GPII 1985 Insegnamenti - Giubileo dei santi Cirillo e Metodio - San Clemente (Roma)


2. L'XI centenario del transito di san Metodio ci vede riuniti oggi a Roma presso la tomba del fratello Costantino-Cirillo e ci sprona a meditare sull'attualità ecclesiale della geniale e grandiosa opera di evangelizzazione da essi compiuta.

Verso la metà del IX secolo e nel periodo immediatamente successivo si avvicinava il momento della maturazione politica e culturale della grande compagine dei popoli slavi, il loro ingresso da protagonisti nella convivenza internazionale, nel sistema subentrato all'antico impero romano. Era, purtroppo, anche il momento in cui l'antica civiltà si spezzava e si frantumava, e le tensioni tra Oriente e Occidente si trasformavano in divisioni e, presto, in separazioni. Gli slavi entrarono nella scena del mondo, collocandosi fra queste due parti e, nel tempo successivo, sperimentarono su loro stessi i tragici effetti dello scisma; furono anch'essi divisi, come diviso era allora il mondo europeo.

Tanto più, pertanto, dobbiamo ammirare la chiaroveggenza spirituale dei due santi fratelli, i quali decisero coraggiosamente di costruire un ponte ideale là dove il mondo ad essi contemporaneo scavava invece fossati di separazione e di lacerazione. "Cirillo e Metodio - ho scritto nella lettera apostolica del 31 dicembre 1980, con la quale li proclamavo celesti patroni di tutta l'Europa - svolsero il loro servizio missionario in unione sia con la Chiesa di Costantinopoli, dalla quale erano stati mandati, sia con la Sede romana di Pietro, dalla quale furono confermati, manifestando in questo modo l'unità della Chiesa che, durante il periodo della loro vita e della loro attività, non era colpita dalla sventura della divisione fra l'Oriente e l'Occidente, nonostante le gravi tensioni, che, in quel tempo, segnarono le relazioni fra Roma e Costantinopoli" (Lettera apostolica "Egregiae virtutis", 1).


3. Questo intenso desiderio dell'unione spirituale fra tutti i credenti in Cristo ispiro i due santi fratelli nella loro missione, finalizzata allo scopo di fare dei popoli da loro evangelizzati, nella nascente Europa, un vincolo di unione fra l'Oriente e l'Occidente. A tal fine, Cirillo e Metodio decisero di tradurre i libri sacri nella lingua slava, "gettando con questo le basi di tutta la letteratura nelle lingue degli stessi popoli" e tra l'altro, resisi conto che nella Grande Moravia si celebrava già la santa messa secondo il rito romano introdotto da missionari latini che non avevano molto successo presso la popolazione, essi tradussero in lingua slava non soltanto la liturgia di san Giovanni Crisostomo, bensi anche quella di san Pietro (romana).

Lodare Dio nella propria lingua, consapevoli della propria identità nazionale e culturale e, nello stesso tempo, procurare la più profonda unione tra tutti i cristiani, sia dell'Oriente sia dell'Occidente, non è forse questo il programma missionario confermato e raccomandato anche di recente dal Concilio Vaticano II? Il fatto che tale programma già undici secoli fa fosse approvato e incoraggiato dalla Sede romana fu certamente uno dei grandi "segni dei tempi", che preannunciavano un nuovo volto per l'Europa nascente.


4. Nonostante le alterne vicende e le grandi difficoltà, succedutesi nella storia, possiamo riconoscere che la liturgia slava e la cultura edificata sulle basi gettate dai due santi fratelli sono ancor oggi una testimonianza innegabile della viva continuità dell'eredità cirillo-metodiana. Anche il desiderio della piena unione dei cristiani si è fatto spesso sentire fra i popoli slavi, specie in tempi di calamità. Vogliamo ricordare i Congressi unionistici tra cattolici e ortodossi, che si svolgevano dagli inizi di questo secolo proprio a Velehrad, presso la tomba di san Metodio, sotto la protezione della Vergine santissima, venerata e invocata col titolo di Madre dell'unità.

Seguendo l'esempio dei miei predecessori Giovanni XXIII, che dopo la sua elevazione al supremo pontificato venne in questa basilica per venerare i due santi fratelli, e Paolo VI, che volle collocare nell'altare della cappella di san Cirillo le ritrovate reliquie del santo, anch'io oggi mi trovo in questo luogo, sacro e caro a tutti i credenti in Cristo, ma specialmente ai popoli slavi, e rinnovo l'auspicio che "per opera della misericordia della Trinità santissima, per l'intercessione della Madre di Dio e di tutti i santi, sparisca ciò che divide le Chiese, come pure i popoli e le nazioni; e le diversità di tradizioni e di cultura dimostrino invece la reciproca integrazione di una ricchezza comune. La consapevolezza di questa spirituale ricchezza, diventata su strade diverse patrimonio delle singole società del continente europeo, aiuti le generazioni contemporanee a perseverare nel reciproco rispetto dei giusti diritti di ogni nazione e nella pace, non cessando di rendere i servizi necessari al bene comune di tutta l'umanità e al futuro dell'uomo su tutta la terra".


5. Nell'odierna liturgia della parola abbiamo ascoltato alcuni brani, che possiamo applicare all'apostolato svolto dai santi Cirillo e Metodio: per loro mezzo la parola di Dio si è diffusa per le regioni del mondo (cfr. Ac 13,49); essi, come buoni soldati di Gesù Cristo, hanno avuto la loro parte di sofferenza; come l'agricoltore, si sono affaticati per cogliere i frutti del loro lavoro; a causa del Vangelo, sono stati anche incompresi e maltrattati, ma hanno sopportato ogni cosa (cfr. 2Tm 2,3-10); in modo esemplare, sono stati nella Chiesa di Dio dei pastori buoni, capaci e disposti a offrire la loro vita per le pecore loro affidate (cfr. Jn 10,11-16).

A questi esempi di dedizione dobbiamo ispirarci tutti; tali modelli io propongo oggi, in modo particolare, agli studenti dei collegi ecclesiastici di Roma, qui presenti insieme con i loro superiori e docenti.

Voi siete qui, carissimi fratelli, non solo per venerare e commemorare i santi Cirillo e Metodio, ma soprattutto per apprendere da loro che cosa significhi e comporti seguire la propria vocazione sacerdotale e missionaria. La vocazione viene da Dio, la cui voce si fa sentire in ogni tempo. Gli uomini debbono essere disponibili ad accogliere questa chiamata e devono prepararsi con grande impegno ai compiti che essa esige. Cirillo e Metodio si prepararono alla loro missione con uno studio serio e profondo della parola di Dio e della sacra dottrina, e anche della cultura filosofica e letteraria dell'epoca; ma si prepararono soprattutto con la preghiera e la penitenza. Guardate a questi esempi, carissimi studenti, confermatevi a tali gloriosi modelli per il vostro futuro ministero sacerdotale o missionario! Desidero concludere questa mia omelia con le parole della splendida preghiera che san Cirillo, approssimatasi l'ora di ricevere il riposo definitivo e di migrare nelle eterne dimore, innalzo a Dio: "Signore, mio Dio... che esaudisci sempre quelli che fanno la tua volontà e ti temono e custodiscono i tuoi precetti, esaudisci la mia preghiera, e custodisci a te fedele il gregge, a cui avevi preposto me... Liberali dalla perfidia empia e pagana... ed incrementa con la moltitudine la tua Chiesa, e tutti raccogli nell'unità, e fa' il popolo santo concorde nella tua vera fede e retta confessione, ed ispira nei loro cuori la parola del tuo insegnamento... Quelli che mi avevi dati, li rendo a te come tuoi; reggili con la tua destra possente e coprili con la protezione delle tue ali, perché tutti lodino e glorifichino il tuo nome, di Padre, Figlio e Spirito Santo" ("Vita di Cirillo", XVIII, 8-11).

Troviamo in sintesi, in questa preghiera trinitaria, i grandi ideali, che animarono l'instancabile opera dei due santi fratelli: la proclamazione della parola; la diffusione e la conservazione della fede; l'unità di tutti i credenti in Cristo; la fiducia nell'opera della grazia divina; l'impegno Pastorale, fino al dono di sé.

La Chiesa di oggi, nel celebrare i santi Cirillo e Metodio, prega e medita nel suo cuore il loro messaggio sempre attuale. Amen!

Data: 1985-02-14 Data estesa: Giovedi 14 Febbraio 1985





A vescovi brasiliani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il vescovo unico garante dell'integrità della fede

Venerabili e amati fratelli nell'episcopato.


1. Do un cordiale e fraterno benvenuto a voi, cari vescovi della provincia ecclesiastica di Porto Alegre e della regionale Sud-tre, della Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani, che aprite la serie delle visite "ad limina" che l'episcopato brasiliano compirà durante il 1985. Ricordo con nostalgia il mio viaggio apostolico in Brasile, l'incontro con l'amato popolo brasiliano e, in particolare, con tutti i vescovi, a Fortaleza, e con voi a Porto Alegre. Rammento con gratitudine l'allora arcivescovo, oggi sollevato, a causa dell'età, dalle responsabilità pastorali, il venerando cardinale Alfredo Vicente Scherer, e gli altri illustri vescovi.

Mi ha reso molto lieto l'incontro personale con ciascuno di voi, nei colloqui individuali. E' stato un contatto diretto con la Chiesa particolare di cui siete pastori. Sono anche grato degli incontri collegiali che permettono uno sguardo d'insieme sulla situazione ecclesiale della vostra regione e di tutta la nazione. Le visite "ad limina" costituiscono un momento significativo dell'unità e della cattolicità della Chiesa. E l'incontro dei vescovi, successori degli apostoli, con il successore di Pietro, guida visibile di tutta la Chiesa e "principio e fondamento perpetuo dell'unità di fede e di comunione" (cfr. LG 18). Si afferma la collegialità episcopale, che suppone unità di mente, di cuore e di disciplina, e che in tal modo si consolida. Il pontefice romano, in qualità di pastore supremo del "gregge del Signore", ha l'occasione di comprendere la situazione concreta delle Chiese particolari e di condividere con i loro pastori non solo le preoccupazioni, ma anche le gioie del servizio al popolo di Dio.

Ciò che mi propongo di dire a un gruppo di vescovi, vorrei estenderlo e comunicarlo a tutti gli altri gruppi, rendendo così complementare ciascun punto di vista. In tal modo, alla fine degli incontri, spero, con uno sguardo globale, di proporre alcuni orientamenti ai principali problemi che affliggono la Chiesa del Brasile.


2. Il campo d'azione che la Provvidenza affida al vostro zelo ha una fisionomia che lo caratterizza rispetto alle altre diocesi e agli altri Stati del Brasile. Al ceppo lusitano, che l'antica emigrazione di abitanti delle isole delle Azzorre aveva costituito nell'estremo sud del Paese, sono venute a unirsi, da poco più di un secolo, numerose famiglie tedesche, polacche e italiane, soprattutto venete, che, obbligate a partire dalla propria terra per problemi sociali ed economici, hanno trovato in quel luogo un suolo fertile, da esse coltivato con amore e dedizione. Da queste famiglie, materialmente povere ma ricche di fede, si formarono colonie, che furono ben presto sorgente di grandi risorse non solo di uomini di buona volontà e cristiani fervidi e convinti, ma anche di numerosissime vocazioni sacerdotali e religiose. Tutto il Paese, in questo secolo, ha sperimentato il beneficio di queste leve di ministri e di persone consacrate, oriunde dello Stato del Rio Grande del Sud.


75 anni fa, con la creazione delle diocesi di Pelotas, di Santa Maria e di Uruguaiana, l'antica diocesi di Sao Pedro, a Porto Alegre, divenne metropolia, arricchita 50 anni fa dalla nascita della diocesi di Caxias del Sud alla quale a poco a poco se ne unirono altre, come, 25 anni fa, quelle di Santa Cruz e di Bagé, per citare solamente le diocesi che celebrano ricorrenze giubilari, alle quali rivolgo anche le mie congratulazioni. Dal pioniere don Feliciano José Rodrigues Prates, una serie impressionante di vescovi illustri per virtù, sapere e zelo pastorale, hanno costruito e consolidato questa realtà che è oggi provincia ecclesiastica.

Voi continuate a seguire le orme di questi pastori del passato, continuate la loro opera a beneficio del regno di Dio nel Rio Grande del Sud; mi sono accorto dell'amichevole e cordiale unione con la quale vivete in comunione l'impegno di delineare e realizzare precisi programmi pastorali, coadiuvati da un clero zelante, di suscitare vocazioni e di preparare il laicato alla partecipazione attiva nella vita ecclesiale; vi impegnate, dunque, nel realizzare oggi come già nel passato, la vocazione e la missione dei vescovi e dei pastori a immagine di colui che l'apostolo Pietro definiva "pastore supremo" (1P 5,4), "pastore e guardiano delle nostre anime" (1P 2,25).


3. Vocazione e missione dei vescovi. Alcuni di voi che hanno vissuto come me la singolare esperienza del Concilio Vaticano II, si ricorderanno dell'attenzione e del fervore con cui, nelle commissioni e nell'aula conciliare, ispirandoci alle Scritture e alla vita della Chiesa, cercammo, se non di definire, almeno di descrivere questa vocazione e missione. Il pensiero e la convinzione del Concilio su questo tema, profondamente integrati nell'ampia ecclesiologia dello stesso Vaticano II, è stata presente in vari documenti conciliari, specialmente nel terzo capitolo della "Lumen Gentium" e nel decreto "Christus Dominus".

Il vescovo vi appare, innanzitutto, come colui che convoca i dispersi con la forza della parola di Dio, che costruisce la comunità di fede, di carità, di preghiera e di testimonianza che è la Chiesa, in questo caso la Chiesa particolare della quale egli è vescovo; che mantiene e consolida la comunità nell'unità ma, allo stesso tempo, nella pluralità, facendo si che i fermenti della disgregazione, i conflitti e le tentazioni non rompano la comunione. Di ciascun vescovo dovremo dire con il Concilio che è un aggregatore, un costruttore di comunità. Ma è più eloquente un'espressione del Concilio stesso: il vescovo è innanzitutto, nella sua diocesi, un segno visibile ed efficace di quella comunione di carità di cui la stessa Chiesa è "sacramento visibile" in mezzo al mondo (cfr. LG 18).


4. Il vescovo, in secondo luogo, è "magister fidei" e "doctor veritatis". Non lasciamoci ingannare da queste definizioni: esse non vogliono dire che il vescovo sia padrone della verità; ma lo evidenziano, innanzitutto, come servo della verità; e giustamente, in quanto servo, egli non manipola la verità e le verità della fede a proprio piacimento, ma le comunica con rigorosa fedeltà; nell'evangelizzare, non le impone, ma le propone a tutti, a tempo e fuori tempo, senza prepotenza, ma con umiltà, coraggio e perseveranza.

Permettetemi, in occasione di questo incontro, di spronarvi fraternamente ad essere coraggiosi annunciatori, promotori e, se necessario, difensori della verità rivelata e della fede che di questa verità si nutre.

Trasmettete questa fede integra e pura. Denunciate e combattete ciò che può contaminarla e travisarla. Alimentatela, anche a costo di sacrifici e incomprensioni, nella coscienza e nel cuore dei vostri fedeli.

A voi, posti dallo Spirito Santo dinanzi alle sue Chiese, compete la missione di confermare nella fede i fedeli delle vostre comunità, proclamando e custodendo la parola di verità con l'autorità che viene da Dio, affinché i teologi, i catechisti e tutti coloro che assumono la responsabilità di annunciare la verità, in particolare all'interno e attraverso le celebrazioni liturgiche e paraliturgiche, lo facciano nella più perfetta comunione con voi che risponderete davanti a Dio della fede del popolo che vi è affidato.


5. Il vescovo è allo stesso tempo padre, guida e pastore. E con parole forti che Gesù Cristo, soprattutto nel Vangelo di Giovanni, si attribuisce il nome e la funzione di Buon Pastore. Ogni vescovo riproduce e prolunga questo nome e questa funzione. Grazie a tale definizione, egli è colui che discerne il cammino del Vangelo e della vocazione del cristiano, nell'aggrovigliata strada che si presenta di fronte agli uomini. Egli prende ciascuno per mano, portandolo avanti, come il Buon Pastore che vuole mostrare il cammino, prevenire le insidie e difendere dagli assalti. Sono molti coloro che, ricchi del sapere umano, della scienza e della tecnica, ma poveri della sapienza che viene dall'Alto, ricorrono al vescovo-pastore. Non cercano risposte scientifiche ai loro problemi umani; cercano qualcuno che indichi loro il cammino rivelato da Dio.


6. La missione del vescovo è, infine, quella del santificatore. Conoscete bene la definizione di vescovo data da san Tommaso d'Aquino: "perfector". Vuol dire che un vero vescovo, in quanto e perché artefice di comunione e di comunità, in quanto maestro ed educatore nella fede, in quanto pastore e padre spirituale - e per essere lealmente tutto questo - è colui che condivide e sprona, conduce e alimenta persone e collettività, nel seno della sua comunità, a crescere in ciò che è l'essenza della vocazione e della condizione del cristiano: il senso della ricerca dell'Assoluto di Dio, l'amore per i fratelli, lo spirito delle beatitudini, la sequela a Gesù Cristo nelle strade della vita, la realtà del mistero della croce e della risurrezione nell'esistenza di ciascuno di noi, la testimonianza della fede e della vita cristiana in mezzo al mondo... In altre parole, il vescovo e pastore ha l'esigente, bella e feconda funzione di sollecitare e condurre i fedeli alla santità.


7. Ho voluto, miei cari fratelli vescovi, ricordarvi tutte queste dimensioni della missione episcopale. Aggiungo ancora un pensiero. Ciascun vescovo ha il dovere di compiere la sua missione verso la sua diocesi, della quale egli è responsabile.

Questa missione è - per usare un'espressione consacrata - "di diritto divino". Il fondatore della Chiesa ha voluto che in essa il ministro consacrato dall'imposizione delle mani esercitasse la sua "potestas sacra" e la sua "exousia" che viene da Dio, verso la sua Chiesa particolare. Ma tutti i vescovi, in quanto membri del collegio episcopale e legittimi successori degli apostoli, sono obbligati, per istituzione e precetto di Cristo - è parola del Concilio - alla "sollecitudine per tutta la Chiesa" (cfr. LG 23), a conferire perciò al loro pastorale governo l'indispensabile dimensione missionaria. E qui, mi fa piacere notare e lodare la generosa e fruttuosa esperienza condotta in buona parte delle vostre diocesi, chiamate "Chiese-sorelle".

Dalla missione stessa del vescovo, che lo inserisce nel collegio episcopale, deriva ancora un'altra espressione di questa "collegialità": quella delle Conferenze episcopali, definite e proposte dal Vaticano II e adeguatamente inquadrate nel Codice di diritto canonico.

Per sua configurazione e fisionomia la Conferenza episcopale - lo sa la Conferenza nazionale dei vescovi brasiliani per la sua esperienza antesignana - è luogo di incontro, di dialogo e di reciproco arricchimento, per ciò che si riceve e per ciò che si dà. Nell'interscambio di esperienze e di pareri, nello scambio di opinioni, è sempre soggiacente all'espressione affettiva ed effettiva dei successori degli apostoli una costante di tutto il popolo di Dio: "mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza e del disegno di Dio" (cfr. GS 11).

Così, memori sempre della parola del Signore: "In questo riconosceranno tutti che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri" (Jn 13,15), non potremo desiderare niente più ardentemente che di servire in ogni circostanza, con sempre maggior generosità ed efficacia, la porzione del popolo di Dio che ci è stata affidata. Ed a questo compito ci possono aiutare molto, nell'azione pastorale locale, le grandi linee che la Conferenza, per sua natura e carisma, ci indica, come caratteristiche e momenti prioritari di una regione e nazione.

Nel lavoro di una Conferenza episcopale rimangono sempre punti di riferimento ineludibili: l'identità di ciascun vescovo partecipante, al quale lo Spirito Santo ha affidato una Chiesa particolare, arricchendola per questo dell'autorità e della responsabilità personale; e, insieme ad essa, la comunione, per sostenersi gli uni gli altri nell'opera dell'evangelizzazione, per rispondere alle difficoltà pastorali comuni, sempre uniti tra voi, mostrandovi pronti a tutte le Chiese, poiché ciascuno, per istituzione divina e per esigenza dell'incarico apostolico è responsabile anche, insieme agli altri, di tutta la Chiesa (cfr. CD 6). Saggezza e carità, prudenza e reciproco rispetto renderanno feconda questa comunione. E che il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda di coltivare gli stessi sentimenti, gli uni verso gli altri, seguendo Gesù Cristo, affinché con una sola anima e una sola voce, glorifichiate Dio... e vi accogliate gli uni gli altri, come Cristo vi ha accolti (cfr. Rm 15,5-7).


8. Affido al Buon Pastore, Gesù Cristo, queste considerazioni, che spero siano utili alle vostre missioni; le affido alla sua santissima Madre, colei che moltitudini venute dalle vostre diocesi sulle orme dei martiri del Rio Grande del Sud venerano anno dopo anno sotto diversi titoli. Sia ella, la Madre provvida, ad intercedere presso Dio per voi e per il vostro ministero episcopale. Sono queste le grazie che invoco sui vostri collaboratori immediati - i vicari generali ed episcopali - sui presbiteri delle vostre diocesi, sui religiosi e le religiose, sui seminaristi, i novizi e le novizie, sui diaconi permanenti, i ministri non ordinati, le comunità ecclesiali di base, i movimenti e i gruppi, sulle famiglie e gli anziani, i giovani e i fanciulli, sui malati e coloro che soffrono. Il Signore sia per tutti fonte di pace e di conforto, con la mia affettuosa benedizione apostolica.

Data: 1985-02-16 Data estesa: Sabato 16 Febbraio 1985



#399

Al Pontificio seminario romano maggiore - Roma

Titolo: La vocazione problema centrale della vita cristiana

Abbiamo meditato insieme sulla vocazione, sulla chiamata di Pietro. Si deve dire che questa, forse più delle altre, è iscritta nel Vangelo. La chiamata, lo sappiamo, è sempre un mistero: il mistero di colui che chiama, il mistero di questa iniziativa divina, e poi, naturalmente, il mistero della risposta di colui che è chiamato.

Ci sono molte altre vocazioni, molte altre chiamate inscritte nella Sacra Scrittura, nell'Antico Testamento; alcune, come la chiamata dei profeti Isaia e soprattutto Geremia, sono profondamente commoventi. La chiamata di Pietro o, meglio, Simone che poi viene nominato Pietro, forse si distingue dalle altre dal punto di vista del processo interiore, psicologico, di colui che venne chiamato. Sembra un dramma completo: seguiamo tutte le fasi del dramma delle parole, degli avvenimenti; vediamo la forza, l'attrattiva di Gesù che chiama; vediamo anche l'entusiasmo di Simone che viene chiamato. Vediamo poi a fianco di questa forza, di questo entusiasmo, anche le debolezze, le insufficienze di Simone: possiamo dire che il calcolo teologico è pienamente equilibrato con quello psicologico, come è ben dimostrato dall'intero cammino vocazionale di Simone-Pietro.

Abbiamo insieme meditato su questo cammino vocazionale grazie all'iniziativa artistica dei nostri amici. Ma questo è soltanto il punto di partenza della meditazione che abbiamo fatto insieme sulla vocazione e sulla chiamata di Pietro, perché qui, in questa cappella, si medita spesso sulla vocazione e qui sono invitati molti, come questa sera e come in altri giorni e periodi; siete invitati voi, fratelli e sorelle, per meditare sulla vocazione, soprattutto sulla vostra vocazione cristiana, perché questa è la vocazione più fondamentale e nel Vangelo possiamo dire che anche nella chiamata di Simone-Pietro troviamo soprattutto quel livello della vocazione cristiana: umana, cristiana. Ci sono poi vocazioni diverse che costituiscono il programma della vita: innanzitutto il pensiero perenne della santissima Trinità, di Dio stesso. E' cosa che ci commuove profondamente pensare che la nostra vita, prima di essere vissuta, era stata già pensata, in un certo senso programmata. Pensata con amore: e io debbo soprattutto scoprire quel pensiero e quell'amore che hanno preceduto la mia vita vissuta.

Questa tematica vocazionale, nel senso ampio, nel senso fondamentale della parola, è molto ricca, è molto evangelica. La troviamo dappertutto nel Vangelo e nella Sacra Scrittura; e poi si deve constatare che il pensiero teologico negli ultimi decenni o, forse per un più lungo periodo, si è centrato sempre più su questa tematica vocazionale. E non solamente il pensiero teologico, direi; in un certo senso, anche il pensiero filosofico ha scoperto sempre più la centralità di questo problema della vocazione, della chiamata, dell'imitazione, ciò che i tedeschi chiamano "nachvolge".

E' per questo che vedo con grande gioia che in questa cappella del seminario, questo problema diventa tema delle vostre meditazioni, dei vostri incontri, delle vostre preghiere. Possiamo dire che voi venite qui molte volte per accompagnare il cammino vocazionale dei seminaristi romani; per accompagnare al tempo stesso con la vostra preghiera e con la vostra ricerca il cammino vocazionale che è proprio di ciascuno di voi. Penso che questa presenza, questo accompagnare il cammino che è proprio dei seminaristi, sia di grande aiuto per coloro che si preparano al sacerdozio. D'altra parte, accompagnati dalla loro ricerca vocazionale, dal loro cammino vocazionale verso il sacerdozio, nella vostra ricerca, nel vostro cammino vocazionale. ln questo modo penso che si entra molto bene nel cuore stesso del Vangelo: perché il problema vocazionale, la chiamata, si trova propriamente nel cuore del Vangelo, nel cuore della Sacra Scrittura, nel cuore della rivelazione. Possiamo dire che in un certo senso la rivelazione è soprattutto vocazione, chiamata; non è una teoria solamente, è certamente una prassi, ma soprattutto una chiamata vocazionale si trova tra la teoria e la prassi e viene in certo senso inscritta nella rivelazione; ma il concetto centrale, il problema centrale è la vocazione. così la vocazione, come problema centrale della vita cristiana, della fede vissuta, è stata scoperta e messa in rilievo dal Concilio Vaticano II. Se voi venite qui per accompagnare il cammino vocazionale dei futuri sacerdoti, dei seminaristi, e per essere accompagnati da loro nel vostro cammino vocazionale, in questo modo voi entrate nella problematica centrale del Concilio Vaticano II, in quello che il Concilio voleva presentare, insegnare alla Chiesa e al mondo.

Così io vedo il senso profondo di questi incontri, centrati qui intorno alla problematica vocazionale e mi piace molto che tutto questo si attui, si sviluppi sotto lo sguardo materno di Maria, Madre della fiducia. In un'altra circostanza abbiamo già parlato dell'importanza della fiducia per la vocazione, per essere chiamati, per poter seguire la propria vocazione. Oggi voglio solamente e brevemente accennare al fatto che tutto questo lavoro vocazionale, centrato sull'Eucaristia, viene sviluppato anche sotto lo sguardo materno della Madre della fiducia. Auguro che sotto questo sguardo i vostri cammini, le strade della vocazione cristiana, della vocazione dei laici, laici consapevoli, impegnati, e della vocazione sacerdotale o religiosa, trovino sempre più maturità e sempre più gioia.

Concludendo, devo tornare al punto di partenza: a me piace che in questa vostra assemblea di persone che riflettono sulla vocazione, che pregano, che meditano il problema vocazionale abbiate oggi incluso anche il Papa: anche lui, naturalmente, deve meditare sul suo cammino vocazionale e, per questo, la tematica di san Pietro è la più indicata. Vi ringrazio personalmente.

Infine, facciamo come in America Latina, dove tutti chiedevano sempre: "Benedicion, benedicion": vi do la mia "benedicion", la mia benedizione.

Data: 1985-02-16 Data estesa: Sabato 16 Febbraio 1985





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Vivere con Cristo la Quaresima



1. "Ges


ù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo" (Mt 4,23).

Questo Gesù vogliamo salutare e adorare con la nostra preghiera all'Angelus Domini. Infatti egli è colui che, all'Annunciazione, è stato rivelato alla Vergine di Nazaret, Maria. E' quel Gesù, eterno Figlio di Dio, che per opera dello Spirito Santo è stato concepito nel seno di Maria come uomo, allorché ella, alle parole dell'arcangelo, ha risposto dicendo: "fiat", "così avvenga". "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Questo è Gesù di Betlemme e di Nazaret. figlio di Dio e figlio dell'uomo.

Proprio lui, quando è giunto il tempo a ciò preordinato, ha iniziato a predicare la buona novella del regno e a curare "ogni sorta di malattie e di infermità del popolo".


2. Proprio lui vogliamo adorare oggi, all'avvicinarsi dell'annuale periodo della Quaresima. Vogliamo invitarlo affinché con la medesima - e insieme sempre nuova - potenza "predichi la buona novella del regno" in questo periodo, ogni anno così importante e così rilevante nella vita della Chiesa intera.

Vogliamo pure chiedere da lui i "segni" di questa potenza salvifica che parlino agli uomini della nostra epoca, così come hanno parlato una volta a Israele all'inizio dei tempi nuovi. Vogliamo invitarlo nelle nostre comunità e nelle nostre coscienze. Preghiamo che curi le malattie degli uomini contemporanei: "ogni sorta di malattia" dell'anima. E quante ve ne sono! Preghiamo che ci aiuti a convertirci, a purificarci, a trasformarci spiritualmente, a rinnovarci. Preghiamo "che il male non ci accolga". Che vinca lui: Gesù di Nazaret, nostro redentore, crocifisso e risorto. Questa preghiera eleviamo alla soglia della Quaresima 1985.

Data: 1985-02-17 Data estesa: Domenica 17 Febbraio 1985





Nella parrocchia di Santa Maria della Perseveranza - Roma

Titolo: Vivere le esigenze del Vangelo per sentirci fratelli



1. "Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattia e di infermità nel popolo" (Mt 4,23).

Nello spirito di queste parole del Vangelo saluto la parrocchia di Santa Maria della Perseveranza, che mi è stato dato di visitare oggi. La visita del vescovo è sempre un ministero pastorale e apostolico, il cui primo e irraggiungibile modello è Gesù Cristo: colui che predica il Vangelo del regno; colui che guarisce, che cura anima e corpo. Insieme col cardinale vicario e con il vescovo del settore Ovest saluto i sacerdoti e tutti gli appartenenti a questa comunità parrocchiale: "Pace a voi tutti che siete in Cristo" (1P 5,14).


2. Il tema principale della liturgia odierna è, si potrebbe dire, la missione di Gesù Cristo verso i lebbrosi. Come abbiamo sentito nella prima lettura dal libro del Levitico, i lebbrosi erano persone considerate legalmente impure, intoccabili, le quali erano costrette a vivere ai margini della società. Gesù invece li accoglie, li tocca e li guarisce. La Chiesa, depositaria del messaggio portato dal Signore e continuatrice della sua missione salvifica, non ha mai cessato, attraverso i secoli, di prodigare le sue attenzioni e le sue cure in favore dei malati, specialmente di quelli colpiti dalla lebbra.

Sono noti a tutti i grandi apostoli dei lebbrosi, per limitarmi agli ultimi decenni di questo secolo: padre Damiano de Veuster nell'isola di Molokai; il padre gesuita polacco Jan Beyzym, che dedico la sua vita alla cura dei lebbrosi di Ambahiwuraka, presso Tananarive, nel Madagascar, fino a contrarre egli stesso quel terribile morbo e a morire tra i lebbrosi in quel luogo; il dottor Marcello Candia, defunto qualche anno fa, il quale ha consacrato le sue migliori energie tra i lebbrosi di Marituba, sulla foce del Rio delle Amazzoni: un lebbrosario, questo, che ho visitato durante il mio viaggio pastorale in Brasile rendendomi conto personalmente di quali cure egli circondasse i suoi malati. Tale attenzione della Chiesa per i lebbrosi ho potuto riscontrarla anche nel mio primo viaggio in Africa, presso il lebbrosario di Adzopé, nella Costa d'Avorio, e durante la mia visita in Corea, nel maggio dell'anno scorso, allorché ho potuto portare la mia parola di conforto agli ammalati del lebbrosario di Sorok Do.


3. Il libro del Levitico contiene norme particolari circa la lebbra. Come si vede dal testo, si tratta prima di tutto di assicurare gli altri dal pericolo della contaminazione: "Abiterà fuori dell'accampamento" (Lv 13,46).

Tuttavia questi severi divieti sono stati superati da Gesù di Nazaret.

Ne abbiamo un esempio nel Vangelo odierno: "Un lebbroso lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi guarirmi". Gesù, mosso a compassione, stese la mano, lo tocco e gli disse: "Lo voglio, guarisci... ma va', presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato"" (Mc 1,40-44). In questo gesto di Gesù constatiamo il superamento e insieme la fedeltà alla legge di Israele: "Presentati al sacerdote". E' questo lo stile di Gesù che è venuto a portare a compimento, non a distruggere.


4. Gesù che guarisce, che cura dalla lebbra: fa "segni grandi". Questi "segni" servivano alla manifestazione della potenza di Dio dinanzi alle malattie dell'anima: dinanzi al peccato. Tale riflessione è sviluppata nel salmo responsoriale, che proclama proprio la beatitudine del perdono dei peccati: "Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa, / e perdonato il peccato. / Beato l'uomo a cui Dio non imputa alcun male / e nel cui spirito non è inganno" (Ps 31,1-2).

Gesù guarisce dalla malattia fisica, ma in pari tempo libera dal peccato. Egli si rivela così il Messia annunziato dai profeti, colui che "si è caricato delle nostre sofferenze", che "si è addossato i nostri peccati" per liberarci da ogni infermità spirituale e materiale (cfr. Is 53,3 Is 53,12). In questo senso egli è nella Chiesa il Liberatore per eccellenza, colui che ha fatto del riscatto da ogni male la ragione della sua venuta sulla terra.


5. Non ci deve essere nell'uomo nessun inganno, se i peccati devono essere rimessi. Il perdono richiede un sincero pentimento e una vera conversione. Lo indicano le ulteriori parole del responsorio: "Ti ho manifestato il mio peccato, / non ho tenuto nascosto il mio errore. / Ho detto: "Confessero al Signore le mie colpe", / e tu hai rimesso la malizia del mio peccato" (Ps 31,5).

Proprio tale sincera e piena contrizione e confessione dei peccati portano la purificazione spirituale, a cui segue l'interiore gioia della coscienza: "Gioite nel Signore ed esultate, giusti, / giubilate voi tutti retti di cuore" (Ps 31,11).


6. così dunque un tema centrale della liturgia odierna è la purificazione dal peccato, che è come la lebbra dell'anima. A questo principale problema nell'intera nostra vita spirituale è stato dedicato l'ultimo Sinodo dei vescovi (1983). Il documento post-sinodale ricorda dettagliatamente l'insegnamento evangelico sulla riconciliazione con Dio e sul sacramento della Penitenza.

In tale esortazione apostolica è stato chiaramente ribadito che "per un cristiano il sacramento della Penitenza è la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei suoi peccati gravi commessi dopo il Battesimo". Vi si afferma pure che il Salvatore nella sua azione salvifica non è così legato ad un segno sacramentale da non poter operare la salvezza al di fuori e al di sopra dei sacramenti, "ma ha voluto e disposto che gli umili e preziosi sacramenti della fede siano ordinariamente i mezzi efficaci, per i quali passa e opera la sua potenza redentrice... Sarebbe quindi insensato pretendere di ricevere il perdono facendo a meno del sacramento, istituito da Cristo proprio per il perdono" (cfr. RP 31).


7. L'invito alla riconciliazione con Dio, alla purificazione dai peccati, si trova alla base del Vangelo del regno, che Gesù di Nazaret predicava. Solo su questo fondamento si può costruire la nostra vita cristiana, cioè dare compimento a questa chiamata all'imitazione di Cristo, di cui parla san Paolo nella seconda lettura: "Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo" (1Co 11,1). Questo invito, in tempi diversi, ha trovato zelanti realizzatori, come padre Damiano, padre Beyzym, Marcello Candia, che ho già menzionato.

Imitando Cristo, dedichiamo insieme con lui tutta la nostra vita per la gloria di Dio: tutta fino alle attività più semplici, come ancora dice san Paolo: "Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio" (1Co 10,31).


8. Come Vescovo della Chiesa, che è in Roma, e insieme servo delle vostre anime, vengo oggi alla parrocchia della beata Vergine Maria della Perseveranza con questo messaggio evangelico che rileggiamo nella liturgia di questa domenica: la purificazione dal peccato e la vita per la gloria di Dio sull'esempio di Gesù Cristo. Con questo messaggio, mi rivolgo a tutti, iniziando da me stesso, perché come vescovo e pastore della Chiesa sono soprattutto chiamato a vivere questo messaggio: "perché non succeda che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato" (1Co 9,27).

Valga questo messaggio ad infondere nuovo slancio anche a tutti voi, che appartenete a questa parrocchia di Santa Maria della Perseveranza, retta dai benemeriti missionari dei Servi dei poveri, il cui fondatore, Giacomo Cusmano, chiamato "il padre dei poveri", ho avuto la gioia di elevare agli onori degli altari, il 30 ottobre 1983. Mi si dice che le circa 4.300 famiglie di questa parrocchia, oriunde in maggior parte dalle Marche, dall'Abruzzo e dall'Italia meridionale, sono sensibili ai problemi della fede e partecipano alle iniziative parrocchiali destinate a promuovere la liturgia, la catechesi e l'assistenza ai fratelli malati e bisognosi. Anche le associazioni parrocchiali dell'Azione cattolica, dell'Ordine francescano secolare, del Volontariato vincenziano e degli altri gruppi giovanili fanno sentire la loro presenza, dimostrando grande zelo nei loro rispettivi compiti.

Ci sono poi numerose congregazioni religiose, sia maschili che femminili, le quali portano il loro specifico contributo nei vari ambiti dell'assistenza negli ospedali, nelle case di riposo, nel servizio agli handicappati, in cui si distinguono i Figli e le Figlie di don Guanella.

Nell'esprimere a tutte queste categorie il mio compiacimento, le esorto a ben continuare in questa loro testimonianza cristiana.

Purtroppo anche in questa comunità parrocchiale non mancano problemi pastorali e sociali, come quelli delle famiglie afflitte dal triste fenomeno del divorzio e della droga, o colpite dagli sfratti e anche dalla carenza di adeguate strutture necessarie alla vita del quartiere. Non mancano poi alcuni cristiani che vivono in una sorta di indifferentismo religioso, trascurando la pratica dei sacramenti e la partecipazione alla liturgia nei giorni festivi. A costoro io dico: la Chiesa conta anche su di voi, la Chiesa vi ama così come siete e aspetta il vostro ritorno e la vostra collaborazione. Quanto vorrei stabilire un colloquio con voi per dirvi tutto il mio affetto e tutta la mia comprensione! Non abbiate timore di aprire il vostro cuore ai sacerdoti della parrocchia, che desiderano arrivare a tutte le anime, soprattutto a quelle più lontane, perché non praticanti o non credenti. Essi si sentono e sono padri di tutti senza preferenza o accettazione di persone. Tutti esorto a vivere sempre più coerentemente le esigenze del Vangelo e a sentirsi veramente fratelli e sorelle nel Signore.


9. Patrona della vostra comunità è la Madonna della Perseveranza. A lei dunque desidero affidare questo mio odierno ministero, questo messaggio evangelico. A lei desidero raccomandare ognuna e ognuno di questa parrocchia.

Madre della Perseveranza: ella incessantemente intercede per noi, perché perseveriamo nel bene. Perché non ci lasciamo "vincere dal male" (Rm 12,21).

Quanta grande ispirazione, quanta speranza è lei per me e per la Chiesa! Non cessi ella di essere tale ispirazione, tale speranza per tutta la vostra comunità, per ognuno e per tutti Madre della Perseveranza! [Rispondendo al saluto del parroco:] Voglio salutare da questo splendido balcone la vostra parrocchia affidata alla cura pastorale della congregazione religiosa dei Servi dei poveri che da venticinque anni compie in questo ambiente il ministero pastorale. Voglio salutare tutta la comunità parrocchiale, tutti i presenti e tutti gli abitanti di questa zona. Saluto tutte le famiglie e ciascuna famiglia in particolare perché ogni famiglia è già una Chiesa, una "Ekklesia", una Chiesa domestica, una piccola Chiesa, come ci ha ricordato il Concilio. Voglio poi salutare le diverse generazioni cominciando dagli anziani, dai nonni, per poi passare ai genitori, agli adulti, ai giovani, ai bambini, ai più piccoli e ai neonati. Tutti sono abbracciati dallo stesso amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Tutti voi vi trovate sotto la protezione della vergine Madre, Madre della Perseveranza. Ha un bel titolo la vostra parrocchia. Incontrandovi per la prima volta e parlando per la prima volta alla vostra comunità non posso augurarvi altro che quanto si trova in questo titolo. Auguro la perseveranza a tutti.

Perseveranza nel bene, nella vita cristiana, nella fede; perseveranza di ogni giorno, per tutta la vita. La perseveranza è anche una grazia speciale e preziosa per ciascuno di noi. Dobbiamo perseverare fino alla fine, perché la vita è un cammino. Dobbiamo tutti arrivare fino alla meta e per arrivare bisogna essere perseveranti. Questa nostra perseveranza si trova nelle mani della Madre della Perseveranza.

[Ai ragazzi e ragazze:] Vi ringrazio prima di tutto per i fiori che mi avete offerto. Il tempo non è ancora caldo e i fiori non si trovano facilmente, ma se c'è il cuore si trovano anche i fiori. Voi siete i parrocchiani più giovani: siete bambini, ragazzi e ragazze e fate parte di questa parrocchia posta sotto la protezione della Madonna della Perseveranza. Perseverate anche voi per tutta la vita, bisogna essere perseveranti ogni giorno. Voi dovete perseverare nello studio ma anche dovete perseverare nel prepararvi ai sacramenti, alla prima Comunione, alla Cresima... [Dopo un breve incidente tecnico dei microfoni:] Se il microfono non è perseverante non è colpevole. Invece se non fosse perseverante il Papa o un bambino, una ragazza o un ragazzo sarebbe un'altra cosa, perché noi siamo responsabili della nostra perseveranza. Vi auguro di essere perseveranti, di imparare la perseveranza fin dalla piccola età, fin dalla giovinezza, fin dalle piccole cose. Pregate la Madre di Cristo, patrona della vostra parrocchia, di essere perseveranti nei vostri doveri quotidiani, a scuola e in casa. La perseveranza ci porta ad essere dei buoni cristiani; ci prepara ad essere dei buoni cristiani nella vita futura. [Al consiglio pastorale:] Vi ringrazio per questo vostro apostolato centrato sulla parrocchia e messo in atto dalle varie componenti della parrocchia stessa, dai gruppi più qualificati. Penso che si debba sempre scoprire ciò che è essenziale, ed essenziale è che Cristo ci ha salvato, ci ha redento, ci ha offerto il dono della salvezza eterna. Coloro che sono consapevoli del dono di Gesù costituiscono la Chiesa e come Chiesa ci vuole anche la consapevolezza di come far fruttare quel dono con perseveranza, come dice il titolo della patrona della vostra parrocchia. Per perseverare ci vuole sia il consiglio personale che il consiglio comunitario. Ciascuno di noi deve cercare la sua salvezza personale in Cristo, ma deve anche cercare la salvezza della comunità. Ci vuole quindi collaborazione nella forma più intensa. Essa si esprime, appunto, attraverso questi consigli pastorali nati a seguito del Concilio Vaticano II. Consiglio pastorale vuol dire un consiglio che cerca di collaborare con Cristo Buon Pastore ai compiti pastorali del sacerdote. Per questo vostro impegno al compito salvifico io vi ringrazio, e con voi le vostre famiglie, i vostri cari, e vi benedico di cuore.

[Ai catechisti:] Vi ringrazio, carissimi, perché mi siete di valido aiuto. Il Papa, infatti, se così si può dire, è il primo catechista della Chiesa di Roma, oltre, naturalmente, di quella universale. Lo è come successore di Pietro che primo catechista lo fu storicamente giacché prima catechesi fu quella del giorno di Pentecoste. Pietro a sua volta succedeva a Gesù il quale, dice Paolo VI nella "Evangelii Nuntiandi", fu il primo evangelizzatore. Potremmo dire, pero, che Gesù fu anche veramente il primo dei catechisti giacché la catechesi è insita nell'evangelizzazione. Non vi è evangelizzazione, infatti, se non tramite la catechesi. Questo è il metodo che la Chiesa sperimenta da secoli, tanto per i giovani quanto per il resto dell'umanità. La Chiesa, come si dice nel documento "Catechesi Tradendae", deve catechizzare ed essere a sua volta catechizzata. Vi auguro, perciò, di impegnarvi con grande amore per Gesù Cristo in questo lavoro.

Dico con grande amore perché è soprattutto questo che serve. E spero anche che il vostro amore per Gesù Cristo possa crescere di giorno in giorno. Vi auguro inoltre di raccogliere i frutti pratici della catechesi: che i vostri catecumeni possano trovare tanta luce, possano capire meglio i misteri e le verità della fede e i principi della vita cristiana. Questo è il frutto di questa educazione. Vi ringrazio e vi auguro tutto questo che è abbastanza, e vi benedico di cuore.

[All'Azione cattolica e all'Ordine secolare francescano:] Ho avuto una grande gioia nell'incontrare una parrocchia intitolata Santa Maria della Perseveranza. Questo titolo mi sembra molto eloquente e significativo: esso parla dei destini della vita umana e cristiana. Sono contento di incontrare questi due gruppi così qualificati: essi hanno una storia e una tradizione nella Chiesa. Vi auguro di perseverare in queste strade già ben sperimentate nella vita della Chiesa e vi auguro di rimanere sempre giovani. Con ciò vi benedico.

[A un gruppo di commercianti:] Il commercio ha il suo momento importante nella vita della società come anche nella vita internazionale. Esso è uno dei momenti costitutivi dell'economia, cominciando da quella locale fino a quella nazionale e mondiale. Questo è un compito molto positivo, che serve al bene degli altri, quindi sono molto contento di incontrarvi e sono molto contento che coloro che in questa parrocchia si occupano del commercio abbiano voluto incontrare il Vescovo di Roma, il Papa, durante la sua visita. Ciò prova che siete vicini alla Chiesa e a questa parrocchia. Anche la Chiesa è vicina a voi e alla vostra professione, e soprattutto alla vostra vita, personale e familiare. Approfitto di questa circostanza per dare una benedizione a tutti voi e a tutti i vostri cari e vi ringrazio per questa iniziativa caritativa che avete preparato con una sensibilità abbastanza significativa per le sofferenze e le necessità del mondo.

[Alle religiose:] Aumentare le virtù è lo scopo e la finalità di ogni congregazione religiosa, e io vi auguro di progredire nelle virtù cristiane, in quelle morali, in quelle soprannaturali, in quelle teologali che, tutte insieme, costituiscono la struttura spirituale della persona interiore. Ognuna di voi ha la sua interiorità, il suo spirito, la sua anima. Questa interiorità viene, in senso speciale, coltivata dallo Spirito Santo. Infatti lo Spirito Santo è coltivatore delle anime, delle virtù, di tutto quello che è spirituale nell'uomo e che infine costituisce l'uomo in quella che è la sua perfezione, la sua santità. Voi siete chiamate alla santità, come tutti i cristiani, ma si può dire che, se tutti gli uomini sono chiamati alla santità in Gesù Cristo, molti non lo sanno. Invece voi siete chiamate alla santità consapevolmente. Sapete che dovete rispondere a questa chiamata. Allora il mio augurio è che siate molto sensibili al lavoro dello Spirito Santo che nell'anima di ciascuna di voi vuol modellare una persona matura spiritualmente. Egli vuol modellare in ciascuna di voi una speciale somiglianza in Gesù Cristo che è quella della sua madre, giacché a Gesù Cristo, a questo Dio uomo, uomo perfetto, nuovo Adamo, corrisponde nella parte femminile del genere umano Maria, sua madre, sua figlia e sua sposa. Tutto ciò lo troviamo nella tradizione spirituale dei padri della Chiesa e nei teologi di tutte le epoche. Ciò serve a voi per sensibilizzare le vostre anime, la vostra interiorità, la vostra sensibilità al lavoro dello Spirito Santo che porta alla santità ciascuno in Gesù Cristo, grazie alla sua opera redentrice. Vi auguro di camminare bene su questa strada dove avete trovato la vostra vocazione. Di camminare bene ciascuna e tutte insieme, perché la vita religiosa comporta tutti e due questi aspetti: quello personale, interiore, e quello comunitario, di vita fraterna. Sia l'uno che l'altro sono doni dello Spirito Santo per avvicinarci alla realizzazione del regno di Dio.

[Risposta alle domande dei giovani:] Si vede che i giovani sono abbastanza curiosi! Vogliono sapere tutto, e vogliono sapere tutto insieme! Le domande che vertono sulla mia vita e specialmente quella sulla mia giovinezza sono di grandissima importanza, ma non è facile dare una risposta breve e semplice specialmente per quanto riguarda la vocazione. Essa è sempre una grazia del Signore e il Signore sa trovare le strade per ciascuno di noi quando ci vuole chiamare. Ho parlato di alcune di queste cose nel libro scritto da André Frossard: "Dialogo con Giovanni Paolo II", che è stato tradotto anche in italiano: se siete tanto curiosi potete leggerlo: sarà utile non solo per conoscere i particolari della vocazione e della vita personale del Papa quand'era giovane... Secondo me i giovani sono sempre gli stessi eppure esiste una grande differenza tra i giovani della mia epoca e quelli di oggi. Parlo secondo la mia esperienza, secondo ciò che ho conosciuto nella mia visuale e nel mio Paese: ai miei tempi la vita era più uniforme, marcata da una certa tradizione, e poi anche più sostenuta dalle istituzioni, come scuole, associazioni, eccetera. Forse oggi c'è più individualismo. D'altra parte non è facile nemmeno dare un giudizio giacché tutto va cambiando rapidamente. Basta pensare come sembrano già tanti gli anni che ci separano dal Concilio Vaticano II, quanti cambiamenti ci sono stati fra il 1968 e gli anni Settanta, gli anni Ottanta: un'epoca. Quanta differenza, soprattutto nel campo giovanile! Si può dire che i giovani di questi ultimi anni sono più alla ricerca di valori, di una vera gerarchia di valori; valori morali, spirituali.

Naturalmente tutto ciò è in evoluzione e poi è difficile limitarsi a un ambiente, per esempio quello italiano, di fronte a tante situazioni diverse anche solo negli altri Paesi europei. La mia esperienza oggi proviene dagli incontri con i giovani; non si tratta di esperienza diretta di pastorale giovanile. Per molti anni, nella mia vita sacerdotale e anche di vescovo, ho avuto esperienza diretta della pastorale giovanile, e tutto ciò che conosco proviene da li. Oggi la mia esperienza è più indiretta ma credo sufficiente per incontrare i giovani e nelle più diverse parti del mondo.

Nei miei viaggi, anche ultimamente in America Latina, in Venezuela, in Ecuador, in Perù, a Trinidad e Tobago ho incontrato dappertutto grandi gruppi di giovani, centinaia di migliaia: la più grande adunanza è stata certamente quella all'ippodromo di Lima dove, ad esempio, ho parlato delle beatitudini. Anche li mi è sembrato che ciò che dicevo veniva recepito, accettato. Quindi mi sembra che i giovani aspettino il messaggio evangelico. Se lo aspettano è buon segno! E se devo paragonare questi grandi incontri a quelli nelle parrocchie romane, ecco che li vedo simili. Perché io penso - e questo mi proviene dal passato, da quando avevo un'esperienza più diretta - che i giovani crescano, nella stessa generazione, un po' con gli stessi problemi, con gli stessi ideali, con le stesse ansie, con le stesse preoccupazioni. Per quanto riguarda i giovani italiani, per esempio, mi dice il presidente Pertini che li incontra spesso durante le visite al Quirinale, hanno soprattutto due domande: "Presidente, quale sarà il nostro futuro? Noi siamo, si, il futuro, ma cosa ci aspetta?". E soprattutto due cose: Il nostro futuro sarà libero dalla guerra nucleare?". Questa è una domanda che fanno i giovani italiani. La seconda è: "Quando avremo finito la scuola, avremo lavoro?".

Sono due domande tipiche, dice il presidente, che i giovani gli rivolgono quando si incontrano con lui. Questo tanto per dire qualcosa dell'esperienza mia che è anche quella del presidente Pertini, ma è anche l'esperienza di molti vescovi e sacerdoti che fanno esperienza diretta incontrando i giovani.

Ci sono poi due domande molto importanti da parte vostra: "E' fiducioso che sulla terra possa regnare la pace?". Devo riconoscere che questo è certamente il problema centrale della vostra generazione, della generazione che chiude il secondo millennio. Io sono convinto che possiamo vincere, che possiamo vincere e ottenere la pace. Naturalmente ci vuole un grande sforzo, molta fermezza, un grande impegno e, secondo me, preghiera intensa perché il Signore allontani i pericoli che si addensano su di noi. A proposito delle ideologie, di fronte a quelle che perseguono mete di giustizia attraverso la violenza, qual è l'alternativa concreta che può soccorrere i cristiani? Il cristiano cerca sempre di realizzare la giustizia, anzi, più che la giustizia: una civiltà di amore. Ma non la cerca con i mezzi violenti. E qui siamo nella nostra posizione più esplicita: non si può creare la pace con la violenza, la pace con la guerra. Non si può creare la giustizia con la violenza: ciò è ingiustizia. Tutti coloro che hanno intrapreso la via della violenza hanno visto che essa non conduce alla giustizia. Ammazzare un uomo, privare della vita persone innocenti - e quanti innocenti sono stati privati della vita -, perché l'ideologia dice che bisogna distruggere il sistema, non importa se alcuni sono innocenti, perché il sistema è cattivo e quindi bisogna distruggere questa società. E' certamente un modo di pensare sbagliato: non si può creare il bene con il male. Noi speriamo che questi falsi programmi cedano a un programma più giusto, rispettoso della persona e dei valori fondamentali dell'umanità, e fra questi, naturalmente, la vita. Ecco, mi limito a questa risposta che non è sufficiente ma è solo circoscritta al momento.

Penso che durante quest'anno avremo più possibilità e più occasioni per parlare di questi problemi. Il 1985, come avete ricordato voi, è stato proclamato dall'Onu "Anno internazionale dei giovani"; la Chiesa vuol prendere parte, naturalmente con i sui criteri e i suoi metodi, a quest'iniziativa: un primo passo è stato fatto con il messaggio del primo dell'anno, ma ancora si faranno altri passi qui a Roma e altrove. Dobbiamo consacrare più attenzione, più riflessione, più preghiera ai giovani, a quei giovani che si preparano già al terzo millennio.

Termino qui queste mie risposte, ma spero che anche se improvvisate, esse possano contenere un po' di luce. Per finire auguro a questa parrocchia di rispondere in pieno al titolo di cui si fregia, quello della perseveranza. A volte si accusano i giovani di non essere abbastanza perseveranti, di nutrire grandi entusiasmi per gli ideali ma di non portarli a compimento. La perseveranza è una grande virtù. Nella gioventù si costruisce tutto ciò che è decisivo nella vita ma ci vuole perseveranza per continuare bene perché vita è una costruzione completa, una casa che deve svilupparsi piano per piano. Voi giovani siete al secondo piano, io ormai al sesto o al settimo: vi auguro di salire sempre più in alto. E vi benedico di cuore".

Data: 1985-02-17 Data estesa: Domenica 17 Febbraio 1985






GPII 1985 Insegnamenti - Giubileo dei santi Cirillo e Metodio - San Clemente (Roma)