GPII 1984 Insegnamenti - Recita dell'Angelus dal San Carlone - Arona (Novara)

Recita dell'Angelus dal San Carlone - Arona (Novara)

Titolo: Dimensione mariana nell'opera del riformatore lungimirante

Testo:

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Questo gigantesco monumento denominato il "San Carlone", che da oltre tre secoli svetta nel cielo di Arona in onore di un astro di eccezionale grandezza nella storia della Chiesa, diventa oggi la "finestra" del mio domenicale incontro meridiano. San Carlo ne gioisce, perché egli amava l'ora dell'Angelus. Ai rintocchi della campana interrompeva prontamente qualsiasi occupazione, si inginocchiava, e, immerso in profondo raccoglimento, recitava la dolce preghiera mariana. Si inginocchiava sulla nuda terra, dovunque si trovasse, fosse pure nel fango delle strade, sulle quali si svolgeva gran parte del suo faticoso e incessante pellegrinare di pastore.

In quel gesto umile e grande possiamo ravvisare la sintesi espressiva della devozione che egli nutriva per la Vergine santissima. Una devozione solida, collegata alla contemplazione del mistero della redenzione, pilastro della sua pietà personale e punto di irradiazione del suo operosissimo ministero. Una devozione tenera, effusiva dell'incoercibile capacità di commozione del suo cuore ardente. Una devozione finale, che conosceva gli slanci a cui era alleata la sua anima di asceta austero e penitente.

Meditando l'annuncio della divina incarnazione - egli scrive - saremo partecipi di quell'immensa gioia di cui venne colmata la beatissima Vergine Madre di Dio. Ciascuno mediti dicendo fra sé: il Verbo si è fatto carne e abito tra noi, perché l'uomo diventasse partecipe della natura divina, perché avesse la sua dimora in cielo, perché fosse data soddisfazione alla giustizia divina e fosse apportato rimedio alla umana superbia" (Carolus Borromeus, "Ordo Tractationis de oratione", liber II, XXII, Milano 1983).


2. La dimensione mariana percorre la sua molteplice opera di apostolo del Concilio di Trento, di legislatore geniale e solerte, di riformatore lungimirante e inflessibile, avvalorando il sentimento popolare che aveva fatto di Maria la "Nostra Signora di Milano". San Carlo si adopera affinché la devozione alla Vergine penetri sempre più profondamente nella pietà individuale e nel culto pubblico. A tal fine imparte numerose disposizioni, che riguardano la diffusione del santo Rosario, la recita dell'ufficio della beata Vergine, la celebrazione della messa e particolari funzioni in onore di Maria.

Alla Madonna - la Corredentrice - san Carlo si rivolge con accenti singolarmente rivelatori. Commentando lo smarrimento di Gesù dodicenne nel tempio, egli ricostruisce il dialogo interiore, che poté intercorrere tra la Madre e il Figlio, e soggiunge: "Sopporterai dolori ben più grandi, o Madre benedetta, e continuerai a vivere; ma la vita ti sarà mille volte più amara della morte. Vedrai consegnato nelle mani dei peccatori il tuo Figlio innocente... Lo vedrai brutalmente crocifisso, tra i ladri; vedrai il suo fianco santo trapassato dal crudele colpo di lancia; vedrai, infine, effondere il sangue che tu gli hai dato.

E tuttavia non potrai morire!" (Omelia nel duomo di Milano la domenica dopo l'Epifania del 1584).


3. In unione con san Cario, che mi è celeste patrono fin dal momento del Battesimo, io, pellegrino qui nella sua terra natale, invoco la Madre della Chiesa. Con lui la supplico per il popolo di Dio e per l'intera famiglia umana.

Prego perché egli aggiunga la sua affettuosa intercessione, affinché in questo scorcio del secolo XX, che presenta somiglianze con il suo tempo, il cammino del rinnovamento ecclesiale sia segnato dal ritmo intenso e fedele, per il quale egli è rimasto nel cuore delle genti lombarde e della Chiesa universale.

Nell'approssimarsi del terzo millennio, la sua possente figura ispiri ai pastori la sapienza e l'ardore, l'umiltà e il coraggio che guidarono i suoi passi veloci. Sia di stimolo a tutti nel proclamare la verità, nell'elevare il costume, nel favorire la concordia, la pace e ogni genuino valore, su cui riposa il progresso della civiltà.

[Dopo la recita dell'Angelus:] E ora il mio pensiero si porta ad una regione lontana, lontana geograficamente, ma spiritualmente a noi molto vicina: la grande nazione dell'India. Vi invito ad unirvi a me nella preghiera per implorare da Dio che la tragica situazione, a tutti ben nota, che s'è venuta a creare in quel Paese, possa essere superata e quel nobile popolo, attingendo alle sue antiche tradizioni di civiltà e di saggezza, sappia ritrovare le vie di una serena convivenza nel reciproco rispetto, nella concordia operosa, nella pace sociale.

Desidero ora rivolgere un pensiero agli altri luoghi nei quali san Carlo ha lasciato impronte indelebili della sua presenza e che a me non è possibile toccare in questo pellegrinaggio. Lancio lo sguardo all'altra sponda del lago Maggiore e raggiungo idealmente le valli e le località elvetiche di rito ambrosiano, che l'intrepido pastore più volte visito. Penso specialmente alla ridente cittadina di Ascona, sede del collegio Bartolomeo Papio, da lui eretto il 30 ottobre 1584, a quattro giorni dalla sua santa morte. Il ricordo del grande Borromeo, che so sempre vivo in quelle comunità cristiane, sia fonte di continuo vigore nell'adesione alla fede, nella coerenza di vita, nella comunione ecclesiale.

Data: 1984-11-04 Data estesa: Domenica 4 Novembre 1984




Alla cittadinanza e alle autorità - Milano

Titolo: Volontà di leale collaborazione tra Stato e Chiesa

Testo:


1. Eccomi nuovamente fra voi, carissimi milanesi, a poco più di un anno dalla mia precedente visita. Allora mi porto in questa città la celebrazione del XX Congresso eucaristico nazionale. Oggi a guidare i miei passi verso di voi è il ricordo di un santo, che grande traccia di sé ha lasciato nella vostra terra e non in essa soltanto: san Carlo Borromeo. Nel suo nome vi rivolgo il mio saluto cordiale.

Ho ascoltato con deferente attenzione le nobili parole con cui il signor presidente del Consiglio, onorevole Craxi, ha voluto recarmi il saluto del presidente della Repubblica italiana e del governo, e quelle, pure molto elevate, che il signor presidente della regione e il signor sindaco mi hanno rivolto a nome della cittadinanza, interpretandone attese, ansie, speranze. Desidero esprimere loro la mia gratitudine per questo gesto cortese, nel quale mi piace ravvisare una significativa conferma della volontà di leale collaborazione che, in un momento particolarmente importante della vita della nazione, ispira i reciproci rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia.

Il mio saluto riconoscente si estende altresi all'attuale successore di san Carlo, il caro cardinale Carlo Maria Martini, al clero diocesano e religioso che lo circonda, alle autorità civili e militari e alle altre personalità che con la loro gradita presenza hanno voluto rendere più solenne e festoso questo incontro.

Un saluto, infine, particolarmente caldo e affettuoso rivolgo a quanti non hanno potuto essere oggi qui con noi: coloro cioè che dalla malattia, dalla vecchiaia o da altro impedimento sono stati trattenuti forzatamente lontani da questo luogo, che è testimone della gioia del nostro incontro. Sappiano che nel cuore del Papa v'è posto, anzi un posto privilegiato, anche per loro.


2. Carissimi milanesi, lo stupendo spettacolo che questa piazza gremita offre mi riporta col pensiero all'accoglienza trionfale che Milano tributo a san Carlo, il giorno in cui giunse in città per assumere il governo pastorale della diocesi. Vi accenna egli stesso in una lettera al vescovo di Como: "Avvicinandomi a Milano - egli scrive - ho incontrato una folla innumerevole quasi senza interruzione di cittadini di tutti gli ordini... Domenica sera, giorno 23, dopo i Vespri, entrai solennemente in Milano, come era stato deciso: fui ricevuto con tutti gli onori possibili; l'immenso concorso e la grande venerazione di tutto il popolo mi hanno reso felice al di sopra di tutte le espressioni".

Si suggello in quel giorno un legame d'affetto tra popolo e pastore che gli anni avrebbero sempre maggiormente rinsaldato: i milanesi veneravano, ascoltavano e seguivano il loro arcivescovo; questi, per parte sua, amava la città (egli si rivolgeva ad essa con l'affettuosa apostrofe: "Milano mia!"), e spendeva per essa energie e sostanze in una dedizione senza riserve, che tocco i vertici dell'eroismo durante i mesi terribili della peste e culmino nella decisione di sobbarcarsi, ormai mortalmente malato, ai rischi di un viaggio faticoso, pur di giungere a chiudere gli occhi accanto ai suoi figli più cari.


3. Fu quest'amore profondo e virile a ispirare le parole e i gesti, che san Carlo profuse in quasi vent'anni di servizio pastorale in questa antica e gloriosa Chiesa milanese. I problemi, anche allora, erano tanti. Il popolo, spogliato dagli eserciti di nazioni straniere, immiserito dalle pestilenze e dalle carestie, oppresso non di rado da una nobiltà corrotta e prepotente, viveva anni difficili.

In particolare, tutt'altro che buone erano le sue condizioni religiose e morali, a motivo dello stato di cronico abbandono in cui lo aveva lasciato la negligenza di pastori, noncuranti.

Questa situazione san Carlo affronto con coraggiosa determinazione, fidando in Dio e in quella che il suo primo biografo qualifica "Mediolanensium proclivis ad virtutem natura", "la naturale propensione dei milanesi verso la virtù" (C. Bascapè, "De vita et rebus gestis Caroli Card. S. Praxedis, Archiepiscopi Mediolani", p. 48). Gli eventi, com'è noto, gli dettero ragione.

Milano divento, in breve volgere di anni, il luminoso punto di riferimento a cui si guardava da ogni parte d'Italia e d'Europa, per trarre indicazioni e orientamenti in quel generale impegno di rinnovamento religioso, che il Concilio di Trento aveva provvidenzialmente suscitato. Si attuava così il programma che il lungimirante pastore si era prefisso fin dall'inizio del suo ministero e che, un giorno, aveva messo anche per iscritto in una sua lettera ai fedeli: "Milano ha l'obbligo di precedere tutti nelle opere di devozione e di pietà, perché sono antiche le sue origini cristiane. E poiché essa è una metropoli, cioè una Chiesa madre di Chiesa, è suo dovere dare a tutta la sua provincia un chiaro esempio di vita cristiana da imitare".


4. Carissimi fratelli e sorelle, quale monito per la Milano di oggi v'è in queste parole del vostro grande arcivescovo e santo patrono! Essere "un chiaro esempio di vita cristiana", a cui anche altre città possano ispirarsi per trarne conforto e incitamento. Certo, a Milano oggi da molte parti si guarda per i traguardi che la città ha raggiunto nei vari campi dell'umano progresso. Milano, centro pulsante di febbrile lavoro, nodo vivace di scambi commerciali, punto di incontro di fermenti culturali di ogni genere, assurge quasi a simbolo di ciò che è chiamata ad essere una città moderna.

Ma può dirsi ancora che Milano sia "un chiaro esempio di vita cristiana"? Questo è l'interrogativo che san Carlo oggi vi pone, o milanesi. Non per contestare, badate, le conquiste della vita moderna, almeno in ciò che esse hanno di autenticamente umano. Il Borromeo, voi lo sapete, fu magnanimo protettore delle scienze e delle arti, fu munifico mecenate di poeti, di pittori, di musicisti, fu costruttore instancabile di opere insigni per bellezza architettonica e per destinazione culturale e umanitaria.

Con quel suo monito il vostro grande arcivescovo pone semplicemente la questione del senso ultimo di tutto ciò che l'uomo s'affanna a costruire sulla terra. Egli ci ricorda che l'essere umano non si esaurisce nel limitato orizzonte del tempo, ma con insopprimibile anelito si spinge a cercare il proprio compimento nelle trascendenti realtà dell'eterno. E ci invita, di conseguenza, a non smarrire questa prospettiva ultima che, sola, può dare la risposta appagante agli interrogativi del cuore. Ci invita a recuperare, con gioia ogni giorno rinnovata, le luminose certezze della fede, per trarne il criterio di una vita coerentemente ispirata alla parola e all'esempio di Cristo, giacché "non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo avere salvezza" (Ac 4,12).

La fede come stella polare del cammino dell'uomo sulla terra, ecco il messaggio che san Carlo consegno un giorno ai vostri antenati, facendone un popolo ordinato e forte, un popolo laborioso e buono, un popolo fiducioso nei valori della terra, perché cosciente dei valori del cielo. Questo messaggio san Carlo ripete a voi, oggi. Sappiatelo ascoltare. Avrete su di voi la benedizione del vostro grande patrono, che con la sua intercessione continuerà ad essere accanto a voi e ai vostri figli, per ottenere a tutti serena concordia e pace operosa in un contesto sociale reso sempre più umano dall'azione vivificatrice del fermento cristiano.

Data: 1984-11-04 Data estesa: Domenica 4 Novembre 1984




Celebrazione conclusiva in onore di san Carlo - Milano

Titolo: Si è lasciato guidare da Cristo buon pastore del gregge

Testo:


1. "Il Signore è il mio pastore" (Ps 22,1).

Carissimi fratelli e sorelle riuniti nel cuore di questa prestigiosa e laboriosa città per la quale san Carlo si dedico come pastore! Il 3 novembre 1584 il cardinale Carlo Borromeo, arcivescovo della Chiesa milanese, rese la sua anima a Dio. Mori all'età di 46 anni. Gli occhi fissi sul Crocifisso, diede l'ultima testimonianza a colui al quale aveva consacrato completamente la vita.

Un profilo sintetico di questa vita ci è stato presentato dall'odierna liturgia in rito ambrosiano. Il moribondo, fissando lo sguardo su Cristo crocifisso, sembrava ripetere: "Il Signore è il mio pastore".


2. E insieme col suo vescovo morente, tutta la Chiesa milanese sembrava ripetere le stesse parole.

Il Signore si era già rivelato - un tempo - in questa comunità ecclesiale come il Buon Pastore mediante il grande sant'Ambrogio e, nel corso dei secoli, mediante molti altri vescovi.

Ed ecco nuovamente, nell'arco del XVI secolo, il Buon Pastore trovo un suo nuovo riflesso - della statura di Ambrogio - in Carlo, della famiglia dei Borromeo, del quale commemoriamo i quattrocento anni della morte.

Chi è il Buon Pastore? E' colui, che offre la vita per le pecore. E' colui, che conosce le sue pecore ed esse conoscono lui. E' colui, la cui voce ascoltano, divenendo una sola comunità di Dio, un solo gregge. E' colui che il Padre ama. E' Cristo.

Carlo Borromeo morente su un duro giaciglio s'immerge con lo sguardo e con il cuore in Cristo crocifisso, e sembra dire: "Il Signore è il mio pastore".

La Chiesa milanese, raccolta intorno al letto del moribondo, sembra dire: il buon pastore era con noi, durante questi anni, il pastore modellato su Cristo. Ecco, il buon pastore ci lascia.


3. San Carlo Borromeo fu grande pastore della Chiesa, prima di tutto perché egli stesso segui Cristo-Buon Pastore. Lo segui con costanza, ascoltando le sue parole e attuandole in modo eroico. Il Vangelo divenne per lui la vera parola di vita, plasmandone i pensieri e il cuore, le decisioni e il comportamento.

Nel sacramento del Battesimo viene concepita in noi una nuova vita. "Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita", sembrava ripetere Carlo Borromeo come l'apostolo, fin dalla fanciullezza... "siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli" (1Jn 3,14). Proprio quest'amore ha fatto di lui uno straordinario discepolo e seguace di Cristo-Buon Pastore.

In giovane età egli venne nominato cardinale di santa romana Chiesa e arcivescovo di Milano; fu chiamato ad essere pastore della Chiesa, perché egli stesso si lascio guidare dal Buon Pastore. "Il Signore è il mio pastore... / ad acque tranquille mi conduce. / Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino / per amore del suo nome" (Ps 22,1-3).


4. Quanto era importante, proprio in quell'epoca, andare "per il giusto cammino".

Quant'era importante avere in se stessi quella "alacrità" e la potenza dello Spirito da comunicare poi agli altri! Quant'era importante trovare riposo nel Signore stesso mediante la preghiera, la contemplazione e la stretta unione con lui tra le fatiche, i compiti e le sofferenze di questa vocazione straordinaria! In mezzo a queste fatiche e lotte, proprie del servizio pastorale, Carlo Borromeo poteva ripetere, fissando gli occhi su Cristo: "Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza" (Ps 22,4). E così egli entrava nel suo popolo di Dio, nella sua Chiesa come vescovo e pastore, partecipando al mistero imperscrutabile di Cristo, eterno e unico pastore delle anime immortali, che abbraccia i secoli e le generazioni, innestando in essi la luce del "secolo futuro".


5. Il secolo e la generazione in cui fu dato a Carlo di vivere e operare, non erano facili. Essi anzi appartenevano a tempi particolarmente difficili della storia della Chiesa.

Gli occhi fissi al suo Redentore e Sposo, il cardinale Borromeo sembrava ripetere col salmista: "Se dovessi camminare in una valle oscura, / non temerei alcun male, perché tu sei con me" (Ps 22,4).

San Carlo non si impauri per le minacce e i pericoli che sovrastavano allora la Chiesa. Li seppe affrontare. Ebbe l'umiltà e la grandezza di vedute necessarie per dare un valido contributo al fine di portare a termine l'opera allora indispensabile del Concilio di Trento.

Come è noto infatti, fin da quando era a Roma, chiamato dalla zio, il papa Pio IV, fu creato cardinale e, divenuto capo della segreteria papale, si adopero perché il Concilio, interrotto nel 1552, riprendesse i suoi lavori e giungesse a compimento, stabilendo le linee della vera, grande riforma della quale la Chiesa aveva bisogno. Fu un'attività intensa, che rivelo le sue eccezionali capacità di lavoro e alla quale si dedico con ardore, nella coscienza di operare per il bene della Chiesa. Al termine del Concilio, scriveva al cardinale Morone: "E' tanto il desiderio mio che ormai si attenda ad eseguire, appena sarà confermato, questo santo Concilio, conforme al bisogno che ne ha la cristianità tutta".


6. La via del rinnovamento indicata allora dal Concilio di Trento fu da lui accolta come norma per la sua attività nella sede milanese. Una volta che a Roma, come membro di un'apposita commissione cardinalizia, aveva contribuito alla determinazione delle direttive generali per l'applicazione del Concilio, senti poi urgente il bisogno, quando fu investito della responsabilità pastorale per la Chiesa milanese, di tradurre nei fatti quelle direttive secondo le possibilità e le esigenze particolari di quella comunità ecclesiale. Dopo aver quindi dato prova, a Roma, della vastità e profondità dei suoi disegni di rinnovamento, seppe anche mostrare, a Milano, una straordinaria capacità di calare quei principi nella concretezza delle situazioni. Come scrisse di lui il cardinale Seripando, egli era "uomo di frutto e non di fiore, di fatti e non di parole". perciò volle applicare i canoni della riforma passando immediatamente all'azione; e bisogna dire che egli seppe incontrare nel clero, nei religiosi e soprattutto nel popolo di Dio una generosa disponibilità alle sue aspettative pastorali.

La premura di san Carlo di realizzare le disposizioni del Concilio Tridentino appare innanzitutto dal suo impegno per l'istituzione dei seminari, oggetto di uno dei più importanti decreti dell'assemblea conciliare. Tale decreto era stato approvato il 15 luglio del 1563 e appena l'anno successivo san Carlo, ancora residente a Roma, fondo a Milano il primo seminario, affidandolo ai padri della Compagnia di Gesù. Negli anni seguenti istitui altri seminari minori.

Un altro campo, in cui san Carlo appare per eccellenza il "vescovo del Concilio di Trento", è quello dell'istituzione dei concili provinciali e dei sinodi diocesani, voluti appunto a Trento, e che risorgevano dopo una lunga dimenticanza risalente al medioevo. Anche da queste assemblee ecclesiali appare chiarissima nel Borromeo la consapevolezza, del tutto conforme all'ispirazione tridentina, che la riforma dovesse cominciare dalla testimonianza di buoni pastori e buoni sacerdoti: "Io sono deciso - scriveva a papa Pio IV - di incominciare dai prelati la riforma prescritta a Trento: è questa la strada migliore per ottenere l'obbedienza nelle nostre diocesi. Noi dobbiamo marciare per i primi: i nostri soggetti ci seguiranno più facilmente".

La legislazione conciliare e sinodale fece di san Carlo il creatore di un nuovo diritto ecclesiastico locale, che ha lasciato la sua impronta, nella vostra diocesi, fino ad oggi. Egli pero voleva essere innanzitutto pastore, e per questo corredo le norme emanate con una serie minuziosa di disposizioni, che mostrarono la concretezza del suo senso pastorale. Aveva poi acquistato una conoscenza precisa dei bisogni del suo popolo mediante un gran numero di visite pastorali, durante le quali cerco di valorizzare la funzione delle parrocchie.

A questo proposito, il mio predecessore papa Paolo VI ebbe a dire giustamente che una delle note più caratteristiche del di lui episcopato fu l'intento di "creare una santità di popolo, una santità collettiva, di fare santa tutta la comunità".


7. Dice la liturgia odierna: "Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me".

Carlo Borromeo ha avuto un cuore sempre largamente aperto ai poveri e ai bisognosi. Ha saputo soffrire con i sofferenti. L'amore di Cristo, che praticava verso ciascuno di essi, gli permise di non temere alcun male.

ciò si manifesto in modo particolare quando Milano, durante la peste, che ivi infieri, divenne veramente quella "valle oscura" della disgrazia umana, di cui parla il salmista. In quell'occasione egli volle, come Cristo, "amare i suoi fino alla fine" (cfr. Jn 13,1), ed essere pronto a dare la vita per le pecorelle.

Di fatto corse effettivamente questo rischio, esponendosi al contagio con la sua presenza in mezzo agli appestati, ai quali portava il suo aiuto e il suo conforto della sua parola e dei sacramenti.

Con il suo zelo e il suo prestigio fini per trovarsi alla direzione dell'opera di soccorso, provvedendo alla pubblicazione di un direttorio per l'assistenza dei malati e portando ordine e disciplina in simile drammatico frangente". La peste fu così per lui occasione per rinsaldare la sua unione con la popolazione milanese, più che mai amata in quel momento. Ne aveva visto la sciagura, quando era "affamata, angustiata e bisognosa di essere continuamente soccorsa per vivere"; ne vide poi, grazie anche alla sua opera, la risurrezione: "O bontà e grazia di Dio - disse nell'omelia della fine del 1576 - come sono ora mutate le cose? Come sono subito reparate quelle rovine nostre? Come restituita la sanità, rinnovata la speranza della prima grandezza?". Si vede qui l'umiltà del santo che in questo ritorno della vita riconosce la potenza del dito di Dio, come prima, nell'evento della peste, aveva riconosciuto un salutare richiamo alla penitenza e ai valori eterni.


8. Quando il 3 novembre 1584 la Chiesa milanese si strinse accanto al suo cardinale morente, i pensieri e i cuori di tutti si concentrarono sull'immagine del Buon Pastore. "Abbiamo conosciuto l'amore". "Da questo abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi" (1Jn 3,16).

E Carlo Borromeo, con gli occhi fissi sulla croce di Cristo, rese fino alla fine testimonianza a colui che era la sua "via, la verità e la vita" (Jn 14,6). "Il Signore è il mio pastore... Felicità e grazia mi saranno compagne / tutti i giorni della mia vita, / e abitero nella casa del Signore / per lunghissimi anni" (Ps 22,6).

Quattrocento anni fa Carlo Borromeo lasciava questi luoghi, e la sua dipartita divenne l'inizio di quella pienezza di vita, che i santi trovano in Dio stesso. Dopo quattrocento anni tutta la Chiesa, ricordando la vita e la morte di san Carlo, adora e ringrazia la santissima Trinità, perché "l'uomo vivente è gloria di Dio" (Ireneo, "Adversus haereses", IV, 20, 7): l'uomo in tutta la pienezza di vita che si raggiunge nel Dio vivente.

Signor cardinale arcivescovo di questa città! Venerati fratelli vescovi! Autorità qui presenti, sacerdoti, religiosi, sorelle e fratelli tutti del popolo di Dio che è in diocesi di Milano! L'intercessione di san Carlo continui a proteggere questa amatissima comunità ecclesiale per la quale egli si prodigo come pastore e il suo esempio sia ancor oggi d'incoraggiamento e di sprone per tutti. Sia lodato Gesù Cristo.

[Al termine della santa messa:] Carissimi fratelli e sorelle, figli e figlie di questa Chiesa che quattro secoli fa ha avuto come pastore il cardinale Carlo Borromeo, vi ringrazio per questo invito a celebrare insieme con voi il suo quarto centenario. Mi è stato dato di far conoscenza di luoghi meravigliosi. Ho potuto conoscere meglio la sua spiritualità fondata sui diversi carismi, cominciando da quel carisma fondamentale che proviene dal Battesimo. Mi è stato dato di visitare i diversi luoghi della sua nascita e della sua morte, della sua preghiera, dei suoi studi. Devo dire che quest'anno ho potuto celebrare in un modo veramente eccezionale la solennità di san Carlo Borromeo, che è anche il mio patrono.

Alla luce di questo quarto centenario della sua morte benedetta e santa, abbiamo potuto insieme con il vostro attuale arcivescovo, cardinale Carlo Maria Martini, contemplare questo esempio che la Chiesa, tramite i nostri genitori, ci ha dato nel Battesimo, per seguirne le orme.

Voglio indirizzare ancora una parola di augurio al nostro amatissimo cardinale decano del Sacro Collegio, che con i suoi 92 anni ha voluto essere insieme con noi per questa solenne circostanza.

"Mirabilis Deus in sanctis suis". Ecco queste sono le meraviglie di Dio, del nostro Creatore e Redentore, dello Spirito Santo. E' meraviglia del Signore, san Carlo Borromeo. "Et Sanctus in omnibus operibus". La santità espressa, in modo possiamo dire stupendo, nella vita di un uomo come san Carlo Borromeo ci porta verso la santità di Dio stesso, la santità che trascende ogni santità nella creatura, ma che nella creatura ha voluto trovare la sua immagine e somiglianza in ciascuno di noi. "Sanctus in omnibus operibus suis". Che questo solenne centenario di san Carlo Borromeo, pastore e patrono della Chiesa di Milano, porti a ciascuno di noi, una profonda conferma della dignità che tutti portiamo nella nostra stessa umanità e ci faccia pronti a portare questa dignità che proviene da Dio come fondamento del nostro cammino. Ecco il nucleo stesso del messaggio che san Carlo Borromeo ci lascia nel quarto anniversario della sua benedetta, santa morte. Sia lodato Gesù Cristo.

Data: 1984-11-04 Data estesa: Domenica 4 Novembre 1984




Ai diaconi ordinandi presbiteri - Milano

Titolo: Cristo Eucaristia segreto di santità

Testo:

Carissimi diaconi.


1. Nel corso di questo itinerario spirituale nei luoghi principali dell'attività pastorale svolta da san Carlo Borromeo, mi è caro questo breve incontro con voi, che vi preparate all'ordinazione sacerdotale. Vi saluto con grande gioia e affetto.

Voi sapete come il programma e l'assillo continuo di san Carlo, già fin dagli anni della sua permanenza presso la Sede apostolica, al servizio di papa Pio IV, suo zio, e poi soprattutto a Milano, come arcivescovo, fu l'applicazione integrale e tempestiva dei decreti del Concilio di Trento, per la riforma della Chiesa e il rinnovamento della vita cristiana nel popolo. Per questo scopo egli si prodigo con instancabile sollecitudine, affrontando fatiche enormi. Nei diciotto anni di vita pastorale milanese egli indisse sei Concili provinciali, e undici Sinodi diocesani; effettuo per due volte la visita pastorale a tutte le ottocento parrocchie del territorio a lui affidato, estendendo così ad ogni sacerdote e ad ogni fedele la riforma tridentina; istitui seminari e collegi; fondo ospedali e luoghi di soccorso; volle le "Scuole della dottrina cristiana" e le "Confraternite del santissimo Sacramento"; costrui santuari e organizzo processioni e pellegrinaggi. Per questi motivi, Milano divenne la diocesi-pilota per tutta la cattolicità, tanto che san Carlo acquisto giustamente fama di geniale organizzatore e di vescovo santo.

Certamente egli aveva doti umane superiori unite ad un eccezionale coraggio e ad una posizione privilegiata. Tuttavia, come bene è messo in luce dagli storici, sia il suo zelo continuo e fervoroso sia l'efficacia del suo metodo pastorale sono dovuti alla sua intensa vita interiore e ascetica. Il segreto della fecondità del suo ministero fu il grande amore a Cristo crocifisso e presente nell'Eucaristia.

perciò, a voi che vi avvicinate al giorno della vostra ordinazione, io dico con san Carlo: curate intensamente la vita interiore! Presto infatti sarete sacerdoti, ministri di Dio, agirete "in persona Christi", immersi in una società che occorre evangelizzare ogni giorno, con pazienza e coraggio.


2. Oggi più che mai il mondo ha bisogno di sacerdoti che siano autentici testimoni del soprannaturale; che siano, come Gesù li vuole nel mondo e per il mondo, ma non del mondo. Ogni sacerdote deve poter dire con san Paolo e con san Carlo: "Quanto a me, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo" (Ga 6,14). Oggi è necessario un profondo senso di umiltà, che, mantenendo fermi i principi della dottrina cristiana, dogmatica e morale, sappia rendere comprensivi e amorevoli verso tutti, anche verso gli erranti e gli avversari, pur nella lotta contro il male. Oggi è soprattutto necessaria una piena fiducia nella presenza infallibile della "grazia", anche se non sempre si vede l'efficacia immediata dei metodi e dei programmi.

Per questo è necessario imitare san Carlo nella sua vita ascetica, nel suo amore a Gesù Cristo, all'Eucaristia e a Maria santissima, nella pratica degli esercizi spirituali, nello studio assiduo e metodologico della verità, incoraggiati dall'aiuto e dall'esempio dei santi.

Nel discorso da lui tenuto nell'ultimo Sinodo, san Carlo così parlava ai sacerdoti: "Se qualche scintilla del divino amore è già stata accesa in te, non cacciarla via, non esporla al vento. Tieni chiuso il focolare del tuo cuore, perché non si raffreddi e non perda calore. Fuggi cioè le distrazioni, per quanto puoi. Rimani raccolto in Dio; evita le chiacchiere inutili".

Cari diaconi! Lascio a voi queste parole, raccomandandovi anche in modo speciale la cura delle vocazioni sacerdotali, quando sarete nel ministero. Vi accompagni la mia benedizione apostolica, che ora con grande affetto vi imparto e che estendo volentieri ai vostri genitori e ai vostri parenti.

Data: 1984-11-04 Data estesa: Domenica 4 Novembre 1984




Alle suore di Maria Bambina - Milano

Titolo: Disponibilità e obbedienza al servizio della Chiesa

Testo:

Care sorelle.


1. Prima di lasciare Milano, ho desiderato fare questa breve visita alla vostra casa generalizia e a questo santuario a voi tanto caro, perché centro spirituale della vostra famiglia religiosa. Tappa fondamentale del vostro cammino di fede resta l'ingresso della congregazione in questa città, nel 1842, per l'assistenza dei malati nell'ospedale Ciceri: ed ecco che, quasi a sostenervi nella vostra cristiana dedizione, vi fu consegnato il venerato, grandioso simulacro di Maria Bambina, attraverso il quale la Vergine santissima si è più volte compiaciuta di far sentire la potenza della sua intercessione e protezione materna. Con questi meravigliosi interventi, la Madre di Dio ha voluto in qualche modo farvi comprendere il suo desiderio che la vostra spiritualità ricevesse quella caratteristica "tonalità" mariana che vi ha portate a farvi comunemente chiamare dalla gente: le suore di Maria Bambina. così le benedizioni divine sono scese abbondanti su di voi nella misura in cui avete generosamente corrisposto a queste delicate premure della Madre celeste, la quale si presenta così per ciascuna di voi come supremo modello di carità misericordiosa e concretamente sensibile alle più gravi miserie e sventure degli uomini del nostro tempo.


2. Le cospicue benemerenze che voi, quali strumenti della Vergine santissima, vi siete acquistate nella vasta e multiforme diocesi milanese, furono tante che lo stesso arcivescovo, il venerato e compianto cardinale Ildefonso Schuster, s'interesso alla ricostruzione del santuario distrutto dalla guerra, interpretando certamente in tal modo i voti dei milanesi, e venne personalmente a consacrarlo a lavori ultimati.

Le prove d'affetto della Madonna e i segni di gratitudine ricevuti dal popolo di Dio per la vostra opera feconda e meritoria vi siano sempre di sprone e di incoraggiamento a perseverare con tenacia e spirito di iniziativa, con fede indomita e generosa comunione ecclesiale, nella fedeltà alla chiamata divina, sull'esempio delle sante fondatrici.

In questi giorni abbiamo ricordato il grande san Carlo. Anche da lui - naturalmente secondo il vostro proprio carisma - potete e dovete prendere esempio di zelo pastorale e di dedizione ai bisogni del prossimo, come risposta all'amore col quale ci ha amati Gesù crocifisso e risorto.


3. La vostra congregazione è ormai diffusa in tutto il mondo e nei Paesi più diversi per popolazione, cultura, tradizioni. Questo è un segno dell'universalismo, veramente "cattolico", e della fecondità dello spirito che vi anima. Facendo leva su questa robusta e genuina vitalità soprannaturale, voi potrete affrontare con speranza e garanzia di successo certe situazioni di difficoltà nelle quali - come in Italia - accanto a un gran numero di religiose anziane, si nota una forte scarsità di nuove vocazioni. Occorre domandarsi il perché di tali situazioni, sforzandosi di ovviarvi mediante l'applicazione delle soluzioni opportune. Per questo, è anche necessario che si mantenga vivo tra voi quello spirito di disponibilità e di obbedienza, che consente quella mobilità del personale, tale per cui possa essere in grado di sopperire alle situazioni di maggior bisogno. In tal modo potrete vivere sempre più a fondo, da perfette religiose, le esigenze radicali del Vangelo.

Questi sono i voti e i sentimenti che ho pensato di esprimervi nella presente felice circostanza. Il Signore vi ha dato molto, e quindi non temete di impegnarvi sempre al massimo delle forze. L'amore vince tutti gli ostacoli. La beata Vergine Maria, che voi onorate in special modo nella sua innocentissima infanzia, vi insegni sempre più le vie della piccolezza e della santità del Vangelo.

Tutte vi benedico di cuore con viva effusione di affetto.

Data: 1984-11-04 Data estesa: Domenica 4 Novembre 1984











GPII 1984 Insegnamenti - Recita dell'Angelus dal San Carlone - Arona (Novara)