GPII 1985 Insegnamenti - Al Seminario Lombardo - Piazza S. Maria Maggiore (Roma)


2. Le circostanze mi consentono di suggerirvi soltanto alcuni rapidi spunti di riflessione. A ispirarli sarà, com'è ovvio, la figura del grande arcivescovo milanese, che tanta orma di sé ha lasciato nella Chiesa. Il pensiero va innanzitutto alla vita di eccezionale austerità che egli condusse. Il suo biografo più autorevole, Carlo Bascapé, nel "De vita et rebus gestis Caroli" dedica numerose pagine alla descrizione delle penitenze durissime a cui egli si sottopose, specialmente negli ultimi anni.

E' certo giusto osservare che san Carlo ebbe da Dio una chiamata personale, in funzione di un ruolo ecclesiale particolarissimo. Sarebbe quindi arbitrario voler vedere in ogni aspetto della sua condotta una norma valida per tutti. Ma come non riconoscere nella sua esperienza il preciso richiamo a un valore evangelico di fondo, quello della rinuncia, o, per dirla con termine classico, della "mortificazione", valore col quale ogni generazione cristiana deve necessariamente confrontarsi? In una società come la nostra, affascinata dal mito del consumismo, questo è un discorso che può suonare ostico. Ma noi sappiamo che la mortificazione evangelica non è soffocamento di valori autenticamente umani né, tantomeno, loro sconfessione. Essa è piuttosto la condizione indispensabile per garantire all'uomo la libertà interiore che, sottraendolo alla suggestione dei beni sensibili, gli consente di realizzarsi secondo la verità del proprio essere spirituale.


3. Il secondo pensiero che san Carlo mi suggerisce riguarda il tema del vostro perfezionamento negli studi ecclesiastici. Voi sapete quanta stima il Borromeo aveva per gli studi e quanta cura egli pose per assicurarsi un clero dotto, oltre che pio. E' quanto rivendica egli stesso nel Sinodo del 1568, parlando ai suoi sacerdoti: "Quod vero attinet ad studium sacrarum Litterarum Nos, quantum in Nobis fuit, nihil pene non egimus, ut vos eruditos haberemus". E spiega: "E' vostro compito istruire le menti dei fedeli sui misteri della vita cristiana e sui precetti della legge divina; qua sane ratione fiet, neglectis studiis? Vostro compito è pure di spiegare l'efficacia dei sacramenti e la loro pratica; quo id pacto fiet, neglectis studiis? Spetta a voi, infine, dirimere i casi di coscienza, quonam modo fiet, neglectis studiis?" (S. Caroli Borromaei orationes XII, Romae, pp. 84-85).

Nel far eco a tali ammonimenti del grande arcivescovo, mi piace ricordare che iniziatore di questo seminario fu un altro illustre membro della famiglia Borromeo, quell'Edoardo, maestro di camera di Pio IX e poi cardinale, che in quest'opera profuse tempo, sollecitudini e sostanze. La serietà del vostro impegno nella quotidiana fatica dello studio possa corrispondere alle attese di chi avvio questa istituzione e soprattutto a quelle dei vostri vescovi, che contano su di voi per un servizio qualificato nelle rispettive diocesi.


4. Chi conosce san Carlo sa bene che in cima a ogni sua preoccupazione vi fu sempre quella di coltivare in sé e negli altri un'intensa vita interiore, alimentata alla sorgente di un'assidua e fervorosa preghiera. Egli era convinto che "niente è così necessario a tutte le persone ecclesiastiche quanto la meditazione che precede, accompagna e segue tutte le nostre azioni". Con essa, egli aggiungeva, "potremo facilmente superare le difficoltà che incontriamo, e sono innumerevoli, ogni giorno... ed avremo la forza per generare Cristo in noi e negli altri" (S. Caroli Borromaei orationes XII, p. 136).

Mi auguro che questa convinzione di san Carlo, condivisa del resto da ogni altro santo in tutte le epoche della Chiesa, si trasfonda in ciascuno di voi e vi induca a impegnarvi per divenire veri uomini di preghiera. Vi guidi in questo cammino la Vergine santa, anima orante per eccellenza, la cui maestosa basilica, veneranda per antichità e per consenso di fedeli, sorge proprio qui accanto. Ai suoi piedi possa ciascuno di voi imparare a dialogare cuore a cuore con Dio, premessa indispensabile, questa, per aprire un dialogo apostolicamente fruttuoso con i fratelli.

Vi benedico con grande affetto.

Data: 1985-01-13 Data estesa: Domenica 13 Gennaio 1985





Ai vescovi dell'Uruguay in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Vangelo senza compromessi per rispondere al secolarismo

Carissimi fratelli nell'episcopato.


1. Grazie alle relazioni quinquennali e ai colloqui che ho avuto con ciascuno di voi, ho potuto familiarizzarmi con la realtà ecclesiale e umana in cui svolgete la vostra missione di pastori. Sono stato lieto di constatare che, malgrado la carenza di personale e di sufficienti mezzi materiali, avete dato vita a una presenza evangelica sempre più concorde con gli orientamenti del Concilio ecumenico Vaticano II e delle Conferenze di Medellin e di Puebla.

Con profonda gioia accolgo oggi i successori di monsignor Jacinto Vera, primo vescovo di Montevideo, il cui spirito ecclesiale continua a mantenersi vivo in voi, posti dallo Spirito Santo alla guida della Chiesa di Dio in Uruguay. In questo momento desidero assicurarmi che alla mia mente non è presente solo la vostra missione pastorale, ma che al centro della mia attenzione vi sono le vostre persone e intenzioni, le difficoltà e i sacrifici spesso sconosciuti, i momenti di solitudine o le sensazioni d'impotenza che, nel vostro arduo impegno, possono forse insinuarsi nel vostro spirito. Sappiate anzitutto che sono con voi, che vi accompagno con fraterno affetto e che questo si traduce nel vostro costante ricordo nella mia preghiera. In essa presento al Signore anche le necessità di tutti i membri delle vostre diocesi.

In questo spirito d'amore ecclesiale voglio ora affrontare alcune riflessioni che desidero puntualizzare con voi, riguardo ad alcuni punti che considero necessari per il bene della Chiesa, che è in cammino verso il Padre, in Uruguay.


2. Per raggiungere il grande obiettivo di un reale rinnovamento nella fede dei vostri fedeli, che li conduca sicuri ad impegnarsi nella creazione della civiltà dell'amore nella vostra terra, è necessaria una profonda evangelizzazione della cultura del vostro popolo. La cultura infatti ha un potere maggiore di ogni altra forza.

Nel vostro Paese, la diffusione di una concezione laicista della società, dell'educazione e della cultura; il secolarismo imperante nelle concezioni ideologiche e morali, la visione scorretta del valore della vita e della stabilità della famiglia, costituiscono un'urgente chiamata a unire ogni sforzo per creare una cultura sempre più conforme ai principi evangelici.

Non possiamo dimenticare che "il punto essenziale della cultura è costituito dall'atteggiamento con cui un popolo afferma o nega il vincolo religioso con Dio, per quanto riguarda i valori religiosi e non. Questi hanno a che vedere con il senso ultimo dell'esistenza e si radicano in quella zona profonda dove l'uomo trova risposta alle domande basilari e definitive che lo preoccupano" (Puebla 389).

E dato che la religione o le restanti credenze sono ispiratrici di tutti gli altri ordini della cultura - familiare, economico, politico, artistico, ecc. - in quanto li rivolge verso la trascendenza o li rinchiude nel proprio significato immanente, non possiamo tralasciare di comunicare con tutti i mezzi il messaggio di Gesù, tenendo conto dell'uomo nella sua interezza, nell'intento di raggiungerlo nella sua totalità, a partire dalla sua vocazione divina alla comunione con Dio e alla fraternità universale con gli altri uomini. Per questo bisogna evangelizzare "non in modo esteriore, come se si trattasse di una vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle sue stesse radici, la cultura e le culture dell'uomo" (EN 20).

Solamente con una tale evangelizzazione si potrà fare in modo che la visione cristiana della realtà sia presente fin dal primo momento in cui la persona umana s'interroga sul problema del senso della vita e della storia umana; e si potrà quindi ottenere che il Vangelo trasformi la coscienza di ciascun uomo e dell'umanità, orientandone le opere, i progetti, l'intera vita e il contesto sociale in cui si trovano (cfr. GS 58). Una cultura generata dalla fede è il grande compito da realizzare. Possiamo chiamarla cultura cristiana, perché la fede in Cristo non è un puro e semplice valore tra i valori che le varie culture propongono, ma, per il cristiano, è il giudizio ultimo che giudica tutti gli altri, sempre nel pieno rispetto della loro peculiare consistenza.


3. In quest'opera della Chiesa nei confronti della cultura hanno avuto particolare importanza, e continuano ad averla tuttora, le università cattoliche. Per questo con gioia approvo la recente fondazione in Uruguay dell'università cattolica Damaso Antonio Larranaga. E' mio fervido desiderio che tramite essa si possa rendere pubblica, stabile e profonda la presenza del pensiero cristiano nello sforzo di promuovere la cultura superiore. La Chiesa, infatti, cosciente della sua missione salvifica nel mondo, auspica la creazione di centri d'istruzione, compresa quella superiore, e vuole che siano fiorenti ed efficaci, affinché attraverso di essi l'autentico messaggio di Cristo non sia assente dall'importantissimo ambito della cultura umana.

Sono sicuro, perciò, che saprete prestare alla vostra università cattolica - così come alla scuola cattolica in generale, che ha una funzione tanto importante - il dovuto sostegno e incoraggiamento, affinché compia adeguatamente la sua funzione, al servizio del pensiero cristiano e della causa della promozione integrale del popolo uruguayano.


4. Non v'è dubbio che per poter esercitare con maggior efficacia e adattamento alla realtà questi urgenti e delicati compiti, dovrete potenziare la dimensione collegiale del vostro lavoro come conferenza episcopale. E' altrettanto vero che questa non può occupare il posto che spetta a ciascun vescovo, pastore diretto della diocesi, in nome di Cristo (cfr. LG 20 LG 23). Tuttavia è evidente che la mutua collaborazione dei fratelli all'interno della stessa conferenza è un efficace mezzo per ottenere un maggior bene agli stessi fedeli su scala nazionale (cfr. CIC 447). La problematica, frequentemente ampliata a livello nazionale, richiede infatti studi e orientamenti a questo livello, con la sincera collaborazione di tutti, con impostazioni chiare e unitarie. Solo così i fedeli verranno guidati in modo opportuno, evitando confusioni e divisioni. Questo dovrà spingervi a studiare insieme, con carità, decisione e umiltà, i problemi più gravi, in modo che con la collaborazione sincera di tutti si raggiunga una linea sostanzialmente comune che faciliti a ciascuno l'esercizio del proprio compito pastorale.

E' logico che per prima cosa nei vostri documenti dovrete preoccuparvi dei temi riguardanti la vita religiosa del vostro popolo, vista nella sua realtà concreta esistenziale, per proiettare su di essa la luce del Vangelo, con tutte le sue esigenze e dimensioni, con una visione da pastori e non da tecnici. In questo compito, vivete profondamente l'unità tra voi, così come con il successore di Pietro e con tutta la sua Chiesa. Tale unità tra voi sarà di stimolo alla promozione dell'unità tra i vostri sacerdoti, gli agenti della pastorale e tutti i membri delle vostre Chiese particolari.


5. Vorrei indicarvi tre strade per potenziare operativamente e dinamicamente l'unità all'interno del vostro ministero pastorale.

Come vescovi siete la voce di Cristo nel vostro Paese. Siete maestri di verità. In una Chiesa al servizio della verità, siete i primi evangelizzatori e nessun altro compito può esimervi da questa sacra missione. Dovrete, quindi, vegliare affinché le vostre comunità progrediscano incessantemente nella conoscenza e nella pratica della parola di Dio, incoraggiando e sostenendo coloro che insegnano nella Chiesa. Per questo, nel promuovere la collaborazione dei teologi che esercitano la loro specifica missione all'interno della Chiesa, non potrete tralasciare di prestare il servizio del discernimento della verità, nella fedeltà al magistero della Chiesa, evitando, quando fosse necessario, paralleli magisteri di persone e gruppi (cfr. Puebla, 687).

Come vescovi avete anche una precisa responsabilità in campo liturgico in quanto pontefici e santificatori. Per questo dovrete promuovere la liturgia e la fruttuosa celebrazione dell'Eucaristia (cfr. LG 22). Dovrete garantire il rispetto per le norme della Chiesa, soprattutto per quanto riguarda la celebrazione dell'Eucaristia, che mai dovrà essere abbandonata all'iniziativa particolare di persone o gruppi che ignorano gli orientamenti dati dalla Chiesa. A questo proposito, dovrete ripensare se non è giunto il momento di fissare delle norme definitive e unitarie sulla scelta dei testi e dei libri liturgici, in accordo con le indicazioni della Santa Sede.

Come vescovi, voi siete i servitori dell'unità. Tramite la sacra potestà conferitavi nell'Ordinazione episcopale, dovete suscitare la fiducia e la partecipazione responsabile di tutti, creando nella diocesi un clima di organica comunione ecclesiale, senza rinunciare all'uso della vostra autorità - che è vostra responsabilità - in situazioni che esigono una rettifica della condotta o della disciplina ecclesiastica di persone o comunità. Particolarmente delicato si presenta il servizio del governo ecclesiale in momenti di effervescenza politica, affinché ciascuno collabori alla costruzione della città terrena, ma senza dimenticare che "i pastori, dato che si devono occupare di unità, si spoglieranno di ogni ideologia politico-partigiana che possa condizionare i loro criteri e attitudini" (Puebla, 526). Solo così saranno promotori di pace sociale, di riconciliazione e convivenza democratica, all'interno del giusto interesse per la guida morale della comunità dei fedeli verso obiettivi di maggior giustizia sociale, di difesa e promozione dei diritti di ciascuno, a cominciare dai più poveri.


6. In questi ultimi anni avete sperimentato un significativo aumento di vocazioni nel seminario maggiore. Me ne rallegro e vi incoraggio a raddoppiare i vostri sforzi in questa direzione, cominciando dalla promozione delle vocazioni a livello di seminario minore. Nello stesso tempo, con la particolare sottolineatura che merita questo importante settore, vi incarico della cura della buona formazione dei candidati al sacerdozio. Gli sforzi fin qui prodigati sono di somma importanza per la Chiesa.

E affinché le vocazioni trovino un ambiente naturale in cui poter germogliare e svilupparsi, abbiate particolare cura dell'importantissima pastorale della famiglia. Insistete e orientate i vostri sacerdoti, perché pongano tale compito tra le loro priorità assolute. Moltiplicheranno l'efficacia del loro apostolato, se riusciranno a fare di ogni famiglia una vera e propria Chiesa domestica e un centro propulsore di evangelizzazione nei confronti di altre famiglie (cfr. FC 52-55).

Oggetto di frequente preoccupazione sono la disgregazione familiare e la mancanza di chiari criteri morali in questo campo. A questo proposito tracciate dei precisi piani d'azione, coordinati a livello diocesano e nazionale; fate scoprire ai laici la grandezza umana e cristiana della loro missione; ricordate loro il dovere di essere fedeli al magistero della Chiesa nel campo della paternità responsabile e della procreazione, seguendo le norme contenute nell'enciclica "Humanae Vitae". Interessate a questo aspetto i vostri sacerdoti, affinché collaborino in modo adeguato a questo compito.

Con grande spirito pastorale, aiutate gli sposi cristiani nelle loro difficoltà e nei loro problemi, affinché si sentano incoraggiati sempre più verso l'amore misericordioso di Gesù e l'integrità della vita cristiana. Potranno così essere centri propulsori di esperienza piena dell'ideale cristiano e capaci di contribuire in modo solido al bene della società. Quest'ultima ha molto bisogno in Uruguay di famiglie unite, moralmente sane, aperte agli altri, creatrici di moralità a tutti i livelli, educatrici alla fede, rispettose dei diritti di ogni persona, iniziando dal rispetto della vita di ogni creatura, dal momento stesso del suo concepimento. Non tralasciate, quindi, d'insistere a questo proposito, sull'insegnamento costante della Chiesa sulla sacralità di ogni vita umana, della vita in tutte le fasi della sua esistenza.


7. Cari fratelli, concludendo il nostro incontro, vi ho reso partecipi di queste riflessioni come fratello nella Sede di Pietro, a manifestazione della profonda gratitudine per ciò che siete e che cercate di essere con l'aiuto del Signore: un segno di speranza in Cristo Gesù, segno forte e fecondo come la croce, per poter essere di fronte al popolo segno di Cristo risorto. Perché è lui, il crocifisso-risorto, che comunica oggi, tramite il nostro ministero, la grazia della salvezza a ciascun uomo.

Che la Vergine dei Trentatré, patrona dell'Uruguay, a cui ricorrete con tanta devozione, vi assista con la forza della Pasqua del suo Figlio. E che lo Spirito di Gesù vi santifichi nella fedeltà al vostro sacro e zelante ministero.

Ricordandomi nella preghiera di voi e delle vostre comunità di fede cristiana, imparto a tutti con affetto la benedizione apostolica.

Data: 1985-01-14 Data estesa: Lunedi 14 Gennaio 1985





Al Pontificio consiglio per la cultura - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il dialogo Vangelo-culture per una civiltà dell'amore

Cari fratelli nell'episcopato, cari amici.


1. Grande è la mia gioia questa mattina nell'accogliervi a Roma in occasione della terza riunione annuale del consiglio internazionale del Pontificio consiglio per la cultura.

Vi ringrazio sinceramente per la vostra attiva presenza e per aver accettato di consacrare il vostro tempo e le vostre energie a questa stretta collaborazione con la Sede apostolica. Saluto con particolare affetto il cardinale Gabriele Maria Garrone, presidente del vostro comitato di presidenza, e il cardinale Eugenio de Araujo Sales. Mi rivolgo con riconoscenza anche alla direzione esecutiva del Pontificio consiglio per la cultura rappresentato dal suo presidente, il signor Paul Poupard e dal suo segretario, padre Hervé Carrier che, con i loro zelanti collaboratori e collaboratrici, si impegnano a compiere un'opera vasta e qualificata.


2. Il Pontificio consiglio per la cultura riveste ai miei occhi un significato simbolico e pieno di speranza. Infatti, vedo in voi i testimoni qualificati della cultura cattolica nel mondo, incaricati di riflettere anche sulle evoluzioni e le attese delle diverse culture nei vostri ambiti e settori di attività. Per la missione che vi è stata affidata, voi siete chiamati ad aiutare, con competenza, la Sede apostolica a meglio conoscere le aspirazioni profonde e diverse delle culture di oggi e a meglio discernere come la Chiesa universale vi possa rispondere. Nel mondo, infatti, gli orientamenti, le mentalità, i modi di pensare e di concepire il senso della vita, si modificano, si influenzano reciprocamente, si scontrano senza dubbio più vigorosamente che mai. Questo caratterizza coloro che si dedicano lealmente alla promozione dell'uomo. Il vostro lavoro di studio, di consultazione e di animazione - intrapresi in connessione con gli altri dicasteri romani, con le università, gli istituti religiosi, le organizzazioni cattoliche internazionali e numerose grandi istanze internazionali impegnate nella promozione della cultura - è opportuno. Voi favorite infatti una chiara presa di coscienza delle poste in gioco nell'attività culturale, nel senso più ampio del termine.


3. Al di là di questa accoglienza rispettosa e disinteressata delle realtà culturali, per una loro migliore conoscenza, il cristiano non può fare astrazione dalla questione dell'evangelizzazione. Il Pontificio consiglio per la cultura partecipa alla missione della Sede di Pietro per l'evangelizzazione delle culture e voi condividete la responsabilità delle Chiese particolari nei compiti apostolici richiesti dall'incontro del Vangelo con le culture della nostra epoca.

A questo scopo, è richiesto a tutti i cristiani un immenso lavoro. Questa sfida deve mobilitare le loro energie all'interno di ciascun popolo e di ciascuna comunità umana.

A voi che avete accettato di assistere la Santa Sede nella sua missione universale presso le culture del nostro tempo, io affido il compito particolare di studiare e di approfondire ciò che significa per la Chiesa l'evangelizzazione delle culture oggi. Certamente, la preoccupazione di evangelizzare le culture non è nuova per la Chiesa, ma essa presenta oggi dei problemi che hanno un carattere di novità in un mondo caratterizzato dal pluralismo, dall'urto delle ideologie e da profondi mutamenti di mentalità. Voi dovete aiutare la Chiesa a rispondere a queste questioni fondamentali per le culture attuali: come il messaggio della Chiesa è accessibile alle nuove culture, alle forme attuali di intelligenza e di sensibilità? Come la Chiesa di Cristo può farsi capire dallo spirito moderno, così fiero delle sue realizzazioni e nello stesso tempo così inquieto per l'avvenire della famiglia umana? Chi è Gesù Cristo per gli uomini e le donne di oggi? Si, tutta la Chiesa deve porsi queste domande, nello spirito di ciò che disse il mio predecessore Paolo VI a conclusione del Sinodo sull'evangelizzazione: "Bisogna evangelizzare la cultura e le culture dell'uomo nel senso ricco e ampio che questi termini hanno nella "Gaudium et Spes" , partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra di loro e con Dio". Aggiungeva inoltre: "Il regno che il Vangelo annuncia è vissuto da uomini profondamente legati ad una cultura, e la costruzione del regno non può che prendere a prestito degli elementi della cultura e delle culture umane" (EN 20).

E' dunque un compito complesso ma essenziale: aiutare i cristiani a discernere nei tratti della loro cultura ciò che può contribuire alla giusta espressione del messaggio evangelico e alla costruzione del regno di Dio e a scoprire ciò che è ad esso contrario. E in questo modo l'annuncio del Vangelo ai contemporanei che non vi aderiscono avrà più possibilità d'essere realizzato in un dialogo autentico. Non possiamo non evangelizzare: tanti ambiti, tanti ambienti culturali rimangono ancora insensibili alla buona novella di Gesù Cristo.

Penso alle culture di vaste regioni del mondo ancora ai margini della fede cristiana. Ma penso anche a vasti settori culturali nei Paesi di tradizione cristiana che, oggi, sembrano indifferenti - se non refrattari - al Vangelo.

Parlo, certamente, di apparenze, perché non bisogna giudicare a priori il mistero della fede personale e dell'azione segreta della grazia. La Chiesa rispetta tutte le culture e non impone a nessuno la sua fede in Gesù Cristo, ma invita tutte le persone di buona volontà a promuovere un'autentica civiltà dell'amore, fondata sui valori evangelici della fraternità, della giustizia e della dignità per tutti.


4. Tutto ciò richiede un nuovo approccio alle culture, agli atteggiamenti, ai comportamenti, per dialogare in profondità con gli ambienti culturali e per rendere fecondo il loro incontro col messaggio di Cristo. Quest'opera richiede inoltre, da parte dei cristiani responsabili, una fede illuminata dalla riflessione continuamente confrontata con le sorgenti del messaggio della Chiesa, e un discernimento spirituale continuamente perseguito nella preghiera.

Il Pontificio consiglio per la cultura, da parte sua, è chiamato ad approfondire le questioni importanti suscitate, per la missione evangelizzatrice della Chiesa, dalle sfide del nostro tempo. Mediante lo studio, gli incontri, i gruppi di riflessione, le consultazioni, lo scambio di informazioni e di esperienze, attraverso la collaborazione dei corrispondenti che hanno accettato, numerosi, di lavorare con voi in diverse parti del mondo, vi incoraggio vivamente a illuminare queste nuove dimensioni alla luce della riflessione teologica, dell'esperienza e dell'apporto delle scienze umane.

Siate certi che io sosterro volentieri i lavori e le iniziative che vi permetteranno di sensibilizzare riguardo questi problemi le diverse istanze della Chiesa. E, in pegno del sostegno che desidero dare al vostro impegno tanto utile alla Chiesa, accordo a voi, ai vostri collaboratori e collaboratrici, e alle vostre famiglie la mia particolare benedizione apostolica.

Data: 1985-01-15 Data estesa: Martedi 15 Gennaio 1985







Messaggio ai vescovi delle Americhe - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Annunciare con gioia e convinzione il Vangelo della famiglia

Ai miei confratelli vescovi dell'America del Nord, Centrale e dei Caraibi convenuti a Dallas, Texas.

Sono molto felice d'inviarvi il mio saluto mentre siete riuniti in un altro incontro di studio organizzato dal Centro di ricerca ed educazione medico-morale Giovanni XXIII. Nel salutarvi nel nome del nostro Signore Gesù Cristo, desidero ringraziare anche i Cavalieri di Colombo che con tanta generosità hanno reso ancora una volta possibile questo vostro incontro da tante diocesi così lontane come quelle del Canada, dei Caraibi, dell'America Centrale, del Messico e degli Stati Uniti. Siete convenuti come pastori e maestri della Chiesa, desiderosi di approfondire la vostra conoscenza e il vostro amore per la verità, grati di questa occasione per pregare e riflettere insieme nell'unità della Chiesa universale, in comunione con il successore di Pietro.

Nel 1980 il Sinodo dei vescovi si riuniva a Roma per riflettere sul ruolo della famiglia cristiana nel mondo moderno. Il tema di quel Sinodo fu scelto per rispondere direttamente a numerose richieste da tutte le parti del mondo perché fosse intrapreso uno studio concordato e particolareggiato sui problemi che si pongono alla famiglia oggi, e sulla missione della famiglia nella Chiesa e nella società. In risposta al Sinodo e attingendo alle numerose constatazioni e proposte dei padri sinodali, scrissi l'anno seguente l'esortazione apostolica "Familiaris Consortio". Il vostro seminario di Dallas è, in un certo senso, una continuazione del lavoro fatto nel Sinodo del 1980, un'espressione eloquente del vostro desiderio di vescovi di assistere le famiglie nello svolgimento del loro ruolo insostituibile nella vita e nella missione della Chiesa.

Sono lieto di apprendere che il tema della conferenza di questo anno è: "ll vescovo e la famiglia: la Chiesa si interpella sul suo futuro". Esso indica, infatti, che siete consapevoli della grave responsabilità che i vescovi devono assumersi verso la famiglia, e dimostra il vostro desiderio di svolgere la vostra missione con la massima efficacia possibile. Come ho detto nella "Familiaris Consortio" (FC 73): "Il primo responsabile della pastorale familiare nelle diocesi è il vescovo. Come padre e pastore egli deve essere particolarmente sollecito in questo settore, senza dubbio prioritario, della pastorale". Sono sicuro che le relazioni e le discussioni di questo seminario vi aiuteranno nella vostra pastorale familiare e vi permetteranno di ispirare e guidare meglio i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e tutti coloro che vi aiutano in questo lavoro.

Durante questi giorni esaminerete certamente varie tendenze correnti che interessano la vita familiare, come le sfide che si pongono ai genitori nell'educare i loro figli alla maturità in Cristo, i problemi che devono essere affrontati dagli stranieri e dalle famiglie degli emigranti, le difficoltà degli anziani nelle famiglie, le pressioni nella società che tendono a disgregare la famiglia, i mali morali che minacciano l'amore coniugale e la vita umana dal momento del concepimento, e tante altre fonti di particolare preoccupazione.

Riflettete nello stesso tempo sui modi in cui la famiglia partecipa alla vita e alla missione della Chiesa, specialmente nel duplice ruolo di promuovere l'amore e l'unità e di promuovere e proteggere la vita umana. Poiché la famiglia è chiamata ad essere una continuità di persone unite nell'amore e impegnate alla fedeltà, essa è il fondamento stesso dell'unità e della stabilità della società, e costruisce in modo primario il regno di Dio in questo mondo. Dicevo anche nella "Familiaris Consortio" (FC 28): "Il compito fondamentale della famiglia è il servizio alla vita, il realizzare lungo la storia la benedizione originaria del Creatore, trasmettendo nella generazione l'immagine divina da uomo a uomo". Come sapete, in occasione delle mie udienze generali settimanali di questi ultimi anni ho svolto una serie di conversazioni catechetiche sulla teologia del corpo umano e sulla sacramentalità del matrimonio, includendovi una conferma, un'analisi approfondita e uno sviluppo dell'insegnamento di Paolo VI contenuto nell'enciclica "Humanae Vitae". Una delle cose che mi hanno più fortemente mosso ad intraprendere questa catechesi è stata la preoccupazione pastorale per la famiglia e la convinzione che il Papa e i vescovi possano servirla nel miglior modo svolgendo fedelmente il loro ruolo di maestri della fede, illuminando le famiglie con la parola di Dio e con l'insegnamento autentico della Chiesa. E' per questo che do volentieri il mio appoggio a questo seminario e ad altre iniziative simili che si prefiggono di aiutare i vescovi a insegnare e predicare più efficacemente la buona novella. Vi sono vicino nel ruolo speciale che esercitate come vescovi nell'"annunziare con gioia e convinzione la buona novella sulla famiglia, la quale ha un assoluto bisogno di ascoltare sempre di nuovo e di comprendere sempre più a fondo le parole autentiche che le rivelano la sua identità, la sue risorse interiori, l'importanza della sua missione nella città degli uomini e in quella di Dio" (FC 86).

Il tema del vostro incontro indica molto chiaramente che quando la Chiesa si preoccupa della famiglia, essa si preoccupa del proprio futuro. Con questa stessa convinzione dicevo all'assemblea generale delle Nazioni Unite sei anni fa (n. 21): "Desidero esprimere la gioia che troviamo tutti nei figli, primavera della vita, anticipazione della storia futura di ciascuna delle nostre odierne patrie terrestri. Nessun Paese di questa terra, nessun sistema politico può pensare al proprio futuro se non attraverso l'immagine di queste nuove generazioni che riceveranno dai loro genitori il multiforme retaggio di valori, di doveri e di aspirazioni della nazione alla quale appartengono e dell'intera famiglia umana. La preoccupazione per il bambino già prima della nascita, dal primo istante del concepimento e successivamente attraverso gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza, costituisce la prova primaria e fondamentale del rapporto tra un essere umano e l'altro". L'impegno pastorale di noi vescovi a preoccuparci della famiglia del nostro tempo è per noi un modo concreto di contribuire al futuro della Chiesa e di tutta l'umanità.

Possa dunque lo Spirito Santo dimorare ancora più pienamente nella vostra mente e nel vostro cuore, carissimi fratelli, "lo Spirito di verità che procede dal Padre (Jn 15,26), colui che è stato inviato per guidarci tutti alla verità tutta intera (cfr. Jn 16,13). E invoco la grazia e la pace di nostro Signore Gesù Cristo su di voi e sui vostri popoli, specialmente su tutte le famiglie che servite con la parola e il sacramento.

Dal Vaticano, 16 gennaio 1985

Data: 1985-01-16 Data estesa: Mercoledi 16 Gennaio 1985





Alla Giunta comunale di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Non perdere di vista la verità di Cristo e della Chiesa sull'uomo

Signor sindaco, signori membri della Giunta capitolina.


1. Sono lieto che anche all'inizio di quest'anno voi abbiate desiderato di venire qui a rinnovare una consuetudine ricca di significato. Ringrazio il signor sindaco per i voti a me rivolti a nome la Giunta e del Consiglio comunale. Saluto tutti e ciascuno in particolare e mi è gradito far giungere, per vostro tramite, il mio cordiale augurio di un anno sereno e prospero a tutta la popolazione residente nell'ambito del comune.

L'incontro tradizionale tra autorità religiosa e autorità amministrativa all'aprirsi di ogni anno, oltre che gesto di cortesia per la formulazione dei reciproci auguri, costituisce anche un'occasione propizia per gettare uno sguardo sul vasto e complesso panorama dei problemi di ordine morale e umano, ai quali vanno le rispettive preoccupazioni, consentendo di fare in qualche modo il punto della situazione a vantaggio del comune impegno e dello specifico servizio.

Una metropoli come Roma, capitale dello Stato italiano e centro dei cristianesimo, meta incessante di visitatori d'ogni continente, non è un capoluogo come gli altri. Da oltre due millenni città dell'arte, della cultura e della fede, Roma non finisce mai di sorprendere per la ricchezza dei beni, che offre all'ammirazione e allo studio, per la nobiltà dei valori, che racchiude e irradia: qui la civiltà antica ha lasciato eloquenti tracce della sua grandezza; qui i secoli cristiani hanno accumulato mirabili testimonianze di fede, spinte a volte fino all'eroismo del martirio, consegnandone la memoria ad opere pittoriche, musive e architettoniche di rara bellezza.

Quest'eredità preziosa è affidata alla Roma di oggi, un aggregato urbano che si avvia a toccare, di fatto, il traguardo finora mai raggiunto dei quattro milioni di abitanti. A questa città degli uomini, con tutta la gamma variegata e complessa dei problemi personali, familiari e sociali che vi si agitano, vanno i pensieri e le sollecitudini vostre e anche mie.


2. In occasione dei nostri periodici incontri il quadro cittadino delle luci e delle ombre è messo in rilievo costantemente. Non si può dire che, all'inizio del 1985, nel suo contesto globale, esso si presenti notevolmente diverso dall'anno che si è da poco concluso. Se si constata con soddisfazione la nota positiva di un clima sociale relativamente più tranquillo e di un'attenzione più viva ai grandi valori da parte del mondo giovanile, non manca il contrappeso dell'aggravarsi di altri aspetti della situazione.

E' di non meno di due mesi fa la celebrazione del convegno di studio e di programmazione, promosso dal vicariato di Roma, sul tema delle "diseguaglianze sociali". Esso ha cercato di avviare un'indagine preliminare sulla situazione della città, allo scopo di invitare a predisporre un progetto di concrete linee di azione, per ridestare la responsabilità a ogni livello e spingere tutte le forze vive al servizio della comunità cittadina stimolando l'impegno di tutti.


3. Per quanto riguarda la Chiesa, è noto che essa, per lo sviluppo umano e civile, è sempre pronta a compiere la sua parte nel promuovere i valori fondamentali comuni, senza confusioni di competenza o di posizioni ideologiche. E' per tali motivi che la Santa Sede ha sottoscritto nel testo della revisione del Concordato con l'Italia il principio del comune impegno tra le autorità civili e religiose, nel rispetto della reciproca autonomia, per la promozione dell'uomo e del bene del Paese. La formula assume una particolare valenza per la città di Roma, sede vescovile del romano Pontefice e centro del mondo cattolico.

La Chiesa ha rispetto per le legittime istituzioni civili, alle quali compete la guida della società secondo principi di libertà, di giustizia, di verità e di concordia. Per quanto la concerne, essa rivendica la libertà di esercizio del suo ministero, consapevole e fiduciosa che questo, comportando anche la promozione degli autentici valori umani, si riveli di fondamentale importanza per lo stesso raggiungimento dei fini propri dello Stato.

Oggi è d'uso corrente parlare di città organizzata "a misura d'uomo", appunto per significare che la città non è fine a se stessa, ma ha nell'uomo il fine sul quale misurare le proprie strutture e i criteri secondo i quali autogestirsi. Se i poteri pubblici perdono di vista questa verità, agiscono come una macchina che giri a vuoto, con pericolo addirittura di provocare arretramenti.

L'uomo non è un individuo isolato. La sua dignità di persona lo inserisce essenzialmente in un tessuto di relazioni sul piano - come volentieri si dice - orizzontale e verticale: verso la famiglia, i propri simili e verso i valori del mondo della trascendenza. Favorire tale rete di relazioni in ogni direzione, significa aiutare l'uomo a divenire più uomo e la città a farsi più umana.

Questa è, del resto, l'indicazione che viene dalle grandi tradizioni, che a Roma hanno radici millenarie. Esse costituiscono il terreno solido sul quale è possibile edificare una convivenza stabile e serena, aperta agli apporti nuovi e tuttavia saggiamente gelosa delle conquiste significative del passato.


4. La Chiesa si sente particolarmente impegnata, in nome del Vangelo, ad essere presente e attiva dovunque esista una traccia di povertà e di sofferenza. E' in base a questo interiore e impellente stimolo di fede che i cristiani, quale fermento nella società umana, vogliono operare efficacemente in ordine all'edificazione di una città nuova a servizio dell'uomo. Chiamati a confrontarsi costantemente con i trascendenti valori del messaggio di Cristo, essi non possono non sottoporre a valutazione il funzionamento delle strutture, nel desiderio di contribuire a migliorarle e, soprattutto, non possono esimersi dall'obbligo di studiare e indicare le cause dei vari fenomeni negativi di cui soffre la città.

Per la sua specifica missione la Chiesa, con a capo la gerarchia, è impegnata alla trasformazione del cuore dell'uomo, in assenza della quale essa è convinta che il cambiamento delle strutture è destinato a mutare ben poco nella vita dei singoli e delle comunità. E io, quale Vescovo di Roma, all'inizio di questo nuovo anno, desidero auspicare vivamente che la città possa ritrovare ogni giorno di più il suo antico cuore cristiano, anche perché l'esperienza conferma che la crescita cristiana della città è garanzia e alimento della crescita umana e civile dei suoi abitanti.

Con ogni migliore e più sincero augurio, io rinnovo a tutti voi il mio cordiale saluto, invocando sulla diletta cittadinanza romana l'abbondanza dei doni celesti per un anno di sereno progresso nel rispetto reciproco e nella leale dedizione al bene comune.

Data: 1985-01-17 Data estesa: Giovedi 17 Gennaio 1985






GPII 1985 Insegnamenti - Al Seminario Lombardo - Piazza S. Maria Maggiore (Roma)