GPII 1984 Insegnamenti - Al 54° corso della Cattolica: Una scelta culturale può opporsi pacificamente all'eutanasia

Al 54° corso della Cattolica: Una scelta culturale può opporsi pacificamente all'eutanasia


Carissimi fratelli e sorelle.


1. Sono particolarmente lieto di salutare tutti e ciascuno di voi, partecipanti al 54° corso di aggiornamento culturale, organizzato dall'Università Cattolica del Sacro Cuore. Esprimo, in particolare, il mio saluto agli organizzatori del convegno e, anzitutto, al rettore magnifico Adriano Bausola, che ringrazio per le deferenti espressioni con le quali ha voluto aprire questo familiare incontro.

Il tema da voi scelto per il corso estivo di quest'anno - "Il valore della vita" - è quanto mai importante. Avete avuto occasione di analizzarne gli aspetti religiosi, etici, psicologici e sociali, ponendo in evidenza come la vita conservi valore in ogni suo stadio e condizione e come dall'impegno solidale di tutti dipenda in gran parte la possibilità per ciascuno di dar senso alla propria vicenda personale, anche se provata dal limite della malattia o dal peso della vecchiaia, preludio inevitabile al misterioso "transito" della morte. Tra gli altri problemi, avete poi affrontato quello oggi particolarmente dibattuto dell'eutanasia, esaminandolo nel contesto dei postulati derivanti dall'intangibilità della vita umana.


2. Tale intangibilità è logico corollario della concezione cristiana della vita, della signoria di Dio sulla vita e sulla morte, dell'appartenenza dell'uomo a Cristo sia che egli viva sia che muoia (cfr. Rm 14,8). E' questo un esplicito insegnamento che è ricorrente nella Bibbia, a partire dalle prime pagine della Genesi e dal "Non uccidere" del Decalogo (cfr. Ex 20,13 e Dt 5,17) fino alla prima lettera di Giovanni (cfr. 1Jn 3,11-15); esso si esprime unanimemente nella tradizione dei Padri, a partire dal più antico scritto qual è quello della "Didachè", e confermato dalla prassi penitenziale che fin dai primi tempi ha stigmatizzato l'omicidio come uno dei peccati più gravi; tale insegnamento è stato ripetutamente confermato e sviluppato, nel nostro tempo, dal magistero pontificio e dai documenti conciliari ed episcopali.

Alla luce di questi insegnamenti il credente deve acquisire sempre maggiore consapevolezza dell'intangibilità di ogni vita umana innocente e dar prova di fermezza inflessibile davanti alle pressioni e ai suggerimenti dell'ambiente, mostrando decisione nel contrastare ogni tentativo di legalizzazione dell'eutanasia, come pure nel proseguire la lotta contro l'aborto.


3. Ma il vero problema da affrontare, davanti al profilarsi di una crescente accettazione sociale dell'eutanasia, sembra essere un altro. Come si è già verificato per l'aborto, la condanna morale dell'eutanasia resta inascoltata e incomprensibile per coloro che sono impregnati, talora anche inconsapevolmente, di una concezione della vita inconciliabile col messaggio cristiano, anzi con la stessa dignità della persona umana correttamente intesa.

Per averne una prova, basta tenere presente alcune delle caratteristiche negative più in voga nella cultura che astrae dalla trascendenza: l'abitudine di disporre a proprio arbitrio della vita umana al suo sorgere; la tendenza ad apprezzare la vita personale solo nella misura in cui sia portatrice di ricchezze e di piaceri; la valutazione del benessere materiale e del piacere come beni supremi e, di conseguenza, il concetto di sofferenza come male assoluto da evitare a tutti i costi e con ogni mezzo; la concezione della morte come fine assurda di una vita che poteva dare ancora godimenti, o come liberazione da una vita ritenuta ormai "priva di senso", perché destinata a continuare nel dolore.

Tutto ciò s'accompagna in genere alla convinzione che l'uomo, prescindendo da Dio, è responsabile solo davanti a se stesso e alle leggi della società liberamente stabilite.

E' chiaro che là dove questi atteggiamenti hanno preso piede nel vissuto di persone e di gruppi sociali, paradossalmente può apparire logico e "umano" porre fine "dolcemente" alla vita propria o altrui, quando essa riservasse solo sofferenze e menomazioni gravi. Ma questo è in realtà assurdo e disumano.


4. L'impegno che s'impone alla comunità cristiana in tale contesto socio-culturale è più che una semplice condanna dell'eutanasia, o il semplice tentativo di ostacolarne il cammino verso un'eventuale diffusione e successiva legalizzazione.

Il problema di fondo è soprattutto come riuscire ad aiutare gli uomini del nostro tempo a prendere coscienza della disumanità di certi aspetti della cultura dominante, e a riscoprire i valori più preziosi da essa offuscati.

Il profilarsi dell'eutanasia, come ulteriore approdo di morte dopo l'aborto, deve dunque essere colto come un drammatico appello a tutti i credenti e agli uomini di buona volontà a muoversi con urgenza per promuovere con ogni mezzo e a tutti i livelli una vera scelta culturale nel cammino della nostra società.

Assume, per questo, particolare importanza anzitutto una presenza e un'azione incisiva dei cattolici in tutte quelle sedi e organizzazioni, nazionali e internazionali, nelle quali si prendono decisioni di estrema importanza per il cammino della società.

Altrettanto deve dirsi per il vasto campo dei mezzi della comunicazione sociale, sulla cui importanza in rapporto alla formazione della pubblica opinione è superfluo insistere. Ma non è meno importante e necessario diffondere la consapevolezza che ognuno, anche semplicemente col proprio stile di vita, contribuisce a consolidare la concezione cristiana della vita, o a costruirne una diversa. E' urgente perciò che quanti vengono raggiunti dalla Chiesa con la parola e con l'azione siano aiutati: a prendere coscienza del divario che molte volte si è instaurato tra fede e vita, come conseguenza di un acritico accoglimento pratico di concezioni edonistiche, consumistiche, eccetera, soggiacenti ad un certo stile di vita; a scoprire le genuine concezioni cristiane circa la vita, la sofferenza, la morte e la giusta scala dei valori della vita concepita come vocazione e missione, di cui ognuno è responsabile davanti a Dio; a impostare nuovamente su queste concezioni la propria esistenza individuale, familiare, professionale, non temendo di andare con cristiana fermezza contro corrente.


5. In sostanza: il problema dell'eutanasia sollecita e reclama con drammatica urgenza un impegno serio e costante per un vero e proprio rinnovamento di un autentico sentire cristiano. Ulteriori ritardi e negligenze si potrebbero tradurre nella soppressione di un incalcolabile numero di vite umane, e in un ulteriore e grave degradarsi a livelli sempre più disumani di tutta la società e convivenza degli uomini.

Si può infine aggiungere che il soggetto principale di tutto l'impegno indicato non può essere che la famiglia. ciò trova giustificazione anzitutto negli stessi motivi che sorreggono affermazioni di portata generale circa il ruolo centrale della famiglia per la missione evangelizzatrice della Chiesa e per l'avvenire dell'umanità (cfr. FC 65), Ma si aggiungono anche motivi specifici in rapporto al problema dell'eutanasia e degli impegni richiesti dalla comunità cristiana per la sua soluzione. Infatti la fascia più consistente di persone esposte al rischio di divenire vittime dell'eutanasia è costituita dagli anziani, specialmente invalidi e non più autosufficienti. Un atteggiamento diverso, di accoglienza e di amore, nei loro confronti ha nella famiglia il terreno privilegiato per attecchire e diffondersi (cfr. FC 27).

Gli atteggiamenti contrari a quelli sopra accennati circa la vita, la sofferenza e la morte, che predispongono il terreno all'eutanasia, possono ordinariamente essere assunti e convintamente portati avanti solo sulla base di un'educazione familiare appropriata.

Si può dunque concludere che passa principalmente attraverso la famiglia una ripresa efficace dell'annuncio cristiano sul valore della vita, di ogni vita umana, anche di quella gravemente handicappata, fiaccata dall'età, o straziata dalla sofferenza.


6. Mi compiaccio con l'Università Cattolica del Sacro Cuore per aver dedicato queste giornate di studio a un argomento così stimolante e insieme impegnativo, che vi ha dato modo di approfondire le antinomie della presente società tanto contraddittoria, ma anche tanto desiderosa di autenticità e sensibile verso i problemi che travagliano l'uomo. Sono certo che voi, unendo alla sensibilità di intellettuali la volontà di verificare gli avvenimenti alla luce del Vangelo, avvertirete il dovere di essere in questa società come luce che brilla sul candelabro e come sale che dà sapore e preserva dalla corruzione (cfr. Mt 5,14).

Del resto, gli argomenti sviluppati durante il congresso testimoniano chiaramente di questa vostra ansia e di questa generosità.

Nutro fiducia che voi rivolgerete particolare attenzione ai punti che ho creduto utile toccare, sia pure fugacemente, e saprete trovare il modo di continuare ad interessarvi a questo argomento al fine di apportarvi il vostro contributo di chiarificazione. Accompagno i vostri sforzi con la mia preghiera, mentre a tutti di cuore impartisco la mia affettuosa benedizione apostolica.

Data: 1984-09-06 Data estesa: Giovedi 6 Settembre 1984




Alle comunità terapeutiche: Nessun cedimento davanti al male della droga

Cari signori!


1. Mi è sommamente gradito questo incontro con voi, alla conclusione dell'ottavo congresso mondiale delle comunità terapeutiche. Vi ringrazio della vostra visita e vi porgo il mio benvenuto, nel quale sono certo vorrete subito ravvisare la mia considerazione per la benemerita opera che le vostre istituzioni vanno svolgendo per la soluzione di un problema tanto complicato e pressante del nostro tempo.

Più volte, in questa residenza estiva, ho ricevuto schiere di giovani - ospiti, operatori e animatori - di comunità terapeutiche, ed ho intessuto con essi spontanei colloqui, dei quali porto nel cuore amabili ricordi.

Ora sono lieto di accogliere voi, distinti signori che, per la scelta di vocazione per lo più volontaria, siete protagonisti e testimoni dell'impegno di redenzione del drammatico fenomeno della droga, giunto purtroppo a espressioni acute della sua implacabile devastazione sia negli individui che nella società.


2. Il congresso mondiale, che avete appena celebrato, assume un notevole significato, adombrato già nel tema generale: "La comunità terapeutica che cambia in un mondo che cambia".

Dal programma dei lavori ho appreso che vi siete prefissi di approfondire numerosi aspetti della vasta e complessa problematica, spaziando dall'aspetto psicologico a quello giuridico, sanitario, educativo, religioso, dal campo personale a quello familiare, alle esigenze spirituali e morali, fissando l'attenzione sui vari risvolti operativi, atti a sempre meglio qualificare e vivificare l'azione delle comunità terapeutiche.

L'alto grado di professionalità, la lunga esperienza maturata e l'incessante vivacità dell'impulso animatore vi sono certamente valsi ad arricchire la base scientifica, alla quale tenere ancorati i vostri interventi diversificati.

Vi auguro di cuore che queste giornate romane segnino una tappa rilevante nella storia del vostro movimento. Auspico in particolare che sia coronata dal miglior successo la vostra volontà di adeguare i programmi all'evoluzione del fenomeno della droga contestualmente con le trasformazioni che caratterizzano la realtà, in cui quel fenomeno nidifica e si diffonde. Possiate veramente camminare, come desiderate, sul ritmo del tempo, al fine di assolvere corrispondentemente la vostra generosa missione.


3. Puntando e tenendo instancabilmente fisso l'obiettivo sul "valore uomo", le comunità terapeutiche, pur nella varietà delle loro fisionomie, hanno dimostrato di essere una formula buona. Si sono rivelate infatti un'esperienza vitale ricca di frutti tanto maggiori, se raffrontati con le sempre incombenti e gravi difficoltà.

Per affrontare la droga non servono né lo sterile allarmismo né l'affrettato semplicismo. Vale invece lo sforzo di conoscere l'individuo e comprenderne il mondo interiore; portarlo alla scoperta o alla riscoperta della propria dignità di uomo; aiutarlo a far risuscitare e crescere, come soggetto attivo, quelle risorse personali, che la droga aveva sepolto, mediante una fiduciosa riattivazione dei meccanismi della volontà, orientata verso sicuri e nobili ideali.

Con questa formula, oltre a restituire molti soggetti alla pienezza della loro libertà, è stato accumulato un patrimonio prezioso. Si è potuta avere un'idea più aderente alla vera identità del drogato, alle molteplici cause ed effetti della sua dipendenza dalla droga. E' stata accertata l'infondatezza di numerosi pregiudizi, non ultimo dei quali l'equiparazione generalizzata col delinquente. Soprattutto è stata concretamente provata la possibilità di recupero e di redenzione dalla pesante schiavitù, ed è significativo che questo sia avvenuto con metodi che escludono rigorosamente qualsiasi concessione di droghe, legali o illegali, a carattere sostitutivo. Sono acquisizioni di grande rilievo e di validità incontestabile, dalle quali non sarebbe saggio prescindere.


4. Oggi il flagello della droga imperversa in forme crudeli e in dimensioni impressionanti, superiori a molte previsioni. Tragici episodi denotano che la sconvolgente epidemia conosce le più ampie ramificazioni, alimentata da un turpe mercato, che scavalca confini di nazioni e di continenti. In tal modo continua a crescere il pericolo per i giovani e gli adolescenti. Ma le implicazioni velenose del fiume sotterraneo e le sue connessioni con la delinquenza e la malavita sono tali e tante da costituire uno dei principali fattori della decadenza generale. Di fronte a un male così dilagante, sento il bisogno di manifestare il mio profondo dolore e la mia acuta preoccupazione.

Dolore: per la falcidia di vittime, talvolta solo in parte colpevoli, comunque degne di miglior sorte, per l'impoverimento che deriva alla compagine umana dalla perdita di valide e sane energie; per il fatale oscuramento di ideali che, viceversa, meriterebbero la più ardente carica di entusiasmo.

Preoccupazione: per la gioventù, la più vulnerabile e inevitabilmente la più esposta a tetre spirali; per la famiglia, la scuola, i gruppi, le associazioni, divenuti inconsapevole bersaglio di profittatori privi di qualsiasi senso di dignità e di onore. Preoccupazione per l'oggi e il domani della nostra civiltà, la quale, se non saranno tempestivamente approfonditi i necessari rimedi, correrà i rischi di penoso contagio che peserà a lungo sulle generazioni.


5. Nelle presenti circostanze è diventato quanto mai urgente ciò che il mio predecessore Paolo VI additava alcuni anni or sono: "E' indispensabile - egli diceva nel 1972 - mobilitare l'opinione pubblica mediante una chiara e precisa informazione sulla natura e sulle conseguenze vere e micidiali della droga, contro quei malintesi, che vanno circolando sulla sua presunta innocuità e sui suoi benefici influssi" ("Insegnamenti di Paolo VI", X [1972] 1286).

Tutti gli organismi della società sono obbligati a questa mobilitazione intelligente e lungimirante, nell'esercizio delle proprie responsabilità e nell'ambito delle proprie competenze, anche con iniziative specifiche. Lo sono in particolare i mass-media, in obbedienza alle finalità e alle possibilità formative dei loro strumenti.

In questo contesto desidero mettere in evidenza il grande spazio che la delicata materia offre ai mezzi cattolici della comunicazione sociale. Né posso non menzionare il ruolo che incombe alla scuola cattolica, come espressione della sua spiccata indole educativa. Si tratta di favorire - quando addirittura non di avviare ex novo - una nuova mentalità, che sia essenzialmente positiva, ispirata ai grandi valori della vita e dell'uomo. E' un obiettivo immenso, da raggiungere col tenace impegno di ogni giorno, con chiarezza di idee e decisione di propositi.


6. Che dire dell'oscuro fronte dell'offerta di droga? Dei grandi serbatoi e delle migliaia di rivoli attraverso cui scorre il traffico nefando? Delle colossali speculazioni e degli ignobili legami con la criminalità organizzata? Ogni serio proposito preventivo a largo raggio postula interventi atti a prosciugare le sorgenti e arrestare i percorsi di questa fiumana di morte.

La lotta alla droga è un grave dovere connesso con l'esercizio delle pubbliche responsabilità. Occorre, come prospettava Paolo VI, affrontare il problema alle radici con una vasta azione nei campi della prevenzione e della cura.

Nella sfera della concertazione tra nazioni e di organismi soprannazionali come nelle legislazioni e nelle normative a livello nazionale, occorrono severe disposizioni che scoraggino in partenza l'infame traffico, e contemporaneamente altre disposizioni destinate al recupero di chi è rimasto impigliato nella dolorosa schiavitù. La distinzione tra delinquente e vittima deve essere nitida, tale da impedire ogni grossolano equivoco.

A questo punto mi sia consentito di ripetere con rinnovata energia quanto affermai il 27 maggio scorso nell'incontro con la comunità terapeutica San Crispino di Viterbo: "La droga non si vince con la droga". La droga è un male, e al male non si addicono cedimenti. Le legalizzazioni anche parziali, oltre ad essere quanto meno discutibili in rapporto all'indole della legge, non sortiscono gli effetti che si erano prefisse. Un'esperienza ormai comune ne offre la conferma.

Prevenzione, repressione, riabilitazione: ecco i punti focali di un programma che, concepito e attuato nella luce della dignità dell'uomo, sorretto da correttezza di relazioni tra i popoli, riscuote la fiducia e l'appoggio della Chiesa.


7. Ho parlato di una mentalità nuova, essenzialmente positiva. E' ciò che deve stare intensamente a cuore a tutte le componenti del tessuto ecclesiale e a tutte le persone di buona volontà, veramente preoccupate e sensibili ai valori squisitamente spirituali. Coltivare tali valori è il segreto per togliere terreno alla gramigna della droga.

Come dicevo in un'omelia ai membri del Centro italiano di solidarietà: "L'uomo ha un bisogno estremo di sapere se merita nascere, vivere, lottare, soffrire e morire, se ha valore impegnarsi per qualche ideale superiore agli interessi materiali e contingenti, se, in una parola, c'è un "perché" che giustifichi la sua esistenza terrena" ("", II,2 [1979] 107).

Gli ideali puramente umani e terreni quali l'amore, la famiglia, la società, la patria, la scienza, l'arte, eccetera, pur avendo una fondamentale importanza nella formazione dell'uomo, non sempre, per vari motivi contingenti, riescono a dare un significato completo e definitivo all'esistenza. E' necessaria la luce della trascendenza e della rivelazione cristiana. L'insegnamento della Chiesa, ancorato alla parola indefettibile di Cristo, dà una risposta illuminante e sicura agli interrogativi sul senso della vita, insegnando a costruirla sulla roccia della certezza dottrinale e sulla forza morale che proviene dalla preghiera e dai sacramenti. La serena convinzione dell'immortalità dell'anima, della futura risurrezione dei corpi e della responsabilità eterna dei propri atti è il metodo più sicuro anche per prevenire il male terribile della droga, per curare e riabilitare le sue povere vittime, per fortificare nella perseveranza e nella fermezza sulle vie del bene.

Accogliete, cari signori, queste riflessioni che vi potranno essere di aiuto nella vostra nobile fatica, con la mia paterna e incoraggiante benedizione apostolica.

Data: 1984-09-07 Data estesa: Venerdi 7 Settembre 1984




Alla Commissione dello stato civile - Conservate le situazioni della persona nei registri parrocchiali - Venerdi 7 Settembre 1984


Signor presidente della Commissione internazionale dello stato civile, signore e signori delegati dei vostri rispettivi Paesi.


1. Vi ringrazio tutti per la cortese visita. Al di là della mia persona, io la considero come un segno di stima e di riconoscenza verso la Chiesa che ha sempre manifestato un concreto interesse per tutta la vita dell'uomo e perché la sua storia, scritta secondo i mezzi e lo stile delle diverse epoche, illumina le generazioni che si succedono.

Infatti, sono i principali avvenimenti della vita terrena dell'uomo, come la nascita, il matrimonio, la cittadinanza, la residenza, la morte, che costituiscono il campo dei vostri studi. I vostri lavori non sono soltanto una ricerca teorica e comparativa; essi si sforzano di raggiungere risultati di grandissima importanza pratica, come lo scambio di informazioni tra i diversi Paesi, il miglioramento dei servizi concernenti la verifica dei fatti e la documentazione che vi si riferisce, il perfezionamento delle norme che reggono tali servizi e l'unificazione di queste leggi grazie a convenzioni internazionali multilaterali.

Il vostro lavoro ha dunque come oggetto un ambito molto utile al governo degli uomini, perché in definitiva mira a preparare e regolare sempre meglio gli strumenti essenzialmente tecnici e probatori indispensabili all'ordinata regolamentazione dei diritti della persona umana. Si tratta di un lavoro veramente meritevole nei confronti dell'umanità, perché cerca di fare in modo che ogni Stato tragga profitto dai progressi tecnici compiuti dagli altri Stati, come anche dalla disciplina giuridica degli altri Paesi) senza dimenticare che la vostra opera vuole rendere utilizzabili e valide le informazioni fornite da ogni Stato per gli avvenimenti che si svolgono sul suo territorio.


2. Direi anche che il vostro lavoro è tanto più meritevole dal momento che oltrepassa l'ambito di un solo territorio, dove delle riforme legislative possono essere realizzate con una certa facilità e dove i progressi tecnici possono essere facilmente introdotti nelle infrastrutture in vista della verifica e della documentazione dei fatti riguardanti la persona. Voi operate nell'ambito internazionale, dove tali risultati non possono essere ottenuti che lentamente e con difficoltà a causa della differenza di mentalità e della diversità di situazioni storiche, politiche e etniche: questo esige un minuzioso lavoro di approccio, e gli effetti benefici che ne derivano oltrepassano l'ambito ristretto in cui si sviluppa la vostra attività.


3. La Chiesa ha particolari ragioni per auspicare che la vostra azione porti tutti i frutti sperati. Innanzitutto, perché alcuni fatti che il vostro lavoro ha come scopo di conoscere sono anche molto importanti per la vita soprannaturale dell'uomo: la nascita che mette l'uomo in contatto con i suoi simili e la società umana, ma anche con gli altri figli di Dio; la morte che fa apparire ogni uomo davanti al suo Creatore per rendergli conto del modo in cui ha utilizzato i doni sovrannaturali concessigli durante la sua vita; il matrimonio, fonte, davanti a Dio e agli uomini, di un'alleanza che comporta un insieme di diritti e di doveri umani e spirituali.


4. Inoltre, proprio in ragione dei vantaggi che la Chiesa poteva trarre, per il suo governo e per tutta la sua attività pastorale, da un'informazione regolare su questi fatti e su altri ancora che concernono la vita umana, essa ha inaugurato e sviluppato nei secoli una vasta attività di documentazione e di controllo, in tempi in cui gli Stati non avevano ancora servizi in questo campo.

Tutti conoscono i libri parrocchiali e i registri, introdotti da leggi particolari - talvolta volute dalle autorità civili - e da costumi ecclesiastici, già prima che il Concilio di Trento, con un decreto dell'11 novembre 1563 (sess. XXIV), non rese obbligatori, attraverso una legge generale, il registro dei battesimi e quello dei matrimoni. Questi registri, insieme ad altri istituiti in seguito (per le confermazioni, i decessi, le ordinazioni, "lo stato delle anime") furono, fino alla fine del XVII secolo, quasi i soli libri corrispondenti ai moderni registri di stato civile; essi hanno continuato ad esistere ancora in molti Paesi per una gran parte del XIX secolo (in certi casi per un periodo ancora maggiore) spesso anche in Paesi molto sviluppati, con un'efficacia probatoria che si estendeva al foro civile.


5. Il Codice di diritto canonico del 1917, benché promulgato in un'epoca in cui, nella maggior parte dei Paesi, i registri di stato civile erano in uso, ha regolato con grande cura l'amministrazione dei registri ecclesiastici e il loro valore probatorio nel campo ecclesiastico. Il nuovo Codice, entrato in vigore il 27 settembre 1983, ha fatto altrettanto. Questo Codice recente, oltre ai registri diocesani, prevede i registri parrocchiali dei battesimi, dei matrimoni, dei decessi ed eventualmente delle confermazioni. Stabilisce anche che sui registri dei battesimi siano segnate le confermazioni, i matrimoni (e l'eventuale dichiarazione di nullità di questi ultimi e il loro scioglimento), le adozioni, le professioni religiose, i cambiamenti di rito. Il Codice stabilisce regole a proposito della conservazione dei registri e del controllo della loro regolare compilazione; disciplina il loro valore probatorio nel foro ecclesiastico e il rilascio di copie o il rilascio di una copia degli atti.

A causa dell'importanza dei registri ecclesiastici dei secoli passati per la documentazione storica, e anche quando si tratta di periodi più recenti ma relativi a persone ora scomparse, una norma del Codice insiste sull'obbligo di conservare questi libri che hanno ormai soltanto un valore storico, rinviando al diritto particolare per la modalità concreta di questa conservazione.

Al termine di questo incontro, sono lieto di rinnovare gli incoraggiamenti della Chiesa alla commissione internazionale di stato civile e di implorare sul suo presidente e i suoi membri, sulle vostre famiglie e i vostri rispettivi Paesi, le benedizioni del Signore.

Data: 1984-09-07





Ad un gruppo di non vedenti - Castel Gandolfo (Roma)

Titolo: Ognuno è chiamato a rendere testimonianza alla dignità umana

Testo:

Miei cari amici.

Dio sia lodato per questo incontro! Lo avete desiderato molto vivamente, voi che siete più sensibili di altri ad una presenza sentita come vicina, quasi palpabile. Da parte mia, sforzandomi di seguire l'esempio del Signore Gesù, accolgo il più possibile coloro che - all'interno della Chiesa o della società in generale - hanno responsabilità cariche di conseguenze, ma anche le folle delle udienze del mercoledi. E desidero molto manifestare una particolare attenzione ai miei fratelli e alle mie sorelle che portano il peso di infermità, qualunque esse siano. Siate i benvenuti in questa casa familiare. Nella fede, voi siete i miei figli prediletti.

Anche se voi avete progressivamente accettato i vostri limiti visivi, sono certo che spesso pensate a tanti uomini, donne e bambini toccati dalla sofferenza in tutto il mondo. Il male nel mondo ha anche condotto alcune persone malate o handicappate a dubitare di Dio. Questo atteggiamento è comprensibile, ma ha bisogno di essere chiarito. Le cause delle miserie umane sono molteplici e complesse. L'uomo e la società vi hanno una loro parte. Il male è un mistero che non si riduce a un problema. E' qualcosa di insondabile. E il nostro Dio è sempre Padre, un Padre che non si carica di sofferenza. Egli se ne fa carico poiché ha inviato suo Figlio nel mondo per comunicarci il segreto della trasfigurazione e della santificazione della sofferenza.

Cari amici, provo una gioia molto profonda nel vedervi così vicini a me, e sapendo che ciascuno di voi ha già compiuto una parte dell'accettazione dei suoi limiti a livello degli occhi, cioè dell'offerta cristiana della sua situazione.

Inoltre, sono felice di sapere che voi beneficiate di istituti specializzati, di associazioni di amicizia tra handicappati della vista. Questi diversi organismi vi hanno permesso di accedere ad un autentico livello di valore umano e a inserimenti molto riusciti nell'esistenza. E mi felicito molto calorosamente con tutti coloro che si dedicano disinteressatamente alla promozione delle persone totalmente o parzialmente limitate nell'uso della vista.

Infine, voglio incoraggiarvi a portare al mondo contemporaneo - aiutandovi reciprocamente il più possibile - la preziosa testimonianza di un'esistenza segnata dalla prova certamente e, ciononostante, piena di serenità e di interiorità spirituale, di gioia e di amicizia, di devozione professionale corrispondente alle vostre possibilità individuali, di servizio alla Chiesa di Cristo. Ogni essere umano, infatti, è chiamato a rendere testimonianza alla dignità sacra della persona e, in definitiva, a Cristo redentore, di ogni miseria umana per chiunque gli apra largamente il suo spirito e il suo cuore.

Cari amici, domando al Signore, per ciascuno di voi, la grazia di ripartire da questo pellegrinaggio romano con una maggiore fiducia nelle vostre possibilità, con una rinnovata gioia di vivere, con un approfondimento della vostra fame e sete di Dio. Vi benedico molto affettuosamente nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Data: 1984-09-08 Data estesa: Sabato 8 Settembre 1984





Durante il volo - su Gaspé (Canada)

Titolo: Il Canada continui a crescere alla luce della croce

Testo:

Salute, croce di Gesù, segno della nostra speranza. Salute, croce di Gaspé.

Qui, 450 anni fa, Jacques Cartier ha piantato la croce. Alla presenza dei primi abitanti di questa terra, egli si inginocchio con i suoi uomini per venerare il simbolo della nostra salvezza. Qui, Jacques Cartier ha iniziato una pagina nuova della storia del mondo e della Chiesa. Croce di Gaspé guida i nostri passi verso il Signore. In questo giorno rendo un commosso omaggio all'intrepida fede degli uomini e delle donne che hanno accettato, al seguito di Jacques Cartier, di attraversare i mari per mettere le radici alla fede e alla Chiesa in Canada.

Salute a voi, canadesi, e a voi in particolare, gente di Gaspé la cui vita è così intimamente legata alla terra, alla foresta, e al mare. Salute a voi, Amerindi e Inuit che abitate qui, da tempi immemorabili. Possiate vivere sempre nel pieno riconoscimento della vostra dignità e dei vostri diritti.

Richiamo alla mente tutti i grandi pionieri che hanno contribuito alla costruzione di questo vasto, prospero e pacifico Paese. Preghiamo Dio perché esso continui a crescere alla luce della croce, che è ancora per i suoi abitanti un "albero di vita" (Ap 2,7). A tutti voi impartisco la mia benedizione.

Data: 1984-09-09 Data estesa: Domenica 9 Settembre 1984





All'arrivo all'aeroporto - Québec (Canada)

Titolo: "Vengo a cercare con voi la strada per crescere insieme"

Testo:

Signora governatrice generale del Canada, Signor presidente della Conferenza dei vescovi cattolici del Canada e signor arcivescovo di Québec, e voi cari fratelli nell'episcopato, Signor luogotenente governatore del Québec, Signor primo ministro del Canada, Signor primo ministro del Québec, Signor presidente della comunità urbana di Québec, Signor sindaco della città di Sainte-Foy, a voi tutti, dignitari e responsabili della società civile e dei gruppi religiosi di questo Paese.

"Grazie a voi e pace da Dio Padre nostro e dal signore Gesù Cristo" (1Co 1,3).

Prima di rivolgere il mio messaggio a tutti coloro che voi rappresentate, tengo ad esprimere la mia più viva gratitudine a sua eccellenza la molto onorevole Jeanne Sauvé. Signora, non posso riprendere qui i diversi punti del vostro discorso. Noi avremo un altro incontro ad Ottawa. Ma tengo fin d'ora a rendervi noto che sono profondamente toccato dalle parole da voi pronunciate. La delicatezza e l'elevatezza del vostro discorso, l'esatta percezione che esprimete riguardo al significato della mia missione apostolica nel mondo, la profonda intuizione del mio progetto pastorale in Canada, l'evocazione così avvincente del popolo canadese, le vostre parole esigenti e calorose riguardanti il destino di questo caro Paese, la testimonianza personale che voi rendete nel quadro della vostra altissima funzione, costituiscono per me il miglior messaggio di benvenuto e un forte incoraggiamento a intraprendere con fiducia le diverse tappe del mio pellegrinaggio nella vostra patria. Vi ringrazio vivamente.


GPII 1984 Insegnamenti - Al 54° corso della Cattolica: Una scelta culturale può opporsi pacificamente all'eutanasia