GPII 1984 Insegnamenti - Al Pontificio collegio Nepomuceno - Roma

Al Pontificio collegio Nepomuceno - Roma

Titolo: Nel centenario della fondazione del Collegio boemo

Testo:


1. Mi avete invitato alla celebrazione del centenario del Collegio boemo a Roma dal quale è derivato l'attuale Pontificio collegio Nepomuceno. Ho accolto il vostro invito con gioia, perché il giubileo ricorda i vincoli che legano la nazione ceca con la Cattedra di san Pietro. Questo legame esiste ormai dai tempi dei santi Cirillo e Metodio le cui statue si ergono nell'atrio di questo edificio.

Essi condussero a Roma i loro primi discepoli per farli ordinare in questa città diaconi e sacerdoti.

Quanti pellegrini passarono dopo quei giorni sulle strade che uniscono la Boemia e la Moravia con la Città eterna, quanti fedeli devoti vennero, specie durante gli Anni Santi, per implorare presso le tombe degli apostoli il perdono dei loro peccati e la forza e la perseveranza nel bene. Ma a Roma venivano anche i vostri vescovi per cercare presso il successore di Pietro appoggio e aiuto, quando i loro sforzi di mantenere pura la fede e genuino l'ideale cristiano non erano compresi dai loro contemporanei. Il primo fra loro fu sant'Adalberto il quale, sulla via del ritorno, condusse con sé a Praga i primi Benedettini. Seguendo le sue orme arrivarono, poi, pellegrini a Roma, il vescovo Andrea di Praga e l'arcivescovo Giovanni di Jenstejn, i quali vi morirono. così anche il recente successore di sant'Adalberto, il cardinale Giuseppe Beran, il quale rese la sua anima a Dio proprio in questa casa quindici anni fa.


2. I boemi non furono mai stranieri in questa città. Non c'è pertanto da meravigliarsi che il mio predecessore Leone XIII, durante la solenne udienza per gli slavi venuti a ringraziarlo per l'enciclica "Grande Munus" sui santi Cirillo e Metodio, abbia espresso, il 5 luglio 1881, il desiderio che fosse fondato a Roma un collegio per i figli della provincia ecclesiastica boema.

Quest'intenzione, realizzata da quel grande Pontefice cent'anni fa, si dimostro presto davvero provvidenziale per la vostra nazione. Nell'epoca in cui nei vostri seminari veniva insegnata la teologia nello spirito dell'illuminismo e in cui il nascente nazionalismo ceco prendeva sfumature sempre più antiecclesiali e antipapali, uscirono dal Collegio boemo sacerdoti ben formati culturalmente e spiritualmente, devoti alla Santa Sede, i quali avevano il senso profondo dell'universalità della Chiesa come l'avevano conosciuta a Roma durante i propri studi. Tra di loro era poi possibile scegliere anche i pastori per le diocesi boeme, pastori i quali - a differenza dei loro predecessori i quali spesso non parlavano la lingua ceca - avevano la mentalità del popolo e capivano i suoi bisogni.

Basta nominare il vescovo di Ceské Budejovice, Simon Barta, di Litomerice, Anton Alois Weber, e di Hradec, Kralové Moric Picha, basta ricordare gli arcivescovi di Praga cardinal Karel Kaspar e il già menzionato cardinale Josef Beran, il quale, insieme a tutta una serie di suoi compagni di studi al Collegio boemo, ha dimostrato la sua fedeltà alla propria nazione con la sofferenza nelle prigioni e nei campi di concentramento. Si possono pertanto definire veramente profetiche le parole dette da Leone XIII ai primi alunni del Collegio boemo: "L'apertura del Collegio boemo è un grande beneficio elargito da Dio a ognuno di voi, cari alunni, primizie di questo istituto novello, ma anche un beneficio con cui Iddio benedice la Boemia chiamandola e legandola nuovamente alla Sede romana" ("Casopis Katolickèho duchovenstva", XXXI, Praha, 1890, 205-206).


3. Oggi stanno di fronte a me gli alunni non più del Collegio boemo, bensi del Pontificio collegio Nepomuceno, fondato nel 1929 in questa nuova sede per i candidati al sacerdozio di tutte le diocesi della Cecoslovacchia, di Boemia, Moravia, Slesia e Slovacchia. Credo tuttavia che anche a voi posso ripetere le parole dette cento anni fa dal mio predecessore Leone XIII ai primi alunni di quel collegio appena fondato: "Ora è vostro compito, cari giovani, di accumulare qui, nella città dei martiri e presso la cattedrale della verità, presso la Sede di Pietro, quanto più possibile santità e scienza per poter poi essere utili alla vostra patria. Siete pochi, ma spesso da un solo sacerdote dipende la salvezza di molti, anzi di un'intera diocesi" (ivi, 206).


4. ciò vale anche per voi, cari sacerdoti boemi presenti qui con il vescovo monsignor Jaroslav Skarvada, per prendere parte alla gioia di questi alunni. Molti di voi hanno compiuto gli studi in questo istituto, altri ricordano con nostalgia il seminario in patria, il più delle volte abolito, che fu la culla del loro sacerdozio. So che il vostro lavoro non è facile. Vivete lontani dalla vostra terra, dispersi in diversi Paesi e continenti, e servite, nella maggioranza dei casi, i vostri connazionali sradicati dal loro ambiente. ciò richiede da voi una grande pazienza, spirito di sacrificio, perseveranza. In questa situazione avete un particolare bisogno di coltivare una profonda vita spirituale per giungere ad una "umile prontezza ad accettare i doni dello Spirito Santo per elargire agli altri i frutti dell'amore e della pace e donare loro quella certezza della fede dalla quale derivano la profonda comprensione del senso dell'esistenza umana e la capacità di introdurre nella vita l'ordine morale" (cfr. Lettera di Giovanni Paolo II ai sacerdoti in occasione del Giovedi Santo 1979, n. 4).

Ci sono cose che si possono dire soltanto con la lingua materna, soltanto parole apprese da bambini riescono in certi casi a far vibrare il cuore dell'uomo. Non a caso gli evangelisti, i quali scrivono i loro libri in greco, presentano la morte di Gesù sulla croce citando la sua ultima preghiera nella lingua che egli aveva appreso da sua Madre, la Vergine Maria: "Eli, Eli, lemà sabactàni!" (Mt 27,46). Voi avete il compito di introdurre in una comunità ecclesiale straniera i vostri connazionali, i quali forse facendo fatica ad assuefarsi ad uno stile diverso di vita religiosa, senza il vostro aiuto troverebbero difficoltà ad inserirsi nel nuovo ambiente ecclesiale. Il vostro apostolato è perciò importante e spesso insostituibile. Il fatto stesso che ho nominato un vescovo per assistere l'emigrazione ceca dimostra chiaramente come apprezzo e incoraggio il vostro lavoro.


5. Avete voluto unire la celebrazione del vostro giubileo con la festa di san Venceslao, vostro patrono principale e - come lo chiamate - erede della terra boema. I vostri antenati ricorrevano a lui durante un intero millennio con la preghiera di non lasciare perire né loro né i loro posteri. San Venceslao ha esaudito queste preghiere. Quante tempeste si sono scatenate durante il corso della storia sulla vostra patria. Quante volte fu minacciata la stessa esistenza della vostra nazione. Ma essa vive ancora e mantiene viva anche la fede cristiana la quale anzi, a causa delle difficoltà, risorge con maggiore vigore.

E' senza dubbio triste che la maggioranza delle diocesi nella vostra patria sia priva di pastore. E' triste che non vi siano più monasteri e che il numero dei candidati al sacerdozio sia artatamente limitato. E' triste che proprio la Moravia, terra in cui si trova la tomba di san Metodio, abbia perduto i suoi seminari di Olomouc e di Brno dai quali uscivano tanti sacerdoti zelanti. Anche questo collegio non ha avuto e non ha un'esistenza facile; l'isolamento dalla patria non gli giova. Ma con l'aiuto di Dio esso continua ad esistere come un simbolo, come erede dell'antico Collegio boemo e della tradizione formatasi durante gli undici lustri dell'esistenza del Pontificio collegio nepomuceno.


6. Dalla tradizione cirillo-metodiana di cui vivete, fa parte anche un'ardente devozione a Maria. Quanti santuari mariani ornano la vostra patria, quante folle di pellegrini li visitano ogni anno. "Maria era cara ai boemi, i boemi erano cari a Maria". Possano queste parole, risuonate nella storia, mantenere sempre la loro vitalità. Possa lei, Madre della Chiesa, essere Madre di ognuno di voi. Possa aiutarvi a conservare l'eredità dei vostri padri, la vostra identità culturale, per essere sempre la nazione di san Venceslao e santa Ludmilla, la nazione dei santi Cirillo e Metodio, che ha alle radici della sua cultura il Vangelo da essi tradotto.

Questo è il compito per il quale, cari alunni, vi preparate. Compito per cui vale la pena di vivere e di sacrificarsi. Compito che non dovete mai tradire.

"Vi ho costituiti" - ha detto Gesù - "perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Jn 15,16). Possa questo frutto della verità e dell'amore cristiano essere mantenuto e tramandato da voi alle generazioni future. Alle generazioni di cui siete responsabili. Che san Venceslao non lasci perire né voi né i posteri.

Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1984-09-30 Data estesa: Domenica 30 Settembre 1984




Ai Passionisti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: E' la croce che "dà sapore" alla vita

Testo:

Fratelli carissimi!


1. Desidero esprimervi la mia viva gioia di potermi incontrare oggi con voi, giunti da ogni parte del mondo in occasione della recentissima beatificazione del vostro confratello, Isidoro De Loor. Tutti abbiamo esultato, ringraziando il Signore, che si è compiaciuto di mostrarci un nuovo modello di santità in colui che, per la vostra congregazione, è il primo fratello coadiutore a ricevere gli onori degli altari.

Il nostro incontro assume anche un particolare significato in considerazione del fatto - molto importante - che proprio quest'anno è avvenuta l'approvazione formale delle vostre nuove costituzioni, che intendono indicare la maniera di attuare la Regola di san Paolo della Croce nella presente situazione storica e secondo le direttive del recente Concilio e del nuovo Codice di diritto canonico.

Il mio affettuoso saluto vuole raggiungere anche tutti i membri della vostra benemerita ed illustre congregazione, con particolare riguardo a coloro che, nel corpo e nello spirito, stanno maggiormente provando il peso della croce.

A loro in special modo voglio dire tutto il mio incoraggiamento e la mia gratitudine e quella della Chiesa stessa per il contributo, misterioso ma reale, che essi danno allo sviluppo ed alla diffusione del regno di Dio ed alla salvezza del mondo.


2. Abbiamo ieri celebrato la figura del beato Isidoro, ma sento il bisogno di farlo ancora qui, sia pure con brevi parole. L'esempio che ci viene dal nuovo beato ha un carattere di tale universalità, da rivelarsi altamente utile non soltanto per i fratelli coadiutori della vostra o di altre famiglie religiose, ma anche per tutti i membri del popolo di Dio, di cui raccoglie in certo modo i valori essenziali: gli affetti familiari, l'amicizia, la vita sociale e comunitaria, il lavoro, lo svago, il rispetto per la natura, il culto del Signore.

In tutte queste dimensioni fondamentali della vita non solo cristiana ma anche umana, il beato Isidoro ha saputo portare la luce e la sapienza della croce, con le quali, senza atteggiamenti esibizionistici, ma con grande semplicità, equilibrio e naturalezza, da vero cristiano e religioso, tutto ha saputo trasfigurare, tutto ha saputo innalzare, a tutto ha saputo dare un valore redentivo in Cristo e con Cristo.

E che cos'altro, sostanzialmente, dovrebbe e deve compiere ciascuno di noi - qualunque sia la sua vocazione o condizione di vita - se non questo? L'universale esemplarità cristiana del beato Isidoro si riduce, in fondo, a questo accorgimento basilare, che riassume in certo modo tutto il messaggio della sapienza cristiana: fare della croce il "sale della terra", cioè che veramente "da sapore" a questa vita e ne orienta le vicende verso la meta definitiva del cielo.


3. Il mondo ha bisogno della vera sapienza.

Spesso esso la cerca dove non c'è e non la sa riconoscere dove invece essa si trova veramente.

E questo perché? Una causa può essere quella che sottintende san Paolo nella I Lettera ai Corinzi: perché la vera sapienza, che è quella della croce, si presenta a volte sotto l'aspetto della "stoltezza" o della "pazzia". Sennonché - come poi spiega l'apostolo - "la parola della croce è stoltezza per quelli che vanno in perdizione" (1Co 1,18) per coloro cioè che, accecati dall'orgoglio, si credono sapienti, mentre in realtà, agli occhi di Dio, non sono che stolti. La vera sapienza, allora - quella della croce - appare solo agli occhi umili e a quelli che cercano la verità rifiutandone le vane apparenze. Qui sta l'insegnamento coraggioso e lineare del beato Isidoro. La sua "sapienza" non era frutto di studi approfonditi o di ambiti titoli accademici, ma non per questo essa è stata meno risolutiva: era infatti dono dello Spirito Santo, a cui egli seppe prepararsi con un severo impegno ascetico in una perfetta osservanza delle regole e delle discipline della sua congregazione.

Il beato Isidoro è un fratello che ha saputo comprendere a fondo il valore e la fecondità della croce, attuando così in modo eccelso l'ideale della vostra congregazione. Egli seppe vedere nella croce la sorgente di ogni consolazione, l'ispirazione alle imprese più nobili della giustizia, della carità e della misericordia; seppe vivere il mistero della croce come la via maestra della salvezza e della santità.


4. Carissimi fratelli! Vedo oggi, insieme con voi, idealmente presenti, tutti gli oltre tremila Passionisti, sparsi nel mondo per predicare e vivere il messaggio dell'infinito amore di Dio, manifestatosi in modo particolare nella passione del suo Figlio unigenito. A voi e ad essi va la sincera gratitudine mia e della Chiesa, per il bene che la vostra congregazione ha compiuto in questi due secoli e mezzo di vita; per i doni di grazia e di santità, testimoniati da tanti suoi membri, e in modo speciale da san Paolo della Croce, vostro padre e vostra guida; da san Vincenzo Maria Strambi, vescovo, esempio luminoso per i pastori del popolo di Dio; dal beato Domenico della Madre di Dio, indefesso precursore e apostolo dell'ecumenismo nel secolo scorso; e oggi aggiungiamo, con gioia, dal beato Isidoro De Loor.

Nella visione di queste figure, che onorano il vostro Istituto, non posso terminare se non con un sincero augurio, che desumo da una lettera indirizzata dal vostro fondatore ai confratelli nel 1751: "Possa questa minima congregazione, opera della divina misericordia, svilupparsi in tutto il mondo, affinché... vi siano in ogni parte santi operai, i quali, come trombe sonore animate dallo Spirito Santo, risveglino le anime addormentate nel peccato mediante la santa predicazione delle pene santissime del Figlio di Dio, Cristo Gesù, affinché, compunte, spargano salutari lagrime di penitenza e con la continua divota meditazione delle medesime santissime pene s'accendano sempre più del santo amor di Dio, vivendo santamente secondo il proprio stato" (san Paolo della Croce, "Lettera IV", 229).

Affido questi voti al cuore materno della Vergine addolorata, Regina della vostra congregazione, e a lei raccomando tutti e singoli i cari Passionisti.

La mia benedizione apostolica vi accompagni ora e sempre.

Data: 1984-10-01 Data estesa: Lunedi 1 Ottobre 1984




Lettera al cardinale Basil Hume: I cristiani rendano insieme testimonianza davanti al mondo



Il Consiglio delle conferenze episcopali d'Europa avrà un terzo incontro ecumenico con il Consiglio delle Chiese europee, a Riva del Garda, dal 4 al 7 ottobre, e terrà una cerimonia conclusiva di preghiera ecumenica nella storica cattedrale di Trento. Desidero sottolineare quest'occasione e salutare lei, e tutti i partecipanti, nella grazia e nella pace che vengono da Dio, nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo (cfr. Ph 1,2), rendendo grazie per lo Spirito d'amore e di unità che vi raduna.

Il vostro incontro è molto significativo non soltanto per i cristiani d'Europa, ma per le comunità ecclesiali separate in tutto il mondo. Tante divisioni esistenti tra i cristiani ebbero origine in Europa e giunsero nelle altre parti del mondo agli albori della predicazione del Vangelo. perciò la responsabilità ecumenica dell'Europa si estende al di là dei suoi confini continentali ed è grave e urgente.

Vi incontrerete sul tema: "Confessare insieme la nostra fede: una sorgente di speranza". Insieme studierete, mediterete e proclamerete il nucleo della fede ricevuta dagli apostoli, che è espressa nel Credo niceno-costantinopolitano.

Vi ricordo ciò che vi scrissi in occasione del XVI centenario del Concilio di Costantinopoli (25 marzo 1981): "L'insegnamento del Concilio Costantinopolitano I sia tuttora l'espressione dell'unica fede comune della Chiesa e di tutto il cristianesimo. Confessando questa fede - come facciamo ogni volta che recitiamo il Credo - noi vogliamo mettere in rilievo ciò che ci unisce con tutti i nostri fratelli, nonostante le divisioni avvenute nei secoli".

Ugualmente rilevanti per il vostro incontro sono queste altre parole della stessa lettera: "Che cosa, infatti, può meglio affrettare il cammino verso questa unità, quanto il ricordo e, insieme, la vivificazione di ciò che per tanti secoli è stato il contenuto della fede professata in comune, anzi di ciò che non ha cessato di essere tale, anche dopo le dolorose divisioni che si sono verificate nel corso dei secoli?".

Gesù Cristo vuole che la sua Chiesa sia "un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (LG 4). La comunione che egli intende per tutti i suoi discepoli sgorga dall'unica fede e dall'unico Battesimo (cfr. Ep 4,4-6), anche se le ancor serie divisioni tra i cristiani la danneggiano. A causa di questa reale ma imperfetta comunione è possibile e necessario per i cristiani rendere insieme davanti al mondo una testimonianza comune.

Prego perché in questi giorni, mentre siete riuniti, voi avanziate verso una sempre maggiore comprensione di quel Credo che proclamerete solennemente a conclusione del vostro incontro. Una testimonianza comune infatti diviene maggiormente possibile quando dei cristiani crescono insieme nella professione dell'unica fede apostolica. La loro comunione in Cristo è la potenza che rende capaci i cristiani di dare insieme una testimonianza visibile. Il vostro incontro sarà davvero fruttuoso se tornerete nei vostri Paesi con una rinnovata convinzione che "in questa unione nella missione, di cui decide soprattutto Cristo stesso, tutti i cristiani debbono scoprire ciò che già li unisce, ancor prima che si realizzi la loro piena comunione" (RH 12).

Mentre vi trovate a Riva del Garda avete anche un'opportunità di aiutarvi reciprocamente a trovare vie nuove ed efficaci per rendere una testimonianza comune appropriata alle vostre situazioni, sempre spinti da un senso della speciale responsabilità che l'Europa ha nei confronti del resto del mondo.

Voi avete responsabilità spirituale per i cristiani di tanti Paesi dell'Europa che sono chiamati, insieme ai discepoli di Cristo, di tutto il mondo, a impegnarsi nella missione nel mondo. E' vostro compito aiutarli a capire che la testimonianza comune è parte della loro fedeltà alla missione e a trovare le vie giuste per proclamare insieme a tutti i popoli la buona novella del regno di Dio. E' importante che "ci sforziamo di fare insieme tutto ciò che è possibile fare insieme. E' facendo la verità che si viene verso la luce (cfr. Jn 3,21). E' grande l'urgenza di questa testimonianza comune ed efficace di tutti i cristiani" (Allocuzione al Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti svizzere, 14 giugno 1984).

Siate forti per il compito che vi sta di fronte, per la potenza di Gesù Cristo, il Signore della Chiesa, che è "il testimone fedele" (Ap 1,5). Che il suo Santo Spirito, che rende presente la verità del Vangelo (cfr. Jn 14,26), che stabilisce la comunione tra i credenti, che rinnova e ravviva la Chiesa, vi dia nuova energia nella proclamazione della divina parola di speranza nel mondo.

Rinnovi la vostra volontà di lavoro per l'unità della famiglia umana Dal Vaticano, 1 ottobre 1984

Data: 1984-10-01 Data estesa: Lunedi 1 Ottobre 1984




Alla Pontificia Accademia delle scienze - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'utilizzazione dello spazio dev'essere garantita a tutti

Testo:

Cari amici.


1. Sono molto grato alla Pontificia Accademia delle scienze e al suo presidente, professor Carlos Chagas, per avere organizzato questa interessante settimana di studio sul tema: "L'impatto dell'esplorazione dello spazio sul genere umano", che si sta tenendo alla Casina di Pio IV.

E' per me fonte di grande soddisfazione incontrare voi, membri della Pontificia Accademia e scienziati provenienti da tutto il mondo. Questa vostra assemblea mi dà l'opportunità di esprimere la mia ammirazione per gli eccezionali sviluppi che hanno avuto luogo nella tecnologia spaziale. Nello stesso tempo, mi dà la possibilità di esporre gli orientamenti di ordine morale, sociale e spirituale che attengono alla missione affidata al successore di Pietro da Cristo.


2. Sono trascorsi secoli da quanto il telescopio di Galileo penetro i cieli e diede all'umanità una nuova visione dell'universo. Nella sua breve ma fondamentale opera, intitolata "Sidereus Nuncius", pubblicata a Venezia nel 1610, egli parlo delle scoperte compiute per mezzo del suo telescopio, ma aggiunse, essendo sia uno scienziato che un credente, che aveva fatto queste scoperte "divina prius illuminante gratia", preceduto dall'illuminazione della divina grazia.

Anche altri grandi scienziati, come Keplero e Newton, esplorarono i cieli con questo spirito di credenti. Poeti e filosofi come Pascal contemplarono con timore il misterioso silenzio dello spazio eterno.


3. Oggi, il vostro sguardo è diretto ai cieli, non soltanto per studiare e contemplare le stelle create da Dio, come fecero i grandi personaggi ricordati poco fa, ma per parlare degli esperimenti spaziali, delle stazioni e dei satelliti spaziali costruiti dall'uomo. Sono con voi nel vostro lavoro, perché considero la presenza nello spazio dell'uomo e delle sue macchine con la stessa ammirazione che ebbe Paolo VI al tempo dell'impresa dell'Apollo 13, quando invito i partecipanti alla settimana di studio su "I nuclei delle galassie" a "rendere omaggio a coloro che, col loro studio, con la loro azione e autorità hanno ancora una volta mostrato al mondo gli illimitati poteri delle scienze e della tecnologia moderna.

Insieme a noi anche voi eleverete un ardente inno di gratitudine a Dio, il Creatore dell'universo e Padre dell'umanità, che anche in questi modi desidera essere cercato e trovato dall'uomo, adorato e amato dall'uomo".


4. Oggi, anni dopo questi primi avvenimenti, noi possiamo vedere l'immenso cammino percorso dall'intelligenza dell'uomo nella conoscenza dell'universo e gioiamo in questo a ragione della nostra fede, perché la perfezione dell'uomo è la gloria di Dio. Le ricerche della scienza sulla natura del nostro universo sono progredite e progrediranno ancora di più, con l'uso di sistemi altamente sofisticati come quelli perfezionati dall'ex membro della Pontificia accademia, il professor Giuseppe Colombo. Ci sono strumenti capaci di andare nello spazio e di evitare le perturbazioni connesse con la superficie terrestre e gli strati inferiori dell'atmosfera. Gli esperimenti spaziali, una nuova sfida dell'uomo alle distanze dello spazio e un simbolo del suo instancabile desiderio di conoscere, stanno avvicinandosi sempre più ai corpi celesti, per rivelarne i più profondi segreti.

Le stazioni spaziali permanenti saranno, a loro volta, dei centri di osservazione che renderanno possibile esperimenti mai tentati prima e lo studio di nuove tecniche. Tutti questi nuovi strumenti spaziali sono stati raggiunti grazie al grande progresso della ricerca scientifica fondamentale in matematica, fisica, chimica, e mediante lo sviluppo delle tecniche di telecomunicazione scoperte da un grande membro dell'Accademia, Guglielmo Marconi.


5. Queste diverse modalità di presenza dell'uomo nello spazio ci portano a farci una domanda: a chi appartiene lo spazio? Quando lo spazio era qualcosa che veniva solamente osservato e studiato dall'occhio umano, anche se con l'aiuto di potenti strumenti astronomici, questa domanda non era ancora stata posta.

Ma ora che lo spazio è visitato dall'uomo e dalle sue macchine, la domanda è ineludibile: a chi appartiene lo spazio? Non esito a rispondere che lo spazio appartiene all'umanità intera, che esso è qualcosa a vantaggio di tutti.

Così come la terra è per il vantaggio di tutti e la proprietà privata deve essere distribuita in modo tale che a tutti gli esseri umani sia data una porzione adeguata dei beni della terra, allo stesso modo l'occupazione dello spazio con satelliti o altri strumenti deve essere regolato da giusti accordi e patti internazionali che mettano in grado l'intera famiglia umana di goderlo e di usarlo. Proprio come i beni terreni non sono soltanto per uso privato ma devono essere impiegati per il bene del prossimo, così lo spazio non deve mai essere ad esclusivo beneficio di una nazione o di un gruppo sociale. I problemi dell'uso corretto dello spazio devono essere studiati dai giuristi e i governi devono darvi una corretta soluzione.

La presenza dell'uomo nello spazio con i suoi satelliti e altri strumenti implica anche altre questioni di natura culturale, morale e politica che vorrei proporre alla vostra attenzione.


6. Uno dei maggiori compiti che possono essere assolti dall'uso dei satelliti è l'eliminazione dell'analfabetismo. Circa un miliardo di persone è ancora analfabeta. I satelliti possono essere usati per una più ampia diffusione della cultura in tutti i Paesi del mondo, non soltanto in quelli dove l'analfabetismo è già stato eliminato ma anche in quelli dove molti non sono ancora capaci di leggere o scrivere, perché la cultura può essere diffusa soltanto con l'uso di immagini. Spero che il progresso scientifico e tecnologico che state ora discutendo coopererà alla diffusione di una cultura che promuoverà veramente lo sviluppo integrale dell'uomo.

Ma la trasmissione di cultura non deve identificarsi con l'imposizione delle culture dei Paesi a tecnologia avanzata a quelli in via di sviluppo. I popoli con antiche culture, anche se talvolta ancora in parte analfabeti ma dotati di una tradizione orale e simbolica capace di trasmettere e di preservare le loro culture, non devono essere vittime di un colonialismo culturale o ideologico che distrugge quelle tradizioni. I Paesi ricchi non devono tentare, mediante l'uso degli strumenti a loro disposizione e in particolare la moderna tecnologia spaziale, di imporre la loro cultura alle nazioni più povere.


7. I satelliti svolgeranno un ruolo benefico quando, invece di imporre la cultura dei Paesi ricchi, favoriscono il dialogo tra le culture e questo significa dialogo tra le nazioni, essenziale per la pace nel mondo. Le nazioni hanno frontiere culturali che sono radicate più profondamente di quelle geografiche e politiche: deve essere possibile attraversare queste ultime, perché ogni essere umano è un cittadino del mondo, un membro della famiglia umana. Queste barriere, pero, non devono essere mutate in modo violento. Allo stesso modo, le frontiere culturali non devono impedire un fecondo dialogo tra le culture, e neppure devono essere violate da forme di dittatura culturale e ideologica. La moderna tecnologia spaziale non dev'essere usata da alcuna forma di imperialismo culturale, a detrimento dell'autentica cultura degli esseri umani nelle legittime differenze che si sono sviluppate nella storia dei singoli popoli.


8. La moderna tecnologia spaziale, correttamente intesa, procura anche osservazioni utili per la coltivazione della terra, ben oltre a tutto ciò che può essere fatto da un sistema operante sulla superficie terrestre. Mediante l'uso di satelliti è possibile ottenere dati esatti riguardanti le condizioni di tratti di terra, il flusso delle acque e le condizioni atmosferiche. Questi dati possono essere usati al fine di migliorare l'agricoltura e di controllare lo stato dei terreni boschivi e delle foreste, di valutare le condizioni delle singole zone o di tutta la terra, rendendo così possibile redigere programmi particolari o globali per poi affrontare le situazioni concrete.

Questo è di fondamentale importanza nella lotta contro la fame, posto che le potenze economiche e politiche che posseggono questi speciali mezzi di osservazione della situazione mondiale aiutino i Paesi più poveri a redigere programmi di sviluppo economico e li aiutino concretamente a portare a termine questi programmi.


9. Con la vostra conoscenza e il vostro studio della moderna tecnologia spaziale, voi siete ben consapevoli di come sarebbe possibile elaborare adeguati programmi per aiutare il mondo a superare lo squilibrio delle pratiche agricole, l'avanzata dei deserti, i disastri ecologici causati dalla rapacità umana contro la terra, nelle acque e nell'atmosfera, con la sempre più allarmante distruzione della vita animale e vegetale, e con le gravi e mortali malattie che toccano la vita umana stessa.

L'ordine e la giustizia devono essere ristabiliti, l'armonia tra uomo e natura dev'essere ripristinata. Dobbiamo impegnarci per una tecnologia che libererà i poveri e allevierà la natura oppressa, che promuoverà progetti e accordi. La tecnologia spaziale può rendere un contributo altamente efficace a questa causa.


10. Signore e signori, la vera pace nasce dal cuore di coloro che sono aperti al dono di Dio, quel Dio che, alla venuta di Cristo, ha promesso la pace alle genti di buona volontà. Nelle vostre ricerche scientifiche e nelle vostre invenzioni vi invito a cercare il Dio di pace, il Dio invisibile che è la sorgente di tutto ciò che è visibile. Vi esorto a cercarlo ascoltando il silenzio dello spazio. Cielo e terra proclamano di essere soltanto creature e ci spingono ad elevarci nel cielo supremo della trascendenza, per aprire le menti e i cuori all'amore che fa muovere il sole e le altre stelle. così voi sarete creatori non soltanto di strumenti sempre più perfetti ma anche di quella civiltà che è desiderata da Dio e dagli uomini e donne di buona volontà: la civiltà della verità e dell'amore, così necessaria per garantire la pace tra le nazioni del mondo.

Data: 1984-10-02 Data estesa: Martedi 2 Ottobre 1984




Al congresso di anestesiologia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Eutanasia e aborto sono contro natura

Testo:


1. E' con viva gioia che ricevo la visita dei partecipanti al congresso della Società italiana di anestesiologia, che celebra quest'anno il 50° anniversario di vita e di attività. Nel ringraziare il professor Corrado Manni per le parole con cui ha interpretato i comuni sentimenti, saluto i membri del comitato direttivo della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva col loro presidente, il professor Gualtiero Bellucci, e i membri del comitato direttivo dell'Associazione anestesisti, rianimatori ospedalieri italiana, guidati dal presidente professor Girolamo Gagliardi.

Un particolare saluto vada anche a monsignor Fiorenzo Angelini, zelante animatore della pastorale nel mondo sanitario, e un saluto ancora a tutti i presenti.


2. Voi avete sollecitato questo incontro per ascoltare la parola del Papa e per riceverne incoraggiamento alla vostra professione; io non esito a chiamarla "diaconia" per l'uomo tanto essa è finalizzata alla sua vita e alla sua salute: e per questo mi è veramente gradito accogliervi.

Da quando il dolore, a causa del peccato, ha fatto irruzione nella natura umana, corrodendone l'integrità fisica e psichica, l'uomo ha cercato con ogni mezzo di combatterlo, di lenirlo e di eliminarlo. E' una reazione "naturale", spontanea, immediata. Ma con il progredire della scienza sono state affilate per così dire le armi, sono stati trovati farmaci e metodi sempre più perfetti. Ne è scaturita una nuova branca della medicina applicata, l'anestesiologia, la quale occupa oggi un posto primario nella terapia del dolore. In breve volgere di anni, da strumento straordinario ed eccezionale, essa s'è fatta provvidenziale componente dell'assistenza sanitaria favorendo, anche in coloro che sono soggetti a male irreversibile e letale, un decorso dell'infermità meno drammatico, e facilitando altresi quella valorizzazione della sofferenza, che è insieme fattore terapeutico, poiché agevola il confluire della reazione fisica e psichica dell'uomo all'attacco del male.

Le benemerenze dell'anestesiologia sono inoltre manifeste nel contributo da essa offerto alla possibilità di allargare le forme di intervento terapeutico che, grazie al suo apporto, conosce oggi, sia qualitativamente che quanto ad estensione, sempre nuove e persino straordinarie risorse.

Gli operatori del settore, sempre agendo con seria scienza e retta coscienza, sia credenti che non credenti, sono chiamati in maniera particolare a rendere nobilissimo servizio alla sacralità della vita, la cui difesa è insieme nome e vanto della scienza medica.


3. Anche da questi semplici accenni, illustri signori, appare con immediata evidenza quanto importante sia il ruolo che siete chiamati a svolgere nel settore sanitario e più specificamente negli ospedali, nelle cliniche e nelle case di cura. Spetta a voi, infatti, secondo le vostre competenze, preparare il malato a subire l'intervento chirurgico. La deontologia vi spinge a impiegare ogni diligenza e competenza perché l'intervento possa riuscire perfettamente. Ma voi ne sono certo - non vi limitate solo a questo.

Davanti a voi, anzi nelle vostre mani, avete una persona con la sua dignità e i suoi diritti, che porta scolpita nel suo essere l'immagine di Dio Creatore. Avete un fratello, che deve affrontare con serenità e fiducia un intervento a cui è sempre connesso - secondo la qualità e l'entità del male - un qualche rischio. ciò provoca un comprensibile stato d'ansia nel paziente e nei suoi familiari. Guardandolo appunto come fratello, vi sentite spinti a riservargli un trattamento "pienamente umano", degno cioè di una creatura di Dio, che si trova in una situazione particolare.

Non vi limitate perciò a prestare al malato quanto la medicina prescrive per quell'occasione, ma vi prodigate anche a rendergli meno pesante e più sicuro l'intervento, infondendogli coraggio e dimostrandogli affetto e totale solidarietà. Vi accertate che la "preparazione" sia perfetta, e poi, con dedizione e spirito fraterno, lo seguite momento per momento nel difficile e talvolta complicato iter operatorio, pronti a intervenire per ogni evenienza, perché la sicurezza della vita sia garantita al massimo. La vostra opera continuerà anche dopo l'intervento con l'aiutare il paziente a riprendere coscienza, a superare i traumi psicologici e a eliminare gli eventuali effetti negativi.

Per tutti questi motivi si può affermare con verità che la vostra scienza, relativamente giovane, ha largamente contribuito a rendere adulta e matura la medicina nelle sue applicazioni: essa infatti, intervenendo direttamente in ciò che il dolore ha di più aggressivo e sconvolgente, ricupera l'uomo a se stesso, rendendogli più umana l'esperienza del soffrire.


4. Potrebbe pero accadere anche a voi di trovarvi in situazioni di conflitto con la vostra coscienza. Da una parte le inderogabili esigenze dell'ordine morale, dall'altra una richiesta in evidente contrasto con quelle esigenze. La fattispecie si può concretizzare in diversi casi. Ne ricordo due soltanto: quello, oggi purtroppo frequente, in cui il vostro intervento è richiesto per sopprimere la vita già sbocciata nel grembo materno e quello in cui la vostra opera è richiesta per provocare direttamente la cosiddetta morte "dolce" dei malati incurabili.

Occorre ribadire con forza, di fronte a queste e a ogni altra violazione della vita o dell'integrità psico-fisica della persona innocente, che la legge di natura, prima ancora di quella evangelica, vieta simili comportamenti. La vita umana innocente è sacra: violare questo basilare principio di ogni civile convivenza significa sbalzare l'essere umano da quel piedistallo su cui la dignità di persona lo pone e ridurlo a fare, lui, da piedistallo ad altri suoi simili, dotati di un maggior potere politico, economico, sociale.

Non sia la vostra professione, nata per salvaguardare e promuovere la vita umana, a rendersi connivente di simili aberrazioni, contraddicendo alle sue finalità originarie e finendo per essere fautrice della cultura non della vita, ma della morte.


5. L'anestesiologia, come ho accennato, ha fatto grandi progressi. Nel diligente svolgimento del vostro lavoro anche voi siete chiamati a recare il vostro personale contributo all'avanzamento di questa branca della medicina, sia rinvenendo nuovi farmaci, sia scoprendo nuovi metodi. Non si può mai essere soddisfatti dei traguardi finora raggiunti nel lenire il dolore.

Rimangono infatti molte zone da esplorare nella ricerca della causa del dolore, e inoltre di fronte all'insorgere di malattie, che sembrano destinate a provocare atroci e indicibili sofferenze, si è in obbligo di intensificare gli studi, per rendere la terapia più efficace e le metodiche più sicure. Pare superfluo aggiungere a voi - fondamentalmente posti a salvaguardia della vita umana - che anche eventuali nuove metodiche ed eventuali nuovi farmaci dovranno sempre essere usati nel rispetto della dignità della persona umana e dei suoi inalienabili diritti. E' tanto più doveroso ribadire questo quanto più il fronte della cultura della morte intraprende tentativi per sollecitare consensi.

La Chiesa - come si sa - non è per la sopportazione ad ogni costo del dolore. Nel suo magistero - e io l'ho riaffermato nella lettera apostolica "Salvifici Doloris" (n. 17), ritiene lecita l'azione che tende a lenire o a eliminare il dolore fisico nel rispetto dell'ordine morale e della dignità della persona. Pur con l'affermazione di questo principio che ha le sue radici nella Bibbia, esorta i cristiani e tutti i credenti a sopportare la sofferenza in unione con Cristo, che si è reso, per la nostra salvezza, servo di Jahvè e uomo dei dolori. Nella sofferenza infatti - non sempre e non del tutto eliminabile - il credente trova la forza per purificarsi e per cooperare alla salvezza dei fratelli. La fede illumina di speranza il suo cammino verso la patria celeste e rafforza la certezza che anche questo corpo corruttibile sarà trasformato in corpo incorruttibile e glorioso dalla potenza del Cristo, che ha vinto la morte.

Nell'invocare sul vostro lavoro la sua continua assistenza, imparto di cuore a voi e ai vostri cari la mia benedizione, auspicando che i progressi della vostra scienza siano sempre espressione di servizio all'uomo e al suo superiore destino.

Data: 1984-10-04 Data estesa: Giovedi 4 Ottobre 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Al Pontificio collegio Nepomuceno - Roma