GPII 1984 Insegnamenti - Omelia al Policlinico Gemelli - Roma

Omelia al Policlinico Gemelli - Roma

Titolo: La scienza che serve la verità dispone alla rivelazione di Dio

Testo:


1. "Imparate da me che sono mite e umile di cuore" (Mt 11,29). E' Cristo che parla. Con gli occhi della fede noi lo contempliamo nella concretezza della sua umanità, grazie alla quale è in tutto simile a noi, fuorché nel peccato. Simile in tutto, e quindi anche nel fatto di avere un cuore che gli batte nel petto, attivando nelle sue vene il flusso vitale della circolazione sanguigna. E' proprio a questo cuore che egli allude, mentre parla a noi qui raccolti intorno all'altare: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore".

Oggi, solennità liturgica del Sacro Cuore, in questa istituzione universitaria e ospedaliera dedicata al Cuore di Gesù, siamo invitati a meditare sul mistero di quel cuore divino, nel quale pulsa l'amore infinito di Dio per l'uomo, per ogni uomo, per ciascuno di noi. Quell'amore, di cui già testimoniava Mosè davanti ai suoi connazionali, ricordando loro: "ll Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i popoli - ma perché il Signore vi ama" (Dt 7,7-8). Quell'amore, nel quale l'apostolo Giovanni vide la sintesi di ogni discorso su Dio, così da poter affermare: "Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore" (1Jn 4,8).

Come non esclamare col salmista: "Il Signore è buono e grande nell'amore"? La liturgia odierna ci pone sulle labbra le espressioni appropriate per manifestare la nostra riconoscenza di fronte a una generosità così imprevedibile e stupenda: "Benedici il Signore, anima mia, / quanto è in me benedica il suo santo nome... / Egli perdona tutte le tue colpe, / guarisce tutte le tue malattie; / salva dalla fossa la tua vita, / ti corona di grazia e di misericordia..." (salmo responsoriale).


2. Meditiamo sulle "meraviglie" dell'amore di Dio contemplando il mistero del cuore di Cristo. E' nota la ricchezza di risonanze antropologiche che, nel linguaggio biblico, risveglia la parola "cuore". Con essa non vengono soltanto evocati i sentimenti propri della sfera affettiva, ma anche tutti quei ricordi, pensieri, ragionamenti, progetti, che costituiscono il mondo più intimo dell'uomo.

Il cuore nella cultura biblica, e anche in gran parte delle altre culture, è quel centro essenziale della personalità in cui l'uomo sta davanti a Dio come totalità di corpo e di spirito, come io pensante, volente e amante, come centro in cui il ricordo del passato si apre alla progettazione del futuro.

Certo, del cuore umano si interessano l'anatomista, il fisiologo, il cardiologo, il chirurgo, eccetera, e il loro apporto scientifico - mi piace riconoscerlo in una sede come questa - riveste grande importanza per il sereno e armonioso sviluppo dell'uomo nel corso della sua esistenza terrena. Ma il significato, secondo il quale ci riferiamo ora al cuore, trascende tali considerazioni parziali, per raggiungere il santuario dell'autocoscienza personale, in cui si riassume e, per così dire, si condensa l'essenza concreta dell'uomo, il centro in cui il singolo decide di sé davanti agli altri, al mondo, a Dio stesso.

Solo dell'uomo può dirsi propriamente che ha un cuore; non dello spirito puro ovviamente, e neppure dell'animale. Il "redire ad cor" dalla dispersione delle molteplici esperienze esteriori è possibilità riservata unicamente all'uomo.


3. Dalla fede sappiamo che, in un determinato momento della storia, "il Verbo di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,14). Da quel momento Dio ha cominciato ad amare con cuore di uomo. Un cuore vero, capace di pulsare in modo intenso, tenero, appassionato. Il cuore di Gesù ha veramente provato sentimenti di gioia davanti allo splendore della natura, al candore dei bimbi, allo sguardo di un giovane puro; sentimenti di amicizia verso gli apostoli, Lazzaro, i discepoli; sentimenti di compassione per gli ammalati, i poveri, le tante persone provate dal lutto, dalla solitudine, dal peccato; sentimenti di indignazione contro i venditori del tempio, gli ipocriti, i profanatori dell'innocenza; sentimenti di angoscia dinanzi alla prospettiva della sofferenza e al mistero della morte. Non c'è sentimento autenticamente umano che il cuore di Gesù non abbia provato.

Noi oggi sostiamo in adorante preghiera davanti a quel cuore, nel quale il Verbo eterno ha voluto fare direttamente l'esperienza della nostra miseria, "non considerando un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliando se stesso per assumere la condizione di servo e divenire simile a noi" (cfr. Ph 2,6-7). Dell'infinita potenza che è propria di Dio il cuore di Cristo non ha conservato che la potenza inerme dell'amore che perdona. E nella solitudine radicale della croce ha accettato di essere trafitto dalla lancia del centurione, perché dalla ferita aperta si riversasse sulle brutture del mondo il torrente inesauribile di una misericordia che lava, purifica e rinnova.

Nel cuore di Cristo s'incontrano, dunque, ricchezza divina e povertà umana, potenza della grazia e fragilità della natura, appello di Dio e risposta dell'uomo. In esso ha il suo approdo definitivo la storia dell'umanità, perché "il Padre ha rimesso ogni giudizio al Figlio" (cfr. Jn 5,22). Al cuore di Cristo deve quindi fare riferimento, lo voglia o non lo voglia, ogni cuore umano.


4. Questo nostro cuore! La Bibbia non lesina espressioni pessimistiche circa il cuore umano, nel quale si nasconde spesso la doppiezza, come nel caso di coloro che "parlano di pace al loro prossimo, ma hanno la malizia nel cuore" (Ps 28,3); o s'insinua l'infedeltà all'alleanza, come lamenta il salmista nei confronti del popolo ebreo: "Il loro cuore non era sincero con lui, e non erano fedeli alla sua alleanza" (Ps 78,37). Chi non ricorda l'amara constatazione: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me" (Is 29,13)? L'uomo non deve infatti dimenticare che, se gli è possibile ingannare i suoi simili, ciò non gli riesce con Dio, perché se "l'uomo guarda all'apparenza, Dio guarda al cuore" (1S 16,7).

Di fronte alla realtà deludente di un cuore "traviato e indocile" (Jr 5,23), resta un'unica speranza: quella di un'iniziativa divina che rinnovi il cuore umano e lo renda ancora capace di amare Dio e i fratelli con slancio sincero e generoso. E' quanto il Signore ha promesso per bocca del profeta Ezechiele (36,25-26): "Io vi purifichero da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi daro un cuore nuovo, mettero dentro di voi uno spirito nuovo, togliero da voi il cuore di pietra e vi daro un cuore di carne".


5. La promessa si è realizzata in Cristo. Nell'incontro con lui è offerta all'uomo la possibilità di rifarsi un cuore nuovo, un cuore non più "di pietra", ma "di carne". Per giungere a ciò, tuttavia, occorre innanzitutto che egli "rinasca da acqua e da Spirito", come fu detto, una notte, "ad un uomo chiamato Nicodemo" (cfr. Jn 3,1ss); e occorre poi che si metta alla scuola di Gesù per imparare da lui come si ama concretamente. E' proprio ciò che lui stesso ha chiesto. Ha detto infatti: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore". Con la parola e con l'esempio Cristo ci ha insegnato la mitezza e l'umiltà, come doti indispensabili per amare realmente; ci ha insegnato che il Figlio dell'uomo "non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Jn 3,45). L'amore autentico non si serve dell'altro, ma lo serve, spendendosi per lui anche fino al sacrificio totale di sé e delle proprie cose.


6. Ma è proprio in questo annullarsi per amore che sta il segreto della vera sapienza, quella che arriva a intravedere qualcosa del mistero di Dio e a percepire la superiore saggezza delle norme che scaturiscono dalla sua volontà tre volte santa. Gesù lo rileva non senza un fremito di intima gioia: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Si, o Padre, perché così è piaciuto a te" (Mt 11,27-28).

Noi riascoltiamo queste parole in un ambiente che per istituzione è destinato agli studi superiori di medicina, fra persone che hanno fatto della ricerca scientifica la ragione della loro vita. Le riascoltano i molti giovani qui raccolti, i quali hanno intrapreso gli studi universitari, mossi dal desiderio di far proprie le acquisizioni di una disciplina che tanti e così straordinari progressi ha fatto in questo nostro secolo. V'è forse nelle parole di Cristo un'espressione di sfiducia nei confronti dell'impegno con cui l'uomo si protende verso la conoscenza sempre più approfondita di sé e del mondo? Certamente no, dal momento che, come Verbo di Dio, Cristo è la sapienza personificata e, come l'uomo l'evangelista lo presenta intento a crescere "in sapienza", oltre che "in età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (cfr. Lc 2,52).

La Chiesa non ha mai avuto dubbi al riguardo ed è per questo che, nel corso della sua storia millenaria, ha continuato a suscitare in ogni luogo centri di studi non solo sacri, ma anche profani, nella convinzione che ogni progresso nella conoscenza della verità costituisce oggettivamente un omaggio a Dio, verità sussistente, "qua veritate - per dirla con san Tommaso - omnia vera sunt vera" ("In Io. Ev.", I, 33).

Non siamo noi, del resto, raccolti qui stasera per ricordare, nel XXV anniversario della morte, il fondatore di uno tra i più prestigiosi di questi centri di studio? Quando padre Agostino Gemelli diede inizio all'Università Cattolica del Sacro Cuore, la vide come "opera destinata al progresso della vita soprannaturale degli uomini, sia attraverso l'educazione dei giovani, sia attraverso la ricerca e la difesa del vero" (Testamento, Pasqua 1954). E lo stesso ideale lo mosse, nell'ultimo scorcio della sua vita, a impegnarsi nell'attuazione di questa facoltà di Medicina con annesso Policlinico, che egli senti come il coronamento del sogno germinato tanti anni prima nel suo animo di medico e sacerdote, desideroso di creare nelle corsie d'ospedale "un'atmosfera in cui il malato percepisse un legame tra sé e coloro che lo curano".

Non è dunque la vera scienza quella che preclude all'uomo la conoscenza di Dio e del suo mistero. La scienza che si sente serva della verità e non padrona, che non smarrisce mai il senso del mistero, perché sa che, al di là dell'orizzonte limitato a cui può giungere con i propri mezzi, vi sono le prospettive sconfinate che si perdono in quell'abisso di luce che ha nome Dio, questa scienza non solo non preclude, ma anzi dispone alla rivelazione dei segreti di Dio. A questa scienza sono chiamati quanti come voi, illustri professori e cari studenti, hanno fatto del loro stesso impegno di studio una scelta di fede. Essere parte di una università Cattolica, che trae il suo nome dal Sacro Cuore di Gesù, è un fatto che vi onora e insieme vi impegna grandemente. Chi, se non voi, dovrà mettersi alla scuola di quel cuore divino che con i suoi battiti scandisce la storia del mondo e la storia personale di ciascuno di noi? In quel cuore "sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,3). Quale prospettiva per chi ha fatto della ricerca della verità la ragione della sua vita!


7. Ma al cuore divino di Gesù potete ricorrere anche voi, ammalati carissimi, che lottate con l'infermità che vi ha colpito e avete bisogno di tanta forza morale per non cedere alla tentazione dell'abbattimento e della sfiducia. Non ha egli detto: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi daro ristoro" (Mt 11,28)? Queste parole, permeate di tanta umana dolcezza, egli le ripete anche oggi a voi, ammalati, che in questo Policlinico trovate assistenza premurosa e cure appropriate; le ripete a quanti si prodigano al vostro servizio, come infermiere e infermieri, con dedizione solerte; le ripete ai vostri familiari, che dividono con voi l'ansia per la malattia e la speranza di una pronta guarigione; le ripete a noi tutti: "Venite a me!".

Se siamo "affaticati e oppressi", accogliamo l'invito così amorevolmente insistente: andiamo a lui, impariamo da lui, affidiamoci a lui. Sperimenteremo la verità della promessa: troveremo quel "ristoro dell'anima" a cui anela il nostro cuore stanco.

Così sia!

Data: 1984-06-28 Data estesa: Giovedi 28 Giugno 1984




Ai cardinali e alla Curia romana - Vangelo anima della scuola cattolica, norma di vita e dottrina



"Simone di Giovanni, mi ami tu?... Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle... Seguimi!" (Jn 21,15ss).

Venerati cardinali, confratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, fratelli e sorelle della Curia romana!


1. Le parole del Vangelo, udite in questo momento di preghiera in preparazione alla solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, che vede riuniti attorno a me tutti voi, carissimi collaboratori del mio quotidiano ministero, ci toccano nel profondo del cuore. Qui, esse risuonano con un'eco incomparabile, che percorre come un brivido tutte le nostre fibre: siamo sulla tomba di Pietro, non lontani dal luogo stesso dove è avvenuta quella morte, con cui egli ha glorificato Dio (cfr. Jn 21,19). Qui parla con tutta la sua eloquenza la testimonianza estrema dell'amore di Pietro per Cristo Gesù. Qui, la continuità della Chiesa delle origini con quella, che è ormai alla soglia del terzo millennio, trova il suo anello di congiunzione, la sua garanzia di fedeltà e di autenticità, la sicurezza di poggiare sempre sulla stessa pietra, voluta da Cristo e fondamento della sua Chiesa.

perciò ho voluto che questo nostro significativo incontro - incontro di affetto reciproco, di riflessione, di incoraggiamento - avvenisse anche quest'anno nella basilica Vaticana: lo scorso anno, in occasione della solenne celebrazione comunitaria per il Giubileo dell'Anno della Redenzione; oggi, in una cornice di raccoglimento, in preparazione alla solennità liturgica, che vogliamo vivere all'unisono con la Chiesa universale, ma che sentiamo particolarmente nostra.

Grazie perché siete venuti. Grazie a lei, signor cardinale decano, per le sempre nobili parole con cui interpreta i sentimenti dei confratelli cardinali e di tutti i presenti.


2. L'incontro - ormai tradizionale nella vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo - tra il Papa e i suoi stretti collaboratori nell'ambito della Curia romana, del Vicariato di Roma, delle varie amministrazioni della Santa Sede e del governatorato per la Città del Vaticano, ha per me un significato particolare, a cui attribuisco grande importanza: mi è infatti possibile sia esprimervi la mia riconoscenza, sia confortarvi nell'adempimento di un dovere, unico per la sua configurazione, considerando la sua vicinanza con la Sede di Pietro e il contributo che reca al ministero petrino, a me attribuito per supremo mandato.

Effettivamente, l'organizzazione centrale della Chiesa, mediante tutti i suoi diversificati organismi, è strumento indispensabile per il Papa nel condurre avanti l'enorme peso di questo ministero. E poiché esso abbraccia tutta la vita della Chiesa, nell'obbligo imprescrittibile della "confirma fratres" (Lc 22,32) affidato a Pietro e ai suoi successori, la vostra attività nella Curia romana e nelle varie amministrazioni centrali della Sede apostolica si estende a una dimensione ampia quant'è la Chiesa stessa. Voi infatti mi aiutate nel mio dovere di pastore, diretto al bene delle anime e alla comunione delle Chiese locali nella carità.

Per questo vi ho voluti qui, accanto a me, presso il sepolcro di Pietro.

Vi saluto a uno a uno; e mi è caro chiamare per nome i singoli organismi, nei quali lavorate, perché così si dispiega davanti ai miei occhi tutta la panoramica della vita ecclesiale, a cui la Sede di Pietro rivolge le sue sollecitudini. Voi siete le mie braccia: tutti insieme e ciascuno singolarmente.

Saluto perciò con particolare affetto i responsabili, gli officiali e i cooperatori tutti delle varie componenti di questo corpo vivente che è la Curia romana: Sinodo dei vescovi; segreteria di Stato e Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa; congregazioni per la dottrina della fede, per i vescovi, per le Chiese orientali, per i sacramenti, per il culto divino, per il clero, per i religiosi e gli istituti secolari, per l'evangelizzazione dei popoli, per le cause dei santi, per l'educazione cattolica; Penitenzieria apostolica, Segnatura apostolica, Rota romana; segretariati per l'unione dei cristiani, per i non cristiani, per i non credenti; consiglio per i laici, commissioni "Iustitia et pax"; per l'interpretazione autentica del Codice di diritto canonico; per la revisione del Codice di diritto canonico orientale; per le comunicazioni sociali; per l'America Latina; per la pastorale delle migrazioni e del turismo; consiglio "Co unum", Consiglio per la famiglia, Consiglio per la cultura; Commissione teologica internazionale, biblica, di archeologia sacra, Comitato di scienze storiche, Commissione per gli archivi ecclesiastici d'Italia, Commissione centrale per l'arte sacra in Italia, Commissione cardinalizia per i santuari di Pompei, Loreto e Bari; Camera apostolica, Prefettura degli affari economici della Santa Sede; amministrazione del patrimonio della Sede apostolica; Prefettura della Casa pontificia; Ufficio per le cerimonie pontificie; servizio assistenziale, Ufficio per i rapporti col personale, Fabbrica di San Pietro, Biblioteca apostolica vaticana, Archivio segreto vaticano. Saluto il Vicariato di Roma, per il diretto servizio pastorale alla mia diocesi, come il Vicariato, la Pontificia commissione e il governatorato per lo Stato della Città del Vaticano; e, fuori Roma, ma strettamente legate a questa cattedra di Pietro con una fisionomia unica e particolare, il mio pensiero va alle nunziature e delegazioni apostoliche in tutte le latitudini del mondo, che mi rappresentano presso le Chiese locali e le autorità dei diversi Stati con una fisionomia unica di servizio e di collegamento tra questa Sede di Pietro e i vari popoli del mondo.

Ho voluto elencare tutti, non solo per dovere di cortesia, ma proprio perché, nel solo enunciare le varie parti di questa struttura organica e complessa, che oggi trovo raccolta con me in preghiera, è offerto un quadro eloquente di tutte le attività e premure della Chiesa, di tutto l'insieme della sua vita, verso le quali si dirige la sollecitudine del ministero petrino.

Il "ministero petrino" è servizio alla fede


3. Il Vangelo, che abbiamo insieme ascoltato con emozione, ci ricorda le linee maestre di questo ministero. Esse sono segnate dalle parole di Gesù di Nazaret, Verbo del Padre: "Simone di Giovanni, mi ami tu?": tre volte risuona questa domanda, che sconvolge con progressiva intensità il cuore di Pietro. "Pasci i miei agnelli, le mie pecorelle": e tre volte risuona questo mandato universale di sollecitudine pastorale per tutta la Chiesa, affidato a Pietro dopo la sua triplice confessione di amore. "Seguimi!", è la conclusione: un invito a non fermarsi su nessun'altra considerazione che non sia quella della volontà divina, che chiama anche fino al martirio. Se vi invito a rifletterci sopra, è perché in queste parole anche la vostra attività trova la sua vera collocazione nel suo significato profondamente e sostanzialmente ontologico e teologico, e nella prospettiva escatologica.

a) "Mi ami?". "Tu sai che ti amo". Il ministero petrino è essenzialmente ministero d'amore, servizio di amore, come risposta all'amore eterno e misericordioso di Dio, che come in una verticale diretta si è manifestato agli uomini nel Figlio incarnato, si è riversato nei loro cuori col dono dello Spirito Santo (cfr. Rm 5,5), ha raccolto la sua Chiesa da tutti i popoli della terra, facendola poggiare sulla roccia che è Pietro. Servire questo disegno d'amore è un atto, un dovere di amore: "...Sit amoris officium, pascere dominicum gregem!" ("Sia un dovere di amore pascere il gregge del Signore": sant'Agostino, "In Io. Ev.", 123, 5: PL 35, 1967).

b) "Pasci i miei agnelli". Il ministero petrino è sollecitudine pastorale verso l'intera Chiesa: il comando di Cristo; "Pasci", fa tutt'uno con il: "Conferma i tuoi fratelli" della sera dell'ultima Cena (Lc 22,32), e, più indietro, con le parole di Cesarea di Filippo: "Tu sei Pietro e su questa pietra edifichero la mia Chiesa... A te daro le chiavi del regno dei cieli" (Mt 16,18-19). E' un servizio.

- Servizio all'uomo: perché la verticale che dal cuore di Dio Padre scende attraverso Cristo fino all'investitura data a Pietro per la Chiesa, è diretta unicamente all'uomo: alla salvezza dell'uomo, operata dalla redenzione, alla integralità dell'uomo, che vive e opera come persona singola, ma inserita nella compagine sociale di famiglia, lavoro, professione, società civile; alla libera espansione dell'uomo, che deve tendere ai suoi eterni destini nella convivenza tra i popoli, assicurata dalla pace, che è l'"ordinata concordia tra gli uomini" (sant'Agostino, "De civitate Dei", 19, 13,1: PL 41, 640; cfr. san Tommaso, "Summa contra gentes", III, 128, 3003).

- Servizio all'unità della Chiesa, perché il ministero di Pietro è garanzia di stabilità e di coesione per tutta la Chiesa, e dell'intimo legame che esiste con i singoli pastori per il bene del popolo di Dio. Come ha sottolineato il Vaticano II, "affinché l'episcopato fosse uno e indiviso, (Cristo) prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabili il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell'unità della fede e della comunione" (LG 18). "Unus pro omnibus, quia unitas est in omnibus" ("uno solo - Pietro - è al posto di tutti, poiché l'unità esiste in tutti"), aveva icasticamente commentato sant'Agostino ("In Io. Ev.", 118, 4: PL 33, 1949).

- Servizio alla fede, come sottolinea san Pietro Crisologo: "Beatus Petrus, qui in propria sede et vivit et praesidet, praestat quaerentibus fidei veritatem" ("Il beato Pietro, che continua a vivere e a governare nella sua sede, dona la verità della fede a quanti la cercano": "Ad Eutichem, inter epistolas Leonis Magni", 25, 2: PL 54, 743s).

Fermamente consapevole della necessità di questo servizio, il mio predecessore Giovanni XXIII auspicava "un risveglio di forte e ardente fede; la consapevolezza piena dell'intero insegnamento cristiano dal primo all'ultimo degli articoli del Credo, una sempre più attiva fedeltà a Cristo, Figlio di Dio fatto uomo" (udienza generale, 6 agosto 1960); e Paolo VI proclamava davanti a tutta la Chiesa "il Credo del popolo di Dio", a conclusione dell'anno della fede (30 giugno 1968).

c) Seguimi. Se la vita di tutti i cristiani è seguela di Gesù Cristo, questa è prerogativa, dovere e programma precipuo del ministero petrino. Pietro ha davvero seguito Cristo. La sua storia personale fu straordinariamente segnata da una doppia vocazione, e questo è un ulteriore tratto peculiare che lo distingue dagli altri apostoli: infatti Gesù lo chiama, sia all'inizio della propria missione messianica, come riporta il Vangelo di Luca: "D'ora in poi sarai pescatore di uomini" (Lc 5,10), sia alla fine di essa, con una chiamata singolare, nelle parole del quarto Vangelo, che oggi abbiamo udito insieme. E Pietro, in tutti e due i casi, segue Gesù, affidandosi pienamente a lui, fino ad avventurarsi verso l'ignoto, sempre condotto da quella duplice chiamata, giungendo a Roma di cui fu il primo Vescovo, e ove diede l'estrema testimonianza del sangue su questo colle Vaticano.

Educazione cattolica e dovere della Chiesa


4. Venerati fratelli e carissimi figli. Nel parlarvi del ministero petrino, ho sottolineato, tra l'altro, che esso è servizio alla fede. In questa prospettiva, che caratterizza il nostro comune lavoro, vorrei aprirvi il mio animo su un argomento, che mi sta particolarmente a cuore: è la questione dell'educazione cattolica della gioventù. Esso interessa espressamente, è vero, il dicastero che si occupa dell'educazione cattolica, ma tocca da vicino tutti quanti noi, vescovi e sacerdoti, religiosi e religiose, che vogliamo vivere intensamente il momento presente, con tutte le sfide che esso pone; tocca da vicino voi, laici, padri e madri di famiglia, il cui principale problema è proprio quello della formazione integrale cristiana, che volete dare ai vostri figli. La questione dunque non è estranea, in questa luce di fede, a nessuno di noi, che lavoriamo per la vita della Chiesa nel mondo, e in sintonia e al servizio delle singole Chiese locali. E appunto gli episcopati di vari Paesi sono impegnati in prima persona per le difficoltà inerenti all'educazione cristiana della gioventù, che in questi ultimi anni attraversa un momento delicato. I vescovi lavorano, spendono energie e risorse sulla questione, che involve vari aspetti, e attendono una parola sui principi, che la regolano per il bene della comunità ecclesiale e civile.

L'educazione cattolica della gioventù pone la Chiesa di fronte a una molteplice responsabilità, che si estende anzitutto alla catechesi evangelizzatrice, la quale comprende anche l'insegnamento religioso nella scuola, anche pubblica, infine alla scuola cattolica come luogo di educazione cristiana e di formazione integrale del fanciullo e del giovane sotto il segno della fede e di una visione dell'uomo e del mondo che ad esso si ispira e ad essa non contraddice.

Tutto questo nel rispetto dei diritti fondamentali dei genitori, primi responsabili dell'educazione dei figli, e in corrispondenza della missione specifica della Chiesa.

Non sarà inopportuno soffermarci sui principi che devono sostenere viva la coscienza di questo problema nel mondo odierno, di fronte alle difficoltà molteplici che qua e là si presentano e su cui non è possibile tenere gli occhi chiusi e tacere.


5. La catechesi è realtà ampia e onnicomprensiva in relazione alla missione affidata da Cristo alla Chiesa: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19). Il Figlio di Dio ha mandato gli apostoli a insegnare, e la Chiesa ha tenuto sempre fede a questo incarico, esercitato dal magistero del Papa e dei vescovi, con un impegno che non di rado ha richiesto anche la testimonianza del sangue. La Chiesa insegna per comunicare al mondo la parola della salvezza: e in questa missione, nel suo senso stretto, trovano il loro ambito essenziale sia l'annuncio della buona novella, cioè l'evangelizzazione, di cui il mio predecessore Paolo VI ha tracciato il contenuto, i metodi, i protagonisti nel grande documento "Evangelii Nuntiandi", del 1975, sia la catechesi in tutte le sue forme, come ne ha parlato il Sinodo e la mia esortazione "Catechesi Tradendae", in particolare nella preparazione ai sacramenti.

Diritto nativo di insegnare a tutti gli uomini


6. perciò la Chiesa ha il dovere e il diritto nativo di insegnare agli uomini, a tutti gli uomini, la verità rivelata, come è stato ribadito in modo chiaro anche dal nuovo Codice di diritto canonico (CIC 747 § 1), che ha dedicato tutto il libro III ai problemi inerenti al "munus docendi", affidatole da Cristo. Il Concilio Vaticano II ha ampiamente illustrato questa missione, principalmente nella costituzione dogmatica sulla Chiesa, nel decreto sull'ufficio pastorale dei vescovi, e nella dichiarazione sulla libertà religiosa. "Tra i principali uffici dei vescovi - è scritto nella "Lumen Gentium" - eccelle la predicazione del Vangelo. I vescovi, infatti, sono gli araldi della fede, che portano a Cristo nuovi discepoli, sono dottori autentici, cioè rivestiti dell'autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, e la illustrano nella luce dello Spirito Santo" (LG 25).

La Chiesa non deve perciò trovare ostacolo nell'esercizio di questo primordiale dovere, richiesto, oltre tutto, dall'aspirazione originaria dell'uomo verso la ricerca delle verità: esso quindi rientra nell'ambito generale del rispetto alla libertà religiosa.


6. La questione dell'educazione cattolica comprende poi, come ho detto, l'insegnamento religioso nell'ambito più generale della scuola, sia essa cattolica oppure statale. A tale insegnamento hanno diritto le famiglie dei credenti, le quali debbono avere la garanzia che la scuola pubblica - proprio perché aperta a tutti - non solo non ponga in pericolo la fede dei loro figli, ma anzi completi, con adeguato insegnamento religioso, la loro formazione integrale.

Questo principio va inquadrato nel concetto della libertà religiosa e dello Stato veramente democratico, che in quanto tale, cioè nel rispetto della sua più profonda e vera natura, si pone al servizio dei cittadini, di tutti i cittadini, nel rispetto dei loro diritti e delle loro convinzioni religiose.

Visto in questa convergenza di principi religiosi, filosofici, politici, questo insegnamento va considerato un diritto: diritto delle famiglie credenti, diritto dei giovani e delle giovani che vogliono vivere e professare la loro fede; e questo, in ogni genere di scuola, anche in quella che non accoglie le istanze dell'educazione cattolica, propria della Chiesa. Una scuola, infatti, che voglia essere veramente degna di questo nome, deve dare spazio e offrire la sua disponibilità alle istanze dei cittadini, con l'intesa e la collaborazione delle confessioni interessate.

Scuola cattolica e "missione salvifica" della Chiesa


7. Nell'ampio tema dell'evangelizzazione e della missione affidata alla Chiesa per l'educazione cattolica della gioventù, entra poi la questione della scuola cattolica, che appunto da quella trae la propria più profonda motivazione, in quanto appunto l'evangelizzazione avvalora ogni sforzo per difendere e rafforzare l'istituzione e la funzione di tale tipo di scuola.

Questo problema mi sta particolarmente a cuore, perché tocca da vicino la Chiesa, che non ha mancato di dare, a varie riprese, le sue chiare direttive in materia. Ricordo la programmatica enciclica "Divini illius Magistri", del mio predecessore Pio XI di venerata memoria, e i vari interventi dei pontefici romani, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI; il Concilio Vaticano II vi ha dedicato la sua attenzione soprattutto nella dichiarazione "Gravissimum Educationis" nel quadro generale dell'educazione cristiana; la Congregazione per l'educazione cattolica ha diffuso, nel 1977, un espresso documento su "La Scuola cattolica"; né sono mancati gli accenni, secondo le varie occasioni, sia nei documenti da me pubblicati, in particolar modo nelle esortazioni apostoliche "Catechesi Tradendae" (CTR 69), e "Familiaris Consortio" (FC 36-40), sia nei viaggi pastorali; e, com'è noto, al problema si è interessata l'assemblea del 1980 del Sinodo dei vescovi.

Infatti la scuola cattolica si inserisce a pieno titolo nella "missione salvifica" della Chiesa, come ha sottolineato il documento già menzionato della Congregazione per l'educazione cattolica (nn. 5-9). In tale prospettiva, il "munus docendi" della Chiesa comprende per sua natura anche le diverse forme e gradi dell'insegnamento alla gioventù. La scuola cattolica non intende presentare una dottrina propria, nel campo della scienza o della tecnica; né fare pressioni di alcun genere: ma essa propone agli alunni le verità che toccano l'uomo, la sua natura, la sua storia, nella luce della fede. Il Vangelo è l'anima della scuola cattolica, la norma della sua vita e della sua dottrina.

La scuola cattolica vuole infatti offrire ogni garanzia - e questo è principio fortemente da sottolineare, di fronte a certi orientamenti presenti - per esser palestra sia di formazione cristiana che di educazione ottimale nelle varie discipline. Essa presenta la concezione della vita e del mondo, i grandi problemi che hanno occupato lo spirito umano nel corso dei secoli, secondo la visione cristiana, in una grande sintesi in cui si compongono tutti i dati della storia e dell'antropologia cristiana.

La scuola cattolica riveste perciò un primario aspetto di cultura, indispensabile per la piena formazione dei giovani credenti. Anzi, proprio questo aspetto di universale sintesi culturale la rende plausibile anche a chi non condivida la fede cattolica.

Come non ricordare qui il prestigio che le scuole cattoliche hanno anche in Paesi a prevalenza non cristiana, ove spesso la maggioranza dei giovani è di altra confessione o religione? Tutto ciò deve far riflettere seriamente sulla funzione di tali istituzioni, che non dev'essere ostacolata né diminuita, perché quelle scuole contribuiscono alla formazione seria e coscienziosa delle future leve dei singoli Paesi. Il concetto è stato ben sottolineato dal recente documento della Conferenza episcopale italiana (n. 1): "La scuola cattolica, oggi, in Italia", ove è ribadito fin dall'inizio: "La Chiesa è mandata ad annunciare e a incarnare la buona novella che porta a compimento la piena dignità e la libertà dell'uomo. Per questo, essa è da sempre attenta e sollecita verso quelle esperienze e istituzioni, nelle quali - come accade nella scuola - prende forma l'umanità del domani e si delinea ciò che sarà il mondo futuro".

La Chiesa ha dunque il diritto di avere le sue scuole. Ma ne ha anche il dovere. Esso scaturisce sia, soprattutto, dal suo fondamentale "munus docendi", sia dalla convinzione della grande utilità che la scuola cattolica procura per la promozione umana e il progresso dei popoli. In questo contesto, il Vaticano II ha detto chiaramente: "La scuola cattolica, essendo in grado di contribuire moltissimo allo sviluppo della missione del popolo di Dio e di servire al dialogo tra la Chiesa e la comunità degli uomini con loro reciproco vantaggio, conserva la sua somma importanza anche nelle circostanze presenti. Pertanto questo sacro Concilio ribadisce il diritto della Chiesa a fondare liberamente e dirigere le scuole di qualsiasi ordine e grado... e ricorda che l'esercizio di un tale diritto contribuisce moltissimo anche alla tutela della libertà di coscienza e dei diritti dei genitori come pure allo stesso progresso culturale" (GE 8).

Libertà e uguaglianza


8. La Chiesa entra a fondo nella questione dell'educazione cattolica della gioventù e, in particolar modo, chiede libertà e uguaglianza per le scuole cattoliche, perché è mossa dalla convinzione che esse sono un diritto delle famiglie cristiane, come hanno ripetutamente sottolineato tante affermazioni del magistero di questa Sede di Pietro. Se la Chiesa tanto insiste su questo diritto, è perché essa guarda appunto alle famiglie, a cui il dovere dell'educazione cristiana dei figli spetta fondamentalmente e ontologicamente. I genitori sono i primi educatori dei loro figli, anzi, nel servizio della trasmissione della fede, sono "i primi catechisti dei loro figli", come ho detto nel duomo di Vienna (12 settembre 1983). La famiglia, per sua natura voluta da Dio, è la prima e naturale comunità educatrice dell'uomo che viene al mondo. Essa deve dunque poter godere, senza discriminazione alcuna da parte dei pubblici poteri, la libertà di scegliere per i figli il tipo di scuola confacente con le proprie convinzioni, né dev'essere ostacolata da gravami economici troppo onerosi, perché tutti i cittadini hanno intrinseca parità anche e soprattutto in questo campo. Il Concilio Vaticano II, ancora nella dichiarazione sulla libertà religiosa, ha detto esplicitamente: "Ad ogni famiglia, in quanto società che gode di un diritto proprio e primordiale, compete il diritto di ordinare liberamente la propria vita religiosa domestica sotto la direzione dei genitori. Ad essi compete il diritto di determinare l'educazione religiosa da impartirsi ai figli, secondo la propria persuasione religiosa. Quindi dev'essere dalla potestà civile riconosciuto ai genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, la scuola o gli altri mezzi di educazione, e per una tale libertà di scelta non debbono essere aggravati, né direttamente né indirettamente, a oneri ingiusti" (DH 5).

Nell'esercizio del diritto di scegliere per i propri figli il tipo di scuola confacente con le proprie convinzioni religiose, la famiglia non dev'essere in alcun modo ostacolata, ma favorita dallo Stato, che non solo ha il dovere di non ledere i diritti dei genitori cristiani, suoi cittadini a tutti gli effetti, ma anche quello di collaborare al bene delle famiglie (cfr. GS 52).

La Chiesa non si stancherà mai di sostenere questi principi, che sono di cristallina logicità e chiarezza, ma che, qualora contrastati o disattesi, possono depauperare la convivenza civile e sociale, basata sul rispetto delle fondamentali libertà dei membri che la compongono, di cui la famiglia è il primo nucleo.

Mantenere efficienti le strutture


9. In questa vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo, maestri e colonne della fede, sento pertanto il dovere di far giungere da qui, a tutta la Chiesa, l'invito a compiere ogni sforzo per mantenere efficienti le strutture della scuola cattolica; in particolare se ne sentano responsabili i vescovi, i sacerdoti, e soprattutto quelle benemerite congregazioni religiose, maschili e femminili, che, volute col carisma dell'educazione dai santi e dalle sante che le hanno fondate, debbono custodire col massimo impegno, come la pupilla degli occhi, questo grande, impareggiabile servizio alla Chiesa. E mi rivolgo altresi agli insegnanti, ai laici impegnati nella scuola cattolica, ai genitori, ai carissimi alunni e alunne, affinché sentano come un grandissimo titolo di onore l'appartenenza a quelle scuole. Tutte le componenti della Chiesa si sentano impegnate a tenerne alto il prestigio, anche a costo di sacrifici, nella convinzione del grande ruolo che esse hanno per il futuro delle varie comunità ecclesiali e civili.

Con questi miei voti mi rivolgo in particolare a tutti i miei confratelli nell'episcopato, che, in diverse nazioni dell'Europa e del mondo, si trovano in particolari situazioni di difficoltà, che devono essere affrontate con serenità e fermezza: dico a loro che prendo parte viva, in prima persona, alle loro preoccupazioni, ai loro sforzi, alla loro attività in questo campo, come a quelle dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose che li coadiuvano.

Soprattutto condivido le sollecitudini dei primi responsabili di questo problema delicato e grave: cioè le famiglie cattoliche e la carissima gioventù - oggi profondamente aperta agli interrogativi e agli impegni della fede - che frequenta queste scuole, e sa di trarne un giovamento incomparabile per il proprio futuro. A tutti sono vicino, e bene auguro nel Signore.


10. Se mi sono soffermato sul problema dell'educazione cattolica della gioventù, con speciale riguardo alla scuola cattolica, ne sono stato indotto anche dal sapere che voi, miei collaboratori, volete corrispondere pienamente alle mie sollecitudini pastorali per tutta la Chiesa.

Voi amate la Chiesa e questo è il motivo che vi anima nell'esercizio del quotidiano lavoro. Le mie ansie sono certo anche le vostre. In questo spirito vi chiedo di continuare ad aiutarmi con la viva partecipazione ai problemi della Chiesa di oggi, e di sostenermi con la vostra preghiera, e soprattutto con l'amore. Sono certo che, nel vostro impegno, voi volete ripetere, insieme con me: "Caritas Christi urget nos!". E' l'amore che vi guida nella vostra azione quotidiana. Amore tanto più prezioso e fecondo quanto più, nella grandissima maggioranza di voi, il lavoro è svolto nel silenzio, nel nascondimento, nella fedeltà che sottopone a usura le forze fisiche e la vita stessa, consapevoli come siete di quella "specificità propria" della collaborazione per cui siete "chiamati a partecipare alla stessa missione che il Papa svolge a favore della Chiesa", come vi dicevo a Natale di due anni fa.

E di tanto vi ringrazio! Ho atteso questo giorno proprio per ripetervi questo grazie per la partecipazione che, a titolo tutto particolare, voi mi offrite nell'esercizio del ministero petrino; e così volete corrispondere al dono di Dio, che a ciò vi ha chiamati, con la purezza della fede professata e l'integrità della vostra vita sacerdotale, religiosa o laicale, vissuta nella partecipazione al triplice ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, e con la coscienza irreprensibile che il vostro lavoro edifica il popolo di Dio, è inserito negli scambi invisibili e fecondi della comunità dei santi, ed è a sua volta sostenuto dagli aiuti spirituali, e anche materiali, che le Chiese locali offrono alla Chiesa di Roma, secondo l'antica consuetudine.

Per esprimervi la mia commossa gratitudine, faccio mie le parole dell'apostolo Paolo, che stamani sono qui risuonate: "Ringrazio il mio Dio ogni volta ch'io mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del Vangelo... E' giusto che io pensi questo di tutti voi, perché vi porto nel cuore, voi che siete tutti partecipi della grazia che mi è stata concessa... Infatti Dio mi è testimone del profondo affetto che ho per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più" (Ph 1,3ss.

Si, venerati cardinali, confratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, persone consacrate, sorelle e fratelli tutti: ringrazio il mio Dio e vi porta tutti nel cuore. I santi Pietro e Paolo ci ottengano la perseveranza nel comune impegno, essi che si sono dati interamente alla causa del Vangelo, fino alla morte.

La Madonna santissima, "Vergine fedele", sia in mezzo a noi come già nel Cenacolo e agli albori della Chiesa nascente, a incoraggiarci col suo amore di Madre nel nostro sforzo di fedeltà al suo Figlio, facendoci comprendere sempre più che, proprio per questo, abbiamo un posto speciale nel suo cuore immacolato. A lei affido, ancora e sempre, le vostre persone, il vostro lavoro, le vostre amate famiglie, specialmente se in esse vi sono ansie, preoccupazioni, sofferenze.

E nel nome della Trinità santissima, a cui sola va "la gloria, l'onore e la potenza" (Ap 4,11), e l'intenzione ultima del nostro servizio, a tutti imparto la mia particolare benedizione apostolica.

Data: 1984-06-28 Data estesa: Giovedi 28 Giugno 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Omelia al Policlinico Gemelli - Roma