo (cfr. Mt 19,29), per servire soltanto Dio. Qui nel Ranft, nella sua propria terra, egli ha condotto per venti anni una vita di eremita, distaccato dal mondo eppure aperto alle necessità del mondo e della sua patria.

Nel nome di Gesù saluto i cittadini svizzeri che vivono oggi in questi comuni e che custodiscono la memoria preziosa di questo santo straordinario; e con essi tutti i credenti che si sono riuniti a noi da vicino e da lontano, con i loro vescovi e sacerdoti per questa celebrazione Eucaristica. Rivolgo un saluto deferente anche ai rappresentanti qui presenti dello Stato e della comunità cui è affidata la cura del benessere dei cittadini nei Cantoni e per i quali l'opera di san Nicola da Flüe può essere oggi in modo speciale esempio e impegno per la pace e la giustizia.


1. "Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Rm 14,17). Abbiamo ascoltato ora queste parole della lettera ai Romani. L'apostolo Paolo scrisse queste parole alla comunità di Roma in un contesto concreto in quei tempi. Vogliamo interpretarle oggi alla luce di questo Paese e di questo santo, che è un simbolo per il Paese e il popolo: Nicola da Flüe e la Svizzera.

Questa verità del regno di Dio è arrivata all'estrema conseguenza nella vita di Nicola, ben oltre l'ordinaria misura umana. Un uomo, questo, che per molti anni della sua vita rinuncio a cibo e bevanda per testimoniare il regno di Dio.

Nella vita e nelle opere di frate Nicola in Svizzera, il regno di Dio si mostro come "giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo". Più di cinque secoli fa partiva da questo luogo, dal silenzio della preghiera e dell'unione con Dio nel Ranft, il suo messaggio di pace che riporto all'unità nell'assemblea cantonale di Stans i cittadini della Confederazione divisi e lacerati, iniziando un nuovo capitolo della loro storia. Qui a Flüeli, dove la figura di frate Nicola è sempre viva ai nostri occhi, ci sembra di udire ancora oggi la sua voce, che ci esorta alla pace, alla pace nel proprio Paese, alla responsabilità per la pace nel mondo, alla pace nel proprio cuore.


2. Il vostro patrono esorta ancora oggi alla pace nel proprio Paese. "Il mio consiglio è anche che in queste cose siate amichevoli, perché una cosa buona ne porta altre. Ma se la cosa non può essere conciliata nell'amicizia, lasciate che la giustizia sia la cosa migliore"; così scrive frate Nicola nel 1482 al borgomastro e al consiglio di Costanza.

Bontà e benevolenza sono la prima e fondamentale condizione per la pace, nella vita di una comunità come nella vita del singolo. "Rivestitevi dunque di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza.

Sopportatevi a vicenda e perdonatevi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri"; così san Paolo esorta i battezzati (Col 3,12-14). Affinché questa esortazione non rimanga soltanto un pio ideale nella dura realtà politica e sociale di un Paese, dobbiamo vedere come può collocarsi nella vita pubblica. Il racconto del fatto di Stans può dimostrarci questo: è necessario accettarsi l'un altro con tutte le diversità, e quindi poter rinunciare ad affermare molti diritti anche se giustificati.


3. Oggi vengono posti nuovi compiti a questo accettarsi l'un l'altro. Il divario tra le generazioni è diventato più grande. I giovani devono accettare gli adulti, gli adulti i giovani, ed entrambi insieme devono accettare la generazione più anziana. Proprio qui è necessaria oggi molta "bontà e benevolenza": comprendere nell'amicizia i problemi dell'altra generazione, riconoscere le sue giustificate esigenze, in uno sforzo comune per cercare nuove soluzioni.

Non lasciatevi scoraggiare nel vostro sforzo per una reciproca comprensione. Vi siete accettati l'un l'altro finora nel vostro Paese come concittadini di differenti lingue, di differenti culture e di differenti confessioni religiose; oggi quella reciproca accettazione deve estendersi a uomini con mentalità e modi di vivere interamente differenti e forse di religione interamente differente, che cercano presso di voi lavoro e protezione, offrendovi i loro servizi e la loro umanità! Un compito indubbiamente difficile, ma non più della crescita in comune finora realizzata dalla Confederazione e dai suoi molteplici gruppi di uomini. Possiate vedere nei vostri ospiti innanzitutto uomini che vi sono uniti nel più profondo nelle gioie e nelle sofferenze, nei desideri e nelle speranze più basilari, e partecipano al vostro proprio destino di uomini!


4. Ma l'accettazione reciproca non può sempre aversi in una schietta "bontà e benevolenza"; spesso manca la comprensione, spesso manca il reciproco contatto.

Ecco perché è valido l'altro consiglio di frate Nicola: "Ma se non è possibile la riconciliazione nell'amicizia, lasciate che la giustizia sia la cosa migliore". La pace si fonda sull'amicizia, ma ancora più fondamentalmente sulla giustizia. La protezione dei diritti dell'uomo e l'impegno per la pace sono necessari insieme.

Il vostro Stato si gloria di essere uno Stato di diritto. Uno Stato di diritto non può tuttavia più reggersi oggi solo sul diritto formulato finora; per rispondere a condizioni che mutano rapidamente deve essere anche promulgato un diritto nuovo, un diritto che protegga innanzitutto gli indifesi e gli emarginati; il nascituro, i giovani e gli anziani, gli stranieri, la natura sfruttata. Prendete in mano coraggiosamente questi problemi e cercate di risolverli con quella saggezza della quale frate Nicola dice: "La saggezza è la cosa più cara perché incomincia tutte le cose nel modo migliore".


5. Fratelli e sorelle. Nicola da Flüe ci ricorda anche la nostra responsabilità della pace nel mondo.

Appartiene proprio alla missione fondamentale della Chiesa annunciare il regno di Dio, che è un regno di "giustizia", di pace e di gioia". Questo Vangelo di pace viene oggi annunciato dalla Chiesa con particolare forza di fronte alle minacce internazionali dei nostri giorni. Tensioni politiche e ideologiche, fame e miseria, indebitamento eccessivo di molte nazioni, violazioni molteplici dei diritti dell'uomo: questi motivi di paura che portano fino alla disperazione agiscono oggi a livello mondiale e non lasciano immuni neanche i popoli più agiati.

Tutti i popoli devono raccogliere oggi queste sfide insieme e cercare vie d'uscita giuste e degne dell'uomo. Anche la Chiesa di Cristo è pronta a dare il suo contributo. Nei messaggi in occasione della giornata annuale per la pace nel mondo, in molteplici iniziative di pace e in contatti con uomini politici, diplomatici e scienziati essa cerca instancabilmente di proclamare che nella situazione odierna non esiste alternativa al dialogo, al compromesso tra gli interessi e ad accordi giusti.


6. Per quanto concerne la Svizzera e i vostri rapporti con altre nazioni, frate Nicola diede allora ai suoi cittadini, secondo la tradizione, questo consiglio: "Non spingete troppo lontano la recinzione... Non vi immischiate in affari estranei". Questo principio ha condotto in definitiva alla vostra neutralità riconosciuta e sicuramente benemerita. Sotto la sua protezione la piccola Svizzera è diventata oggi una potenza economica e finanziaria. Come comunità democraticamente costituita, vegliate attentamente su tutti i fenomeni in questo mondo potente del denaro. Anche il mondo della finanza è un mondo di uomini, il nostro mondo, soggetto alla coscienza di tutti noi; anche ad esso appartengono principi etici. Vegliate soprattutto perché con la vostra economia e il vostro sistema bancario forniate servizi di pace al mondo, e non contribuiate - forse indirettamente - alla guerra e all'ingiustizia nel mondo.

La neutralità svizzera è un grande bene; continuate a fare pieno uso delle vostre possibilità di concedere asilo ai profughi e ai rifugiati e a svolgere opere di assistenza che sono possibili solo da parte di un Paese neutrale. Non sono pochi i miei connazionali che in diverse epoche hanno trovato rifugio nel vostro Paese - per esempio in un campo qui a Flüeli - e si sente continuamente parlare con senso di gratitudine dell'aiuto sollecito e generoso degli svizzeri in occasione di catastrofi. Si, "non spingete troppo lontano la recinzione", ma non abbiate timore di guardare oltre la recinzione, fare proprie le ansie di altri popoli e porgete al di là delle frontiere una mano soccorritrice, anche a livello dei vostri organi di Stato e dei vostri mezzi finanziari. Le organizzazioni internazionali con sede a Ginevra hanno il significato di un impegno onorevole per tutta la Svizzera e per ciascun singolo svizzero.


7. Carissimi fratelli e sorelle. Nicola da Flüe ci esorta alla pace nel proprio Paese e alla pace nel mondo, ma ci esorta specialmente alla pace nel proprio cuore. Gesù nel discorso della montagna dichiara beati non soltanto i pacifici, ma gli operatori di pace, quelli che con l'impegno di tutto il loro essere "operano pace". La pace deve essere acquisita, sofferta, impetrata.

Ma un uomo che sia in disaccordo con se stesso, che vive un dissidio interiore, non può essere operatore di pace. Per questo frate Nicola ci indica la sorgente più profonda di ogni pace, quando scrive al consiglio di Berna: "La pace è sempre in Dio, perché Dio è la pace". Dio nell'unità delle sue tre persone è l'archetipo e la sorgente di ogni pace; ci dona questa pace come primo dono dello Spirito Santo: "Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace... fedeltà" (Ga 5,22). "Il regno di Dio... è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Rm 14,17). Dobbiamo ringraziare lo Spirito per la sua pace e chiedergli di approfondire ancora più le sue opere in noi. Allora la pace che Dio opera in noi può diffondersi dal più intimo della nostra persona e persuadere gli altri. Nella pace di Gesù Cristo, che il mondo non sa dare (cfr. Jn 14,27), possiamo diventare noi stessi autentici operatori di pace.

Con questi sentimenti siamo venuti oggi in pellegrinaggio da san Nicola da Flüe. Questa pace "nello Spirito Santo" vogliamo impetrarla con la sua intercessione. In frate Nicola si sono adempiute in maniera meravigliosa le parole della liturgia odierna: "Getta sul Signore il tuo affanno, ed egli ti darà sostegno. Mai permetterà che il giusto vacilli" (Ps 55,23). E nel salmo di risposta sentiamo pregare apertamente il nostro santo: "Insegnaci (o Dio) a contare i nostri giorni, e giungeremo alla sapienza del cuore... Si manifesti ai tuoi servi la tua opera, e la tua gloria ai loro figli" (Ps 90,12 Ps 90,16). Si, l'uomo santo vede l'"opera" di Dio dovunque viene operata vera pace. Questo è il messaggio che gli angeli portarono nella notte della nascita del Signore. In terra di Svizzera fu accolto da frate Nicola. La sua opera di pace egli l'ha unita a una impressionante testimonianza per la gloria di Dio, che pone davanti agli occhi dei suoi connazionali attraverso le generazioni fino ad oggi.


8. Nel Vangelo di oggi Cristo parla così a Pietro e agli altri apostoli: "Nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, anche voi che mi avete seguito siederete su dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele. Chiunque avrà lasciato fratelli, sorelle, padre, madre, figli, campi e case per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna" (Mt 19,28-29).

Guardate, questo è Nicola da Flüe, il vostro concittadino. Per seguire la sua vocazione, 517 anni fa abbandono sua moglie, i suoi figli, la sua casa, il suo campo: prese alla lettera le parole del Vangelo. Il suo nome è rimasto impresso nei cantoni svizzeri: è un autentico testimone di Cristo. Un uomo che ha attuato il Vangelo fino all'ultima parola.

Rendiamo onore anche alla moglie Dorotea: in una decisione sofferta essa lascio libero il suo sposo. A buon diritto essa porta, agli occhi di molti, la testimonianza eroica di vita di frate Nicola. così gli uomini santi restano nel popolo di Dio come un esempio vivente della via, della verità e della vita, che è Cristo stesso. Ma i santi sono anche giudici: "Giudicherete le dodici tribù di Israele", dice il Vangelo. Si, essi giudicano i cuori, le coscienze, le nostre opere. Giudicano le forme di vita e i costumi. Giudicano le generazioni: specialmente le generazioni di quel Paese dal quale Cristo le ha chiamate. Figli e figlie di Svizzera. Accogliete l'esempio di frate Nicola, ponetevi sotto il suo giudizio. Nel suo esempio e sotto il suo giudizio deve andare avanti la storia del vostro Paese. Dopo tante generazioni è presente tra di voi in spirito un uomo che con tutta la sua vita terrena ha rinforzato la realtà della vita eterna in Dio. Guardate a lui. E guardate anche questa realtà di Dio.

Date ad essa di nuovo spazio nella vostra conoscenza, nel vostro comportamento, nella vostra coscienza, nel vostro cuore.

"Insegnaci (o Dio) a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore... Si manifesti ai tuoi servi la tua opera, e la tua gloria ai loro figli". Ci conceda questo il Padre celeste come particolare eredità del santo frate Nicola, il patrono della vostra patria. Amen.

Data: 1984-06-14 Data estesa: Giovedi 14 Giugno 1984




Sulla tomba di Nicola da Flüe - Sachseln (Svizzera)

Titolo: Solo da Dio viene la riconciliazione e la pace

Testo:


1. Signore mio e Dio mio, una grande fiducia nel tuo amorevole operare nei nostri tempi mi ha condotto a questo luogo santo. Da qui, per intercessione del santo frate Nicola sono già partite tante benedizioni e tanta grazia per la pace.

Tanti uomini sperimentano oggi la confusione del peccato: esso ci distoglie da te e promette invece agli uomini la grande libertà, la felicità e la pace. Ma in realtà porta egoismo, conflitti, insoddisfazione e discordia, guerra e distruzione. Il peccato acceca gli uomini e li induce in errore.

Dio della verità e della misericordia, tu ci hai mandato tuo Figlio come nostro redentore. Volontariamente egli ha preso su di sé l'amaro venerdi santo dell'intero mondo, e in virtù del tuo Santo Spirito che agisce onnipotentemente ha vinto il peccato e la morte. Come allora ai suoi apostoli scoraggiati, così anche oggi il Signore risorto grida a noi: "La pace sia con voi".


2. Signore mio e Dio mio, nella Pentecoste tu effondesti il tuo spirito divino nei cuori degli uomini: lo Spirito che ha riunito gli uomini di differenti lingue e culture in una sola lingua dell'amore e della pace, nella comunità della Chiesa.

Mosso dalla tua azione pentecostale tra gli uomini, m'inginocchio oggi in preghiera davanti alla tomba del santo frate Nicola, che tu chiamasti in modo speciale ad essere operatore di pace. Fiducioso della sua intercessione, unisco le mie preghiere e suppliche per la pace e la riconciliazione a quelle di questo grande santo.

In tempi difficili chiamasti il santo frate Nicola ad essere "coscienza" dei suoi cittadini e a ristabilire la pace. Grazie alla tua guida la comunità di matrimonio e di famiglia sul Flüeli divento luogo di fede e di preghiera. Grazie alla tua benevola provvidenza frate Nicola trovo in Dorotea una moglie comprensiva, che con lui lotto e prego per ottenere la forza di obbedire alla tua divina volontà. Hai chiamato Dorotea ad assumere al posto di suo marito la responsabilità della famiglia, della casa e del podere, affinché fosse libera la via del santo per la vita del Ranft, libera per la preghiera, libera per la tua missione di ristabilire la pace.

Dio, fonte della pace, ti ringrazio insieme ai molti uomini che hanno pregato qui per la pace, per questo grande intercessore e pioniere della pace, il santo frate Nicola. Ti ringraziamo per la chiamata di uomini che oggi aiutano a riconoscere e ad adempiere la tua volontà. Fa' che possiamo comprendere sempre meglio, con frate Nicola e la sua santa moglie Dorotea, che una riconciliazione autentica e una pace duratura vengono solo da te.

Apriamoci dunque al tuo Spirito, mentre preghiamo insistentemente insieme per la pace nei nostri cuori e per la pace nel mondo con la preghiera preferita del santo: Mio Signore e mio Dio, / togli da me tutto ciò / che m'impedisce di venire a te. / Mio Signore e mio Dio, / dammi tutto ciò / che mi può condurre a te. / Mio Signore e mio Dio, / toglimi da me / e dammi interamente a te. Amen.

Data: 1984-06-14 Data estesa: Giovedi 14 Giugno 1984




Preghiera alla Madonna - Einsiedeln (Svizzera)

Titolo: "Alla tue cure materne raccomando la Svizzera, Maria"

Testo:

Ave Maria, nostra amata Signora di Einsiedeln.


1. Noi ti salutiamo come un giorno ti saluto Elisabetta: "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo... E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,42).

Ti salutiamo, amatissima figlia del Padre celeste, Madre del Figlio di Dio, santuario dello Spirito Santo. Tu hai trovato grazia presso Dio. Lo Spirito Santo è sceso su di te, su te ha steso la sua ombra la potenza dell'Altissimo (cfr. Lc 1,30 Lc 1,35). Tu sei la "donna" che ha "generato il Figlio" (Ga 4,4), che Dio ha designato come "primogenito fra molti fratelli" (Rm 8,29), ai quali sei vicina con amore materno.

Ti salutiamo, sublime figlia di Sion. Tu hai percorso il "cammino della fede" (LG 58), dal momento in cui stavi sotto la croce di tuo Figlio. E così si è adempiuta la volontà di salvezza di Sion, alla quale hai dato il tuo assenso con tutto il cuore. Come madre partecipe hai sofferto con tuo Figlio quando egli, una volta per tutte, si è offerto per noi al Padre (cfr. He 7,27).

Ti salutiamo, Madre di nostro Signore Gesù Cristo. Quando Gesù sulla croce ti vide, ti disse guardando Giovanni: "Donna, ecco il tuo figlio!" (Jn 19,26). Con gli apostoli, con le donne e i fratelli riuniti in preghiera hai invocato per la Chiesa i doni dello Spirito Santo. Questo Spirito ha dato agli apostoli e a tutti i messaggeri della fede la forza di assolvere il mandato che il Signore aveva loro affidato: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19).

Benedettissima Vergine Maria, tu umile serva del Signore! Con la tua fiduciosa obbedienza e la tua fedeltà a Cristo, col tuo saldo contegno e amore materno, tu sei "modello della Chiesa" (LG 63), che è stata salvata e donata da Dio attraverso tuo Figlio. Allo stesso tempo tu stessa ne sei il membro più pregevole e ti sei trattenuta in mezzo agli apostoli che, nel giorno della discesa dello Spirito, hanno ricevuto il mandato di portare gli uomini "di ogni nazione che è sotto il cielo" (Ac 2,5) con la predicazione alla conversione e al Battesimo, e di accrescere la comunità dei credenti (cfr. Ac 2,4 Ac 2,14 Ac 2,38 Ac 2,41).


2. Poiché mi è stato affidato il compito di presiedere come Vescovo la Chiesa di Roma, che è fondata sugli apostoli Pietro e Paolo, e con ciò è stata chiamata a portare il "primato nell'amore" (cfr. Ignazio di Antiochia, "ad Romanos", 1), io raccomando oggi a te, Madre dei Signore, questo Paese, la Svizzera, dove, con la mia visita pastorale, cerco di assolvere il servizio di Pietro per l'unità della Chiesa, che mi è stato affidato. Mi unisco alla schiera dei numerosi pellegrini che in questo tuo santuario e in altri luoghi di pellegrinaggio ti onorano e ricorrono a te. Raccomando tutti loro alle tue cure di madre e alla tua protezione, così come ti ho affidato tutta la Chiesa e tutti gli uomini.

Madre di Dio e Madre degli uomini, raccomandaci a tuo Figlio, mettici di fronte a tuo Figlio! Egli è il nostro intermediario e il nostro intercessore presso il Padre. Noi ti preghiamo, Madre del nostro Salvatore, intercedi per noi presso tuo Figlio nello splendore dei cieli: - affinché la Chiesa di questo Paese si confermi nella fede in Cristo (Tutti: "Ti preghiamo, esaudiscici"); - affinché tutti diano prontamente il loro assenso al mandato affidato loro nella Chiesa, nella famiglia o nel mondo...

- affinché si rinnovi l'unità dello Spirito fra i cristiani...

- affinché tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito trovino aiuto e conforto...

- affinché tutti i popoli e tutti gli uomini possano vivere in libertà e pace...

- affinché il regno di Dio e la sua giustizia vengano a noi...

Maria, Madre della Chiesa, nostra amata Signora di Einsiedeln, prega per noi! Amen.

Data: 1984-06-15 Data estesa: Venerdi 15 Giugno 1984




Omelia dopo la recita delle lodi - Einsiedeln (Svizzera)

Titolo: Come Maria, apriamo il nostro cuore alle cose del Signore

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle.


1. Siamo riuniti in questo nuovo mattino, nel santuario di nostra Signora di Einsiedeln, per dare lode a Dio. Saluto con tutto il cuore i fedeli custodi di questo santuario, i figli di san Benedetto e tutta la loro comunità claustrale; saluto coloro che sono venuti qui in pellegrinaggio e anche tutti quelli che festeggiano a casa con le loro famiglie questa funzione religiosa.

Nel primo salmo abbiamo cantato: "O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia... così nel santuario ti ho cercato, per contemplare la tua potenza e la tua gloria..." (Ps 63,2 Ps 63,3). La voce di questo salmo è la nostra voce: "O Dio, tu sei il mio Dio...". Nel cuore di ogni uomo è infuso questo ardente desiderio, anche se spesso è soffocato: il desiderio di una pienezza della vita che ci renda per sempre felici, il desiderio di Dio.

Quando la nostra voce interiore non viene coperta, udiamo il nostro cuore che invoca un'esperienza di Dio. Ritornano continuamente sulle nostre labbra le parole del salmista: "O Dio, tu sei il mio Dio... di te ha sete l'anima mia...". Noi cerchiamo una felicità che può essere trovata solo in lui.

Ma Dio non si lascia sperimentare come si sperimentano le cose della natura. perciò, come il salmista, lo cerchiamo nel suo, "santuario". Possiamo incontrare Dio solo nella fede. Isaia parla nella lettura odierna della sua propria esperienza personale di Dio. Guarda in maniera misteriosa il Dio santo e ode il canto di lode: "Santo, santo è il Signore" (Is 6,3). Come uomo egli sperimenta il Dio santo che impone rispetto, e nello stesso tempo la propria condizione di peccato: "Ohimè". L'esperienza della vicinanza di Dio è per l'uomo un'esperienza al limite. Ma il profeta ode subito la parola di perdono: "Il tuo peccato è espiato" (Is 6,5-7). La vicinanza del Dio santo è una vicinanza amorosa e risanatrice. Un'esperienza che rende felici. Quando Dio chiama vicino a sé, egli risana.


2. In questo mattino cerchiamo insieme, come il salmista, Dio nel santuario di Maria. Ancora più che il profeta Isaia, Maria sperimento il significato di poter conoscere la vicinanza di Dio. Maria è la vergine il cui cuore non è diviso; si preoccupa solo delle cose del Signore e vuole piacere a lui solo nelle opere e nel pensiero (cfr. 1Co 7,32-34). Nello stesso tempo ha anch'essa un santo timore di Dio e "si spaventa" delle parole del comando di Dio. Questa vergine Dio l'ha scelta e consacrata come abitazione della sua parola eterna. Maria, la sublime figlia di Sion, sperimento come nessun altro quanto vicine sono "la potenza e la signoria" di Dio. Lo invoca piena di gioia e gratitudine nel Magnificat: "L'anima mia magnifica il Signore... Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente, santo è il suo nome". Maria è nello stesso tempo profondamente consapevole del suo essere creatura: "Ha guardato l'umiltà della sua serva". Sa che tutte le generazioni la chiameranno beata (cfr. Lc 1,46-49), ma dimentica se stessa per rivolgersi a Gesù: "Fate quello che vi dirà" (Jn 2,5). Si preoccupa delle cose del Signore. Nella sua disponibilità al suo Dio continuamente richiesta, Maria "avanzo nella peregrinazione della fede" (LG 58).

La Vergine di Nazaret ha contemplato l'incomprensibile agire di Dio con gli occhi della fede. Luca sottolinea due volte che essa serbava "nel suo cuore" ciò che era accaduto (Lc 2,19 Lc 2,51). Una fede come questa viene lodata come beata. "Beata colei che ha creduto..." (cfr. Lc 1,45).


3. Carissimi fratelli e sorelle. Avanzate nella peregrinazione della fede come fece Maria. Aprite come lei il vostro cuore interamente alle cose del Signore. Io rivolgo questo invito a tutti, a vescovi, sacerdoti e diaconi, a religiosi e a laici, a uomini e a donne. In tutti noi vive certamente il profondo e ardente desiderio degli uomini per l'esperienza del Dio vivente. Questo desiderio ha sempre chiamato degli uomini sulla via della sequela di Cristo nella fede. Non è forse permeato questo santuario di Maria dal desiderio ardente di innumerevoli pellegrinaggi per l'esperienza della presenza di Dio in questo mondo? Questi uomini che cercano dovrebbero entrare qui in un'atmosfera di preghiera. In questo luogo il santo eremita Meinrad (+ 861) cerco Dio nel silenzio. Qui vennero santi pellegrini: i vescovi Ulrich (+ 983), Wolfgang (+ 994) e Konrad (+ 995), la pellegrina Dorotea von Montau (intorno al 1394), l'orante Nicola da Flüe (intorno al 1474), il rinnovatore della vita religiosa Carlo Borromeo (1570), il teologo Pietro Canisio (+ 1597), il penitente Benedetto Giuseppe Labre (+ 1783), la soccorritrice degli infermi Giovanna Antida Thouret (1795) e innumerevoli santi anonimi. Questi e altri pellegrini erano consci della loro indigenza e del loro peccato. Insieme a Maria, madre di Gesù, perseveravano qui nella preghiera per aprirsi a Dio e al suo Spirito.

Così viene tramandata la fede: la fede viva della preghiera, l'esperienza personale di Dio. Chi cerca la comunità dei credenti, specialmente chi si avvicina a Maria, entra in un'atmosfera dello Spirito. Maria ricevette proprio dall'angelo la promessa della grazia e dello Spirito (cfr. Lc 1,28 Lc 1,35).

Come Maria vogliamo aprirci allo. Spirito di Dio, per poter sperimentare la sua forza che ci arma per il servizio e la testimonianza ai quali siamo chiamati.


4. Cari fratelli e sorelle. Preoccupatevi delle cose del Signore. Cercate il Dio santo. Ricordo ancora una volta la visione della chiamata del profeta Isaia. Nella personale esperienza del Dio tre volte santo prende radici la sua missione agli uomini. Diventa capace di udire la voce del Signore. Percepisce la richiesta di diventare disponibile al servizio profetico. E dà la sua accettazione alla missione che viene dall'alto: "Eccomi, manda me" (Is 6,8).

Ora riceve il mandato: "Va' e riferisci a questo popolo: ascoltate... (cfr. Is 6,8-9). Il profeta viene preso in servizio da Dio senza condizioni. Da ora in poi egli sarà totalmente dalla parte di Dio. Ma resterà anche solidale con il popolo al quale viene inviato.

Anche Maria ha dovuto prima sperimentare la vicinanza del Signore: "Il Signore è con te". Ha ricevuto la promessa della grazia, prima che le sia stata chiesta la disponibilità per la missione unica, quella di diventare madre del Messia. Dà quindi il suo io senza riserve per la sua collaborazione all'opera salvifica di Dio: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Agisce ponderatamente, ma non pone condizioni. E' pronta al servizio, perché il Dio santo è vicino. Con pazienza avanza nella "peregrinazione della fede", fin sotto la croce di suo Figlio. In questa peregrinazione è pienamente solidale con noi: una madre e una sorella compassionevole.

Prendiamo dunque, cari fratelli e sorelle, Maria, madre di Gesù, che è anche madre della Chiesa e nostra madre, a nostro modello e a nostra compagna di viaggio nel nostro pellegrinaggio terreno. In tutte le situazioni della nostra vita vogliamo cercare Dio santo, che è sempre diverso e più grande di noi, che tuttavia ci è sempre vicino in modo misterioso e ci ama. Guardando questo Dio, che in Cristo è diventato nostro Padre, diciamo anche noi: "Eccomi, manda me", "Avvenga di me quello che hai detto". Al servizio di Dio e al servizio degli uomini. Amen.

Data: 1984-06-15 Data estesa: Venerdi 15 Giugno 1984




Alla conferenza episcopale Svizzera

Titolo: Collegialità, autorità episcopale ed evangelizzazione

Testo:

Cari fratelli nell'episcopato.


1. Il nostro incontro si colloca nel mezzo della mia visita pastorale o, meglio, al centro. E' infatti uno scambio che, in qualche senso, è il momento più importante, quello in cui noi vescovi manifestiamo la nostra fratellanza e la comune preoccupazione per l'evangelizzazione del nostro popolo.

Tutto quanto io compio qui - nella mia responsabilità particolare di Vescovo di Roma alla testa del collegio episcopale - lo faccio con voi e per voi che sostenete la cura quotidiana di questa Chiesa, con le sue pene e le sue gioie.

Spero che ciò sarà per voi di aiuto e di incoraggiamento, e io stesso sono felice di ricevere la testimonianza della vostra comunità svizzera dai vari volti.

Nel luglio 1982, per la visita "ad limina", avevo affrontato con voi un certo numero di esigenze di cui voi stessi eravate ben consapevoli e che conservano la loro importanza. Ma oggi non riprendero quel discorso. Del resto, abbiamo dialogato di recente su alcuni punti cruciali, sentiti assai vivamente dai fedeli e dai pastori, e i cui valori in gioco assumono grande rilievo: fra gli altri, il modo di vivere la collegialità episcopale nei rapporti con la Santa Sede; le responsabilità dei laici nella Chiesa; la pratica del sacramento della Riconciliazione; alcuni particolari aspetti della liturgia; il problema della formazione dei sacerdoti nei seminari; gli interrogativi posti dal cammino ecumenico. E abbiamo anche indicato i relativi opportuni orientamenti. Una parte di tali questioni sarà più ampiamente trattata in occasione di altri incontri. Nel presente colloquio fermeremo anzitutto l'attenzione sul problema della collegialità e sulla vostra autorità di vescovi. Come fratelli, ci porremo di fronte ai problemi dell'evangelizzazione nella Chiesa e nella società.

Prima di tutto tengo a dirvi quanto io apprezzi la lealtà e la chiarezza dei vostri atteggiamenti nei riguardi della Santa Sede. I problemi che affrontate o le domande che ponete sono circoscritti con precisione. Nel 1982 avete richiesto un contatto serio ed esigente con la maggior parte dei dicasteri romani; in seguito avete fatto conoscere le vostre riflessioni allo scopo di progredire nella reciproca comprensione, di dare alla Santa Sede la possibilità di cogliere la gravità di certi problemi locali, e di consentirle anche di interpellarvi su ciò che è essenziale nella Chiesa universale, in rapporto alla tradizione viva nel corso dei secoli.

So che voi avete predisposto minuziosamente le tappe di questo viaggio, con una diligenza che in pratica è talvolta messa alla prova dagli avvenimenti o dai contatti ai quali bisogna pur dare spazio, perché è come dare spazio alla spontaneità dei cuori. Vi sono grato di quanto avete fatto per far comprendere ai fedeli e al popolo svizzero il ruolo spirituale e umano del Papa e il significato di questa visita pastorale.

Vi è accaduto di soffrire per determinate reazioni intorno a voi. Come san Pietro scriveva nella sua prima lettera, a volte è necessario accettare di non essere compresi: "...sarete ferventi nel bene... non vi sgomentate... né vi turbate... pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto..." (1P 3,13-16).

Certamente dobbiamo sempre cercare, con grande umiltà, di eliminare le rughe della nostra Chiesa, di renderla più santa, più coerente con la fede nel Cristo salvatore. E dobbiamo altresi riconoscere negli altri il bene e le virtù cristiane ovunque operino, e anche rallegrarcene. Il che va di pari passo con la fedeltà a ciò che la nostra identità cattolica comporta di essenziale, e che dobbiamo affermare e manifestare con serenità proprio nel rispetto della coscienza di tutti. E talora soffriremo per la nostra fedeltà, come ne ha esperienza il Vescovo di Roma, come gli apostoli e la Chiesa di tutti i tempi ne hanno fatto esperienza, come il Cristo che ha conosciuto questa prova fino all'estremo.

E' qui che si rivela fondamentale la comunione che ci unisce, che vi unisce al successore di Pietro; una comunione nella carità e nella ricerca della verità, fatta di schiettezza, di fiducia e di pazienza.


2. Fra di voi, vescovi della Svizzera, già vivete una forma di collaborazione collegiale. Fin dal secolo scorso - molto prima del Concilio Vaticano II che ha valorizzato le Conferenze episcopali - i vescovi svizzeri si incontravano regolarmente qui ad Einsiedeln. Le sensibilità delle vostre popolazioni sono indubbiamente molto diverse, ma esistono alcuni problemi pastorali abbastanza vicini tra loro ed è opportuno che mettiate in comune le vostre riflessioni e alcuni strumenti apostolici; e che sui punti essenziali adottiate misure simili o anche comuni. Nella vostra Conferenza episcopale, dato il vostro piccolo numero, vi è peraltro facile esprimervi ed esercitare ciascuno la vostra responsabilità, come posso osservare oggi stesso. Gli oneri da assumere a servizio della collettività sono anche numerosi e pesanti. Commissioni a titolo consultivo possono esservi di molto aiuto; tuttavia esse non possono avere per se stesse la vostra responsabilità né la vostra autorità e, di stretta intesa con voi, devono adoperarsi per rispondere agli autentici bisogni spirituali di tutti, nel quadro di norme comuni a tutti.

Ma la collegialità, a rigor di termini, è più della collaborazione fra di voi. Essa unisce tutti i vescovi fra di loro, intorno al successore di Pietro, per insegnare la dottrina della fede, mettere in atto la disciplina comune, e far fronte ai bisogni e al progresso della Chiesa universale. Essa deriva da quella dei dodici riuniti intorno a Pietro. Essa la prolunga e si esercita in maniera analoga. Il Vaticano II la illustra in testi fondamentali, particolarmente nella costituzione "Lumen Gentium". E' di capitale importanza invitare i sacerdoti e i fedeli a rileggere questi testi, a studiarli, a meditarli.

La solidarietà dei vescovi vi è fortemente sottolineata con i termini di collegio episcopale, di ordine o di corpo episcopale, e di comunione gerarchica di tutti i vescovi con il sovrano Pontefice (cfr. LG 41). La nostra collegialità è affettiva: le relazioni fraterne, fiduciose devono sempre tenervi un grande posto, come è normale per i discepoli di Cristo il cui primo comandamento è di vivere l'amore e l'unità: è questo il suo testamento. La nostra collegialità è, nello stesso tempo, effettiva: presuppone la comunione di pensiero rispetto alla dottrina e la comunione di volontà rispetto alla grande missione della Chiesa. Per questo parlare di collegialità significa mettere in evidenza la vostra totale solidarietà con il capo del collegio e, insieme con lui, la vostra responsabilità in tutto il collegio, consapevoli che le vostre dichiarazioni ufficiali, le vostre azioni, gli orientamenti, la maniera di esercitare il vostro ministero episcopale in Svizzera sono necessariamente anche "per gli altri", influenzandone l'impegno pastorale. "ln quanto membri del Collegio episcopale... (i singoli vescovi) sono tenuti ad avere per tutta la Chiesa una sollecitudine che... sommamente contribuisce al bene della Chiesa universale. Tutti i vescovi, infatti, devono promuovere e difendere l'unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa, istruire i fedeli all'amore di tutto il corpo mistico di Cristo..." (LG 23).

In effetti voi assicurate in tal modo il bene stesso della Chiesa particolare nella quale siete principio e fondamento visibile dell'unità. A volte può esserci una certa tensione tra le aspirazioni o le esigenze sentite alla base dai cristiani, in funzione di circostanze o di sensibilità particolari o nuove, e i principi o le direttive espressi dal magistero di tutta la Chiesa. Un problema che è affine a quello dell'inculturazione nelle giovani Chiese. E' vero, peraltro, che in pratica i cristiani e i loro pastori sono i più idonei a trovare la maniera opportuna di presentare tali principi, con le motivazioni convincenti o le opportune applicazioni. E' anche vero pero che essi sono maggiormente sottoposti alla pressione dell'ambiente e delle opinioni o della pratiche che non derivano necessariamente dalla fede, o che non sono tutte coerenti con essa. La Chiesa universale - e specialmente il Vescovo di Roma con i dicasteri della Sede apostolica - rende allora (anche mediante un linguaggio forse più generale e disposizioni circostanziate) l'inestimabile servizio di tracciare la via sicura che si basa sulla tradizione vivente, tiene conto dei diversi aspetti del mistero cristiano e dell'etica cristiana, evita le semplificazioni e gli scogli e conserva la solidarietà con tutte le Chiese. E' ciò che ha fatto, per esempio, il Sinodo dei vescovi del 1980, e l'esortazione "Familiaris Consortio" ha ripreso l'essenziale di questo lavoro per illuminare i problemi legati al matrimonio e orientare l'azione dei pastori e dei fedeli nel mondo.

Ugualmente, l'ultimo Sinodo ha fatto progredire la riflessione sulla penitenza e sul sacramento della Riconciliazione, mentre si sta preparando il relativo documento con la partecipazione del segretariato generale del Sinodo. Il solo clima che si addica ai rapporti tra la Santa Sede e le Chiese particolari è quello del dialogo, della fiducia, della disponibilità, della piena comunione - "cum Petro et sub Petro" in tutto ciò che è stato ponderatamente meditato, deciso e adottato per la Chiesa universale. E di questo, fratelli carissimi, voi siete, per primi, i testimoni e gli artefici.

Si, è necessario che noi lavoriamo per mantenere questo clima.

Certamente, non bisogna tralasciare di spiegare spesso le ragioni fondamentali della pratica della Chiesa, come voi vi sforzate di fare. E' poi importante invitare il popolo cristiano a concentrare l'attenzione non soltanto sugli strumenti pastorali ma sullo scopo che Gesù ha assegnato alla sua Chiesa, e sullo spirito dell'evangelizzazione. In tale prospettiva, ogni cristiano serio si pone in atteggiamento di grande umiltà e cerca di aprirsi allo Spirito Santo e a tutti i fratelli che nel mondo recano "l'universale consenso in cose di fede e di morale" (LG 12).


3. Pertanto dobbiamo spesso porre a noi stessi e ai nostri cristiani interrogativi fondamentali: nel nostro modo di fare, Gesù viene annunciato in ogni occasione opportuna e importuna, nel rispetto delle persone e dei gruppi, per garantire l'autenticità dell'atto di fede nella libertà, ma con chiarezza e coraggio secondo le ultime parole di Cristo agli apostoli: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni..." (Mt 28,19-20)? Dio è veramente pregato come Dio, con l'intento di cercare la sua volontà e di aderirvi? La santità delle persone è il primo obiettivo della pastorale? La verità è presentata a prezzo della croce e delle rinunzie? I ministri di Cristo hanno coscienza della loro grave missione di parlare e di agire in nome di Cristo? La Chiesa è edificata in unità come corpo del Cristo? Coloro che hanno una posizione impegnativa nella Chiesa, coloro che in essa detengono i mezzi di comunicazione sociale o altre responsabilità, sono aperti a quanto pensano o sentono gli altri cristiani che hanno minor possibilità di esprimersi, sebbene siano forse in maggioranza? Vengono valutati con spirito di maturità la portata, i limiti e tutte le conseguenze delle pratiche che si vorrebbero proporre agli altri membri della comunità? A che punto siamo nel promuovere la pace, l'unità e l'amore fra i discepoli del Cristo? Cari fratelli, davanti alle prove che oggi la Chiesa attraversa - fenomeno della secolarizzazione che rischia di dissolvere o di emarginare la fede; scarsità di vocazioni sacerdotali e religiose; difficoltà per le famiglie a vivere il matrimonio cristiano - dobbiamo ricordare la necessità della preghiera. Le grazie di rinnovamento o di conversione non saranno concesse che a una Chiesa in preghiera. Nel Getsemani Gesù pregava perché la sua passione fosse conforme alla volontà del Padre, alla salvezza del mondo. Egli supplicava gli apostoli di vegliare e di pregare per non cadere in tentazione (cfr. Mt 26,41). Portiamo il nostro popolo cristiano, le persone e le comunità, a una preghiera ardente al Signore, con Maria.


4. Per consentirci di adempiere la nostra missione di pastori, il Cristo ha voluto che avessimo l'autorità necessaria, al servizio della verità. Camminare in testa, guidare, indicare la via, preoccuparci che sia aperta a tutti pur rimanendo autentica; illuminare, pacificare, riunire, questo è il nostro pane quotidiano.

Diceva il Concilio a proposito dei laici: "...manifestino (ai pastori) le loro necessità e i loro desideri, con quella libertà e fiducia che si addice ai figli di Dio e ai fratelli in Cristo. Secondo la scienza, competenza e prestigio di cui godono, hanno la facoltà, anzi talora anche il dovere di far conoscere il loro parere su cose concernenti il bene della Chiesa. Se occorre, si faccia questo attraverso gli organi stabiliti a questo scopo dalla Chiesa, e sempre con verità, fortezza e prudenza, con riverenza e carità verso coloro che, per ragione del loro sacro ufficio, rappresentano Cristo". Nello stesso spirito la costituzione "Lumen Gentium" continuava: "I laici... con cristiana obbedienza prontamente abbraccino ciò che i pastori, quali rappresentanti di Cristo, stabiliscono come maestri e rettori nella Chiesa..." (LG 37).

Si, l'unità intorno al vescovo è la "conditio sine qua non" dello statuto del fedele cattolico. E non si può pretendere di essere con il Papa senza essere anche con i vescovi a lui uniti, né di essere con i vescovi senza essere con il capo del collegio dei vescovi.

Per ciò che concerne i problemi presentati dai cristiani, occorre accettare che, nonostante la misericordia che deve sempre essere di regola in quanto riflesso della misericordia di Dio, alcuni di essi restino senza soluzione soddisfacente in quanto i dati stessi dei problemi lo impediscono. Penso a certi casi di coniugi divorziati, a certe situazioni di sacerdoti, di matrimoni misti.

In tutti i casi bisogna aiutare a trovare un atteggiamento spirituale più profondo che testimoni a suo modo la verità.

Non voglio dilungarmi sul vostro ruolo nei confronti dei sacerdoti, dei laici, dei religiosi, visto che ho l'occasione di parlare loro direttamente davanti a voi. Ma per quanto riguarda i candidati al sacerdozio, incoraggio vivamente ciò che voi cercate di fare per suscitare le vocazioni: siate persuasi che esse non mancano, ma che al tempo stesso questi giovani, desiderosi di dedicarsi al servizio esclusivo di Cristo e della sua Chiesa, chiedono una formazione autentica. I tentativi di "clericalizzazione del laicato" o di "laicizzazione del clero" per designare senza preamboli certe tendenze sono votati al fallimento sia per quanto riguarda l'esercizio del ministero, che per il risveglio delle vocazioni. La linea chiaramente tracciata dal Concilio Vaticano II deve guidare tutti coloro che hanno la grave responsabilità di suscitare le vocazioni. Ed è lo stesso, evidentemente, per la formazione spirituale, liturgica, pastorale e insieme teologica che si deve dare ai seminaristi in una comunità orientata interamente e unicamente alla vita sacerdotale, con le esigenze che la caratterizzano e alle quali non ci si può sottrarre. Abbiamo accennato di recente a questo problema. La Chiesa raccomanda sempre ai vescovi diocesani di considerare i seminari come la pupilla dei loro occhi.


5. Principi dell'unità della loro comunità diocesana, i vescovi sono, con essa, i testimoni della speranza cristiana in mezzo a tutto il popolo affinché il Vangelo, proclamato e vissuto, vi appaia quale una buona novella, una salvezza.

Certamente la società del vostro Paese vive già molti valori umani e cristiani che in questi giorni abbiamo spesso menzionato: la passione per il lavoro, la disciplina largamente accettata, la corresponsabilità civica, l'onestà, la prudenza, l'accoglienza degli stranieri, dei poveri e dei profughi, la generosità verso il Terzo mondo e le opere umanitarie, l'orrore per la violenza, l'amore della pace, il rispetto degli altri nella loro diversità... Spetta alla Chiesa, basandosi su tali valori che, del resto, hanno le loro radici nella storia cristiana, far scoprire le motivazioni spirituali e le esigenze ultime di questi comportamenti, approfondirne il significato, ampliarne la portata. E io so, cari fratelli, che questa è la vostra incessante preoccupazione: lo testimoniano un certo numero dei vostri documenti e interventi, anche molto di recente.

Voi esortate, per esempio, a passare dalla filantropia alla carità; dalla partecipazione nei confronti della miseria al rispetto della dignità umana e anche all'amore per l'uomo, immagine di Dio, e a riconoscere il Cristo che vuol essere servito nel più piccolo dei suoi. All'asilo offerto agli immigrati o ai profughi, voi vorreste che si aggiungessero il calore della comprensione fraterna, dell'amicizia, della collaborazione. Voi vigilate perché in questo ambito non vengano dimenticate le esigenze della giustizia sociale e i vari diritti umani.

Voi contribuite ad aprire le menti e i cuori ai grandi problemi del mondo e ai flagelli che affliggono altri ambienti o altri popoli: la fame, la droga, le guerre fratricide. L'importanza capitale dell'educazione dei bambini e dei giovani vi fa ricercare insieme con i genitori gli strumenti più adatti a garantirla, non soltanto con la catechesi, ma anche con le scuole cattoliche o con altri mezzi educativi. Infine, la vostra costante sollecitudine è rivolta ai valori familiari che sono messi a dura prova quando l'amore dei fidanzati o degli sposi è vissuto egoisticamente alla ricerca di un piacere immediato per se stessi, senza impegno definitivo verso la persona dell'altro coniuge e i figli nati dall'unione. Voi provate il bisogno urgente di educare sia a questa fedeltà che all'accoglienza generosa della vita. Sarebbe contraddittorio voler soccorrere i sottoalimentati del mondo se non si rispettasse in casa propria la vita del bambino fin dal concepimento materno, o il valore della vita che va estinguendosi fino alla morte naturale.

Tutte queste esigenze etiche non sono sempre comprese e accettate in una società che perde le ragioni religiose del rispetto dell'uomo; esse possono anche provocare ribellioni o accuse d'intervento politico. Ma, in definitiva, si apprezzerà il coraggio della Chiesa quando si sarà compreso che essa difende, in tutta la sua intima dimensione, la dignità dell'uomo, la sua libertà, la sua speranza. E perché ciò avvenga, voi sapete che occorre mostrare alla pubblica opinione i grandi valori umani che sono in gioco. Quanto ai cristiani, conviene che non separino mai le esigenze morali dalle condizioni di progresso spirituale dell'uomo, creato a immagine di Dio, redento da Cristo e capace, con la grazia e malgrado le sue debolezze, di intraprendere l'arduo cammino delle beatitudini che è, in realtà, la via della pace, della gioia e della vita.

Carissimi fratelli nell'episcopato, interrompiamo qui la nostra conversazione per incontrare i vostri collaboratori, i sacerdoti delle vostre diocesi. Prego il Signore di ispirarvi e di fortificarvi nella vostra magnifica missione di cui io porto il peso con voi. Che il suo Spirito Santo vi dia, come agli apostoli, il coraggio dei testimoni e la speranza di coloro che vedono l'invisibile!

Data: 1984-06-15 Data estesa: Venerdi 15 Giugno 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Omelia alla concelebrazione - Flüeli (Svizzera)