GPII 1984 Insegnamenti - Ai professori e alunni dell'università - Pavia

Ai professori e alunni dell'università - Pavia

Titolo: Scienza a fede aiutano l'uomo a liberarsi dalla schiavitù

Testo:


1. Sono molto grato al rettore magnifico di questa antica e illustre Università degli studi per le nobili parole di saluto, con le quali mi ha accolto. Oltre che a lui ricambio il mio deferente saluto al senato accademico, ai singoli professori delle celebrate facoltà, al personale non docente e a tutti gli studenti di questa comunità.

Fin dalle origini la vostra università è stata come un crocevia della cultura europea, poiché per il prestigio dei suoi maestri e per la stessa sua collocazione geografica ha accolto - ieri come oggi - numerosi giovani di diverse nazioni, gareggiando così con altre qualificate sedi della cultura non solo europea, ma internazionale.

Come certamente sapete, l'inserimento di questo incontro nel mio viaggio pastorale è dovuto al fatto che il giovane san Carlo studio qui dal novembre 1552 il diritto canonico e civile, conseguendo il dottorato "in utroque" nel dicembre


1559 e ricevendone le insegne da Francesco Alciati, poi cardinale. Il periodo degli studi pavesi apri l'animo del giovane facendogli, ad esempio, conoscere da vicino le difficoltà che provavano gli studenti meno agiati. Nacque così in lui l'idea di un collegio, che, da lui denominato, avrebbe avuto inizio nel 1563. La vita del giovane Carlo presso questa università ci è nota dalle lettere e dalla biografia di Carlo Bascapè dove troviamo questa frase significativa: egli "non condusse un genere di vita diverso da quello dei suoi coetanei, ma nello stesso tempo coltivo con ogni diligenza la pietà e l'onestà" (cfr. "Vita e opere di Carlo, arcivescovo di Milano, cardinale di S. Prassede", Milano 1965, p. 19). Le lettere al padre e al suo agente, poi, vertono su vari problemi, ma già fanno intravedere in lui un animo attento e sensibile, portato a capire le necessità degli altri per farvi fronte col proprio patrimonio. Il che, puntualmente, esemplarmente egli fece sulla cattedra di sant'Ambrogio, come pastore zelantissimo della Chiesa di Milano.


2. Riguardando la storia gloriosa della vostra università e, più in generale, considerando la funzione ch'è propria di ogni università, non si può non pensare al ruolo determinante che queste sedi hanno in ordine allo sviluppo dell'uomo e dei popoli. L'università è sede di incontro tra persone di diverse generazioni, che danno "naturalmente" vita a un confronto e a un dialogo, in cui ciascuno può e deve dare il proprio contributo. Diro anzi che essa è sede privilegiata di incontro, in quanto, oltre alle finalità istituzionali della ricerca scientifica e dell'attività didattica, deve contribuire alla crescita o maturazione del giovane, orientandone il futuro e l'inserimento nella società. Compito arduo è quello formativo, che non può essere ignorato o circoscritto a brevi momenti: esso parte dalla cattedra, si avvale della scienza come canale naturale di diffusione, si attua nello sviluppo morale del giovane.

Nel passato sorsero i collegi che aiutavano a creare il clima favorevole per detto incontro tra le diverse componenti, per affiancare la ricerca e lo studio, per tutelare il momento formativo. Oggi le strutture possono essere e sono diverse: ma il rapporto di mutua fiducia non dovrà mai mancare per una ricerca serena, tanto efficace sul piano scientifico, quanto proficua sul piano adiacente e pur superiore dell'educazione. In questo contesto, grande è la responsabilità di ogni docente, poiché egli è come il delegato della società familiare e civile non solo a studiare e a guidare chi studia in quanto studia, ma ad assisterlo altresi, nella sua crescita e nella sua dignità di uomo.

L'università - lo sapete bene - vuol dire anche libertà. Se essa fosse condizionata da fattori esterni oppure sottomessa a programmi che ledono i diritti umani, certamente sarebbe compromessa la libertà della ricerca e verrebbero meno le basi della serietà scientifica. Ma non queste solo! L'università ci parla di una libertà a livello più profondo, una libertà che affonda le radici nelle sue stesse origini. Per questo tocca sul vivo gli interessi della società stessa, influendo, per non poca parte, sul futuro mercé l'opera congiunta dei docenti e degli studenti. Pensate allo scambio dei risultati delle ricerche, al vaglio delle ipotesi di lavoro, ai tentativi di nuove sintesi: questo iter ordinario della scienza avrà, presto o tardi, un'incidenza sulla vita pratica. E' il futuro che passa tra generazioni diverse, nella viva speranza che esso sia migliore per tutti. Per questo, tutto il mondo - si può dire - attende l'apporto dell'università alla soluzione dei suoi problemi, che si presentano gravi e difficili e che toccano tutte le sfere dell'esistenza umana. La ricerca - a cui va sempre prestata la debita attenzione e il necessario sostegno - all'interno dell'università rimane l'unico punto di riferimento e di soluzione, non trovandosi facilmente surrogati altrove. Per questo servizio alla società in generale e alla crescita interiore dell'uomo, l'università deve ognor più potenziare il suo impegno.

Il mio vivo augurio, pertanto, è che essa sia fucina operosa di cultura e di ricerca, libera e agile nei suoi programmi, aperta ad ogni apporto culturale, perché dalla franca discussione dei progetti e delle idee derivino soluzioni che abbiano sempre l'uomo e la sua dignità come centro di interesse.


3. Da sempre l'università è stata lo specchio della società e luogo di confronto, alcune volte dialettico, ma sempre proficuo, tra culture di matrice diversa.

Questo dato è la ricchezza stessa dell'università, che vive di questi apporti, che cresce nel dialogo, che abitua allo spirito critico.

Né può essere disatteso questo aspetto fondamentale, oggi soprattutto che le nuove generazioni sono più esigenti e più critiche, chiedono il rispetto delle posizioni altrui e desiderano - talvolta con esuberanza giovanile - maggior coerenza e partecipazione. La comunità universitaria è tale, se detto confronto è quotidiano, se è opportunamente soddisfatta quella domanda di reale partecipazione che coinvolga tutti per il bene di tutti. In tal modo si attua una sorta di comunione che è didattica e scientifica, ma anche morale e umana, e si può offrire, nello stesso tempo, un modello alla società, che ha bisogno - non è un mistero - di rafforzarsi e amalgamarsi per una convivenza ordinata e pacifica.

Stimolando la competitività con altre istituzioni culturali, favorendo gli incontri scientifici, tenendo sempre di vista l'interesse primario per l'uomo, l'università promuoverà anche il mutuo rispetto, la stima reciproca, aiuterà i giovani a vivere nella società. Ecco il suo aspetto umano, come tramite di rapporti che si intrecciano, di scambi che contribuiscono alla ricerca e al prestigio dell'istituzione medesima, come fonte di una ricchezza di umanità, che è qualcosa di valore inestimabile.


4. Nella vostra università si arricchi, almeno in parte, la personalità del giovane Carlo Borromeo. Mentre studiava, egli poté conoscere i suoi coetanei con i loro problemi. Da questi studi ed esperienze il futuro arcivescovo di Milano trasse come conclusione il proposito di favorire la cultura dei giovani, aprendo dei collegi (oltre quello già ricordato di questa città, che visitero tra poco, quello dei Nobili, quello di Brera). La cultura veniva così partecipata a ceti bisognosi, portando nell'alveo dell'università categorie di persone che fino ad allora ne erano rimaste estranee. Non è, dunque, infondata l'affermazione che san Carlo è benemerito anche per questo: per avere aperto a tutti l'istituzione universitaria, al fine di non disperdere il contributo, che giovani "con qualità et doni che il Signore li ha dato" (così il vescovo di Piacenza, il beato Paolo Burali, si esprimeva col cardinale Borromeo, presentandogli un giovane per l'omonimo collegio) potevano portare al progresso della scienza.

Ma voi sapete bene che sempre la Chiesa ha guardato con interesse e amore agli studi e alle sedi universitarie. In esse vi è stato e tuttora avviene l'incontro tra scienza e fede, tra cultura ecclesiastica e laica, tra due modi diversi, ma non divergenti né inconciliabili, di considerare l'uomo, la sua dignità, la sua vita, la sua destinazione. La storia stessa delle università, come sorsero nel Medioevo e si svilupparono nell'età moderna, testimonia l'intreccio profondo tra la fede e la cultura, che anche oggi richiede una nuova, chiara e solida configurazione. In effetti, le due matrici si ispirano, pur con ottica diversa, allo studio dell'uomo, delle sue immense capacità, le quali, se giustamente incanalate, arricchiscono l'uomo stesso. Non c'è concorrenza tra la scienza e la fede nei riguardi dell'uomo; c'è piuttosto complementarietà, poiché la scienza da sola non riesce a soddisfare l'esigenza di assoluto, ch'è insopprimibile nel cuore dell'uomo.

Una scienza, non disgiunta né nemica della fede, aiuterà l'uomo ad uscire dal groviglio dei suoi problemi, a trovare soluzioni che lo liberino dalla schiavitù del peccato e dall'egoismo, e lo aprano alla speranza, che poggia su Dio, datore di ogni dono perfetto.

Questo incontro tra fede e cultura è, altresi, necessario, perché l'uomo sia sottratto all'ideologia del consumismo, che lo aliena, mortificando la sua creatività di pensiero e di azione. L'università è sede, dunque, anche di questo impegno attinente al futuro dell'uomo, che ha sempre bisogno di un'apertura spirituale, oltre la materia, che è "radicalmente" bisogno di Dio. Non può esserci un futuro che poggia sulla scienza estraniata dalla fede, poiché la scienza incontra la fede in vasti problemi che interessano l'uomo. Ogni progresso della scienza nei diversi campi dello scibile porta necessariamente al Creatore, e ogni apporto che nobiliti la vita dell'uomo rientra necessariamente, anche se di riflesso, in questa visione. E' un tema, questo, che l'università non può non approfondire, e io sono lieto di averlo almeno accennato per la valenza teorica e pratica che ad esso compete.


5. A voi, carissimi professori, che date il vostro contributo alla scienza, raccomando in particolare questo studio sul nostro futuro, che è anche il futuro dell'uomo. Nella vostra ricerca onesta, silenziosa e dotta, sappiate sempre vedere il rapporto profondo che lega l'uomo a Dio, e far emergere, altresi, ogni capacità che ha l'uomo di elevarsi e salire. Voi partecipate in prima persona alla sfida del futuro, contribuendo a costruirlo più umano e più sereno, sempre rispettoso della dignità della persona umana. E ricordate - è stato già il tema della mia prima enciclica - che Cristo è venuto per redimere l'uomo, per ridargli la speranza, per infondergli la vita nuova. Sappiate portare con fierezza il vostro impegno di studiosi e di cultori dell'uomo, che è immagine vivente di Dio.

Quanto a voi, giovani studenti e studentesse, sappiate corrispondere e collaborare a questo impegno dei vostri docenti, pensando che vana sarebbe la funzione dell'università, e addirittura alterato il suo originario e originale progetto, se mancasse la vostra personale risposta. Un mondo coordinato e compatto è quello in cui vivete: docenti e studenti; apprendimento e ricerca; sapere in generale e singole discipline; diritti e doveri; attesa di un onesto benessere ed esigenza dell'Assoluto. Già in questa rapida serie di facili enunciati copulativi è il senso della necessaria vostra collaborazione, e insieme il segreto della migliore vostra formazione per la vita.

Mi piace, pertanto, concludere il gradito incontro odierno, avviato - direi - nel ricordo e nel segno del grande riformatore san Carlo, rinnovando il saluto e impartendovi, in nome di Dio "scientiarum Dominus", la benedizione apostolica, quale augurio per tutti di fruttuoso lavoro.

Data: 1984-11-03 Data estesa: Sabato 3 Novembre 1984




Al Collegio Borromeo - Pavia

Titolo: San Carlo precursore di pastoralità vissuta

Testo:

Fratelli e sorelle.


1. Porgo il mio cordiale saluto a tutti e a ciascuno di voi, ringraziandovi per la vostra presenza in quest'aula del Collegio Borromeo, vanto della città ed espressione emblematica della grandezza della mente e del cuore del fondatore.

Ringrazio il rettore monsignor Angelo Comini per le deferenti parole con le quali ha espresso i comuni sentimenti, e rivolgo un particolare pensiero al senatore Mino Martinazzoli, ministro di Grazia e giustizia ed ex alunno della grande famiglia borromaica, al principe Gilberto Borromeo, patrono del collegio, e agli illustri rettori degli altri collegi universitari pavesi.

Saluto cordialmente la schiera degli alunni e quella più folta degli ex alunni, le loro famiglie, il circolo Fuci di cui ricorre il centenario di fondazione e quanti si sono associati all'odierna manifestazione.

Nel calendario del mio pellegrinaggio ai luoghi legati alla memoria di san Carlo Borromeo, nel quarto centenario della morte, era doverosa una visita a questo monumentale edificio, che il fondatore chiamava, con senso di affettuoso compiacimento, "il collegio mio di Pavia" (Lettera del 15 maggio 1566). In esso san Carlo vi ha profuso non solo i tesori della sua generosità, ma lo ha reso segno della sua illuminata intelligenza nel campo della cultura e strumento della sua infaticabile attività pastorale. Il fatto che l'opera abbia resistito all'erosione inesorabile del tempo, mentre tante istituzioni analoghe sono scomparse, ne pone in evidenza l'attualità dei fini.

Sono venuto qui appunto per sottolineare l'efficacia ispiratrice di questa istituzione, in un momento in cui più viva si fa sentire la necessità del rapporto fede-cultura.


2. Non si comprende nella sua portata l'istituzione del Collegio Borromeo senza pensare che il fondatore, come tutti i grandi realizzatori, aveva chiara la percezione della realtà della sua epoca, che storicamente segnava una svolta di civiltà: sotto il profilo religioso, fu un secolo di crolli e insieme di ricostruzione; sotto quello culturale, uno dei più ricchi e più splendidi nel cammino del progresso umano.

Con la scoperta dell'America erano cadute le antiche e millenarie barriere geografiche del vecchio mondo e si apriva un'èra nuova. Con i sommi geni del Rinascimento l'arte raggiungeva le vette in ogni campo dell'espressione, e l'umanesimo ridava fulgore alla lingua di Roma e di Grecia. Era nata la stampa a creare le premesse della cultura di massa. Nello stesso tempo il tessuto dell'unità cristiana subiva la lacerazione più vasta e profonda.

La Chiesa, pero, non rimase alla finestra a guardare. Con la realizzazione del Concilio di Trento compiva l'opera gigantesca di mettere a fuoco le fondamentali verità di fede, di ridarsi una disciplina interna e, con la collaborazione di un esercito fittissimo di grandi santi suscitati da Dio, d'impegnarsi nella rievangelizzazione del vecchio mondo e avviare l'evangelizzazione del nuovo.

San Carlo Borromeo, con la sua personale santità di vita e con la sua creatività pastorale, fu uno degli uomini di prima linea, all'altezza dei compiti.

L'idea e l'attuazione di un collegio universitario per giovani laici di ogni ceto fa parte di questo disegno di pastoralità concreta e anticipatrice.

La prima pietra della costruzione fu benedetta dal vescovo di Pavia nel


1564; il progetto dell'edificio, sorto in una località appartata, idonea a favorire il raccoglimento dello studio, fu affidato all'architetto Pellegrino Pellegrini, che gli diede un'impronta di spiccata originalità per la grandiosità della struttura e l'eleganza delle linee.


3. L'istituzione del collegio universitario pensata da san Carlo non rappresenta soltanto un frutto dello spirito del Rinascimento, un episodio del vasto movimento di rinnovamento cattolico, ma qualcosa di più, di molto di più: l'impegno primario dedicato alla formazione umana, spirituale e culturale dei giovani per la soluzione delle grandi crisi sociali, l'attenzione all'uomo come protagonista che forma le strutture e le condiziona alle sue esigenze di vita e di sviluppo.

Nell'ideare il "suo" collegio, san Carlo s'ispiro certo alla mentalità corrente del signorile mecenatismo, ma solo per raggiungere il superiore obiettivo della promozione umana; e questa fu da lui costantemente perseguita in varie direzioni: creazione dei seminari per la formazione del clero, e sviluppo della cultura superiore imbevuta di spirito religioso, come qui, per la preparazione dei quadri dirigenti laici cristiani della società emergente.

I capi non s'improvvisano, soprattutto in epoca di crisi. Trascurare il compito di preparare nei tempi lunghi e con severità d'impegno gli uomini che dovranno risolverla, significa abbandonare alla deriva il corso delle vicende storiche.

La validità dell'iniziativa di san Carlo è riconfermata dal fatto che nella stessa Pavia, rimasta sempre al centro dell'attenzione della Chiesa, la fondazione del Borromeo fu seguita a breve distanza dal collegio Ghislieri, voluto da san Pio V, e recentemente dal collegio Santa Caterina da Siena fondato da Paolo VI.

San Carlo volle che il suo collegio fosse aperto alle giovani speranze dell'avvenire e, per non abbandonarle al pericolo dell'interruzione degli studi a motivo di mancanza di mezzi, non manco di dotarlo con principesca larghezza di sufficienti sussidi finanziari assicurati da varie fonti, soprattutto ecclesiastiche, a cominciare dagli interventi dello zio Pio IV.


4. Parlando del collegio di Pavia, Giorgio Vasari scrisse che il cardinale Borromeo diede inizio a un "palazzo per la sapienza". Non si può trovare espressione più felice ad indicare la mente del santo costruttore che, impegnato a risolvere il problema del rapporto tra fede e cultura, si proponeva tra i suoi obiettivi di elevare la scienza al livello di sapienza. Quando l'autonomia della scienza si spinge al limite d'ignorare la fede, allora finisce col non servire più neppure l'uomo.

Abbinare il cammino della fede della gioventù universitaria col perfezionamento e la diffusione della cultura superiore, significava per il cardinale di Milano porre un argine a quei movimenti che, sotto l'apparente facciata di un rinnovamento evangelico, cadevano nel vecchio e ricorrente errore di alterare la vera essenza della Chiesa. San Carlo, come tutti i santi, voleva una riforma cattolica nella Chiesa, non un cambiamento della Chiesa cattolica.

Nel suo collegio si discutevano e approfondivano le materie che erano oggetto delle lezioni universitarie, per sviluppare il senso critico, affinare le doti di dialettica e di eloquenza, ma anche per crescere nella luce della verità della fede.

La formazione spirituale rappresenta uno dei punti chiave delle finalità del fondatore. Il binomio fede-cultura si sintetizza nella parola "Humilitas", che appare al centro dello stemma e diviene l'insegna del collegio. Una divisa araldica che è una virtù. "Gloriam praecedit humilitas. Humilitas alta petit". La virtù che diventa il fondamento della vera grandezza dell'uomo perché spinge a puntare in alto. Non c'è grandezza senza umiltà, e non c'è umiltà senza Dio.


5. Gesù insegna che la bontà dell'albero si conosce dalla qualità dei frutti. Ora, uno sguardo retrospettivo alla storia del Borromeo conferma che tali frutti sono stati eccellenti.

Il primo studente del collegio aveva anch'egli il cognome Borromeo, e si chiamava Federico, cugino di san Carlo, anche lui cardinale, reso popolare dalle pagine del Manzoni. Collaboratore e successore di san Carlo, fu come un secondo fondatore del collegio.

Nel quattro volte secolare elenco degli ex alunni si ritrovano i nomi illustri nel campo della cultura, della ricerca scientifica, dell'attività professionale e della vita pubblica, a servizio della Chiesa e della società.

C'è Carlo Forlanini, inventore del pneumatorace per la cura della tubercolosi. C'è il beato Contardo Ferrini, insigne studioso di diritto romano.

Tra i molti vescovi e principi della Chiesa, un alunno del Borromeo, il cardinale Ignazio Busca, è giunto alla carica di segretario di Stato.

Anche i collegi fratelli di Pavia hanno dato i loro frutti d'eccezione.

In questa lieta circostanza mi piace ricordare un ex alunno del Ghislieri, Teresio Olivelli, ucciso nel campo di sterminio di Hersbruck nel 1945, in una situazione simile a quella di san Massimiliano Kolbe.


6. Cari alunni ed ex alunni, avete davanti una gloriosa tradizione da seguire e da emulare. Vi auguro di essere degni di simili modelli.

Così come auguro a tutta la grande famiglia del Borromeo e degli altri collegi pavesi di camminare su questa strada, perché il mondo contemporaneo, che è a una svolta di civiltà come all'epoca di san Carlo, sappia fare della fede cristiana l'ispiratrice d'un cammino più umano e civile.

Data: 1984-11-03 Data estesa: Sabato 3 Novembre 1984




Omelia all'incontro di preghiera in Piazza Vittoria - Pavia

Titolo: L'amore rivelato da Cristo ha guidato la vita di san Carlo

Testo:


1. "...Abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" (1Jn 3,16).

Ci troviamo sull'itinerario di san Carlo Borromeo: in occasione del IV centenario della sua morte, visitiamo i luoghi che ebbero un significato-chiave per la sua vita. Tutta la vita di Carlo Borromeo fu una via alla santità. E la santità nasce dalla conoscenza dell'amore, per riempire di esso i pensieri, le parole e le opere, "Da questo abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" (1Jn 3,16).

Queste parole della prima Lettera di san Giovanni sono la voce di un testimone oculare. Le applichiamo oggi a san Carlo Borromeo. Si può dire che esse riassumono in modo lapidario il pellegrinaggio di 46 anni di questo vescovo e cardinale, che Cristo chiamo in un periodo difficile della storia della Chiesa, per farlo diventare un testimone autentico del Vangelo.

Carlo Borromeo ha conosciuto l'amore. Ha conosciuto quest'amore che si è rivelato nella storia dell'uomo mediante Cristo e in Cristo. In Gesù Cristo si è rivelato l'amore che è da Dio stesso. E si è rivelato per il fatto che Cristo "ha dato la sua vita per noi".

Carlo ha conosciuto l'amore. Questa fu la più grande scoperta della sua vita, la più grande "conoscenza". Tale conoscenza ha tracciato una direzione a tutti i suoi pensieri, alle parole e alle opere. In ciascuno di essi risuonava una forte eco di questa conoscenza: anch'io devo dare la vita per i fratelli.


2. Questa conoscenza risale certamente all'ambiente familiare, nel quale egli ricevette una buona educazione cristiana, che lo abituo fin dai più teneri anni al distacco da quegli agi e quelle ricchezze tra i quali viveva, così da sapersene servire con uno sguardo particolarmente rivolto alle necessità dei poveri. Carlo dette prova di questa sua generosità appresa dai pii genitori fin da quando, appena ragazzo, poté usufruire del beneficio di un'abbazia e penso subito, col pieno consenso del padre, di devolverlo totalmente a favore dei bisognosi. Carlo saprà mantenere per tutta la vita questo stile di azione: le ingenti possibilità economiche che la Provvidenza gli mise a disposizione, egli seppe sempre utilizzarle dando prova di un'eccezionale capacità organizzativa e amministrativa tutta orientata alla salvaguardia e alla promozione del bene comune e a sovvenire alle necessità di chi era meno favorito dalle situazioni della vita.

Tuttavia questa conoscenza dell'amore si collega senza dubbio in modo particolare con il periodo che il figlio della famiglia Borromeo ha passato qui: all'università di Pavia. Inviatovi dal padre, egli ebbe infatti modo di perfezionare in essa la sua educazione e di crescere nelle virtù, dedicandosi con diligenza agli studi di diritto civile e canonico, nei quali consegui la laurea, e conducendo un tenore di vita che, se non era diverso da quello dei suoi coetanei, tuttavia già da allora dava prova di essere ispirato a solida pietà e onestà, alieno da ogni ambizione, e frutto di una costante disciplina interiore e di un forte dominio di sé. La sua modestia e semplicità di spirito, nell'ambiente universitario, non furono sempre ben comprese, come suole purtroppo accadere. Egli dava l'impressione di essere un timido, mentre in realtà già da allora il suo animo, distaccato dalle realtà caduche, mirava all'esercizio di un amore, posto al servizio del bene supremo della persona e della collettività.

Nella calma e nella riflessione dello studio, egli meditava sul vero bene, approfondiva la conoscenza del vero amore - l'amore di Cristo -, quella conoscenza che sarebbe stata il criterio e la sorgente di tutta la prodigiosa azione pastorale, alla quale la Provvidenza lo destinava.


3. Tra gli sforzi richiesti dall'acquisto della scienza universitaria, è cresciuto in Carlo ciò che è più importante: ha conosciuto l'amore. Quell'amore che si è rivelato in Gesù Cristo, quando, nel suo mistero pasquale, "ha dato la sua vita per noi", introdusse san Carlo nel profondo del mistero del Buon pastore.

Nei suoi studi all'università di Pavia, Carlo Borromeo si immerge nella teologia del Buon pastore. Gesù dice: "Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo.

Questo comando ho ricevuto dal Padre mio" (Jn 10,17-18).

L'amore che si lascia conoscere in Gesù Cristo, rivela Dio che è amore.

Rivela il Padre. E' proprio il Padre che si rivela nel Figlio, che è il Buon Pastore, e che offre la vita per le pecore (cfr. Jn 10,15).

Carlo Borromeo, durante i suoi studi, conosce sempre più profondamente l'imperscrutabile mistero di Dio. E scopre sempre più in questo mistero se stesso, la sua vocazione. Il futuro pastore della Chiesa milanese e cardinale - legato al Concilio di Trento - impara la sua vocazione e la sua missione alle supreme fonti della teologia. "Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (He 4,12).


4. Nella teologia del Buon Pastore trova il suo fondamento un capitolo particolare dell'attività di san Carlo; i seminari ecclesiastici. Egli, infatti, fu esemplare, tra i vescovi del suo tempo, nell'applicazione delle famose direttive del Concilio di Trento concernenti questo punto. Aveva compreso molto bene come la riforma auspicata dai padri doveva trovare uno dei suoi principali punti di appoggio in un profondo rinnovamento dell'istruzione e dei costumi del clero. Sono i buoni pastori a formare i buoni cristiani. E come i mali del tempo erano in gran parte dovuti ad una crisi del sacerdozio, così era logico attendersi che i rimedi sarebbero venuti - come poi effettivamente ha dimostrato la storia - dal ripristino e dalla stima di una vera concezione del sacerdozio, nonché da una risposta generosa alla vocazione sacerdotale.

Per raggiungere questo fine, la preparazione dei futuri sacerdoti doveva essere più accurata, più metodica, più sistematica: ed ecco san Carlo dedicarsi con straordinario fervore e spirito d'iniziativa, e col saggio uso dei mezzi opportuni, alla fondazione di diverse case, dove i giovani che si preparavano al sacerdozio potessero adeguatamente raggiungere lo scopo mediante la presenza di insegnanti di valore e la vita comune, ispirata a un profondo clima di carità e di spiritualità: erano, appunto, i seminari. Egli ne fondo tre a Milano e tre in diocesi, senza parlare poi dei "collegi", i quali, sebbene di per sé adibiti alla formazione di giovani laici universitari, tuttavia, per il clima di alto tenore morale dal quale erano informati, ben si potevano considerare quali possibili semenzai di vocazioni ecclesiastiche o religiose.


5. Già studente dell'università di Pavia, san Carlo conservo, come pastore della Chiesa ambrosiana, un profondo rispetto per la conoscenza e per gli studi. Appena due anni dopo la laurea, ben consapevole dei disagi materiali e morali in cui versava gran parte degli studenti di tale università, si accinse alla fondazione di un istituto che provvedesse alla loro assistenza economica, morale e religiosa: così sorse l'Almo Collegio Borromeo, che ho visitato poco fa.

Tra le altre opere che il santo fondo, sempre al fine di promuovere l'istruzione e la cultura, possiamo citare il collegio Elvetico, il collegio dei Nobili, la Scuola di Brera e in particolare la Scuola della dottrina cristiana, che ancor oggi funziona quasi immutata.

L'esempio di san Carlo è profondamente stimolante anche per la Pavia di oggi, che tanta responsabilità detiene nel mondo della cultura universitaria e della formazione dei giovani.

Che l'intercessione del santo ispiri quel saggio senso critico che conduce alla scelta e alla pratica di un'autentica cultura cristiana e a una vita coerente con la fede e impegnata nello sforzo di animare la società con la luce e con la forza del Vangelo.

Con questo auspicio saluto tutta Pavia, rivolgendo innanzitutto uno speciale pensiero al suo pastore, monsignor Antonio Angioni e alle autorità civili e militari qui convenute. Saluto i sacerdoti, i religiosi e le religiose, incoraggiandoli nel loro impegno di testimonianza di consacrati a Dio, nel loro zelo per la catechesi e per la cura particolare dei giovani, degli operai, dei disoccupati, degli ammalati, dei poveri.

Saluto gli uomini della cultura e gli appartenenti alle varie categorie sociali; saluto i giovani e gli anziani; saluto tutti i cittadini poveri, soprattutto i più provati dalla sofferenza o dai disagi del fisico e dello spirito, ai quali, prendendo esempio da san Carlo, intendo indirizzare il mio affetto e la mia solidarietà, invitandoli ad approfondire quella "conoscenza dell'amore", che è l'anima di ogni riscatto e liberazione dell'uomo.


6. San Carlo ha conosciuto l'amore. Egli aveva imparato ad amare così meditando soprattutto su Gesù crocifisso: la contemplazione della passione del Signore l'accompagno per tutta la vita, mentre la inculcava insistentemente ai sacerdoti e ai fedeli. così egli pregava in un'omelia tenuta il sabato della terza settimana di Quaresima del 1548: "Rimani con noi con la tua grazia, con il tuo splendore, con il tuo calore, signore Gesù! Rimani nei nostri cuori, nella nostra volontà, nell'intelligenza e nel più profondo della memoria. Fa' che ci ricordiamo sempre di te, che siamo sempre memori della tua crudelissima passione, che sempre con gli occhi dell'anima e del corpo ti contempliamo crocifisso" ("Homiliae", Milano 1747). Amen.

Data: 1984-11-03 Data estesa: Sabato 3 Novembre 1984




Alla popolazione della Valsesia - Varallo (Vercelli)

Titolo: Assicurare la dignità di vita della popolazione

Testo:

Cari fratelli e sorelle.


1. Vi ringrazio sinceramente per il calore e l'entusiasmo con cui mi avete accolto in questa vostra città, al centro di questa valle suggestiva che giunge a lambire i non lontani ghiacciai del monte Rosa, le cui celebri vette furono tanto care al mio predecessore Pio XI.

Un grazie particolare all'onorevole Oscar Luigi Scalfaro, ministro dell'Interno, al signor presidente della regione e all'onorevole signor sindaco per le elevate parole che mi hanno rivolto, rendendosi interpreti dei sentimenti di tutti e facendosi eco delle vostre preoccupazioni e delle vostre speranze.

Mi piace ricordare, in questo momento, l'incontro che ho avuto con un folto gruppo di voi nel maggio dello scorso anno, quando, dopo la recita del Rosario del primo sabato del mese, mi fu dato di benedire la corona, destinata all'effige della Vergine santissima, che qui venerate dal 1633 con il titolo di Madonna incoronata; dinanzi ad essa mi raccogliero in preghiera, fra qualche momento, nella chiesa parrocchiale.

A distanza di un anno e mezzo sono ancora con voi; questa volta con tutti voi, popolo di questa città e di questa valle che tenacemente, lungo i secoli, ha costruito la sua storia, segnata spesso dalla fatica e dall'amarezza di un lavoro incerto, duro, ingrato, per decenni ignorato e sconosciuto. Essa pero dice con chiarezza la grande dignità con la quale avete saputo sempre affrontare le molteplici difficoltà, rivela la forza della vostra fede, i valori autentici e profondi che siete riusciti a salvaguardare come prezioso retaggio per la vostra vita. Tra questi valori, voglio sottolineare, qui, ai piedi del vostro Sacro Monte, che spesso fu meta di san Carlo Borromeo, del quale sto ripercorrendo l'itinerario della sua vita terrena, il vostro amore e la vostra devozione alla Madonna; voglio sottolineare, in questo inizio del mese di novembre, il culto per i morti che vi lega al passato e alle sue più nobili tradizioni.


2. Una testimonianza significativa della fede forte che è stata vanto per secoli della vostra storia si ritrova, senza dubbio, nello spirito creativo che ha guidato i pensieri e la mano di tanti vostri antenati quando vi hanno lasciato in eredità le sette belle chiese della vostra città e le molte sparse nella valle, autentiche opere d'arte, richiamo a uno stile di vita che non può essere dimenticato.

E fra tutte, questa monumentale Chiesa parrocchiale, cuore della parrocchia, luogo privilegiato per "offrire un luminoso esempio di apostolato "comunitario", fondendo insieme tutte le differenze umane che vi si trovano e inserendole nell'universalità della Chiesa" (AA 10).

Mentre sono in mezzo a voi, successore di san Pietro, come non ricordare da questa splendida balconata, dinanzi a questa Collegiata, visivamente fondata sulla roccia, le parole dette da Gesù a Simone, figlio di Giona: "Tu sei Pietro e su questa pietra edifichero la mia Chiesa" (Mt 16,18)? Come non cogliere in queste parole l'invito per tutti voi a "vivere insieme la fede", come avete scritto ai piedi della croce che sta alle mie spalle, una fede maggiormente radicata nella vita, una fede celebrata come comunità, al di là di ogni atteggiamento o tentazione di individualismo?


3. Cari varallesi e valsesiani! Vi esorto con tutto il cuore ad essere nel vostro ambiente testimoni coerenti, nel ricordo di tanti che, in questa stessa terra, hanno saputo dare testimonianza concreta della loro fede, cresciuti alla scuola di sacerdoti santi, in quell'ambiente provvidenziale che fu, per la vostra città e la vostra valle, il vecchio Circolo di Sottoriva, e che oggi, divenuto Centro giovanile, vuole essere, come allora, efficace richiamo soprattutto per i giovani. Con l'entusiasmo proprio della vostra età, sentite, giovani, il bisogno e l'urgenza di essere cristiani veri, artefici di pace e di giustizia, testimoni di una speranza che non delude (cfr. Mt 5,6 Mt 5,9); non lasciatevi scoraggiare, non fatevi ingannare; non costruite su altro fondamento che non sia Gesù Cristo! Impegnatevi per una sempre maggiore crescita culturale, che esprima per il vostro mondo d'oggi, e per i vostri posteri, ricchezze spirituali, di intelletto e d'arte, come quelle che gli antenati vi affidarono come preziosa eredità.

Ma non posso lasciarvi, cari fratelli e sorelle, senza rivolgere a tutti un particolare, pressante invito: insieme, comunità ecclesiale, istituzioni civili, forze sociali, impegnatevi in modo solidale e costante per trovare soluzioni idonee a ridare lavoro a quanti, privi di occupazione, guardano con incertezza al domani e si sentono offesi nella loro dignità di persone umane.

Faccio appello soprattutto a quanti sono costituiti in autorità, perché nulla si lasci di intentato per dare soluzione ai gravi problemi che travagliano i lavoratori delle città e del circondario e le famiglie che vivono nei paesi dell'alta valle. Auspico che con leggi e interventi adeguati si ottenga che gli abitanti di questa splendida terra abbiano la dignità di vita a cui legittimamente aspirano.

Cari fratelli e sorelle, sarebbe mio desiderio, al termine di questo incontro, stringere la mano e parlare con ciascuno di voi, specialmente con gli ammalati, gli anziani, con quanti soffrono nel corpo e nello spirito; non è purtroppo possibile. Ma sappiate che il Papa vi è grato per questo incontro, vi vuole molto bene e non vi dimenticherà. Vi assicuro che ciascuno di voi ha un posto nel mio cuore.

Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1984-11-03 Data estesa: Sabato 3 Novembre 1984





GPII 1984 Insegnamenti - Ai professori e alunni dell'università - Pavia