GPII 1984 Insegnamenti - Omelia per il Corpus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Omelia per il Corpus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Proclamiamo l'Eucaristia perché il mondo sappia e capisca

Testo:

Questa esortazione, che risuona nell'odierna liturgia, risponde, quasi come un'eco lontana, all'invito che il salmista ha rivolto a Gerusalemme. "Glorifica il Signore, Gerusalemme, / loda, Sion, il tuo Dio. / Perché ha rinforzato le sbarre alle tue porte, / in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli" / (Ps 147,12-13). La Chiesa è cresciuta da Gerusalemme e nel più profondo del suo cuore porta questo invito a glorificare il Dio vivente.

Oggi desidera rispondere a questo invito in modo particolare. Questo giorno - giovedi dopo la domenica della Santissima Trinità - è la solennità del Corpus Domini: del santissimo corpo e sangue di Cristo.


2. La Chiesa è cresciuta dalla Gerusalemme dell'antica alleanza come corpo ben compaginato in unità mediante l'Eucaristia. "Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo. Tutti infatti partecipiamo dell'unico pane" (1Co 10,17). "E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?" (1Co 10,16). "Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo?" (1Co 10,16). Oggi vogliamo glorificare in modo particolare, vogliamo adorare con un atto pubblico e solenne questo pane e questo calice, mediante i quali partecipiamo al corpo e al sangue di Gesù Cristo.

Tutto ciò che facciamo: questo santissimo Sacrificio, che ora celebriamo, e questa processione eucaristica che poi attraverserà alcune vie di Roma (dalla basilica in Laterano alla basilica della Madre di Dio sull'Esquilino): tutto ciò ha come scopo solo questo: glorificare questo pane e questo calice, mediante i quali la Chiesa partecipa al corpo e al sangue di Gesù Cristo.

"Gerusalemme, loda il tuo Dio".


3. Gesù Cristo dice: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me" (Jn 6,56-57). Tale è la vita della Chiesa. Essa si svolge nel nascondimento eucaristico. Lo indica la lampada che arde giorno e notte davanti al tabernacolo. Questa vita si svolge anche nel nascondimento delle anime umane, nell'intimo tabernacolo dell'uomo.

La Chiesa incessantemente celebra l'Eucaristia, circondando della massima venerazione questo mistero, che Cristo ha stabilito nel suo corpo e nel suo sangue; questo mistero che è la vita interiore delle anime umane. Lo fa con tutta la sacra discrezione che questo sacramento merita.

Pero vi è un giorno in cui la Chiesa vuole parlare a tutto il mondo di questo suo grande mistero. Proclamarlo per le vie e sulle piazze. Cantare ad alta voce la gloria del suo Dio. Di questo Dio mirabile, che si è fatto corpo e sangue: cibo e bevanda delle anime umane. "...Il pane che io daro è la mia carne per la vita del mondo" (Jn 6,51).

Bisogna dunque che "il mondo" lo sappia. Bisogna che "il mondo" accolga in questo giorno solenne il messaggio eucaristico: il messaggio del corpo e del sangue di Cristo.


4. Desideriamo dunque circondare con un corteo solenne questo "pane, mediante il quale noi - molti - formiamo un Corpo solo". Vogliamo camminare e proclamare, cantare, confessare: ecco il Cristo - Eucaristia - inviato dal Padre. Ecco il Cristo, che vive per il Padre. / Ecco noi, in Cristo: / noi, che mangiamo il suo corpo e il suo sangue / noi, che viviamo per lui: per mezzo di Cristo-Eucaristia.

/ Per Cristo, Figlio eterno di Dio.

"Chi mangia la sua carne e beve il suo sangue, ha la vita eterna... Lui: il Cristo lo risusciterà nell'ultimo giorno" (cfr. Jn 6,54).

A questo mondo che passa, / a questa città, che anch'essa passa, pur essendo chiamata "città eterna", / desideriamo annunciare la vita eterna, che è mediante il Cristo in Dio: / la vita eterna, il cui inizio e segno evangelico è la risurrezione di Cristo; / la vita eterna, che accogliamo come Eucaristia; sacramento di vita eterna.

Gerusalemme! Chiesa santa! Loda il tuo Dio. Amen.

Data: 1984-06-21 Data estesa: Giovedi 21 Giugno 1984




Al seminario di Chieti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Sostegno della Chiesa al seminario nel rinnovamento conciliare

Testo:

Cari superiori, docenti e alunni del seminario regionale d'Abruzzo e Molise!


1. Ringrazio innanzitutto monsignor Vincenzo Fagiolo per le parole con le quali ha voluto presentarmi la comunità del seminario regionale di Chieti. Questo incontro mi richiama alla memoria le visite pastorali da me compiute alle vostre regioni, abitate da un popolo - secondo un detto proverbiale - "forte e gentile": ricordo la mia visita a L'Aquila, per commemorare il VI centenario della nascita di san Bernardino da Siena; e la mia visita compiuta a San Salvo e a Termoli, in occasione della festività di san Giuseppe lavoratore, nello scorso anno.

Saluto tutti con effusione d'affetto: monsignor rettore, docenti e alunni, sacerdoti, religiosi, religiose e collaboratori.


2. Voi sapete bene quanto mi stia a cuore la promozione di buone e sante vocazioni nel popolo di Dio, e in special modo le vocazioni sacerdotali. Uno degli scopi principali del Concilio è stato proprio quello di approfondire e di dar nuovo vigore alla missione del sacerdote nel mondo moderno. In tal senso, il Vaticano II non ha fatto che riprendere quello zelo per la formazione di retti e santi sacerdoti che, come è risaputo, fu una delle maggiori preoccupazioni del mio venerato predecessore san Pio X - fondatore del vostro seminario - e uno dei titoli più importanti della sua feconda ed efficace azione pastorale.

Da questo potete rendervi ben conto come il doloroso calo di vocazioni, avvenuto in questi anni, ha operato nel senso del tutto contrario ai veri scopi e alle vere attese del Concilio. Il vostro seminario ha risentito anch'esso della bufera, ma tuttavia, "fondato sulla roccia", ha resistito bene, e oggi, nella fedeltà alle sorgenti perenni della parola di Dio, dona le prove della più consolante speranza, nell'attuazione dell'autentico rinnovamento conciliare. Non posso, per questo, che ringraziare il Signore e benedire con tutto il cuore l'opera che state portando avanti, nel fermo proposito di responsabile docilità alla guida della Chiesa.


3. Il lavoro che intendete proseguire e migliorare richiede un concorso unitario di forze e d'intenti. Il seminario dell'Abruzzo-Molise è l'espressione di tale sforzo collegiale e organico e, come tale, non può non avere tutto il mio caldo appoggio e la mia fervente raccomandazione. Questa istituzione di san Pio X, nella sua struttura regionale, è oggi più che mai attuale e riveste un'importanza fondamentale: l'intera compagine della Chiesa abruzzo-molisana deve sentirsi coinvolta e compartecipe nel sostenere e nell'aiutare con ogni mezzo il suo seminario, in uno spirito di fraterna e costruttiva collaborazione tra tutti gli operatori di tale venerabile e benemerito istituto, ciascuno secondo le proprie funzioni e responsabilità.

Occorrerà in modo particolare mantenere sempre presente la necessità che al seminario sia garantito un corpo insegnante culturalmente preparato e spiritualmente zelante, profondamente conscio delle proprie responsabilità, e capace quindi di promuovere negli alunni quell'educazione integrale della persona e quella preparazione al sacerdozio, che sappiano unire strettamente la sete per il sapere e la fedeltà al magistero della Chiesa con un'intensa vita di pietà e una generosa dedizione al prossimo. Tutte le virtù del futuro sacerdote e pastore di anime devono poter essere formate e sviluppate contemporaneamente nel loro vicendevole e armonioso collegamento, onde evitare lacune, squilibri, scompensi e ritardi.


4. La ripresa vocazionale alla quale stiamo assistendo dà molto bene a sperare, ma occorre mantenersi forti e vigilanti, contro i ricorrenti pericoli e le tentazioni di un certo falso rinnovamento secolaristico, che in realtà non rinnova ma distrugge. L'arma più importante contro i rischi di questo genere, resta sempre una sola: la preghiera fervorosa e perseverante, che nasce da un cuore puro e da una coscienza retta. Ricordiamoci sempre di questo principio, fratelli carissimi: nessun valore soprannaturale si sostiene, si protegge e si promuove, se non con mezzi soprannaturali. E il sacerdozio si trova in modo eminente a far parte di queste realtà soprannaturali. Ecco perché, al di là di tutti i mezzi e gli espedienti umani, pur sempre utili e necessari, un seminario, per reggersi e sostenersi, ha bisogno più di altre istituzioni di preghiere e sacrifici offerti da anime rettamente intenzionate e sinceramente attaccate alla volontà del Signore.

Nell'augurare a tutti voi un fecondo cammino sulle vie del Signore in un servizio sempre più generoso ai suoi sapientissimi disegni, secondo i compiti ad ognuno affidati, desidero assicurarvi della mia costante preghiera al Signore e alla Vergine santissima, perché, sostenuti dai doni celesti, sappiate sempre guardare ai fratelli con lo stesso sguardo misericordioso di Cristo.

Con questi voti nel cuore imparto a ciascuno di voi una speciale benedizione apostolica, che desidero estendere a tutte le brave popolazioni d'Abruzzo e del Molise.

Data: 1984-06-22 Data estesa: Venerdi 22 Giugno 1984




Ad una conferenza sull'alcolismo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Sensibilità e solidarietà umana per sconfiggere l'alcolismo

Testo:

Cari fratelli.


1. Sono molto lieto di darvi il benvenuto questa mattina, al termine della vostra Conferenza internazionale sugli aspetti scientifici, sociali e morali dell'alcolismo. Il profondo interesse e l'esperienza che portate alle discussioni sull'alcolismo rendono onore alle vostre persone e suscitano speranza in tutti coloro che stanno seguendo gli sviluppi in questo campo.

Si sta sempre più diffondendo la convinzione che l'alcolismo è una delle peggiori piaghe della società moderna. Questa comprensione è in se stessa altamente salutare, ma c'è bisogno di una sempre maggiore collaborazione per affrontare questo problema. Per recare un'efficace assistenza a coloro che soffrono di questa sventura è indispensabile competenza nelle scienze mediche, in psicologia, sociologia e religione. E' perciò evidente che la cooperazione dei vari esperti è essenziale in riferimento sia alla cura che alla prevenzione.


2. Se esaminiamo il problema dell'alcolismo dal punto di vista delle sue complesse radici, o dalla condizione fisica che produce, o da quello della responsabilità morale che può precederlo o accompagnarlo, o degli effetti che ha sulle famiglie di coloro che ne soffrono: da ogni punto di vista vediamo che il problema tocca profondamente la persona umana. La vita degli individui, delle famiglie, delle comunità e della società nel suo insieme ne è toccata, e sono in gioco indicibili sofferenze e angosce. Il deterioramento fisico, che arriva talvolta fino alla morte, il disorientamento psicologico e i problemi spirituali sono conseguenze concrete dell'alcolismo. Alcuni aspetti di questo fenomeno sono comuni anche all'abuso di droga che dilania la società.

Ad entrambi sono applicabili le parole di Paolo VI: "Vi è in gioco la questione stessa della dignità umana. Il problema ha molteplici dimensioni umane, nelle quali la persona è profondamente toccata nell'esercizio dell'intelletto e della volontà, nel compimento del suo autentico ruolo di essere umano, e infine nel conseguimento di un alto destino spirituale" (Allocuzione al comitato congressuale statunitense sull'abuso e controllo della droga, 20 novembre 1976).


3. Per questa ragione offro questa mattina la piena misura del mio incoraggiamento a voi che affrontate questo problema. I vostri contributi costituiscono uno splendido servizio all'umanità. ciò è dovuto alle vostre competenze individuali che, se poste l'una a fianco dell'altra, assistono efficacemente i vostri fratelli e le vostre sorelle nel bisogno. Ma i vostri sforzi unitari sono anche capaci di suscitare una reazione a catena in tutto il mondo: una più profonda sensibilità al problema e una maggiore solidarietà di fronte all'anonimato e all'indifferenza della società, che a loro volta contribuiscono alla solitudine, allo scoraggiamento e all'infelicità; tutti elementi che creano una fertile condizione all'abuso dell'alcol. Mediante le vostre iniziative e mediante quelle promosse da altre persone impegnate in questo ambito, molte vittime dell'alcolismo conosceranno nuova speranza, saranno salvati matrimoni, saranno riconciliate e riunite famiglie, La prevenzione compiuta attraverso l'educazione e la riabilitazione sono traguardi degni del più grande impegno personale.


4. Nei confronti del male dell'alcolismo, un largo strato della società riconosce giustamente la necessità di ricorrere a Dio attraverso la preghiera. Il Creatore dell'umanità è il Dio provvidente e personale che guida la vita dei suoi figli e viene in loro aiuto. Inoltre, la Chiesa cattolica da parte sua identifica l'aiuto divino necessario in questa situazione umana come grazia di Gesù Cristo, potenza redentiva della sua parola e dei suoi sacramenti.

A tutti i membri della famiglia umana, non importa quale religione essi professino, si pone l'alta sfida di assistere l'umanità ad affrontare il serio e diffuso problema dell'alcolismo con coraggio, fiducia e speranza.

Dio benedica voi e le vostre famiglie e vi sostenga nel vostro nobile lavoro.

Data: 1984-06-22 Data estesa: Venerdi 22 Giugno 1984




Dichiarazione del Papa e del Patriarca siro-ortodosso

Titolo: Uniti in profonda comunione spirituale

Testo:

Il Santo Padre e il Patriarca siro orlodosso d'Antiochia Sua Santità Moran Mar Ignatius Zakka I Iwas, hanno sottoscritto la seguente dichiarazione comune:


1. Sua Santità Giovanni Paolo II, Vescovo di Roma, Papa della Chiesa cattolica e sua Santità Moran Mar Ignatius Zakka I Iwas, Patriarca d'Antiochia e di tutto l'Oriente, Capo supremo della Chiesa siro ortodossa universale, si inginocchiano in tutta umiltà di fronte al trono esaltato e magnificato di nostro signore Gesù Cristo, rendono grazia per questa mirabile opportunità che è stata loro concessa di incontrarsi insieme nel suo amore, per rafforzare ancora di più le relazioni tra le nostre due Chiese sorelle, la Chiesa di Roma e la Chiesa siro ortodossa d'Antiochia, relazioni già eccellenti, grazie all'iniziativa intrapresa in comune da sua Santità di felice memoria, papa Paolo VI e sua Santità di felice memoria, Moran Mar Ignatius Jacoub III.


2. E' solenne desiderio di sua Santità Giovanni Paolo II e di sua Santità Zakka I, di dilatare l'orizzonte della loro fraternità e affermare, così facendo, le modalità della profonda comunione spirituale che li unisce ed unisce i prelati, il clero e i fedeli di entrambe le loro Chiese, per consolidare questi legami di fede, speranza e carità e progredire nella ricerca di una completa e comune vita ecclesiale.


3. Innanzitutto, sua Santità Giovanni Paolo II e sua Santità Zakka I confessano la fede delle loro due Chiese, fede formulata dal Concilio di Nicea del 325 d.C., comunemente conosciuto come "Credo di Nicea". Essi comprendono oggi che le confusioni e gli scismi avvenuti tra le loro Chiese nei secoli successivi, in nessun modo intaccano o toccano la sostanza della loro fede, poiché tali confusioni e scismi avvennero solo a causa di differenze nella terminologia e nella cultura e a causa delle varie formule adottate da differenti scuole teologiche per esprimere lo stesso argomento. Conseguentemente, non troviamo oggi nessuna base reale per le tristi divisioni e per gli scismi che avvennero poi tra di noi circa la dottrina dall'incarnazione. Con le parole e nella vita, noi confessiamo la vera dottrina su Cristo nostro Signore, malgrado le differenze nell'interpretazione di questa dottrina che sorsero all'epoca del Concilio di Calcedonia.


4. Pertanto desideriamo riaffermare solennemente la nostra professione di fede comune nell'incarnazione di nostro signore Gesù Cristo, come hanno affermato nel 1971 papa Paolo VI e il patriarca Moran Mar Ignatius Jacoub III. Essi negarono che vi fossero delle differenze nella fede da loro confessata nel mistero del Verbo di Dio divenuto carne e fatto uomo. A nostra volta noi confessiamo che egli si è incarnato per noi, assumendo un vero corpo e un'anima razionale. Egli ha condiviso in tutto la nostra umanità eccetto il peccato. Noi confessiamo che il nostro Signore e nostro Dio, il nostro salvatore e re di ogni cosa, Gesù Cristo, è perfetto Dio quanto alla sua divinità e perfetto uomo quanto alla sua umanità. In lui la sua divinità è unita alla sua umanità. Quest'unione è reale, perfetta, senza mescolanza o commistione, senza confusione, senza alterazione, senza divisione, senza la minima separazione. Egli che è Dio eterno e indivisibile, è diventato visibile nella carne e ha preso la forma di un servo. In lui umanità e divinità sono unite in un modo reale, perfetto, indivisibile e inseparabile, e in lui tutte le sue proprietà sono presenti e attive.


5. Poiché abbiamo la stessa concezione di Cristo, confessiamo anche la stessa concezione del suo mistero. Incarnato, morto e di nuovo risorto, il nostro Signore, Dio e Salvatore ha trionfato sul peccato e sulla morte. Per mezzo di lui, durante il tempo che va dalla Pentecoste alla sua seconda venuta, periodo che è anche la fase ultima del tempo, è dato all'uomo di fare l'esperienza della nostra creazione, il regno di Dio, lievito trasformatore (cfr. Mt 13,33), già presente in mezzo a noi. Per questo, Dio ha scelto un nuovo popolo, la sua Chiesa santa che è il corpo di Cristo. Per mezzo della parola e per mezzo dei sacramenti, lo Spirito Santo agisce nella Chiesa per chiamare ognuno di noi e farci membri del corpo di Cristo. Coloro che credono sono battezzati nello Spirito Santo, nel nome della Santa Trinità, per formare un solo corpo e, attraverso il sacramento dell'unzione della Cresima (Confermazione), la loro fede è resa perfetta e rafforzata dallo stesso Spirito.


6. La vita sacramentale trova nella santa Eucaristia il suo compimento e il suo vertice, in modo tale che è attraverso l'Eucaristia che la Chiesa realizza e rivela la sua natura nel modo più profondo. Attraverso la santa Eucaristia, l'evento della Pasqua di Cristo si dilata su tutta la Chiesa. Attraverso il santo Battesimo e la Cresima, infatti, i membri di Cristo sono uniti dallo Spirito Santo, sono innestati sul Cristo; e attraverso la santa Eucaristia la Chiesa diventa ciò che essa è destinata ad essere attraverso il Battesimo e la Cresima.

Per mezzo della comunione con il Corpo e il Sangue di Cristo, i fedeli crescono in questa misteriosa divinizzazione che, attraverso lo Spirito Santo, fa si che abitino nel Figlio come figli del Padre.


7. Gli altri sacramenti che la Chiesa cattolica e la Chiesa siro ortodossa d'Antiochia hanno in comune in un'unica e stessa successione del ministero apostolico, cioè i Sacri Ordini, il Matrimonio, la Riconciliazione dei penitenti e l'Unzione degli infermi, convergono verso quella celebrazione della santa Eucaristia che è il fulcro della vita sacramentale e la massima espressione visibile della comunione ecclesiale. Questa comunione dei cristiani tra di loro e delle Chiese locali raccolte attorno ai loro legittimi vescovi, si realizza nell'assemblea comunitaria che confessa la stessa fede, che tende nella speranza verso il mondo che verrà, nell'attesa del ritorno del Salvatore ed è unita dallo Spirito Santo che abita in essa con un amore che non viene mai meno.


8. Dal momento che essa è la massima espressione dell'unità cristiana tra i fedeli e tra i vescovi e i sacerdoti, la santa Eucaristia non può ancora essere celebrata tra noi. Una tale celebrazione presuppone una completa identità di fede, identità di fede che ancora non esiste fra di noi. Alcune questioni, in effetti, necessitano ancora di essere risolte per quanto si riferisce alla volontà del Signore per la sua Chiesa, come anche per quanto riguarda implicazioni dottrinali e particolari canonici delle tradizioni proprie alle nostre comunità, che sono rimaste troppo a lungo nella separazione.


9. La nostra identità di fede, per quanto non ancora completa, ci permette tuttavia di prevedere la collaborazione tra le nostre Chiese nella cura pastorale, in situazioni che, al giorno d'oggi, sono frequenti, sia a causa della dispersione dei nostri fedeli attraverso il mondo, sia per le precarie condizioni di questa difficile epoca. Non è raro il fatto che i nostri fedeli trovino moralmente o materialmente impossibile accedere ad un sacerdote della loro propria Chiesa. Nel desiderio di venire incontro alle loro necessità e avendo a mente il loro vantaggio spirituale, li autorizziamo, in tali casi, e quando ne hanno bisogno, a chiedere i sacramenti della Penitenza, dell'Eucaristia e dell'Unzione degli infermi a sacerdoti legittimi dell'una o l'altra delle nostre due Chiese sorelle.

Dalla collaborazione pastorale dovrebbe logicamente derivare la collaborazione nella formazione dei sacerdoti e nell'educazione teologica. Si incoraggiano i vescovi a promuovere una compartecipazione nelle strutture di educazione teologica, ogni qual volta essi lo giudichino possibile. Nel fare questo, non dimentichiamo certo che è nostro dovere fare ancora tutto ciò che è nelle nostre capacità per realizzare la piena comunione visibile tra la Chiesa cattolica e la Chiesa siro ortodossa d'Antiochia, e imploriamo incessantemente il nostro Signore di accordarci quell'unità che è la sola a permetterci di dare al mondo una testimonianza del Vangelo concorde e unanime.


10. Ringraziando il Signore che ci ha permesso questo incontro nella gioia consolante della fede che abbiamo in comune (cfr. Rm 1,12) e che ci ha permesso di proclamare davanti al mondo il mistero della Persona del Verbo incarnato e della sua opera di salvezza, fondamento incrollabile di questa fede comune, ci impegniamo solennemente a fare tutto ciò che ci sarà possibile per rimuovere gli ultimi ostacoli che si frappongono ancora alla piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa siro ortodossa di Antiochia, per far si che, con un solo cuore e con una sola voce, noi possiamo predicare la parola che è: "la vera luce che illumina ogni uomo" e "dà il potere di diventare figli di Dio ai credenti nel suo nome" (cfr. Jn 1,9-12).

Data: 1984-06-23 Data estesa: Sabato 23 Giugno 1984




Consegna del premio "Paolo VI" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Balthasar ha messo la sua conoscenza a servizio del Vero

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle.


1. Sono veramente lieto di accogliervi e di salutarvi nel nome del Signore.

"Grazia a voi e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo" (2Th 1,2). Queste parole di san Paolo le ripeto con animo festoso a ciascuno di voi che partecipate a questo significativo incontro, il quale intende onorare la cultura religiosa mediante la consegna di un premio a chi, con la sua opera, ha dato a tale cultura un contributo di rilievo notevole e riconosciuto.

Ci incontriamo, in questa solennità di san Giovanni Battista, nel ricordo del mio indimenticabile predecessore Paolo VI, che fin dagli inizi del servizio come pastore della Chiesa universale ho amato chiamare "mio vero padre" (RH 4) per indicare pubblicamente quale profondo affetto mi leghi alla sua memoria. Il nostro pensiero in questo momento torna a lui e agli anni del suo pontificato, con sentimenti immutati di ammirazione e di gratitudine per quanto da lui fatto alla guida della mistica barca di Pietro.


2. Una parola di apprezzamento per l'iniziativa e di sincero plauso desidero rivolgere innanzitutto all'Istituto "Paolo VI", che la diocesi di Brescia, con felice decisione, ha promosso per onorare in modo originale il più degno dei suoi figli. Quando il 26 settembre 1982 ebbi la gioia di visitare la terra natale di Giovanni Battista Montini espressi l'auspicio che l'Istituto fosse "sempre strumento di verità e di amore alla Chiesa". Amo ripetere anche oggi tale auspicio, mentre ringrazio il caro fratello monsignor Bruno Foresti, vescovo di Brescia, per i sentimenti manifestati a nome di tutti.

L'iniziativa di un premio internazionale intitolato a Paolo VI da attribuire "periodicamente a una persona o a un'istituzione la cui opera abbia contribuito in modo rilevante allo sviluppo della ricerca e della conoscenza religiosa" (Regolamento del premio, art. 1) s'aggiunge felicemente alle altre che l'Istituto ha già realizzate. Essa lega in forma suggestiva e permanente il nome di Paolo VI ad una delle più impegnative imprese umane - quella della conoscenza religiosa - che lungo tutta la vita fu al centro dei suoi interessi e della sua sollecitudine pastorale. Auspico di cuore che anche l'iniziativa del premio rimanga sempre un mezzo al servizio della verità e della Chiesa.

Al professor Hans Urs von Balthasar porgo le mie cordiali felicitazioni.

L'attestazione di stima, a lui tributata con l'assegnazione di questo premio, lo conforti per la fatica compiuta e lo aiuti a continuare la ricerca, nella quale ha già ottenuto risultati tanto significativi. La passione per la teologia, che ha sostenuto il suo impegno di riflessione sulle opere dei padri, dei teologi e dei mistici, ottiene oggi un importante riconoscimento. Egli ha messo le sue vaste conoscenze al servizio di un "intellectus fidei", che fosse capace di mostrare all'uomo contemporaneo lo splendore del vero che promana da Gesù Cristo. L'odierna cerimonia intende dargliene atto ed esprimergliene riconoscenza.

Un'altra parola di plauso esprimo per la decisione dell'Istituto di assegnare per la prima volta il premio nell'ambito della scienza teologica. Se c'è una scienza che contribuisce "allo sviluppo e alla ricerca della conoscenza religiosa" (Regolamento, art. 1), essa è essenzialmente la teologia. Pertanto la scelta è stata felice, e merita d'essere accompagnata da alcune riflessioni, dettate dalla fisionomia di "servizio" propria della teologia.


3. Anzitutto, la teologia è un servizio alla verità. Essa partecipa del fine a cui tutta la ricerca scientifica è orientata. Tale fine è la conoscenza della verità.

Per raggiungere lo scopo il teologo, come ogni persona dedita alla scienza, deve considerare la verità come il bene più prezioso dell'intelligenza.

La deve cercare con pazienza, rigore, e con lunga, generosa dedizione.

Deve essere onesto nei confronti di essa. Soprattutto la deve amare. Se l'amerà, la cercherà con desiderio e la raggiungerà con gioia. Il "gaudium de veritate", di cui parla sant'Agostino, e che Paolo VI indico tante volte quale termine ultimo del nostro pensare, sarà per lui il premio della sua fatica.

Amare la verità vuol dire non servirsene, ma servirla; cercarla per se stessa, non piegarla alle proprie utilità e convenienze. Tanto più lo scienziato, e quindi il teologo, deve lasciarsi guidare da simili principi, quanto più è sorretto dalla convinzione che anche il minimo frammento di verità è sempre un riflesso, meglio una partecipazione, all'unica verità assoluta, che è Dio.

"Est enim una sapientia absoluta", scrive san Tommaso nel commento al Vangelo di san Giovanni, "quae per suam essentiam est veritas, scilicet ipsum esse divinum qua veritate omnia vera sunt vera" ("In Io. Ev.", I, 33). L'amore per la verità è, almeno implicitamente, amore per Dio, e l'amore a Dio genera l'amore alla verità.


4. La teologia è pero un servizio alla verità rivelata. Questo non impedisce e nemmeno compromette la scientificità della ricerca; ma l'orienta in modo originale e le conferisce un valore che le altre scienze non posseggono. La verità studiata dal teologo non è frutto di una conquista, ma il dono che Dio, nell'imperscrutabile e meraviglioso suo disegno d'amore, ha fatto agli uomini manifestando se stesso principalmente mediante la santa umanità di Gesù Cristo, il quale è il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione. "Parliamo si di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria" (1Co 2,6-7).

La verità, a cui la teologia serve, non è dunque semplicemente un sistema concettuale costruito nel rispetto di regole logiche. Nemmeno si riduce a una serie di fatti empiricamente accertabili. E' primariamente Dio stesso, che in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito Santo si fa conoscere all'uomo. Il servizio che la teologia deve prestare alla verità rivelata è la continua esplorazione di essa. Lo scopo è di scoprirne e di esprimerne, fin dove è possibile, tutti gli aspetti, l'armonia, l'unità, la bellezza. L'esplorazione non terminerà mai, perché la verità di Dio è infinita e perché l'intelligenza umana non può avvicinarsi ad essa che per gradi successivi.

Tale servizio va compiuto, principalmente, mediante il rispetto, l'ossequio, la fedeltà che il teologo deve nutrire per la verità rivelata. Nessun risultato, ma anche nessuna ipotesi dovrà mai contraddire "le parole di Dio" proferite da colui "che Dio ha mandato" (cfr. Jn 3,34 DV 4). Nessun mezzo, a cui il teologo ricorre per la ricerca, e nessuna revisione della struttura epistemologica della teologia sono accettabili, se non rispettano pienamente la divina verità. Nessuna interpretazione dovrà mai dimenticare la soprannaturalità e l'origine trascendente della verità rivelata.

Il servizio alla verità rivelata, poi, postula sempre un grande senso del mistero, che accompagni l'autentica ricerca teologica. Esso impedisce che la verità rivelata venga ridotta in termini razionalistici o snaturata a livello di un'ideologia. Al contrario, esso mantiene viva la coscienza dell'infinita distanza tra Dio e noi, e quindi dell'infinita misericordiosa condiscendenza che Dio ha avuto per noi quando, nella pienezza del tempo (cfr. Ga 4,4), il Verbo si fece carne e abito tra noi (cfr. Jn 1,49).

Per questo motivo, il teologo non può che stupirsi di fronte alle meraviglie di Dio, e sentirsi sospinto dal suo stesso impegno di ricerca a piegare le ginocchia nel dialogo della preghiera e ad intensificare la sua vita di fede.

Come ha ben scritto il professor Hans Urs von Balthasar ("Cordula", p. 108), nella preghiera che sta in ascolto e nella fede che si apre alla contemplazione "si disvela che cosa Cristo nostra fonte dice e vuole". Radica qui quella "indivisibilità fra teologia e spiritualità", alla quale egli ha poco fa accennato.


5. La teologia è poi un servizio alla Chiesa. "Colonna e sostegno della verità" (1Tm 3,15), la Chiesa costituisce il deposito della parola di Dio "da cui vengono attinti i principi per l'ordine morale e religioso" (GS 33).

Guidata incessantemente dallo Spirito Santo alla conoscenza di tutta la verità (cfr. Jn 16,13), è alla Chiesa che Cristo ha affidato il compito di essere "madre e maestra".

La teologia è al servizio della missione della Chiesa. Non può quindi essere intesa come il libero esercizio di una qualsiasi professione; essa è in realtà una qualificata collaborazione al compito profetico di cui la Chiesa, per volontà di Cristo, è responsabile. La vocazione del teologo è una vocazione di Chiesa.

ciò comporta per la teologia una triplice, fondamentale attenzione. Una al passato: è il rapporto costitutivo con la tradizione, ossia con quella comprensione della verità rivelata che, suggerita dallo Spirito Santo, è andata crescendo nella storia della Chiesa "che crede e che prega" (DV 8).

Una seconda al presente: è il legame essenziale che la teologia deve mantenere con la fede viva della Chiesa oggi, per sorreggerla e aiutarla, ma prima ancora per farne punto del proprio inizio e termine di un continuo confronto.

Una terza attenzione è all'uomo considerato nella concretezza della sua esperienza. Affinché la verità rivelata gli sia annunciata nell'interezza della sua sconvolgente novità, ma anche in modo efficace, occorre che la teologia mantenga aperto un dialogo costruttivo, anche se critico, con la cultura contemporanea.


6. La teologia è infine un servizio al magistero. Nella Chiesa, il compito di custodire la verità rivelata, di interpretarla in modo autentico, di insegnarla a tutti, è per volontà di Cristo affidato al romano pontefice e ai vescovi in comunione con lui e sotto la sua guida. così ha insegnato il Concilio Vaticano II, precisando in modo mirabile il circolo vitale che unisce Sacra Scrittura, tradizione e magistero. La teologia rende un servizio a coloro che, nel nome e per autorità di Gesù Cristo, sono "dottori autentici", e "araldi della fede" (LG 25). Benché non siano del medesimo ordine, il servizio del magistero e il servizio dei teologi sono complementari e il magistero ha bisogno di teologi.

Un corretto rapporto tra magistero e teologia è un fattore decisivo per la vita della Chiesa e per la testimonianza che tutti i credenti in Cristo sono chiamati a dare nel mondo. Grazie a tale corretto rapporto, infatti, è possibile evitare sbandamenti e incertezze che turbano gravemente la coscienza dei credenti, rendendoli insicuri su quanto v'è di più prezioso: quella verità per la quale bisogna anche essere pronti a morire.

La teologia aiuta il magistero quando lo segue, quando l'accompagna, ma anche quando lo precede alla ricerca di nuovi orizzonti e di nuove strade. E' soprattutto in quest'ultimo caso che il teologo, affrontando questioni nuove e pericoli non previsti, deve curare di unire strettamente nel suo cuore sia la filiale devozione del discepolo, sia il desiderio di sempre meglio conoscere e di penetrare più profondamente nell'intelligenza del mistero rivelato trasmesso nella tradizione vivente della Chiesa. ciò sarà possibile se la teologia svolgerà il proprio servizio come un grande atto d'amore a Dio, alla Chiesa, a chi nella Chiesa ha il dovere d'essere maestro, all'uomo. All'aumento di tale amore anche il premio internazionale "Paolo VI", oggi per la prima volta assegnato proprio a un teologo, darà un contributo significativo.


7. Carissimi fratelli e sorelle, a conclusione di questo nostro incontro, quasi a documentare la spirituale vicinanza del mio indimenticabile predecessore, nel cui nome il premio viene assegnato, desidero rievocare una sua parola, tratta dalle opere della persona che oggi viene onorata. Paolo VI, richiamando l'urgenza per la Chiesa dei tempi nuovi di un'accresciuta fedeltà alla parola di Dio, che tutti giudica senza essere giudicata da nessuno, ricordo di Urs von Balthasar queste gravi, profetiche affermazioni: "Le manchevolezze dei cristiani, anche di coloro che hanno la missione di predicare, non saranno mai nella Chiesa un motivo per attenuare il carattere assoluto della parola. Il filo tagliente della spada non potrà mai essere smussato. Essa, la Chiesa, mai potrà parlare della santità, della castità, della povertà e dell'obbedienza diversamente da Cristo" ("Quinque iam anni", Insegnamenti, VIII [1970], 1422).

Con questa certezza e in questa prospettiva, esprimo a tutti i teologi impegnati nella ricerca a servizio della parola di Dio il mio incoraggiamento, la mia stima, la mia speranza. Oggi più che mai, infatti, la ricerca teologica, condotta con acutezza d'ingegno e severità di indagine, appare di inestimabile ausilio perché nella Chiesa e nel mondo odierno risuoni intera e viva la voce del Vangelo.

Lo auspico di cuore, mentre rinnovo il mio compiacimento e i miei auguri al professor Urs von Balthasar, il quale ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca teologica, come contemplazione amorosa di Dio e servizio alla Chiesa.

Con questi sentimenti su tutti voi invoco la benedizione del Signore.

Data: 1984-06-23 Data estesa: Sabato 23 Giugno 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Omelia per il Corpus Domini - Città del Vaticano (Roma)