GPII 1985 Insegnamenti - Al Segretariato per i non credenti - Città del Vaticano (Roma)


2. Le risposte alla vostra indagine, delle Conferenze episcopali e delle università cattoliche, dei credenti e dei non credenti, che si possono leggere nella vostra rivista "Ateismo e dialogo" ne sono testimonianza: in vent'anni l'ateismo ideologico non si è rinnovato, è piuttosto rifluito, ma la non-credenza pratica si è sviluppata, l'indifferenza religiosa ha progredito, con una certa insensibilità per le questioni fondamentali, che non esclude pero una viva sensibilità per il problema del male sentito, in tutte le sue forme, come uno scandalo.

Voi offrite al Papa, alla Santa Sede, alle Conferenze episcopali, un aiuto di primaria importanza per dare una risposta ai problemi vasti e complessi che pone alla Chiesa il dialogo con i non-credenti. Alcuni sono prigionieri di sistemi ideologici, e l'ateismo al potere impedisce loro di professare liberamente la loro fede. Si tratta, per la Chiesa, di lavorare con perseveranza perché l'opinione pubblica prenda le loro difese, non li dimentichi né li abbandoni.

Altri hanno creduto che la scienza avrebbe risolto tutti i problemi e avrebbe portato all'uomo la felicità. Bisogna che noi li aiutiamo a convincersi che la scienza senza la coscienza non è che la rovina dell'anima, secondo il ben noto adagio, e che non tutto ciò che è scientificamente possibile è moralmente accettabile. L'esperienza tragica dei nostri tempi lo mostra a sufficienza. Altri ancora sono come invischiati in un mondo materialista, senza un orizzonte trascendente. Instancabilmente, noi dobbiamo ricordare loro che "non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4). Talvolta, essi sembrano privi di ogni inquietudine metafisica, di ogni interrogativo esistenziale. Bisogna cercare di risvegliare in loro l'attenzione al mistero della vita e della morte. Altri, infine, sembrano sospettosi davanti ad ogni religione istituita e scettici. Come Pilato, si domandano: qual è la verità? La Chiesa ha la missione di mostrare loro il Cristo, nato dalla Vergine Maria, morto per i nostri peccati e risorto per chiamare con lui ad una vita d'amore, oltre la morte, nel seno del Padre e nella tenerezza dello Spirito: ecco l'uomo! Si, molti sembrano essere lontani da Dio e dalla Chiesa, senza una rottura drammatica apparente, come inghiottiti in un oceano di secolarizzazione.

Ma la ricerca della felicità si è fatta più aleatoria, è apparsa la disillusione, con il suo pesante carico di afflizione e di violenza, di cinismo e di disperazione.


3. Questo fenomeno così profondamente contro natura ha già generato il suo contrario. Troppe aspirazioni profonde dell'uomo sono state represse e troppi bisogni religiosi rimangono non soddisfatti. L'attuale situazione mondiale impone, come una necessità, per sopravvivere, di ritrovare delle radici, un orizzonte, un senso. L'uomo non può vivere indefinitivamente nel vuoto spirituale, nell'incertezza morale, nel dubbio metafisico, nell'ignoranza religiosa. "L'uomo supera infinitamente l'uomo" (Pascal). Egli non si riduce all'aspetto socio-politico: le ricerche a tastoni del sacro ne sono testimonianza, a loro modo, anche nelle loro aberrazioni e nei loro sviamenti, come nella loro abbondanza sincretista. Questi segni del risorgere del religioso, dell'emergere di "religioni" sostitutive, o di "religioni" secolari, come si è detto, testimoniano a loro modo che una società di non-credenti non può fare a meno di credere.

Ciascuno vorrebbe credere in qualcosa, anche se il profilo di questo credere rimane qualcosa di un po' vago e incerto. Non si vede oggi stranamente risorgere, insieme con l'antico panteismo, l'antico paganesimo, la gnosi e le credenze esoteriche? Gli uomini hanno abbandonato le fonti d'acqua viva, diceva il profeta, e si sono rivolti a cisterne vuote (Jr 2,13). Ma la maggior parte, forse, degli uomini che noi chiamiamo non-credenti sono spesso alla ricerca oscura e dolorosa di luce e di gioia. Chi li aiuterà a scoprire, come il profeta Elia, il Dio d'amore, non nel fragore del tuono e negli urli del vento, ma nella brezza leggera e sensibile al cuore che ascolta, colma di amore e di tenerezza, di bellezza e di bontà, di giustizia e di solidarietà? (cfr. 1R 19,11-13).

Quale sfida lanciano alla Chiesa e a tutti i cristiani queste donne e questi uomini alla ricerca della fede, della speranza e dell'amore! Essi hanno bisogno di incontrare dei cristiani che, rispettando le loro coscienze, testimonino in maniera convincente, con la loro stessa vita, che la fede non è nociva alla vita, che non è estranea né indifferente, ma, al contrario, è vitale, per compiersi, già nel tempo, e più ancora oltre la morte, col Cristo. Ben lungi dal distogliere gli uomini dalle loro gravi preoccupazioni quotidiane, la fede animata dalla speranza escatologica li aiuta al contrario a sostenerle.


4. Si tratta del carattere insostituibile del dialogo, qual è stato proposto da Paolo VI nell'enciclica "Ecclesiam suam" e quale l'ha voluto il Concilio. La fede è l'adesione alla verità, è convinzione che la rivelazione è la verità e, nello stesso tempo, è capacità di dialogo con coloro che non condividono questa convinzione. Bisogna sempre meditare la conclusione della costituzione "Gaudium et Spes" perché "il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con l'opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano ancora la sorgente, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere". Questo dialogo della fede è dialogo con Dio, che si è rivelato in Gesù Cristo, e dialogo con gli uomini, creati, riscattati, chiamati a vivere la pienezza della loro vocazione di uomini nello Spirito. Si esercita in un duplice rispetto: il rispetto della verità incarnata nel Verbo fatto carne, e il rispetto di ogni uomo creato a immagine e somiglianza di Dio. Comporta una duplice responsabilità; verso la verità che ogni uomo ha il dovere di cercare sinceramente e di seguire lealmente finché l'abbia trovata e verso gli uomini stessi davanti ai quali abbiamo il dovere di testimoniare la verità.

Bisogna che questo cammino esigente ed esaltante mostratoci dal Concilio sia compiuto oggi con fiducia e nella speranza. E' il cammino del "dialogo sincero e paziente" (AGD 11), di una fede, ci dice ancora il Concilio, "viva e matura, vale a dire opportunamente educata alla capacità di guardare in faccia alle difficoltà per superarle" (GS 21 § 5).


5. Per i cristiani che lavorano a questo dialogo, la preghiera è un'esigenza vitale. Non siamo mai soli. Un Altro è sempre presente al centro dei nostri dialoghi, sia in noi che presso coloro con i quali siamo in dialogo, c'è un Altro che ci è più intimo di noi stessi (cfr. sant'Agostino). Non dimentichiamolo: i nostri discorsi su Dio devono fondarsi sul nostro rapporto personale con lui, e il nostro dialogo con l'altro dev'essere una testimonianza di vita e d'amore.

Cerchiamo, cari amici, con la grazia di Dio, di condividere la nostra esperienza di Dio per risvegliarla anche in altri! L'annuncio della buona novella di Cristo s'inserisce nella già lunga storia della salvezza, come esito delle attese più profonde, delle esigenze più segrete dell'anima dei popoli quali le manifestano le migliori espressioni del loro genio culturale. Nei Paesi di antica cristianità, il cristianesimo non può essere misurato da sondaggi e statistiche: è spesso sepolto nelle coscienze, bisogna risvegliarlo. Nei Paesi di ateismo dichiarato, esso sopravvive malgrado le oppressioni, e suscita nuove generazioni di credenti, di testimoni e talvolta di martiri. Nei Paesi di antiche religioni, grazie allo zelo di numerosi missionari e di quanti proseguono la loro opera, suscita attenzione, con il suo mistero di vita, di speranza e di amore.

Cari amici, siate uomini di dialogo e, mediante esso, siate quegli uomini di fede e di preghiera dei quali il filosofo Henri Bergson disse: "La loro esistenza è una chiamata" ("Les deux sources de la morale e de la religion").

Con la mia affettuosa benedizione apostolica.

Data: 1985-03-22 Data estesa: Venerdi 22 Marzo 1985





All'unione consoli onorari - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Singolare missione di pace cercare l'intesa tra le persone



1. Sono lieto di questo incontro con voi, illustri signori dell'Unione dei consoli onorari in Italia e della Federazione internazionale dei corpi e delle associazioni consolari, qui convenuti insieme con le vostre famiglie e con alcuni consoli di carriera.

Il saluto che vi porgo si ispira a sentimenti di apprezzamento per l'istituto consolare, il quale opera nell'ambito delle ampie relazioni che caratterizzano gli Stati moderni per la tutela di interessi comuni alle nazioni e per l'assistenza ai cittadini del Paese rappresentato, al fine di proteggerne i diritti, tutelarne gli interessi e, se necessario, svolgere quelle funzioni che normalmente importano alle persone fisiche o morali attive nello Stato che le ospita. E' nell'interesse delle nazioni e dei cittadini che la figura e l'attività del console siano opportunamente avvalorate e che i compiti della vostra missione siano sempre opportunamente attesi e organicamente garantiti dai pubblici poteri.


2. Nel vostro servizio emergono due gruppi di impegni: il primo concerne le funzioni relative all'interesse pubblico delle nazioni rappresentate; l'altro è un ufficio rivolto alle singole persone che ve ne fanno richiesta. Non di rado, in questo secondo caso, si presentano a voi problemi urgenti, situazioni che appellano il vostro profondo senso di giustizia e di umanità. Problemi contemplati dalla vostra professionalità, come quelli connessi con la documentazione per la libera circolazione delle persone, la definizione del loro stato giuridico, gli accertamenti relativi alla loro posizione civile; ma talvolta situazioni umane che sono affidate prevalentemente alla vostra libera iniziativa, al vostro sentimento umanitario, alla vostra carità. E' confortante constatare come il console, sovente al di là dei doveri imposti dalla propria carica, assuma forme dirette di assistenza ai cittadini ospiti dello Stato in cui egli opera, oppure si faccia interprete delle peculiari necessità di un'intera comunità rappresentata.

La vostra opera ha potuto moltiplicare le sue forme di servizio specialmente nella nostra epoca a motivo dell'accrescersi dei fenomeni migratori che la caratterizzano. Accanto a una migrazione di tipo tecnico, per molti aspetti garantita e protetta negli interessi da convenzioni di lavoro sicure, permane una migrazione solo apparentemente spontanea, ma forzata invece dalla necessità, da fenomeni gravi di recessione dei posti di lavoro, da pressioni ideologiche, politiche, etnologiche. Il fenomeno della gente che si sposta vi coinvolge comunque in situazioni che richiedano il vostro intervento per aiuti validi o consigli decisivi. A voi il compito altamente umanitario di avvertire sulle difficoltà che spesso il forestiero incontra per far valere i propri diritti legalizzati. Ma ancor più, voi sapete che oltre alle leggi e alle garanzie degli uomini esistono necessità reclamate da diritti più semplicemente umani e naturali.

Tra questi specialmente occorre ricordare quanto concerne l'area delle famiglie delle persone che si portano in altri Paesi.


3. E' doveroso, inoltre, accennare all'incremento che voi potete dare alle relazioni internazionali. Il vostro lavoro quotidiano dice che esse non sono fondate sul contrasto, sulla contrapposizione degli interessi oppure sull'emulazione e sul prestigio; ma su rapporti di servizio, stimolati dall'affetto verso il popolo di cui tutelate i diritti, dai problemi umani che si sottendono al reciproco incontro sia della nazione vostra che della nazione per la quale operate.

Si può ben dire che voi svolgete una singolare e capillare missione di pace: una pace cercata specialmente nell'intesa diretta tra le persone. Non siete, quindi, spettatori estranei dei rapporti tra i popoli, ma costruttori pazienti e immediati delle loro relazioni. Voi non siete beneficiari o vittime passive delle vicende internazionali, ma protettori e difensori della pace a titolo speciale, per un peculiare e non trascurabile compito.

Non vi scoraggino le incomprensioni e le difficoltà, ma vi animi nel vostro lavoro non solo l'impegno professionale, ma anche un sincero amore di fratelli.

Vi accompagni la mia benedizione.

Data: 1985-03-23 Data estesa: Sabato 23 Marzo 1985





Al personale del Centro Traumatologico Ortopedico - Roma

Titolo: Riceveremo da Dio quanto avremo dato al fratello sofferente

Signor presidente dell'Unità sanitaria locale, egregi professori e dottori, cari familiari degli infermi e del personale!

1. In procinto di entrare in questo gigantesco edificio, in cui tante persone ritrovano la vigoria del corpo e riprendono con gioia il corso normale della vita, vi esprimo la grande soddisfazione di potermi incontrare con voi e di rivolgere a voi e ai vostri cari la mia parola, nella vigilia della quinta domenica di Quaresima, che ci avvicina sempre più alla Settimana Santa, preludio della Pasqua di risurrezione.

Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno voluto e favorito questa mia visita pastorale, in cui con la mia presenza desidero portare la consolazione di Cristo e l'affetto materno della Chiesa verso coloro che soffrono.

Insieme con l'arcivescovo Fiorenzo Angelini, pro-presidente della Pontificia commissione per la pastorale degli operatori sanitari, porgo il mio deferente saluto al presidente dell'Unità sanitaria locale, dottor Giancarlo Pascucci, ai membri del comitato di gestione, ai coordinatori sanitario e amministrativo, al direttore sanitario, agli operatori sanitari: medici, infermieri, ausiliari; ai tecnici e agli addetti ai vari servizi; ai cappellani e alle suore Minime dell'Addolorata, che da tanti anni prestano con fervore la loro opera infermieristica e spirituale; ai membri del consiglio pastorale e a tutti coloro che come "volontari" si impegnano in un servizio di carità e di sostegno.


2. L'importanza dell'ospedale nella struttura della società attuale è veramente insostituibile, sia per le specialità scientifiche e tecniche che in esso si trovano e che garantiscono e accelerano la guarigione, sia per l'atmosfera di solidarietà e di reciproco aiuto che si instaura, per cui l'individuo non si trova più isolato e sperduto col suo male e la sua angoscia. Immenso è pertanto anche il bene che si può compiere in un ospedale per i fratelli colpiti da qualche infortunio o da qualche malattia.

Il mio saluto è perciò unito anche all'ammirazione e al compiacimento per quest'opera magnifica e grandiosa che è il Centro traumatologico ortopedico, il quale, iniziatosi nel giugno del 1957 come ospedale dell'Istituto nazionale assicurazioni infortuni sul lavoro, è oggi gestito dall'Unità sanitaria locale Roma 1

1. Oggi poi, dall'iniziale specializzazione per ortopedia e traumatologia, esso, come sono stato informato, ha esteso la sua attività con le divisioni di neurochirurgia, chirurgia generale, centro di anestesia e rianimazione, oculistica e urologia, con in dotazione moderne attrezzature radiologiche e un centro trasfusionale.

Pensando a quante persone infortunate o in vari modi malate hanno potuto riacquistare la salute grazie alla perizia e sensibilità dei medici e degli infermieri, e ai moderni ritrovati della scienza, dobbiamo sentirci profondamente riconoscenti al Signore e a quanti hanno contribuito al perfezionamento e al buon andamento di questa casa di cura.


3. Naturalmente il comune desiderio è che tutti potessero sempre godere perfetta salute, e che mai nessuna sventura venisse a sconvolgere il cammino normale della vita. Ma purtroppo sappiamo che non è così: presto o tardi il dolore bussa alla nostra porta e, anche se non vogliamo aprirgli, entra drammaticamente nella nostra esistenza. La fede cristiana ci dice di non perderci d'animo, di mantenere viva e alta la speranza, di confidare in Dio che nessuno abbandona e dimentica, di guardare a Gesù crocifisso, il Verbo divino incarnato che ha voluto soffrire come noi e per noi. Allora il desiderio, che non è realizzabile, diventa augurio di pronta e perfetta guarigione. Tutti infatti sappiamo quanto è preziosa la salute per poter lavorare, interessarci nelle varie attività, impegnarci per i bisogni della famiglia e della società, portare il nostro contributo concreto ed efficace per lo sviluppo e il progresso della società. Auspico pertanto di cuore che i medici abbiano la soddisfazione di vedere accrescersi i risultati positivi della loro arte e della loro fatica, e che i familiari possano abbracciare presto i loro cari ritornati a casa e al lavoro! 4. Tuttavia, in questo luogo di sofferenza, accogliete anche la mia esortazione alla carità, alla bontà, alla pazienza, alla comprensione, all'aiuto reciproco, al senso di fraternità e di umanità.

Ricordiamoci che riceveremo da Dio nella misura in cui, nella nostra vita, avremo donato al nostro prossimo, al nostro fratello sofferente, nel quale dobbiamo saper vedere il volto di Cristo. Non dimenticate mai l'affermazione del divin salvatore Gesù: "Ero malato e mi avete visitato!". Certamente anche la malattia, qualsiasi genere di malattia, fa parte del mistero della salvezza e del progetto della Provvidenza, a cui nulla sfugge. Fate in modo di superare le barriere i limiti del tempo e del luogo, per vedere ogni situazione umana, e perciò soprattutto la prova, nella prospettiva dell'eternità, verso cui tutti siamo chiamati e camminiamo. Fate in modo che in questo centro ospedaliero si senta uno spirito di amicizia e di famiglia, nonostante difficoltà continuamente emergenti, la pressione del lavoro e delle esigenze, la stanchezza per certi servizi assillanti e opprimenti. La vita della società moderna ha reso le persone più sensibili e più fragili; e perciò è necessaria più attenzione, più cordialità, più gentilezza; è necessaria anche più interiorità spirituale, più fede e confidenza nel Signore: "Ero malato e mi avete visitato!".


5. Approssimandosi la solennità della Pasqua, porgo fin d'ora a voi e ai vostri cari i miei più fervidi auguri. In queste due ultime settimane di Quaresima, preparatevi con profonda spiritualità alla grande commemorazione liturgica della risurrezione di Cristo: partecipate ai riti della Settimana Santa, così commoventi e densi di significato; accostatevi ai sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia; godete nei vostri animi la gioia soprannaturale delle certezze portate da Cristo, morto e risorto per noi; vincete il male facendo il bene, recando a tutti l'ulivo della pace! Maria santissima, nostra Madre celeste, vi aiuti e vi conforti nelle vostre difficoltà e nei vostri propositi, e vi accompagni anche sempre la mia benedizione, che ora vi imparto con grande affetto.

Data: 1985-03-23 Data estesa: Sabato 23 Marzo 1985





Ai malati riuniti nella cappella del Centro Traumatologico Ortopedico - Roma

Titolo: Solo nel dolore è possibile l'amore vero

Cari fratelli e sorelle, ospiti del Centro traumatologico ortopedico!

1. A voi in modo particolare, in questa cappella dell'ospedale, rivolgo il mi o saluto più cordiale e il mio augurio più sentito di guarigione. Infatti sono venuto qui essenzialmente per voi e per coloro che vi curano e vi assistono; sono venuto per dimostrarvi il mio affetto di Vescovo di Roma, successore di san Pietro, e di fratello, che conosce la sofferenza e che cosa significhi essere ricoverati in ospedale; sono venuto per partecipare alle vostre ansie e preoccupazioni e per portare il conforto che proviene dalla fede e dall'amicizia; sono venuto per stringere la vostra mano e vedere il vostro volto: infatti, ogni volto umano esprime in qualche modo il mistero dell'uomo e il mistero di Dio, che bisogna saper scoprire e interpretare; sono venuto soprattutto per assicurarvi la costante preghiera mia e di tutta la Chiesa, per sottolineare la realtà meravigliosa del bene sempre presente nella storia umana e quindi anche nell'attuale società, e per farvi un dono di fiducia e di pace! Ringrazio di cuore voi tutti per la vostra accoglienza e coloro che hanno voluto questo incontro, e nell'avvicinarsi della solennità di Pasqua estendo il mio augurio a tutti i malati e i sofferenti della città di Roma.


2. Il trovarmi qui, con voi, suscita in me una profonda commozione. Infatti in questa cappella venivano a pregare il professor Antonio Mosca e suor Luciana Iezzi. Il cuore si riempie tuttora di grande tristezza pensando alla tragica morte, che li strappo improvvisamente al lavoro in quel giorno terribile, il 2 marzo dello scorso anno, quando, com'è noto, l'ascensore con cui scendevano per prelevare medicine, si incendio, ed essi morirono soffocati dal fumo velenoso.

Suor Luciana ebbe ancora il tempo di estrarre dalla tasca la corona del Rosario, e fu ritrovata così, con la corona stretta nella mano rattrappita.

Le due vittime, su proposta del ministro della Sanità, furono insignite, dal presidente della Repubblica, della medaglia d'oro al merito della Sanità pubblica. Essi hanno lasciato un vuoto incolmabile in questa casa di cura, nella cui attività la loro vita aveva inciso notevolmente.

Il professor Antonio Mosca, primario di anestesia e rianimazione fin dal 1972, nel suo lungo e assillante servizio, aveva dato prova di eccezionale ricchezza professionale, morale, umana e cristiana. La sua dedizione era inesauribile, la sua presenza infondeva fiducia e sicurezza: davanti a lui non vi erano solo dei casi clinici, ma persone umane, per le quali sentiva il dovere e il bisogno di mettere a disposizione tutte le risorse di mente e di cuore. La sua alta professionalità era vissuta in un atteggiamento di singolare modestia e riservatezza. Nonostante i molteplici impegni trovava il tempo per la preghiera, che spesso faceva in questa cappella, e per una presenza cristiana nella comunità dell'ospedale, partecipando attivamente al consiglio pastorale. Figura veramente esemplare di medico, di primario e soprattutto di credente.

Suor Luciana Iezzi, religiosa delle Minime dell'Addolorata, svolse in questo Centro la sua attività di infermiera in due periodi: dal 1974 al 1977, e poi dal 1980 al 1984. Il suo servizio fu multiforme: dalla sala operatoria, ai reparti di degenza, alle varie sostituzioni in molteplici servizi. Le caratteristiche della sua spiritualità erano il profondo senso di Dio nelle realtà umane, la riservatezza, la precisione, la disponibilità ed una forte carica di umanità. Chi poté conoscerla nella sua dedizione di religiosa e di infermiera, conserva vivo il ricordo della sua presenza affettuosa, discreta, attenta, incoraggiante, instancabile.


3. Riflettendo sulla tragica e improvvisa scomparsa di queste due persone così buone e preparate, tanto più in questo luogo di sofferenza e di speranza, sorge spontaneo nel credente l'interrogativo circa il motivo di certi eventi che turbano in modo tanto drammatico la storia umana: perché, o Signore, che tutto conosci e tutti ami, permetti avvenimenti così dolorosi e sconcertanti? E' Gesù stesso che dà la risposta, quando - come si legge nella liturgia di domani - egli afferma: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Jn 12,24). Gesù si riferiva principalmente alla sua morte in croce, per la redenzione dell'umanità dal peccato; ma il cristiano è strettamente associato a questo mistero: per portare frutti di bontà, di creazione, di pace, bisogna passare attraverso il distacco, la sofferenza, talvolta addirittura la morte. L'amore autentico non è possibile se non attraverso il dolore. E' una logica superiore, soprannaturale, divina, che vale sempre, ma specialmente per la vita spirituale; se sconvolge i nostri piani umani, bisogna accettarla con fede illuminata e con totale fiducia. La sofferenza fisica o morale, che sopraggiunge talvolta improvvisamente, è una chiamata, un invito, un'esortazione pressante a migliorare, a cambiare vita, a rinascere, a convertirsi. Nulla avviene per caso. In ogni circostanza, bisogna chiedersi: "Che cosa vuole da me il Signore? Da questa situazione in cui mi trovo, da questa forzata inattività, da queste persone che incontro, quale messaggio devo ascoltare per purificare i sentimenti, per elevare lo spirito, per sentire la voce della verità e della coscienza?".

In questo modo si forma un'atmosfera ed un legame di amicizia, di familiarità, di bontà reciproca, che aiuta a superare i disagi della malattia e le eventuali sempre possibili insufficienze: allora le difficoltà non spaventano e non inaspriscono, non irritano, perché c'è la carità "che è paziente, è benigna, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" (cfr. 1Co 13,4).

Questo aveva perfettamente compreso suor Luciana, che nella sua umiltà e nel suo nascondimento possedeva una profonda sapienza. In una pubblicazione recentemente edita si legge questo pensiero riportato da un suo diario spirituale: "Signore rendimi attenta e vigilante alla tua chiamata. Per rispondere alla tua chiamata devo abbandonare ogni logica umana, immergermi nella tua logica e fidarmi di te, anche quando può essere molto doloroso, molto sconvolgente. Pero sono convinta che nella misura in cui mi unisco alla tua passione e morte, saro gioiosa, avro la pace e sarà viva la mia testimonianza di te, che sei l'amore" (24 novembre 1978).

Parole sapienti e di alta spiritualità che possono e devono essere programma di vita per tutti.


4. Carissimi! Ci avviciniamo alla Pasqua ed io vi esorto a prepararvi alla grande solennità liturgica con profonda sensibilità cristiana, in modo da gustare veramente il messaggio di certezza e di salvezza che il salvatore Gesù ci ha portato con l'istituzione dell'Eucaristia, con la sua passione e morte in croce, con la sua gloriosa risurrezione.

Tenete presente l'ultimo pensiero che con scrittura affrettata suor Luciana vergo su di un foglietto la stessa mattina del suo olocausto: "Gesù, la tua morte dia significato alla mia morte e la tua risurrezione dia significato alla mia vita". Tenete presente la sua corona del Rosario! Vivete anche voi nella luce di Cristo risorto, nella letizia della sua pace fondata sulla verità e sulla carità! Confidate in Maria santissima, nostra buona Madre del cielo, pregandola e imitandola nelle sue virtù! E vi sia anche sempre di conforto la mia benedizione, che ora imparto a voi qui presenti e che estendo con affetto a tutti gli infermi ospiti della casa, al personale medico e paramedico, ai vari ausiliari, ai cappellani e alle care religiose.

Data: 1985-03-23 Data estesa: Sabato 23 Marzo 1985





Messaggio ai lavoratori da Telespazio - Avezzano (L'Aquila)

Titolo: Il primato dell'uomo sul lavoro

Carissimi lavoratori della campagna, dell'industria, dell'artigianato!

1. Anche se con qualche giorno di ritardo rispetto a quanto precedentemente programmato, sono molto lieto di essere tra voi, in questa vostra terra della Marsica, una regione che, nella sua storia recente, manifesta in modo singolare quali rapidi sviluppi sociali, quali profonde trasformazioni, quali meravigliosi progressi possano ottenere gli uomini quando nel loro lavoro congiungono impegno e solidarietà, tenace volontà di promozione e perspicacia.

Vorrei testimoniarvi la simpatia, l'affetto, l'ammirazione che la Chiesa ha per voi, lavoratori, e vorrei salutarvi ad uno ad uno, con particolare intensità di sentimenti, per raccogliere direttamente da voi le espressioni del vostro animo, ma anche per assicurarvi che vi sono vicino, condividendo con voi preoccupazioni, speranze, aspirazioni e impegno per una pacifica promozione di tutti i lavoratori e per superare le ansie di un avvenire difficile o incerto.

Sono vivamente grato al signor ministro per le Partecipazioni statali Clelio Darida per il saluto che mi ha recato a nome del Governo italiano e per l'efficace descrizione che ha voluto farmi dell'importante opera che, mediante l'Iri, è stata qui realizzata. Rivolgo pure un cordiale ringraziamento al signor sindaco, il quale nel darmi il benvenuto ha ricordato i drammi, i dolori, ma anche le conquiste sociali e civili che riguardano la vostra comunità. Egli mi ha dato una grande gioia soprattutto asserendo la grandezza della fede delle vostre tradizioni religiose, tuttora vivaci, apprezzate e significative.

Ho ascoltato con grande attenzione e con viva partecipazione gli indirizzi pronunciati dai vostri rappresentanti, cari lavoratori, cogliendone le linee significative: la terra della Marsica è una terra provata, resa talvolta aspra da avvenimenti particolarmente tragici; una terra pero che voi avete trasformato radicalmente, rendendo fertile un territorio paludoso, favorendo le comunicazioni dove i monti imponevano l'isolamento delle singole comunità, creando posti di lavoro dove l'emigrazione forzata costituiva un doloroso destino di tanti giovani.

Vorrei manifestare a ciascuno di voi la mia solidarietà nell'aspirazione che avete espresso e che muove il vostro impegno quotidiano, di voler superare quanto rende l'uomo insoddisfatto della sua condizione; denunciando con franchezza tutto ciò che sa di egoismo, di sopraffazione, di raggiro degli interessi giusti del lavoratore, e impegnandovi per un'effettiva promozione sociale, per il rispetto della dignità umana nel mondo del lavoro agricolo, industriale e artigianale. Voi avete messo bene in luce i vostri problemi. Si tratta di sconfiggere, come voi dite, le moderne schiavitù e di promuovere leggi sempre più giuste e adeguate, al fine di superare mediante l'impegno di tutti il preoccupante tasso di disoccupazione. Altrettanto urgente è il compito di riportare i frutti della terra alla loro provvidenziale destinazione, quella di sfamare l'uomo. In un mondo in cui tanta parte dell'umanità è provata dalla fame e mentre sempre più efficaci si fanno gli strumenti di conservazione e di trasporto delle derrate alimentari, è motivo di profonda amarezza che si debba ricorrere alla distruzione dei prodotti per salvare i commerci. Difendendo i frutti della terra, potrà essere incrementato quel ritorno all'agricoltura che non pochi giovani già sentono come un sano programma per il loro avvenire e per le loro esigenze culturali.

Il ministero, che mi è stato affidato e che mi ha portato qui da voi, mi spinge a farmi eco delle vostre richieste e a incoraggiare con rinnovato slancio ogni vostro proposito di impegno generoso per superare gli ostacoli che ancora vi assillano.


2. Sono qui venuto nel ricordo di san Giuseppe, patrono dei lavoratori, che raccolse il senso della quotidiana fatica dalla viva presenza di Cristo accanto al suo banco di lavoro. Egli è così diventato il modello del lavoratore cristiano.

Egli ci aiuta a comprendere il senso profondo della parola di Dio sul lavoro umano: "Riempite la terra; soggiogatela e dominate su di essa" (Gn 1,22); "Spine e cardi produrrà per te... Con il sudore del tuo volto mangerai il pane" (Gn 3,18-19). Queste due affermazioni di Dio all'inizio della Bibbia, sul limitare della storia, illuminano con potenza e verità il dramma del lavoro dell'uomo. V'è indicata innanzitutto l'intenzione di Dio di affidare all'uomo il compito di realizzare se stesso, conquistando col suo lavoro una vera signoria sul mondo. V'è preannunciato anche lo scacco conseguente al peccato, che avrebbe ridotto l'uomo a dover sopportare come penso ciò che gli era stato offerto come dono. Il dramma si risolve non nella sconfitta dell'uomo, quasi il lavoro fosse per lui maledizione, ma nell'amore salvifico di Dio che tende la mano all'uomo per riprendere il progetto infranto.

E' questa la realtà del lavoro che trova compimento anche nella vostra storia in una maniera che suscita ammirazione e commozione. Ammirazione per quanto avete saputo fare voi e i vostri padri di questa terra della Marsica: per i vostri campi dove prima si stendevano le acque del lago del Fucino e su queste montagne che vi circondano; per lo sviluppo industriale che siete riusciti a darvi.

Ammirazione che si fa commozione ripensando all'immane fatica e al coraggio dimostrato, lungo tanti anni della vostra storia, nei frangenti difficili, fra i quali emerge, in tempi recenti, il tremendo terremoto del 191 5. Né va dimenticato il sofferto cammino dei vostri emigranti per tutte le regioni del mondo.

Un'esperienza di sacrificio, di dolore e insieme di grande dignità e solidarietà.

E le tribolazioni non sono finite, se pensiamo al rischio incombente, e da taluni già in corso, della disoccupazione e sottoccupazione. Eppure non vi siete arresi, né vi arrenderete, perché Dio è con voi. Ne avete sentito e ne sentite l'appassionata partecipazione alle vostre tribolazioni nella presenza di tanti suoi ministri che condividono la vostra vita.

Parlando di questo, il pensiero va ad una delle figure più luminose che restano nella vostra memoria dai tempi del terremoto di 70 anni fa: il beato Luigi Orione. Quest'umile e povero prete, intrepido e instancabile, divenne per voi testimonianza viva dell'amore che Dio ha nei vostri confronti. Questo modello di santo dei poveri non è il solo a chinarsi sulle membra doloranti dell'umanità.

Egli entra a far parte della lunga schiera di testimoni che con la loro condotta hanno manifestato qualcosa di più che una solidarietà semplicemente umana, addolcendo il sudore amaro della vostra fronte con parole e fatti di liberazione, di redenzione, e quindi di sicura speranza.


3. "La Chiesa è convinta che il lavoro costituisce una dimensione fondamentale dell'esistenza dell'uomo sulla terra": così scrivevo nella lettera enciclica sul lavoro (LE 4). Anche sul piano soltanto umano, sappiamo che l'uomo può essere se stesso e raggiungere il fine della sua vita, mediante l'impegno assiduo di trasformazione di sé e l'intervento operoso sul mondo che lo circonda: superare ostacoli, progettare nuove condizioni di esistenza, procurare beni necessari per il corpo e per lo spirito, il pane e la cultura. Ebbene, l'esperienza umana, soggetta a delusioni e deformazioni, riceve dalla visione cristiana un formidabile sostegno. Ci colpisce il fatto che nella Bibbia Dio si manifesti per la prima volta al mondo e agli occhi dell'uomo come creatore, come uno cioè che con saggezza e bontà costruisce il mondo. Dio stesso appare come un lavoratore, nella figura dell'architetto (Gn 1), oppure in quella dell'artigiano (Gn 2). Lungi dall'essere padrone geloso della sua creazione, Dio ne fa dono gioioso e senza riserve all'uomo, e gli affida il compito di prolungarne l'attività secondo un progresso mai chiuso. ln questo modo - e non attraverso una statica e impaurita rassegnazione - l'uomo può rivelare alla sua coscienza e a quella di tutte le creature di portare in sé il sigillo di un'origine e di una destinazione divina. Il suo lavoro, ogni forma di lavoro, diventa in qualche modo prolungamento e compimento del progetto di Dio.


4. Il lavoro è una consegna che Dio fa all'uomo; esso tuttavia può riuscire difficile, e il lavoratore può non vedere il frutto delle proprie fatiche. Non di rado avviene che la penosa fatica di tanti uomini e donne non sia sufficientemente riconosciuta e giustamente rimunerata.

La dottrina sociale della Chiesa - come ben sapete - afferma con forza il diritto del lavoratore ad avere una giusta mercede e, in pari tempo, proclama il primato dell'uomo nei riguardi del lavoro. L'uomo non deve essere schiavo, ma padrone del proprio lavoro: cioè deve vedere rispettata nel lavoro la propria dignità.

Le conseguenze di questo principio sono enormi: l'uomo non può venire mai trattato come uno strumento di produzione; gli uomini che lavorano hanno diritto alla solidarietà fra loro e al sostegno da parte della società, perché sia salvaguardata la loro partecipazione alla crescita del bene sociale, il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona dei lavoratori e delle rispettive famiglie.

In questo contesto, rivolgendo poi il pensiero a tanti disoccupati, in particolare ai giovani alla ricerca del primo impiego, nella consapevolezza del bisogno di un processo culturale ed educativo per chi affronta oggi il mondo del lavoro, sempre più esposto ad alti livelli di specializzazione, non posso che scongiurare i responsabili politici e sociali, di contribuire con tutte le risorse della loro intelligenza e buona volontà per risolvere questi nodi così delicati per la dignità della persona con la partecipazione degli stessi lavoratori, con realismo, coraggio e larghezza di vedute.


5. Ma sarebbe troppo poco riconosciuta la dignità dei lavoratori e impoverita la carica di verità e di forza che possiede la rivelazione cristiana, se non vi dicessi ad alta voce che non basta il lavoro per realizzare la vocazione dell'uomo, e che esiste un altro compito che la persona assume come anima della fatica quotidiana.

Proprio dentro il sistema del lavoro risuona il comando del Signore, balenato fin dagli inizi nel riposo del settimo giorno (Gn 2,1-3): "Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro, ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore tuo Dio: tu non farai alcun lavoro... Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in esso, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha dichiarato sacro" (Ex 20,8-11) Con Gesù risorto nel primo giorno dopo il sabato, il giorno del Signore è diventato la domenica. E' il momento prezioso in cui chi lavora, e certe volte duramente, può ritrovare il senso del suo lavoro, esprimere a Dio il grazie per la fatica delle proprie mani, condividere in modo più disteso la compagnia dei propri cari, dai quali il lavoro rischia di tenere lontani, visitare persone malate e indigenti. In particolare ogni cristiano è chiamato a partecipare ad un banchetto di festa, la messa domenicale. Riuniti insieme a formare la comunità cristiana è dato ai lavoratori di sentire e partecipare ad una realtà che li deve confortare. Dopo avere spiegato la parola di Dio, il celebrante alza il pane e il vino verso Dio dichiarando: "Benedetto sei tu, Signore Dio dell'universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane (e questo vino), frutto della terra e del lavoro dell'uomo, lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna (bevanda di salvezza)". Dio in Gesù Cristo ci dona la grazia di cogliere il senso vero del nostro lavoro. Anche se talvolta il lavoro è unito alle tribolazioni, esso non è più una maledizione, un sudore senza frutto, ma è partecipazione al sacrificio redentore di Cristo. Come è avvenuto per Gesù, la fatica - talvolta grave - del lavoro si fa preghiera sacrificale per la liberazione dal male nel cuore proprio e altrui e insieme si trasforma in capacità di vedere nella costruzione sempre migliore della città dell'uomo un presagio, un anticipo di quello che sarà il regno di Dio definitivo.

Nel terminare il mio colloquio con voi, cari lavoratori della Marsica, vorrei congiungere a questo invito di far diventare il vostro lavoro preghiera unita al sacrificio di Cristo, l'appello suggerito dal prossimo Convegno ecclesiale italiano che ha per tema "Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini": affido a voi il compito di testimoniare nel mondo del lavoro e in quello più ampio della società la riconciliazione cristiana, dono di Dio.

Si erge accanto a noi questo grandioso centro per le telecomunicazioni, realizzato dall'Iri. Un centro che testimonia la possibilità di impiegare le più moderne tecnologie per facilitare, anche attraverso le comunicazioni spaziali, la diffusione delle conoscenze e delle informazioni. Qui, dinanzi a Telespazio, espressione della scienza più progredita e di quanto l'uomo abbia saputo realizzare col suo lavoro, vorrei rivolgere un saluto e un augurio a tutti i lavoratori del mondo, invocando su tutti la protezione di san Giuseppe.

[In francese:] Saluto tutti i lavoratori del mondo, con viva simpatia, con grande affetto. Si, cari lavoratori, desidero assicurarvi che la Chiesa vi è vicina, che è vostra alleata, vostra amica. Abbiate fiducia in lei! Essa è al vostro fianco per difendere le vostre legittime aspirazioni e la dignità del vostro lavoro, convinta che "il lavoro è un bene dell'uomo - è un bene della sua umanità - perché, mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo e anzi, in un certo senso, diventa più uomo" (LE 9). Ecco il piano di Dio, ecco il mio augurio, ecco ciò cui bisogna tendere. Onore al lavoro! E, soprattutto, onore a tutti i lavoratori del mondo! Le installazioni di questo centro italiano di teletrasmissione permettono di trasmettere in tutto il mondo questo incontro che si svolge nella domenica che segue la festa di san Giuseppe: esse ci ricordano che questa nuova tappa tecnologica nel campo delle comunicazioni può essere ricca di speranza. Il mio augurio è che questi mezzi contribuiscano veramente e sempre all'intesa tra gli uomini e al progresso dell'umanità.

[In spagnolo:] La visione cristiana assume, approfondisce e consolida il sentimento umano del lavoro e, di conseguenza, anche i molti contributi che da ogni parte giungono a voi, uomini e donne del lavoro. Per questo vi auguro che abbiate sempre nella vostra vita questa visione cristiana della persona, del suo destino eterno e del valore trascendente del suo lavoro, perché il mistero della vostra esistenza si realizzi alla luce del Vangelo, con l'aiuto della forza redentrice di Gesù Cristo. A voi che conoscete, come Maria e Gesù a Nazaret, lo sforzo e la fatica, la Chiesa guarda con profondo rispetto e apprezzamento. Essa desidera anche partecipare alle vostre difficoltà e alle vostre speranze. Prego Dio che sappiate per parte vostra offrire all'umanità e alla Chiesa stessa il valido apporto di tanti valori di cui siete portatori.

[In inglese:] La Chiesa proclama il suo profondo desiderio di essere vicina a tutti i lavoratori del mondo. Vuole partecipare alla loro vita e parlare loro dell'importanza suprema che il Vangelo di Gesù Cristo ha per voi nelle circostanze ordinarie nelle quali vi trovate ogni giorno. La Chiesa vuole parlarvi della dignità del vostro lavoro e di come esso contribuisca al vostro progresso umano e cristiano, alla promozione della famiglia e della nazione e alla trasformazione stessa del mondo. Indicando i vostri diritti e doveri, la Chiesa proclama che il vostro lavoro è una partecipazione all'attività di Dio creatore.

Essa dichiara tutto questo nel nome di Cristo che guarda con amore al lavoro umano e che appartenne egli stesso al "mondo del lavoro". Si, la Chiesa vuole avere con voi lavoratori un "dialogo di salvezza" e vuole farlo in ogni diocesi e in ogni parrocchia. Perché è a questo livello che voi dovete vivere e agire da cristiani.

E in queste situazioni che siete chiamati a rendere concreto l'insegnamento di Cristo: attraverso l'onestà del lavoro e la rettitudine della vostra vita, siete chiamati a rendere testimonianza, davanti ai vostri compagni di lavoro, della potenza del Vangelo. In tutto questo, san Giuseppe è vostro esempio, patrono e amico.

[In tedesco:] Saluto di cuore anche voi, lavoratori e datori di lavoro di lingua tedesca. Giuseppe, il patrono del lavoro, di cui la settimana scorsa abbiamo celebrato la festa, ci ricorda il valore e la dignità di ogni lavoro umano, sia che richieda le nostre energie fisiche che intellettuali. Lavoro non significa asservimento ma è un compito e una vocazione alla cooperazione attiva alla creazione e alla configurazione della società umana. E' un diritto e un dovere fondamentale dell'uomo. Perciò il lavoro non può dividervi; esso vi impegna invece alla solidarietà e alla fraternità: lavoratori e datori di lavoro, lavoratori manuali e lavoratori intellettuali, coloro che hanno un lavoro e quelli che non riescono a trovarlo. Soltanto attraverso sforzi comuni che comprendono anche sacrifici compiuti l'uno per l'altro, voi potete superare con successo i grandi problemi del moderno mondo del lavoro, per il bene di tutti. In questo i cristiani sono chiamati in modo particolare a riconoscere il loro prossimo soprattutto in chi è svantaggiato e bisognoso e a soccorrerlo col cuore e nei fatti, secondo lo spirito del Vangelo. Dio benedica il mondo del vostro lavoro! Benedica l'opera delle vostre mani e del vostro intelletto! [In portoghese:] Nel salutare, in questa domenica che segue la festa di san Giuseppe, i lavoratori del mondo, prego Dio perché benedica e santifichi le loro persone e mostri loro la nobiltà dei loro sforzi e delle loro fatiche, anche come dimensione di fraternità e come cammino verso l'intesa, il progresso e la pace. La Chiesa, col suo esempio di fedeltà a Dio e di "segno" e "strumento" in Cristo, della salvezza, al servizio dell'unità del genere umano, vede nel lavoro una fonte di vita, di dignità, di realizzazione personale e di bene comune. Lo stesso Cristo vide il lavoro come un bene, un dovere per realizzare i disegni divini e salvare l'uomo. Onore ai lavoratori! E che ogni giorno di più il mondo da essi dominato e trasformato, serva alla gloria di Dio e sia degna dimora degli uomini fratelli! [In italiano:] La mia benedizione apostolica su voi tutti, cari lavoratori, sulle vostre famiglie, sulle vostre comunità di lavoro, sulle iniziative che con buona volontà desiderate intraprendere.

Data: 1985-03-24 Data estesa: Domenica 24 Marzo 1985



GPII 1985 Insegnamenti - Al Segretariato per i non credenti - Città del Vaticano (Roma)