GPII 1985 Insegnamenti - Ad ammalati e anziani - Callao (Perù)


1. Abbiamo appena udito, cari ammalati, il passo del libro di Isaia, in cui cinque secoli prima di Cristo, sono descritte le sofferenze del Messia. L'evangelista Matteo applica a Gesù il testo citato in precedenza: "Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie" (Mt 8,17).

Pertanto questo meraviglioso cantico del servo di Dio, così viene definito, offre alla nostra attenzione non solo il racconto delle sofferenze del Signore, ma anche il senso della sua passione che culmina nella risurrezione (cfr. Is 53,10 Is 52,15). Ed è lo stesso senso della sofferenza dell'uomo soprattutto se è unito a Cristo mediante la fede. E' il senso della vostra sofferenza, cari fratelli che qui rappresentate tutti gli ammalati del Perù, che ho voluto chiarire nel mio documento sul significato cristiano del dolore umano: "Portando a compimento la redenzione attraverso il dolore, Cristo ha giustamente elevato la sofferenza umana al rango di redenzione. Di conseguenza ogni uomo, quando soffre, può rendere se stesso partecipe delle sofferenze redentrici di Cristo" ("Salvifici Doloris", 19).

Vengo a farvi visita poiché siete malati. Conosco da vicino la vostra situazione, perché mi è toccato di viverla. Mi riferisco allo stato di prostrazione in cui le forze naturali vengono meno e, in certo qual modo, l'uomo sembra ridotto a un oggetto nelle mani di coloro che lo curano. La prostrazione e l'inattività obbligata possono indurre l'ammalato a rinchiudersi in se stesso. Non c'è dunque da sorprendersi che la malattia possa avvicinare al Signore o condurre alla disperazione. La malattia, comunque, è sempre un'occasione di particolare vicinanza di Dio all'uomo che soffre.

Gesù si accosto agli ammalati con amore e tese loro la sua mano misericordiosa, affinché ravvivassero la loro fede e anelassero più profondamente alla piena salvezza. Guari molti (cfr. Mc 1,34), ma soprattutto elevo il dolore ponendolo al servizio della sua redenzione. Questo atteggiamento che Gesù ci ha raccomandato d'imitare con le visite agli ammalati (cfr. Mt 25,36), è uno dei lineamenti di un cuore cristiano.

Ci è lecito sostenere che l'attenzione e il servizio prestati a chi è ammalato sono tratti distintivi di un popolo cristiano. ln tale servizio che esige sacrificio, risplende la più alta virtù: la carità.


2. Diverse circostanze della vita moderna e l'egoismo che si annida nel cuore dell'uomo, spingono troppe volte a trascurare gli ammalati, ritenuti forse inconsciamente individui inadatti all'impegno attivo per il progresso. E sebbene non vengano risparmiati i mezzi necessari al loro ristabilimento fisico, si corre il rischio di considerare tempo perso quello dedicato a visitare e a recare sollievo a quanti giacciono in un letto di sofferenze.

Voi, cari fratelli, sapete bene, per esperienza, che non sono sufficienti i servizi tecnici e le cure sanitarie, quand'anche si realizzino con diligente professionalità. L'ammalato è una persona umana e, come tale, ha bisogno di avvertire l'affettuosa presenza di coloro che ama e dei suoi amici. Questa presenza è medicina spirituale che ridà amore per la vita e ci persuade a lottare per essa con una forza interiore che non di rado contribuisce in maniera decisiva alla guarigione. Un domani potremmo essere noi, che adesso siamo sani, ad occupare il letto del dolore. E allora avremmo la gioia di verificare la solidarietà di parenti e amici. Come impressiona perciò la lettura di Isaia: "Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori... e non ne avevamo alcuna stima!" (Is 53,3).

Ampi settori della civiltà tecnologica hanno forse sognato un uomo duro, quasi insensibile, fatto per il lavoro e la produzione. Gesù, invece, ci insegna ad amare l'uomo in sé, nella sua grandezza e nel suo decadimento. E' qui che l'amore si fa particolarmente necessario e autentico. "Potremmo affermare che il mondo della sofferenza umana invoca incessantemente un altro mondo: quello dell'amore umano: l'amore disinteressato che sgorga nel suo cuore e nelle sue opere. L'uomo lo deve in qualche modo alla sofferenza. Non può l'uomo "prossimo" passare con disinteresse davanti all'altrui sofferenza" ("Salvifici Doloris", 29).

Solo l'uomo che è capace di accogliere l'amore misericordioso sarà capace di darlo senza egoismi. Per questo gli ammalati sono per Gesù un segno della dignità umana; si dona a loro e ci invita a servirli, come genuina espressione d'amore per l'uomo.


3. Ogni grave malattia solitamente attraversa periodi di scoraggiamento radicale, nei quali sorge la domanda sul perché della vita, proprio perché ci si sente da essa sradicati. In queste circostanze, la presenza silenziosa e orante degli amici ci sostiene fermamente. Ma in ultima istanza solo l'incontro con Dio sarà in grado di rivolgere anche al cuore più profondamente ferito ineffabili parole di speranza.

Quando noi, come Gesù, afflitti dalla nostra situazione, gridiamo interiormente: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Ps 22,2), solo da lui possiamo ricevere la risposta che acquieta e conforta a un tempo. E' la consolazione che riscontriamo nel servo di Dio in mezzo al dolore: "Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore" (Is 53,10).

La croce di Cristo proietta pertanto un raggio di luce sul mistero del dolore umano; solo nella croce l'uomo può avere una risposta all'angustiato appello che nasce dal cuore di chi soffre. Lo hanno ben compreso i santi, che hanno saputo accettare il dolore e, talvolta, lo hanno ardentemente desiderato per associarsi alla passione del Signore, facendo proprie le parole dell'apostolo: "Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1,24). Identificato con Cristo sulla croce l'uomo può sperimentare che il dolore è un tesoro e la morte un guadagno (Ph 1,2); può verificare come l'amore dignifica, rende dolce il dolore e redime (cfr. "Salvifici Doloris", 24).


4. Questa è la consolazione dei credenti, quando la grazia di Dio ci fa vivere di fede, sorregge la nostra speranza e infiamma la nostra carità. così diviene già realtà in noi la liberazione che ci ha ottenuto Gesù, giacché, in maniera misteriosa ma efficace, in un certo senso, la morte diventa vita per noi. E' la morte generosa del grano che produce il raccolto abbondante della redenzione (cfr. Jn 12,24). E' ciò che esprime il cantico di Isaia in modo così vivo: "Dopo il suo intimo tormento... il giusto mio servo giustificherà molti... perciò io gli daro in premio le moltitudini" (Is 53,11 Is 53,12).

L'ospedale ha sempre qualcosa del Calvario, poiché, unite al sacrificio del Redentore, vi si offrono le vite per la redenzione del mondo: come Gesù, il nostro "Agnello immolato" (cfr. Ap 5,6) offri la sua al Padre per tutti noi peccatori, e per quanti soffrono e si associano alla sua sofferenza e al mistero della sua redenzione.

Io mi unisco con tutto il cuore alle vostre vite, cari ammalati del Perù, con affetto di fratello. Chiedo al Signore il meglio per voi: la salute, la gioia, la pace, la presenza delle persone care, e soprattutto che vi uniate a Cristo nel suo sacrificio salvifico. Non considerate le vostre vite, né questo tempo di infermità, come realtà inutili. Questi momenti possono essere dinanzi a Dio i più decisivi della vostra vita, i più fruttuosi per i vostri cari e per gli altri.


5. Mi rivolgo ora a voi, cari fratelli e sorelle della terza età, che state passando per questa vita temporale, avvicinandovi alla "città permanente". E un'età per molti difficile, di incomprensione e di solitudine: per questo rivolgo anche a voi le riflessioni fatte prima agli ammalati. Ma, per molti altri, è l'età del riposo, della pace e della felicità che è offerta dalla compagnia "dei figli e dei figli dei figli". A tutti si applica ciò che dice il libro dei Proverbi: "Onore dell'anziano è la sua canizie" (Pr 21,29).

Tutti possedete ciò che solo il passare degli anni dà, e che non si può ottenere in altro modo: l'esperienza e la maturità per penetrare più a fondo il mistero della vita e comprendere che, se è vero che si può cercare la felicità nella vita terrena, solo nella forza dello Spirito, che ci conduce a Dio Padre eterno, si trova la pienezza cui tutti aneliamo. Chiedo a Dio che vi conceda questa comprensione, nella quale avrete la pace e con essa supererete la solitudine e l'incomprensione.

Nei Paesi in cui i cristiani, vincendo le tentazioni del materialismo, antepongono i valori dello spirito, vi sono molti anziani che sono curati con affetto dagli stessi parenti, amici e vicini. Dovete conservare questo prezioso dono, tanto più per il fatto che a motivo delle migrazioni interne, c'è un crescente numero di anziani che si trovano lontani dalla terra in cui nacquero, dalle proprie abitudini, dalle proprie famiglie. Inoltre pochi di loro possono contare su una pensione. Per loro chiedo non solo al governo, ma anche a quanti sono ad essi più vicini, una speciale comprensione.

So che le benemerite Sorelle degli anziani bisognosi, e altre istituzioni, si prendono cura con speciale dedizione dei nonnetti e delle nonnette, ma non sono numericamente sufficienti per tutti coloro che giungono alla terza età. Parimenti chiedo che si continui a compiere con impegno il dovere di curare adeguatamente i pensionati, che nei momenti difficili che attraversiamo hanno più bisogno di appoggio.

A quanti si preoccupano delle persone della terza età, religiosi e laici, così come a quanti se ne prendono cura nelle loro case, esprimo la mia gratitudine, e chiedo per loro la protezione della Vergine dei bisognosi, affinché sappiano offrire comprensione, compagnia e affetto a tutti gli anziani e a tutte le anziane.

A voi, malati e anziani del Perù, e a tutti coloro che si prendono cura di voi, impartisco di cuore la mia benedizione apostolica.

Data: 1985-02-04 Data estesa: Lunedi 4 Febbraio 1985





Omelia durante la liturgia della Parola - Piura (Perù)

Titolo: Scelta preferenziale per i poveri basata sulla rivelazione

"Io sono il Buon Pastore e conosco le mie pecore... E ho altre pecore che non sono di quest'ovile" (Jn 10,1 Jn 4 Jn 10,16).

Signor arcivescovo, fratelli nell'episcopato, autorità, cari fratelli e sorelle.


1. Nel venire a queste altitudini di San Michele di Piura, il Papa vuole obbedire a un impulso del suo cuore di padre, oltre che compiere un dovere come Pastore di tutta la Chiesa. Vengo per incontrarmi con gli amati figli di questa terra, nelle cui esistenze ancora si notano le tracce della sofferenza causata dalle catastrofi naturali, che poco più di un anno fa distrussero abitazioni, raccolti, canali di irrigazione, vie di comunicazione, provocando indicibili difficoltà a tante famiglie, e distruggendo il frutto di lunghi anni di fatiche. Per questo la mia visita vuole essere anzitutto un segno di solidarietà e di incoraggiamento perché non vi lasciate abbattere dalla disgrazia, ma anzi sappiate trarre da essa ragioni di speranza e di reciproco appoggio, e la volontà di ricostruire ciò che è andato perduto. Chiedo a Dio che le acque che produssero distruzione e morte possano servire per fecondare i vostri campi e che vi rechi sollievo la speranza di più abbondanti raccolti per continuare la vostra vita.

Vengo in pellegrinaggio di fede alle fonti delle gesta dell'opera evangelizzatrice in Perù, giacché da queste terre, sotto la protezione dell'arcangelo san Michele, partirono i pionieri dell'annuncio di Gesù Cristo, della sua buona novella e della sua Chiesa, verso il vasto territorio dell'antico impero inca. Perciò, da questo luogo, la nostra mente si eleva in modo spontaneo a Dio, per rendergli grazie per l'evangelizzazione del Perù, per i suoi eroi e per i suoi santi. Il nostro spirito si raccoglie in preghiera, per meditare su quella evangelizzazione e scoprire le esigenze che derivano dall'accettazione del Vangelo. 2. La parola di Dio che abbiamo ascoltato viene a illuminare questa meditazione, invitandoci a contemplare con gli occhi dell'evangelista san Giovanni l'immagine familiare di Gesù, il Buon Pastore, in mezzo alle sue pecore. In questo testo ben noto, Cristo si presenta non solamente come pastore, ma anche come "la porta delle pecore". Egli è il vero pastore, a differenza di tanti altri che prima di lui si erano presentati come pastori, ma erano solamente mercenari o briganti.

Il Signore entra attraverso la porta dell'ovile, vale a dire, viene inviato dal Padre, come rivelatore dei suoi misteri e porta con sé la verità intera mostrando il cammino della vera vita. Per questo Gesù si comporta come i buoni pastori: conosce le sue pecore una per una, nella loro situazione concreta, le chiama con il loro nome e le pecore riconoscono la sua voce e lo seguono. Egli cammina avanti alle pecore per mostrare loro le strade, per prevenire i pericoli, per difenderle dal lupo o dal brigante.

Gesù è "la porta per le pecore". Solamente lui le conduce ai verdi prati dove trovano l'alimento, la sicurezza, la "vita in abbondanza" (Jn 10,18). Il Signore Gesù è evangelizzatore - il primo evangelizzatore - pastore e porta per le pecore. Lui non solo annunzia la verità, ma è la verità stessa offerta agli uomini; non solamente indica la via, ma è la via; non solo promette la vita, ma è la vita vera. Nessun altro evangelizzatore può dire altrettanto di se stesso.

Tutti gli altri evangelizzatori, se vogliono essere efficaci, devono saper rappresentare e imitare l'unico Buon Pastore; devono far entrare le loro pecore attraverso la porta che è Cristo; devono chiamarle con il loro nome, con l'unica voce che esse riconoscono e che è la voce di Gesù. Procedere in altro modo è, come afferma Gesù stesso, rischiare di essere un "estraneo" o uno sconosciuto.


3. L'opera evangelizzatrice della Chiesa si dispiega quando Cristo, pastore ed evangelizzatore, chiama, prepara, e invia altri evangelizzatori, per annunziare in tutte le lingue e in tutti i luoghi la buona novella della salvezza e per riunire nella comunità dei credenti - la Chiesa - coloro che devono salvarsi.

Così si inauguro un giorno l'opera di evangelizzazione in America. Io stesso volli dare inizio, a Santo Domingo, alla novena di anni che prepari il continente americano a celebrare il V centenario di un avvenimento ecclesiale di tale importanza. così, con la prima messa celebrata qui a Piura, nel primo agglomerato cristiano, inizio l'evangelizzazione del Perù.

La mia presenza oggi nella vostra nobile città, accanto ai miei fratelli nell'episcopato, sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli tutti, vuole essere, oltre che un ringraziamento a Dio per l'evangelizzazione del Perù, un meritato omaggio a tanti zelanti missionari rimasti ignoti che gettarono il seme della fede in questa terra feconda. Essi, lasciate le loro terre d'origine, consacrarono la loro vita all'istruzione nella fede delle popolazioni indigene che trovarono e qui lasciarono i loro corpi.

In mezzo a mille ostacoli dovuti all'estensione del Paese, alle grandi montagne, alle varietà di lingue, alla mancanza di mezzi, ma confidando nella forza della parola di Dio, realizzarono quell'immensa opera, che ha lasciato così grandi frutti.

Pensando al presente dell'evangelizzazione, forse la prima cosa che dobbiamo fare è guardare bene a quella impresa, per trarre motivi di ispirazione in vista del futuro. Tuttavia quest'opera evangelizzatrice non termina mai. Ogni generazione cristiana deve aggiungere la sua parte di impegno. Senza di questo mancherebbe qualcosa di essenziale. Mancherebbe un elemento insostituibile all'evangelizzazione del Perù, se mancasse oggi un generoso impegno evangelizzatore. Questo è il segno della fedeltà a Cristo, al suo mandato, ed è inoltre manifestazione di vitalità nella fede della Chiesa.

Per tale ragione questa impresa è in primo luogo vostra, fratelli vescovi. E' vostra, sacerdoti che siete gli insostituibili collaboratori dei vostri pastori. E' vostra, religiosi e religiose, infatti questa è la causa di Cristo che avete abbracciato. E' vostra, laici cristiani, che nel cuore del mondo siete chiamati a costruire il regno di Dio. Se la vostra Chiesa accoglie questo messaggio di Gesù, si potrà dire davvero che "lo segue perché conosce la sua voce", la voce di Cristo (cfr. Jn 10,4).


4. Questo conoscere la voce del Maestro e Buon Pastore, senza seguire la voce degli estranei, qualifica l'elemento essenziale, che deve distinguere l'evangelizzazione in Perù oggi: la fedeltà all'insegnamento di Gesù Cristo, unico maestro e signore.

Il mio predecessore papa Paolo VI, nella sua esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" (EN 26), insegna: "Evangelizzare è, innanzitutto, dare testimonianza, in modo semplice e diretto, di Dio rivelato da Gesù Cristo mediante lo Spirito Santo. Testimoniare che ha amato il mondo nel suo Figlio; che nel suo Verbo incarnato ha dato a tutte le cose l'essere e ha chiamato gli uomini alla vita eterna".

Così dunque, evangelizzatori ed evangelizzati hanno l'irrinunciabile dovere di una stretta e amorevole fedeltà all'insegnamento di Gesù. Infatti gli evangelizzatori non sono "padroni" della parola di Dio, ma ne sono ministri, servitori. D'altra parte, come ricordavo nella mia esortazione apostolica "Catechesi Tradendae", chi "si fa discepolo di Cristo ha diritto a ricevere la "parola di fede" non mutilata, non falsificata o sminuita, ma completa e integra, in tutto il suo rigore e vigore" (CTR 30). Vale a dire, in piena fedeltà al suo punto di origine, Cristo; al suo contenuto rivelato; ai destinatari che devono salvarsi passando attraverso la porta: "Io sono la porta; se uno entra attraverso di me, sarà salvo" (Jn 10,9).

Non va dimenticato, tuttavia, che l'evangelizzazione si integra con gli aspetti concreti dell'ambiente nel quale si realizza. In questo senso l'evangelizzazione ha in Perù aspetti propri del momento attuale. Non possiamo considerarli tutti in questa celebrazione, desidero comunque sottolinearne brevemente alcuni.


5. Evangelizzare significa portare il messaggio di Cristo a tutti, perché si faccia vita. Per questo ha stretti rapporti con la promozione umana. In questo senso, l'evangelizzazione contiene anche l'urgenza di promuovere integralmente la dignità dell'uomo, di aiutarlo a trasformare le situazioni e le strutture ingiuste che violano questa dignità.

Gesù, durante la sua vita pubblica, ebbe l'opportunità di incontrare molte persone afflitte da diversi mali fisici e morali. Come segno della presenza del regno opero miracoli (cfr. Mt 12,4-6) e si preoccupo del bene di tutte le persone che incontrava. Nel constatare tutto ciò, la gente si meravigliava e commentava: "Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!" (Mc 7,37).

Per questo, il mio predecessore Paolo VI ricordava: "Tra evangelizzazione e promozione umana - sviluppo, liberazione - esistono legami molto forti... non è possibile accettare che l'opera di evangelizzazione possa o debba dimenticare problematiche estremamente gravi, tanto discusse oggi, attinenti la giustizia, la liberazione, lo sviluppo e la pace nel mondo. Se questo si realizzasse, significherebbe che si ignora la dottrina del Vangelo circa l'amore verso il prossimo che soffre o patisce necessità" (EN 31).

Le Conferenze dell'episcopato latinoamericano riunite a Medellin e Puebla hanno messo particolare accento sull'evangelizzazione e la promozione umana nei Paesi di questo continente, particolarmente mediante la cosiddetta opzione preferenziale per i poveri.

Vorrei qui ricordare, cari fratelli, quanto precisai recentemente a questo proposito: "Si, la Chiesa fa sua l'opzione preferenziale a favore dei poveri. Un'opzione preferenziale, si noti bene: di conseguenza, non un'opzione esclusiva o escludente, infatti il messaggio di salvezza è rivolto a tutti.

Un'opzione inoltre basata essenzialmente sulla parola di Dio e non su criteri forniti dalle scienze umane o da ideologie contrapposte, che con frequenza riducono i poveri a categorie socio-politiche o economiche astratte. Ma un'opzione ferma e irrevocabile" (Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 1984). Questo aspetto dell'evangelizzazione, in piena fedeltà a Cristo, al Vangelo e all'uomo, secondo i criteri della Chiesa, assume una chiara attualità in Perù nel presente e di fronte al futuro.


6. L'annuncio del Vangelo contiene la costante chiamata ad un atteggiamento ai conversione da parte di tutti i cristiani e deve penetrare non soltanto la vita personale e familiare, ma anche le strutture sociali, per renderle più conformi alle esigenze della giustizia. Non dimentichiamo mai che solo i cuori convertiti e rinnovati interiormente miglioreranno il tono morale e umano della società.

Vivete, dunque, voi queste esigenze e infondete nelle realtà temporali la linfa della fede in Cristo! Penso concretamente alla testimonianza di vita e all'impegno di evangelizzazione che richiede la famiglia cristiana: i coniugi vivano il sacramento dell'unione feconda e indissolubile tra Cristo e la Chiesa, siano i fondatori e gli animatori della "Chiesa domestica", la famiglia, con l'impegno di un'educazione integrale etica e religiosa dei figli, aprano ai giovani gli orizzonti delle diverse vocazioni cristiane, come una sfida di pienezza alle alternative del consumismo edonista o del materialismo ateo. E' questo un campo di palpitante attualità per l'evangelizzazione in Perù.


7. Particolare importanza riveste anche l'evangelizzazione della cultura nel vostro Paese, per fecondarla con lo spirito del Vangelo nel quale essa affonda le sue radici plurisecolari. In effetti, l'evangelizzazione, quando è realizzata correttamente, influisce potentemente sulla cultura e su tutta la vita dell'uomo.

Sforzatevi, dunque, perché le leggi e le consuetudini non voltino le spalle al senso trascendente dell'uomo, né agli aspetti morali della vita. Col pensiero rivolto agli uomini di scienza e particolarmente agli universitari presenti qui e in tutto il Paese, ripeto la constatazione che feci davanti all'assemblea dell'Unesco (2 giugno 1980): il vincolo del Vangelo con l'uomo è creatore di cultura nel suo stesso fondamento, poiché insegna ad amare l'uomo nella sua umanità e nella sua dignità eccezionale. A questo riguardo, la Chiesa in Perù si trova davanti a una vera sfida che deve raccogliere creativamente nella sua azione evangelizzatrice. A questo proposito esprimo la mia profonda stima ai rappresentanti del mondo della cultura in Perù e nello stesso tempo li incoraggio ad essere fedeli alla loro importante missione e all'uomo considerato nella sua dimensione integrale alla luce di Dio.


8. Questo nuovo impulso evangelizzatore richiederà una serie di sforzi coordinati per organizzare una più profonda catechesi, impartita in forma organica e sistematica. Si tratta di una necessità vitale. C'è bisogno dunque di una costante catechesi, senza tregua e senza stancarsi, a tutti i livelli e in tutti i luoghi: dall'omelia all'insegnamento del catechismo in famiglia, dalla parrocchia alla scuola. Una catechesi che, avvicinando l'uomo a Gesù Cristo, sia attenta alla retta formazione della coscienza del cristiano, sapendo far giungere caldamente a ogni anima l'amabile esigenza del Redentore.

ln questo compito, si deve porre grande slancio per fare in modo che all'annuncio di Gesù Cristo corrisponda l'adeguata celebrazione del suo mistero nella liturgia della Chiesa; infatti la vita di Cristo si comunica ai fedeli per mezzo dei sacramenti, come ricordai ai vostri vescovi (4 ottobre 1984). Inoltre, la liturgia, celebrata secondo le norme della Chiesa e partecipata attivamente, è in se stessa la più autentica catechesi attraverso la parola e attraverso i sacri segni.


9. Nella concreta situazione del Perù, un veicolo e luogo importante di evangelizzazione deve essere la pietà popolare nata dal cuore del popolo. Questa manifesta, tante volte in maniera sorprendente, il senso della fede che Dio elargisce ai semplici di cuore, così ricca di sentimenti ed espressiva nei suoi gesti di devozione.

E' ben noto quanto profondamente si è radicata in voi, fedeli peruviani, la devozione alia croce di Cristo che si trova in tanti luoghi in cui si svolge la vostra vita. Ne sono prova la venerazione alla "Cruz de la Conquista" o la celebrazione della "Cruz de Mayo". Come lo sono il profondo affetto dei peruviani a Cristo crocifisso, venerato come il Senor de los Milagros, Senor Cautivo de Ayabaca, il Senor de Luren, de Huanca, il Senor de los Temblores, de Koylloriti, de Burgos, de Huamantanga e altri.

La stessa cosa succede con la profonda devozione che voi, cattolici peruviani, sentite verso la nostra Madre, la santissima Vergine, alla cui protezione ricorrete tante volte, anche nei diversi santuari mariani che costellano la vostra amata terra. Siate fedeli a queste devozioni, e che esse vi conducano sempre più verso Cristo, centro della nostra vita di fede, unico Pastore e Redentore.

Voi, pastori e guide di questo popolo, aiutatelo rispettosamente a purificare queste devozioni popolari, affinché siano per il gregge del Signore vie che conducono a lui, unica porta per le pecore, nel quale troveranno il vero pascolo e avranno "vita in abbondanza"; la vita che egli dà alle sue pecore e che dura fino alla vita eterna in Cristo, che ha "il potere di offrire la sua vita e il potere di riprenderla di nuovo" (Jn 10,9-18).

Questo aspetto della pietà popolare apre oggi ampie possibilità di evangelizzazione alla Chiesa nel Perù.


10. Infine, l'evangelizzazione nell'attuale situazione peruviana deve rischiarare la fede ed evitare pericoli ai quali si vede esposto il popolo dei fedeli.

La lettura di questa celebrazione liturgica ci parla di coloro che entrano nell'ovile "attraverso Cristo". Anche questi appartengono al gregge, e inoltre partecipano attivamente alla missione di Cristo evangelizzatore e Pastore.

A questa stessa missione partecipano i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i laici scelti dalla Chiesa. Sono i seminatori del Vangelo.

Un grande senso di responsabilità e di attenzione al nostro ministero devono infonderci le parole di severa condanna di Gesù verso chi "non entra per la porta", ma "sale da un'altra parte, come un ladro e un brigante". Questi sono "estranei" al gregge e per questo le pecore "non seguiranno un estraneo, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei". "Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere" (Jn 10,1-5 Jn 10,10).

Queste severe parole del Maestro condannano tutte le alterazioni del Vangelo e della vera evangelizzazione, le falsità e i falsi profeti, le riletture del Vangelo in chiave non ecclesiale ma adattate a interpretazioni ispirate alla moda o a visioni sociopolitiche. Con questo si trasforma il servizio alla verità in servizio alla confusione, se non addirittura alla menzogna.

Di fronte a questi pericoli, che sempre serpeggiano nella Chiesa, è necessario che pastori, operatori della pastorale e fedeli mantengano un'assoluta fedeltà al messaggio integrale di Cristo, che ascoltino la sua voce che siano disposti come lui a dare la prova suprema dell'amore alla verità e alle loro pecore: "Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita..., questo comando ho ricevuto dal Padre mio" (Jn 10,1 Jn 7 Jn 10,18).

In questo modo l'evangelizzazione realizzata con profondità libererà i fedeli dai rischi che derivano da attività proselitiste di gruppi che hanno poco di autentico contenuto religioso.


11. Miei cari fratelli e sorelle: abbiamo fatto queste riflessioni sull'evangelizzazione in Perù nell'attuale momento della Chiesa.

Voglio manifestarvi il mio vivo apprezzamento e incoraggiamento per i grandi sforzi che tutti, pastori, operatori della pastorale e fedeli realizzate per seguire con fedeltà Cristo, primo evangelizzatore, pastore e porta dell'ovile.

Rinnovate il vostro proposito in questo cammino, affinché questa Chiesa in Perù sia una Chiesa fortemente evangelizzatrice - dentro e fuori i confini peruviani - Chiesa di Cristo che sempre ascolta la sua voce.

La Stella dell'evangelizzazione, nostra Signora della Mercede, ispiri dal suo santuario di Paita tutti i vostri propositi e accompagni nella loro fedeltà a Cristo i figli di questa terra e di tutto il Perù, che benedico di cuore.

Data: 1985-02-04 Data estesa: Lunedi 4 Febbraio 1985





L'omelia della messa per i lavoratori - Trujillo (Perù)

Titolo: Liberazione dell'uomo da ogni schiavitù

Signor arcivescovo, cari fratelli e sorelle; "Nel nome del Signore nostro Gesù Cristo... lavoriamo con fatica e sforzo" (2Th 3,6-8).


1. Queste parole di san Paolo, invitano noi tutti qui presenti, rappresentanti del mondo del lavoro, a riunirci nello spirito del Vangelo e nella celebrazione dell'Eucaristia.

Provo una grande gioia nell'incontrarmi qui con voi, in questa splendida città di Trujillo, centro - in epoche precolombiane - della cultura Chimu. Le sue tracce sono riscontrabili in questa monumentale città di fango - Chan Chan - che ha resistito all'azione distruttrice del tempo e delle intemperie. Gioia intima e piena di emozione, anche, nel presiedere questa Eucaristia mentre Trujillo si appresta a celebrare il 450° anniversario della sua fondazione e, allo stesso tempo, della prima messa che nella stessa data si celebro in questa città. Saluto prima di tutto il pastore della diocesi di Trujillo, i vescovi di Cajamarca, Huaraz, Chiclayo, Chimbote, Choyo, Chachapoyas, Huamachuca, Huari, Moyobamba e San Francesco Saverio.

Sono particolarmente contento di trovarmi fisicamente con tutti voi, che siete venuti fin qui; e, in spirito, con tutti voi che lavorate in ogni parte del Paese. E' a voi, figli della Chiesa presente nel mondo del lavoro, che va in questa occasione il mio affettuoso saluto e la mia comprensione. A voi che lavorate nei campi, nelle miniere, nelle cave, nella siderurgia, nell'industria, nei villaggi e nelle città, nelle cooperative e negli uffici. Voi che vi trovate in questa regione del Nord e nell'intero Perù. Anche ai fratelli imprenditori e a tutti i lavoratori intellettuali e manuali, che formano la grande comunità del lavoro.

In modo molto speciale desidero salutare affettuosamente l'importante settore dei pescatori del Perù, che ripetutamente mi hanno invitato, e che io così vivamente ho voluto visitare separatamente per corrispondere al loro cordiale invito. Desidero assicurarvi, cari pescatori, che, come Successore di Pietro, vostro patrono, il pescatore di Galilea, mi sento in modo particolare vicino a voi e alle vostre famiglie. Sappiate incontrare Dio nel mare, rivolgervi a lui in tutta la vostra vita.


2. Gesù Cristo, l'uomo del lavoro. Il testo evangelico che abbiamo appena ascoltato ci parla del lavoro umano, che per il cristiano, trova la sua massima ispirazione ed esempio nella figura di Cristo, l'uomo del lavoro. Prima di intraprendere la sua attività messianica, proclamando il Vangelo a tutte le genti, ha lavorato per trent'anni, nella silenziosa casa di Nazaret. Fin dalla sua prima giovinezza, Gesù imparo a lavorare, a fianco di Giuseppe, nella sua bottega di falegname, e per questo lo chiamavano il "figlio del falegname" (Mt 13,55). Questo lavoro del Figlio di Dio costituisce il primo e fondamentale Vangelo, il Vangelo del lavoro.

In seguito, nel corso della sua predicazione apostolica farà riferimento spesso, specialmente nelle sue parabole ai diversi tipi di lavoro umano.

Gesù predicava prima di tutto il regno di Dio. E, nello stesso tempo, il destino finale dell'uomo: l'unione con Dio. Ma questa prospettiva soprannaturale rendeva evidente anche il profondo significato del lavoro dell'uomo, poiché esso non appartiene solamente all'ordine economico e temporale della società umana, ma rientra anche nell'economia della salvezza divina.

E benché il lavoro non serva solo per la salvezza eterna, l'uomo si salva anche con il suo lavoro. Questo è l'insegnamento del Vangelo che la Sacra Scrittura ci trasmette ripetutamente, tanto nell'Antico come nel Nuovo testamento.


3. La lettura di oggi, tratta da san Matteo, contiene questa dottrina fondamentale nella parabola dei talenti. Tre persone ricevono dal loro padrone dei talenti. Il primo, cinque; il secondo, due; il terzo, uno. Il talento rappresentava a quei tempi una certa quantità di denaro, si potrebbe dire un capitale; oggi lo chiameremmo principalmente capacità, attitudini al lavoro. Il primo ed il secondo dei servi raddoppiarono quello che avevano ricevuto. Il terzo, invece, nasconde il suo talento sotto terra e non ne accresce il valore.

In questi tre casi si parla indirettamente del lavoro.

Partendo dalle doti che l'uomo riceve dal Creatore attraverso i genitori, ognuno potrà compiere nella vita, con maggiore o minore fortuna, la missione che Dio gli ha affidato. Sempre mediante il proprio lavoro. Questa è la via ordinaria che porta a raddoppiare il valore dei talenti di ciascuno. Al contrario, rifiutando il lavoro, senza lavoro, si dilapida non solo "l'unico talento" di cui tratta la parabola, ma qualsiasi altra entità di talenti ricevuta.

Gesù, con questa parabola dei talenti, ci insegna, quanto meno indirettamente, che il lavoro ha parte nell'economia della salvezza. Il giudizio divino sull'intera esistenza umana ed il regno di Dio come premio, dipenderà dal lavoro. Al contrario, "lo sperpero dei talenti" provoca il rifiuto da parte di Dio.


4. La dottrina di san Paolo. Il testo di san Paolo che abbiamo ascoltato nella prima lettura, della Lettera ai tessalonicesi, può essere considerato un commento apostolico alla parabola di Cristo; e, in un certo senso, a tutto il Vangelo del lavoro, che Gesù di Nazaret ci ha insegnato con la sua vita e con le sue parole.

L'apostolo mette in guardia tutti quelli che non lavorano, che vivono disordinatamente e in continua agitazione; come faceva Gesù con coloro che dilapidano i loro talenti. Inoltre san Paolo dà ai destinatari della Lettera, i tessalonicesi, un esempio di lavoro personale, oltre al suo instancabile lavoro apostolico, "per non essere di peso a nessuno di voi". Questo comportamento dell'apostolo è un'indicazione, e deve essere causa di rimorso, per quelli che non lavorano. Per questo aggiunge: "Se qualcuno non vuole lavorare, non mangi". E comanda ed esorta tutti, nel Signore Gesù Cristo, a "lavorare in pace per mangiare il proprio pane".


5. così, il tema e il problema del lavoro appaiono come fondamentali fin dall'inizio stesso della vita cristiana. Costituiscono una costante della dottrina sociale della Chiesa, in tutti i tempi; particolarmente nell'ultimo secolo, nel quale il lavoro è stato posto al centro della cosiddetta "questione sociale", e di tutti i problemi che hanno rapporto col giusto ordine sociale.

Questo problema si presenta con caratteristiche di particolare gravità, e a volte perfino di tragicità, in terra latinoamericana. La Chiesa, nella persona dei suoi pastori, guidata dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II, ha potuto constatarlo e denunciarlo in modo adeguato, prima a Medellin e, più recentemente, a Puebla: "Alla luce della fede è uno scandalo ed una contraddizione con l'essere cristiano, il crescente divario tra ricchi e poveri. Il lusso di pochi diventa un insulto alla miseria delle grandi masse. Questo è contrario al progetto del Creatore e all'onore che gli si deve tributare" (Puebla, 28). Io stesso ho ricordato ai vostri vescovi "la tragedia dell'uomo concreto delle vostre campagne e delle vostre città, privato ogni giorno della certezza della sua sopravvivenza, afflitto dalla miseria, dalla fame, dalla malattia, dalla disoccupazione; quest'uomo sventurato che, molte volte, più che vivere sopravvive in condizioni disumane. In questo non è certamente presente né la giustizia né quel minimo di dignità umana che i diritti umani reclamano" (Discorso durante la visita ad limina, 4 ottobre 1984; cfr. La Traccia 1984, n. 9, p. 1065, § 4).

Alla radice di questi mali della società si trovano, senza dubbio, situazioni e strutture economiche, sociali e politiche, a volte di portata internazionale, che la Chiesa denuncia come "peccati sociali". Pero sa, allo stesso tempo, che questo è il frutto dell'accumularsi e del concentrarsi di molti peccati personali, che sarebbe necessario evitare alla radice. "Peccati di chi genera o favorisce l'iniquità o la sfrutta; di chi, potendo fare qualcosa per evitare, o eliminare, o almeno limitare certi mali sociali, omette di farlo per pigrizia, per paura e omertà, per mascherata complicità o per indifferenza; di chi cerca rifugio nella presunta impossibilità di cambiare il mondo" (RP 16). Peccati di coloro che dirigono e sono responsabili della società ed anche dei lavoratori che non compiono i loro doveri. Peccati di negazione della solidarietà e di egoismo, di ricerca del potere e del guadagno, posti al di sopra del servizio agli altri.

Davanti a queste situazioni, la Chiesa continua ad ispirarsi al Vangelo ed alla propria dottrina sociale, per offrire la sua ferma e costante collaborazione alla causa della giustizia.

Per questo vuole essere vicina a tutti coloro che sono trattati ingiustamente ed ai più poveri, per migliorare la loro situazione in tutti i sensi, non solo in campo economico, ma anche in campo spirituale, culturale e morale.

Povero infatti è chi manca dei mezzi materiali, ma non lo è di meno chi è immerso nel peccato, chi disconosce la propria dimensione personale, che va al di là del limite della morte, chi non possiede la libertà di pensare ed agire secondo coscienza, chi è sottoposto dai governanti a limitazioni per le quali chi pratica la propria fede si vede privato dei benefici concessi a coloro che seguono le norme dettate dall'alto, chi è visto come mero strumento di produzione.

La Chiesa vuole una liberazione da tutte queste schiavitù.

In questa stessa linea si muovono i vostri vescovi nelle norme indicate nel loro recente documento sulla Teologia della liberazione (ottobre 1984).


6. Nella concezione cristiana della società compare sempre come principio fondamentale l'affermazione della dignità inviolabile della persona, e, di conseguenza, della dignità di ogni lavoratore. A questa dignità personale corrisponde una serie di diritti fondamentali. Primo fra tutti, il diritto ad avere un lavoro. Un lavoro per poter vivere, potersi realizzare come uomo, dare il pane alla propria famiglia. Un lavoro che arricchisce la società. Un lavoro che deve svilupparsi in condizioni degne di una persona, cioè tali da non arrecare danno né alla salute fisica né all'integrità morale dei lavoratori.

Per questo la disoccupazione, ed anche la sottoccupazione, costituiscono un male, e molte volte "una vera calamità sociale" (LE 18). E' umiliante per le persone e crea sentimenti di frustrazione, con pericolose conseguenze psicologiche e morali, specialmente nei giovani e nei padri di famiglia. La prima preoccupazione di tutti i responsabili della società deve essere, allora, quella di fornire lavoro a tutti. Compito per nulla facile, ma che dovrebbe mobilitare le energie di tutta la nazione.

Il lavoratore deve essere inoltre aiutato, tecnicamente e culturalmente, a prepararsi per svolgere un lavoro che lo soddisfi e allo stesso tempo contribuisca al benessere della società. La Chiesa possiede in questo campo una tradizione che deve conservare e perfezionare.

Un giusto salario, che copra le necessità di una famiglia, continua ad essere la concreta misura della giustizia dell'intero sistema socio-economico e, in ogni caso, del suo retto funzionamento (LE 19). Parimenti, tutte quelle forme di previdenza sociale (pensioni, assicurazioni contro malattie ed infortuni, diritto al riposo, eccetera), che hanno come finalità quella di assicurare la vita e la salute dei lavoratori e delle loro famiglie.

Conosco le difficoltà inerenti, in questi momenti di crisi economico-sociale così acuta, alla concreta ed efficace realizzazione di questi diritti. Tuttavia, voglio richiamare l'attenzione di tutti i responsabili, diretti e indiretti, dell'ordine economico-sociale perché si sforzino di rendere possibile, quanto prima, questo ideale. La Chiesa ed i cristiani hanno il diritto e l'obbligo di contribuirvi, nella misura delle loro possibilità, compiendo diligentemente i loro rispettivi doveri. E lo devono fare tutti nelle associazioni e istituzioni che la società crea al fine di conseguire il bene comune di tutti i cittadini.

Una parola, infine, agli imprenditori, senza i quali non sarebbe possibile rendere effettivi molti di questi diritti. Desidero ricordare loro, con la dottrina sociale della Chiesa, che devono dare alle loro imprese una effettiva funzione soeiale. Non devono concepirle unicamente come strumenti di produzione e di guadagno, ma anche come comunità di persone (Puebla, 1246). Dall'unione di lavoratori ed imprenditori, sotto la responsabile direzione degli uomini di governo, dipenderà la graduale edificazione di una società più giusta.


7. Torniamo nuovamente alla parola di Dio, nella liturgia di oggi. Abbiamo ascoltato il Vangelo del lavoro, dalle labbra stesse di Cristo, nella parabola dei talenti. Abbiamo ricevuto l'insegnamento apostolico di san Paolo. Abbiamo cercato di indicare, seguendo gli insegnamenti sociali della Chiesa, come il lavoro umano appartenga all'ordine economico e temporale, ma anche all'economia della divina salvezza. Alla luce di questa dottrina abbiamo esaminato alcuni dei problemi più scottanti della vostra società.

Tanto all'una come all'altra dimensione del lavoro umano, si applica l'augurio dell'apostolo delle genti: "Il Signore della pace vi dia egli stesso la pace sempre e in ogni modo. Il Signore sia con tutti voi" (2Th 3,16).

In conclusione: pace.

Pace per mezzo del lavoro: "mangiare il proprio pane lavorando in pace".

Il pane deve arrivare a tutti. Non può essere sovrabbondante per alcuni (forse senza lavorare), e mancare ad altri (benché lavorino).

Lavoro: per la salvezza eterna.

Lavoro: per lo sviluppo degli uomini e dei popoli. Per quello sviluppo, che Paolo VI defini come "il nuovo nome della pace".

Quindi: lo sviluppo per mezzo del lavoro, e la pace come frutto dell'autentico sviluppo; e sviluppo di tutti e a beneficio di tutti.

Queste sono le idee fondamentali del Vangelo del lavoro che la Chiesa annuncia al mondo contemporaneo.

"Il Signore sia con tutti voi".

Data: 1985-02-04 Data estesa: Lunedi 4 Febbraio 1985






GPII 1985 Insegnamenti - Ad ammalati e anziani - Callao (Perù)