GPII 1985 Insegnamenti - A vescovi colombiani visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)


1. Dopo il graditissimo incontro personale con ciascuno di voi, che mi ha offerto l'opportunità di ascoltare le vostre ansie di pastori, di condividere le vostre preoccupazioni, di rendere grazie per le mete raggiunte e riflettere sulla vita della Chiesa in Colombia, ho ora la gioia di questo incontro collettivo; esso mi permette di rinnovarvi l'espressione del mio profondo affetto, che cordialmente estendo ai cari sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, e a tutti i fedeli delle vostre rispettive diocesi della Colombia occidentale. Desidero innanzitutto ringraziarvi per il profondo gesto di comunione nella fede e nella carità che questa visita "ad limina" significa, visita che avete preparato con tanta cura. In ciò vi ha guidati la vostra coscienza di pastori che desiderano testimoniare in questo modo l'unità col successore di Pietro e l'universalità della Chiesa nello spirito dell'ecclesiologia del Concilio Vaticano II. Siate dunque benvenuti a questo incontro fraterno così profondamente significativo e che tanto mi rallegra.


2. Le relazioni quinquennali che mi avete inviato e il dialogo personale con voi mi hanno permesso di conoscere più a fondo la situazione del vostro Paese e delle comunità a voi affidate, in quanto pastori. Ho potuto così familiarizzarmi con i punti più salienti di cinque anni di attività pastorale, di gioie e tristezze, di speranze e di sforzi ecclesiali.

E' consolante constatare così i significativi passi compiuti nell'ultimo quinquennio nella vita della Chiesa in Colombia. E tutto questo come frutto dell'azione divina e della dedizione tenace e generosa dei vescovi, dei sacerdoti, dei membri delle famiglie religiose e degli istituti di vita consacrata, così come di tanti laici benemeriti impegnati nell'apostolato secolare.

E' ben vero che vi sono state anche delle difficoltà fra le quali si potrebbero menzionare alcune carenze, ma il seme della parola rivelata, che con amore e perseveranza avete seminato, ha dato frutti abbondanti. Per tutto ciò, unendomi ai vostri sentimenti, rendo grazie a Dio dal quale procede ogni dono perfetto (cfr. Jc 1,17).


3. Le parole che a nome di tutti voi mi ha rivolto il signor cardinale arcivescovo di Medellin, hanno posto in rilievo una delle realtà che occupano un posto importante nel vostro ministero pastorale: il tema della pace e della giustizia nel vostro Paese. Infatti, in un suo recente documento, il Comitato permanente della Conferenza episcopale segnalava come motivo di profonda preoccupazione "la recrudescenza della violenza, l'aumento allarmante dell'insicurezza, la moltiplicazione degli assalti delle guerriglie che, in nome del popolo, mietono vite umane che appartengono al popolo stesso, la macabra spirale di ogni forma di terrorismo urbano e rurale". A questi gravi mali il documento aggiunge "l'esistenza di funeste organizzazioni che, al margine della legge, osano farsi giustizia da sole e la proliferazione della pratica incivile e inumana dei sequestri".


4. Questa situazione, giustamente qualificata come allarmante, diviene una sfida pastorale per la Chiesa che vuole costruire la pace a partire dall'amore, nucleo fondamentale del Vangelo. La pace è il vostro anelito ed è certamente uno dei vostri ineludibili compiti. Conosco il vostro impegno evangelico per costruirla, diffondendo lo spirito d'amore nel cuore dei fedeli. Essi attendono senza dubbio dai loro pastori l'insegnamento capace di orientare che, a partire dalla fede, illumini la realtà temporale e il concreto comportamento etico delle persone in questo delicato ambito. Di qui l'importanza della parola ecclesiale che esponga con purezza e integrità le esigenze della fede e della morale cristiane. Perciò, in intima comunione col successore di Pietro, il vostro insegnamento dovrà illuminare, alla luce del Vangelo, la coscienza dei fedeli, aiutandoli a superare i dubbi e a evitare tutto ciò che possa provocare disorientamento o deviazioni.

In questo importante compito l'inquietudine della Chiesa, me lo avete detto voi, coincide con l'impegno generale del Paese, al quale voi date il vostro impulso, per favorire un clima nel quale si possa ristabilire il dono prezioso della pace, dopo lunghi anni di violenza, connessa a problemi sociali e politici, nazionali e anche internazionali.


5. Ma voi sapete che la pace cristiana ha una sua identità. Gesù, il Signore, ci ha insegnato che la sua pace non è come quella del mondo (Jn 14,17). La pace comincia nel cuore dell'uomo che accetta la legge divina, che riconosce Dio come Padre e gli altri uomini come fratelli. Invece la violenza che degrada e distrugge l'uomo non è un cammino moralmente ammissibile per stabilire una giustizia dalla quale nasca la pace. Il mio predecessore Paolo VI riaffermo durante la sua storica visita nel vostro Paese che la violenza non è cristiana né evangelica (cfr. Omelia a Bogotà, 23 agosto 1968).

Ricordiamo anche, col Concilio Vaticano II, che l'umanità non può adempiere al suo compito di costruire un mondo più umano, senza che tutti gli uomini si convertano, con spirito rinnovato, alla vera pace (cfr. GS 77-78). Ma giustamente lo stesso Concilio ci avverte che la pace non è mera assenza di guerra, né si riduce al solo equilibrio delle forze avversarie, né sorge da un'egemonia dispotica, ma è, con ogni esattezza e proprietà, opera della giustizia.

Secondo la nota definizione di sant'Agostino, la pace è tranquillità nell'ordine, non pero un ordine qualsiasi, ma un ordine che ha origine e fondamento in Gesù Cristo, principe della pace, riconciliatore degli uomini col Padre, degli uomini tra di loro e dell'umanità con tutto il creato. Si tratta di un compito che richiede dedizione e sforzi rinnovati. Infatti il bene comune trova il suo fondamento nei requisiti della legge eterna, ma, nelle sue esigenze concrete, nel corso del tempo è sottoposto per forza di cose a continui cambiamenti; perciò la pace non è mai un'impresa del tutto compiuta, ma un impegno continuo, un compito al quale devono partecipare tutti i membri della Chiesa e della società colombiana.

Per parte vostra, per raggiungere efficacemente questi obiettivi dovete prestare particolare attenzione alla pastorale giovanile, affinché le nuove generazioni si impegnino con rinnovata gioia e speranza cristiana nella costruzione di un mondo più pacifico e fraterno. Questo anche per evitare ai giovani i pericoli che minacciano i loro sentimenti generosi, che possono cioè trascinarli nell'illusione non infrequente del ricorso a vie di violenza per trasformare la società.

"La pace e i giovani camminano insieme" era il tema che occupava le nostre riflessioni nella celebrazione della Giornata mondiale della pace di quest'anno. Che questo ideale ispiri i vostri propositi e i vostri orientamenti, perché esso divenga piena realtà nella vita personale e nell'esperienza dei giovani colombiani, soprattutto nell'Anno internazionale della gioventù.


6. Spinti dal vostro profondo sentimento pastorale, avete denunciato coraggiosamente i fatti violenti accaduti nel vostro Paese e avete stimolato, nello spirito del Vangelo, la soluzione pacifica dei conflitti mediante la via del dialogo; senza dimenticare neppure gli opportuni orientamenti rispetto ai profondi cambiamenti richiesti da un ordine sociale più giusto. Continuate a incoraggiare i vostri fedeli e le persone di buona volontà ad impegnarsi in una sincera opera in favore della giustizia e della promozione delle persone, favorendo così la scoperta di soluzioni efficaci per i gravi problemi sociali che affliggono la vostra comunità. A questo proposito, dobbiamo proclamare ancora una volta che soltanto uno sviluppo ordinato e giusto delle persone e delle società potrà riflettere il vero volto della pace.


7. Unito al tema della pace e del progresso sociale vi è un altro problema che, lo so, vi preoccupa come pastori e ferisce vivamente la vostra sensibilità di padri nella fede: è quello delle cause antiche e nuove della violenza in Colombia, che tante ferite - ancora aperte - ha lasciato in individui, famiglie e gruppi. Oltre al problema umanitario esso pone anche l'esigenza pastorale di formare un cuore nuovo colombiano, aperto alla riconciliazione e al perdono. Mi anima in ciò una grande fiducia, perché sono certo che la vasta comunità dei credenti del vostro Paese ha raccolto i frutti dell'Anno santo della riconciliazione e del Sinodo della riconciliazione.

Proseguite con rinnovato impegno il vostro sforzo in questa direzione.

Che le vostre comunità diocesane siano segno e strumento di efficace riconciliazione con Dio e con i fratelli, sotto la guida e con la forza dello Spirito Santo. così i vostri fedeli saranno docili alla chiamata che il Signore fa alla comunione col Padre e con gli altri uomini fin nel profondo del cuore.


8. Cari fratelli nell'episcopato, ho condiviso con voi che componete il primo gruppo di vescovi della Colombia venuti a Roma per la visita "ad limina" queste riflessioni attorno a un tema urgente e delicato del vostro ministero. Un tema di grande attualità e di vasta eco per i fedeli e per la vostra comunità nazionale.

Nei successivi incontri che avro con l'episcopato colombiano ci occuperemo di altri temi ecclesiali. Offriro le riflessioni che faremo su di essi - come queste - a tutti i vescovi della nazione, col desiderio che possano aiutarli nella loro missione di guide nella fede del popolo di Dio.

La santissima Vergine Maria è la regina della pace. A nostra Signora di Chiquinquira, patrona della vostra nazione, tanto venerata da tutti i colombiani, affido queste intenzioni e necessità. Che ella vi ottenga dal suo divin Figlio, principe della pace, il compimento dei vostri comuni desideri.

Prima di concludere invoco su di voi, come anche sui sacerdoti, i religiosi, le religiose e tutti i fedeli delle vostre diocesi, un'abbondante effusione dei doni dello Spirito Santo, mentre con profondo affetto imparto di cuore a voi e alle vostre comunità di fede la benedizione apostolica.

Data: 1985-02-22 Data estesa: Venerdi 22 Febbraio 1985




Esequie dell'arcivescovo Ryan - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Concreto e coraggioso ministro di Cristo

"Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate!".

Fratelli carissimi. Quante volte abbiamo meditato queste parole del divin Maestro, insieme alle altre ugualmente severe e impressionanti: "Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora" (Mt 25,13); ma forse mai come in questa dolorosa circostanza esse risuonano veridiche e ammonitrici! Il nostro amato fratello arcivescovo Dermot Ryan improvvisamente ci ha lasciati! Era nel pieno delle sue energie; da meno di un anno aveva intrapreso con entusiasmo e dedizione il suo lavoro assai impegnativo come pro-prefetto della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli; portava nel nuovo incarico un ricco e collaudato patrimonio culturale e pastorale e una lunga esperienza di sacerdote, di vescovo, di docente e di organizzatore; era reduce da un viaggio negli Stati Uniti per commemorare il decennio dell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" e aveva presieduto nei giorni scorsi al Congresso internazionale missionario presso la Pontificia università urbaniana e con viva soddisfazione lo attendevamo per l'udienza finale insieme con i rartecipanti... E invece il Signore l'ha voluto con sé. Improvvisamente, giovedi pomeriggio, un violento collasso stroncava la sua esistenza operosa.

Grande è la nostra mestizia per la perdita di monsignor Ryan. Il 5 aprile dello scorso anno, nel contesto dei vari cambiamenti di titolari dei dicasteri romani, era stato nominato pro-prefetto della Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli. La sua morte è un doloroso lutto per la Curia romana; e lo è anche per la Chiesa d'Irlanda, da lui tanto amata, che lo vide giovane studente, appassionato di teologia, di Sacra Scrittura, di lingue orientali; e poi sacerdote zelante e dinamico e infine per dodici anni arcivescovo di Dublino, concreto e coraggioso, pastoralmente sollecito di tutti, convinto - come diceva - che "la Chiesa deve fare tutto il possibile per servire i suoi membri ovunque si trovino".

Ma la morte di monsignor Ryan è una grave perdita anche per la Chiesa universale. Infatti egli possedeva esperienza e doti tali da renderlo particolarmente idoneo al nuovo incarico: la conoscenza di molte Chiese particolari, a motivo dei suoi studi e dei suoi viaggi di ministero; la pastoralità unita alla missionarietà, conscio com'era del "mandato" trasmesso da Gesù agli apostoli e da questi ai loro successori per tutti i tempi e per tutti i luoghi; e infine la romanità rettamente intesa come "comunione" con Pietro nella verità e nella carità. Quanto bene avrebbe potuto compiere ancora per la dilatazione del Vangelo e per la formazione dei missionari. Mi piace a questo proposito citare, a suo onore e a nostro incoraggiamento, quanto egli disse alcuni giorni fa al Congresso suddetto, di cui aveva ufficialmente aperto i lavori. Al termine della prima seduta egli si soffermo sul problema complesso e difficile dell'inculturazione e ricordo che anche nel passato è avvenuto l'incontro del Vangelo con altre culture, senza che questo abbia portato a stravolgimenti e contaminazioni. Il problema perciò - diceva monsignor Ryan - non è tanto nello studiare i valori insiti nelle altre culture, quanto nel conoscere e nel saper trasmettere i valori del Vangelo.

Sono affermazioni illuminanti e rasserenanti, che devono continuare ad orientare l'impegno di quanti faticano per l'annuncio del Vangelo nel mondo.

Eppure, nonostante queste doti e le grandi prospettive di bene che esse aprivano, il Signore ha voluto monsignor Ryan con sé: nei piani del Signore egli aveva ormai terminato la sua corsa, aveva compiuto il suo "mandato" e a noi non resta che dire con rassegnazione, ma anche con estrema fiducia: "Sia fatta la tua volontà, come in cielo e così in terra!". Infatti, "e 'n sua volontade è nostra pace!" (Dante, "Paradiso", III, 25). Questo nostro amato fratello ha raggiunto la mercede, ha meritato la "corona di giustizia", che il Signore riserva per il giorno definitivo a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione (cfr. 2Tm 4,8). Non lo vedremo più con noi; ma rimarrà sempre vivo il suo ricordo, sempre efficace il suo esempio.

La morte che ha colto monsignor Ryan, mentre predisponeva programmi di lavoro apostolico molteplici e intensi, è per tutti noi un ammonimento serio, anche se non privo di una sua soavità alla luce della parola e dell'amore di Cristo. Essa ci insegna a vigilare e ad essere sempre preparati per l'incontro con il Signore, ricordandoci che "nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore" (Rm 14,7-8).

Essere preparati significa vivere in "grazia di Dio": questa è la prima e fondamentale condizione di una vita autenticamente cristiana. "Vivere in grazia" e "far vivere in grazia" è la missione e l'ideale primario del ministro di Dio. Ci si stringe il cuore pensando a tante morti improvvise che ogni giorno avvengono sulla faccia della terra: quante di queste persone sono preparate ad affrontare il giudizio di Dio? Questo pensiero ci impegna ad aumentare il nostro zelo apostolico per le anime.

Essere preparati significa trovarci sempre al nostro posto. E il nostro posto è quello della volontà di Dio, del dovere quotidiano, della sequela di Cristo conosciuto, amato, imitato. Talvolta il compito che ci è affidato può farci soffrire; talvolta il proprio lavoro è umile e nascosto, senza umane consolazioni.

Eppure, questo "trovarsi al proprio posto", come monsignor Ryan quella sera ultima e definitiva, ci dà forza morale e serenità. Ricordiamo le belle parole che sant'Ignazio di Antiochia scriveva al vescovo san Policarpo, di cui oggi celebriamo la memoria: "Abbi cura dell'unità della Chiesa, di cui non vi è nulla di meglio... Abbi pazienza e carità con tutti... Non stancarti nella preghiera...

Vigila con uno spirito insonne... Dove c'è maggior fatica, ivi il guadagno sarà maggiore... Sta' saldo e forte come incudine che riceve colpi. E' proprio del valoroso atleta ricevere, si, battiture, ma vincere... Esamina i tempi; aspetta colui che è al di fuori del tempo, invisibile, ma che si è fatto visibile per noi...".

Essere preparati significa infine vivere nell'attesa dell'eterna felicità, accettando le tribolazioni della vita e del ministero, sapendo che "le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi" (Rm 8,18). La non conoscenza dell'ora dell'incontro finale con Dio è uno stimolo a intensificare il nostro amore, a trafficare i nostri talenti, a non perdere tempo, a rendere più ardente la nostra invocazione, a coltivare con più ansia e ardore la "beata speranza". Infatti "passa la scena di questo mondo!" (1Co 7,31) ed essendo sempre vicina la "mezzanotte" della parabola evangelica, manteniamo accesa la lampada della fede e della confidenza! Non ci sia altro vanto per noi che nella croce di Cristo (cfr. Ga 6,14), per mezzo della quale viviamo con serenità e pazienza tra le difficoltà quotidiane.

Mentre offriamo il sacrificio eucaristico per il caro arcivescovo Ryan, noi confidiamo nella sua preghiera dal cielo per tutti noi, per la Congregazione romana, che egli ha lasciato, per la Chiesa d'Irlanda, sua amatissima patria, per l'intera comunità cristiana, affinché l'amore di Cristo arda nei nostri cuori, mentre camminiamo solleciti verso la casa del Padre!

Data: 1985-02-23 Data estesa: Sabato 23 Febbraio 1985





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Riflettere insieme sulla pratica della penitenza

"Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio".


1. La solenne affermazione, che risuona sulle labbra di Cristo tentato dal demonio, ci riporta allo scenario sconfinato del deserto, ove egli si è ritirato, sospinto dallo Spirito, per prepararsi nella preghiera e nel digiuno alla missione che lo attende.

"Non di solo pane vive l'uomo...". E un'affermazione che la liturgia opportunamente ripropone ogni anno all'inizio della Quaresima, periodo nel quale siamo invitato a riscoprire i valori essenziali che danno senso al nostro esistere terreno: essi non sono di ordine materiale (il "pane" della tentazione), ma appartengono alla sfera dello spirito, ove ciò che conta è la "parola che esce dalla bocca di Dio".




2. Per percepire questa "parola" e apprezzarne la ricchezza, occorre disporre il proprio cuore ad accoglierla con gioia. Ciò non è possibile se non ci si impegna a pregare e a fare penitenza. Preghiera e penitenza: due termini che possono apparire oggi fuori moda.

E tuttavia resta un dato di fatto, puntualmente confermato dall'esperienza: l'uomo da solo, nonostante il progresso tecnico, che gli consente di dominare la natura, non riesce a dominare se stesso. E' succube dei suoi limiti e delle spinte alienanti dell'ambiente. Ed ecco, allora, la conseguenza paradossale: di fronte a macchine sempre più grandi e complesse, l'uomo finisce per ritrovarsi moralmente sempre più piccolo e meschino, in balia delle forze oscure del suo inconscio o di quelle non meno subdole e potenti della psicologia di massa.


3. Per essere restituito alla sua libertà, l'uomo abbisogna innanzitutto di un aiuto dall'alto che ne riordini il mondo interiore, sconvolto dal peccato: tale aiuto lo ottiene pregando. Egli abbisogna, poi, di una volontà forte e decisa, capace di sottrarsi alle suggestioni ingannevoli del male, per orientarsi coraggiosamente sulle strade del bene: e questo suppone l'allenamento generoso alla rinuncia e al sacrificio, suppone cioè il coraggio di far penitenza, per raggiungere quell'autocontrollo che gli consenta di dominare agevolmente se stesso in armonia con la più profonda verità del proprio essere.

La Quaresima è specificamente dedicata nell'anno liturgico a questo impegno primario del cristiano. Parlando di esso nell'esortazione apostolica "Reconciliatio et Paenitentia" (RP 4), ho sottolineato che, se col termine "penitenza" si vuol indicare prima di tutto il cambiamento di cuore, esso comporta pero il cambiamento anche della vita, così che nel "fare penitenza" è necessariamente incluso lo sforzo di "fare degni frutti di penitenza". E ho aggiunto: "fare penitenza è qualcosa di autentico e di efficace soltanto se si traduce in atti e gesti di penitenza".

Accogliamo con animo volenteroso, carissimi fratelli e sorelle, l'opportunità di grazia, il "kairos" di Dio, che è la Quaresima. Ci guiderà in questo cammino di crescita e di maturazione l'esortazione apostolica ora citata, per una breve riflessione negli Angelus delle prossime domeniche sul valore e sul significato della pratica della penitenza. La Vergine Maria, inarrivabile esempio di perfetta sintonia con la propria verità di creatura e col mistero trascendente e amoroso di Dio, ci assista con la sua materna intercessione.

Questa sera inizieranno in Vaticano gli Esercizi spirituali per la Curia romana che dureranno per tutto il corso della settimana. Raccomando alle vostre preghiere questo momento importante di raccoglimento e di riflessione, affinché il Signore, per intercessione di Maria santissima, lo renda fecondo di frutti spirituali per tutti i partecipanti.

[Al termine dell'Angelus:] E' pervenuta notizia che un vescovo delle Filippine meridionali, monsignor Federico Escaler, S.J., prelato di Ipil, è stato sequestrato, venerdi scorso, insieme a tre religiose e a tre laici, mentre percorrevano la strada che da Ipil conduce a Zamboanga. Non è dato sapere ancora le circostanze e i motivi di questo grave fatto. Preghiamo affinché, per l'intercessione di Maria, Madre della Chiesa e sostegno della nostra speranza, il pastore sia restituito al più presto alla sua comunità ecclesiale e che le religiose e i laici possano tornare alle loro case.

Data: 1985-02-24 Data estesa: Domenica 24 Febbraio 1985





Omelia nella parrocchia San Lorenzo in Damaso - Roma

Titolo: Quaresima, passaggio dalla schiavitù del peccato alla vittoria



1. Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto, che vi rimase quaranta giorni, tentato da satana (cfr. Mc 1,1 Mc 2 Mc 1,13).

Ogni anno, in questa prima domenica di Quaresima, ricordiamo il digiuno di quaranta giorni di Gesù e le tentazioni da parte di satana. Il testo del Vangelo secondo Marco, che leggiamo quest'anno, è molto conciso. Gesù di Nazaret inizia la sua missione messianica dal battesimo nel Giordano. Ha ricevuto dalle mani di Giovanni Battista il battesimo di penitenza facendosi simile a tutti coloro, ai quali Giovanni lo amministrava. E, dopo di esso, Gesù si reca nel deserto, dove digiuna per quaranta giorni. Questo digiuno fa riferimento ai quarant'anni di peregrinazione di Israele dalla schiavitù d'Egitto alla Terra promessa.

Il digiuno di quaranta giorni di Gesù nel deserto è un modello per la Quaresima della Chiesa. Esso ci deve condurre dalla schiavitù del peccato alla vittoria e alla libertà nella risurrezione di Cristo. Mediante il digiuno di quaranta giorni ci prepariamo alla Pasqua.


2. ln questo periodo Gesù predica il Vangelo di Dio in modo particolarmente intenso. Dice: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15). La Chiesa desidera imitare il suo Maestro. Con particolare intensità predica il Vangelo. La Quaresima viene definita nella liturgia come un "tempo forte".

Il Vangelo è messaggio di conversione: "convertitevi". Gesù, annunziando la conversione, fa presente all'uomo lo stato di minaccia da parte di molteplici mali. Perciò, anche nei confronti di se stesso, ammette la tentazione di satana e riporta vittoria su di essa.

Questo è un duplice momento in cui la via messianica di Gesù passa attraverso le vie dell'uomo, prigioniero del peccato. Il primo aspetto è il battesimo del Giordano, battesimo di penitenza; il secondo è la tentazione. La Chiesa ricorda questa tentazione di Gesù nella prima domenica di Quaresima. Vuole, in tal modo, giungere a tutte le vie dell'uomo minacciate da molteplici tentazioni; vuol giungere alle vie avvolte nel peccato. Su queste vie è veramente presente Cristo con la sua potenza salvifica.


3. Lo stato della tentazione - della minaccia di molteplici mali, con peccato lieve o grave - è uno stato ordinario dell'uomo. Perciò Cristo ci ha raccomandato di pregare il Padre: "E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male" (Mt 6,13). Per questo nell'odierna liturgia il salmista implora fervidamente: "Fammi conoscere, Signore, le tue vie, / insegnami i tuoi sentieri, / guidami nella tua verità e istruiscimi..." (Ps 24,4-5).

"Guidami nella tua verità" vuol dire esattamente: non permettere che io ceda alla tentazione! La tentazione infatti è sempre collegata con la perdita di verità nel comportamento umano. Il cuore e la volontà sono "sedotti" in modo tale che, operando, si staccano dal vero bene e seguono un bene apparente. La tentazione è sempre una menzogna e ha la sua fonte definitiva in colui che la Scrittura chiama "padre della menzogna" (Jn 8,44).

Se l'uomo viene tentato dal "mondo", se la fonte delle tentazioni si trova nella concupiscenza degli occhi, della carne e nella superbia della vita (cioè "all'interno dell'uomo"), allora l'inizio di ogni tentazione parte da colui dal quale Cristo stesso ha permesso di essere tentato durante il digiuno di quaranta giorni nel deserto. ln colui che è "padre della menzogna".


4. La Chiesa comprende perciò la sua Quaresima come una particolare sfida alla lotta contro il male, anzi alle sue radici stesse. La tentazione non è soltanto un'occasione di peccato, ma è pure una radice del peccato. L'uomo è non solo attirato dal male, ma a volte è anche da esso accerchiato.

Tutto ciò Cristo fa presente all'uomo fin dall'inizio stesso di quella via che è la Quaresima. Al tempo stesso, rende presente a ciascuno di noi la potenza salvifica del Vangelo. Il Vangelo non è solo parola di Dio, è "potenza per la salvezza" (Rm 1,16). E in questo senso è buona novella. Esso è radicato nell'alleanza di Dio con il creato. La liturgia odierna ricorda l'antica alleanza stipulata con Noè e con i suoi figli dopo il diluvio. Prima di tutto il Vangelo si esprime con l'alleanza che è nuova ed eterna. E' l'alleanza stipulata sulla croce di Cristo - mediante il suo corpo e il suo sangue - riconfermata con la risurrezione.

Ogni anno, mediante il digiuno di quaranta giorni, la Chiesa si prepara al singolare rinnovamento di questa alleanza. In essa è contenuta pure la forza definitiva della potenza salvifica, che è capace di condurre l'uomo attraverso lo stato di minaccia dei molteplici mali. Occorre soltanto che l'uomo si radichi in questa alleanza, resistendo a tutto ciò che proviene dal "padre della menzogna".


5. Meditiamo questo importante contenuto liturgico della prima domenica di Quaresima in questa parrocchia di San Lorenzo in Damaso. In questa mia visita pastorale, che si svolge nell'ambito dell'Anno damasiano per il sedicesimo centenario della morte del santo papa Damaso desidero rivolgere un cordiale saluto al parroco monsignor Augusto Cecchi, il quale dal 1968 ha la cura pastorale di questa comunità; ai vice-parroci don Guglielmo Fussganger e don Giuseppe Fusari; ai membri del Capitolo; ai 4.500 fedeli e alle 1.500 famiglie.

Saluto anche i religiosi e le religiose residenti nel territorio della parrocchia: i padri Scolopi; i Figli di Maria Immacolata; le Suore di santa Brigida; le suore Elisabettiane; le suore Serve di Maria; le Piccole serve della Santa Famiglia; le religiose missionarie francescane della Natività di nostro Signore; le Figlie di Maria incoronata; le Suore di san Filippo Neri; le Sorelle ministre della carità; le Figlie del sacratissimo Cuore di Gesù; le Suore di nostra Signora; le Dame di Betania; e inoltre, i superiori e gli alunni del Pontificio istituto ecclesiastico ungherese; del Venerabile collegio inglese; del Convitto ecclesiastico di santa Maria in Monserrato; dell'Istituto ecclesiastico santa Maria Immacolata; l'opera Regina Apostolorum; i membri del foyer Unitas e dell'Opera impiegate.

Un affettuoso saluto di compiacimento e di incoraggiamento rivolgo alle varie associazioni parrocchiali: al consiglio pastorale; all'Associazione uomini di Azione cattolica; al gruppo giovanile; ai membri dell'oratorio; dell'Apostolato di preghiera; dell'Arciconfraternita del santissimo Sacramento e delle Cinque Piaghe; delle Lampade viventi; della Conferenza di san Vincenzo de' Paoli e del gruppo Volontariato vincenziano; a quello per l'Accoglienza dei "senza tetto"; al gruppo Ministranti.

Carissimi fratelli e sorelle! Nonostante varie e complesse difficoltà, la vostra comunità parrocchiale manifesta un'intensa vitalità, in particolare nell'impegno catechistico a tutti i livelli, nella fervida devozione al santissimo Sacramento dell'Eucaristia e nell'operosa carità verso i fratelli, che si trovano nel bisogno. Continuate con sempre maggiore generosità su queste direttrici pastorali, animati dall'esempio del diacono san Lorenzo martire, e del santo papa Damaso, le cui reliquie sono conservate nell'altare maggiore di questa splendida e storica basilica.

Affido questi miei voti alla Vergine santissima, da secoli qui venerata col titolo di Madonna della Concezione.


6. Accettate, cari fratelli e sorelle, l'odierna visita del Vescovo di Roma! Accogliete il messaggio della prima domenica di Quaresima! Tra le vie, lungo le quali vi conduce la vita quotidiana, non cessate di pregare con le parole del salmista: "Guidami, Signore, nella tua verità e istruiscimi...", e con le parole della preghiera del Signore: "Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male".

Che queste parole scandiscano il tempo di Quaresima nelle vostre anime.

Nella vostra parrocchia, durante questo tempo forte. Amen. [All'incontro con la parrocchia:] Vi vedo molto volentieri e con gioia.

E vedo volentieri anche i vostri genitori, i vostri insegnanti e i vostri pastori.

La vostra parrocchia porta il nome di un grande papa, san Damaso, del secolo IV, cioè di sedici secoli fra. E se pensiamo a san Damaso, possiamo dire che questa vostra comunità parrocchiale ha molti secoli di vita. Ma deve essere sempre giovane, ed è giovane grazie a voi che siete giovani. In questa parrocchia voi portate la vostra gioventù, la freschezza propria della vostra età. Si può dire che questa è la vostra vocazione dovunque. così è nella vostra famiglia e così è anche nella famiglia della Chiesa, della parrocchia: portate le giovinezza e fate ringiovanire la società e anche la comunità ecclesiale.

Voi sapete bene che siete vicini a Gesù Cristo e lui ve lo ha dimostrato durante la sua vita, lo ha sottolineato nel suo Vangelo: "Lasciate che i bambini vengano a me". Queste sono le sue parole: parole brevi ma piene di significato.

Vuol dire che Gesù ha chiesto anche ai suoi apostoli di lasciare i bambini avvicinarsi a lui per essergli vicini e per avere un contatto diretto con lui.

Ecco, Gesù vi chiama ad avere un contatto diretto con lui, un legame diretto.

Questa domanda di Gesù corrisponde, io penso, anche alla domanda dei vostri cuori; anche voi volete avere un contatto, un legame diretto con Gesù.

Un contatto a tu per tu. Gesù vi chiama col vostro nome e anche voi potete chiamarlo col suo nome proprio. così quel contatto diventa una conversazione, un dialogo. Questo dialogo si chiama preghiera.

Vorrei sottolineare proprio questo: Gesù vuole essere vicino a voi e vi vuole vicino a lui. Gesù, cioè, vi vuole in preghiera, vi aspetta nella preghiera.

Vuole ascoltare le vostre preghiere, tutto quello che voi portate nel cuore. Cosa portano i giovani nel cuore? Portano diverse cose: diversi desideri, angosce e non solo le loro, ma anche quelle degli altri, dei genitori, dei vicini, e forse anche degli ambienti e di tutto il mondo. I giovani, i ragazzi sono capaci di comprendere le angosce dell'umanità, soprattutto di quelli che soffrono. Per esempio, quando sentono che ci sono popoli in cui tante persone e specialmente tanti bambini muoiono per la fame allora si fanno solidali, si preoccupano e soffrono anche loro.

Ecco, sono questi i temi sui quali voi dovete conversare con Gesù, sui quali dovete basare la vostra preghiera, cioè il vostro dialogo con Gesù.

Parlategli e lui a suo modo risponde. Risponde a suo modo, cioè non con le parole, perché è una persona invisibile, è un mistero, lo sappiamo tutti. Una volta è diventato uomo; adesso l'uomo vive nella gloria di suo Padre, nella gloria celeste. E' un mistero, pero nello stesso tempo quel mistero porta la sensibilità divina e umana e aspetta l'aprirsi dei vostri cuori.

Così all'inizio di questa Quaresima, e nella circostanza della visita pastorale alla vostra parrocchia, vi invito ad essere vicini a Gesù, a cercare questa sua vicinanza, questo contatto, questo legame a cui Gesù è sempre pronto.

Gesù Io vuole, lo cerca. Dovete cercarlo e volerlo anche voi tramite la preghiera.

In questa preghiera dovete portare le vostre gioie, ma anche le vostre ansie, che sono molte volte le ansie di tutto il mondo. Il tempo della Quaresima, che è un tempo specifico nella Chiesa, si dice un "tempo forte", ma tempo forte deve esserlo proprio grazie al nostro impegno specifico di pregare. La preghiera è un impegno spirituale e in questo tempo di Quaresima deve essere ancora più intenso.

Vi invito a una più intensa preghiera. così vi invito anche ad essere sempre più fedeli alla catechesi per la preparazione alla prima Comunione o alla Cresima.

Volevo dirvi queste cose iniziando la visita alla vostra parrocchia.

Cominciamo sempre dai giovani la visita perché speriamo di incontrare Cristo tra i giovani. Ed è una speranza non vana: corrisponde alla verità del Vangelo e alla realtà della Chiesa. Gesù è veramente presente e vicino ai giovani e vuole i giovani vicino a sé. Benedico con voi, tutti i vostri coetanei, i vostri parenti, i vostri ambienti.

[Ai giovani:] Vi saluto, giovani, in questa vecchia aula ricca di opere d'arte e che grazie a voi ringiovanisce. Fedeli alla Chiesa, il vostro impegno liturgico, i vostri canti, tutto ha portato vita alla comunità eucaristica di stamane. Adesso ci incontriamo qui, e vedo diversi gruppi, vedo anche dei calciatori. San Damaso ha aspettato sedici secoli ma ha avuto una squadra di calcio. E san Damaso vive in questa generazione. Ho ascoltato con interesse tutto quello che ha detto la vostra amica che ha parlato poco fa, cose giuste, adeguate.

Come quando ha detto che con il 1° gennaio ha preso corpo l'idea che la pace e i giovani camminano insieme, un'idea che deve servire a voi tutti come punto di riferimento, per trovare voi stessi, la vostra identità personale. Penso che qui appaiono appropriate le parole di Gesù che udiamo in ogni celebrazione eucaristica: "Vi do la mia pace".

Ecco, io auguro ai giovani, che sono invitati quest'anno dalla Chiesa a camminare insieme per la pace, io auguro di ricevere questa pace che Cristo ci offre, una pace che tocca l'uomo nel suo intimo, nel cuore, nella coscienza; questa pace che forma l'uomo, la sua personalità umana e cristiana. Questa pace di cui parla Cristo, che egli ci offre, come ha detto ai suoi apostoli, è frutto d'amore, un amore che ha la sorgente in Dio stesso. Perché Dio è amore. Invitando i giovani a camminare insieme per la pace, la Chiesa e il Papa invitano a entrare più profondamente in quella realtà, in quel mistero che è rappresentato da Cristo redentore dell'uomo, Cristo amico dei giovani. Entrare più profondamente in questa realtà, conoscerla e identificarsi in essa sempre di più, trovare se stessi in Cristo e Cristo in se stessi, nel proprio cuore: questo è il cammino dei cristiani, di tanti secoli: il cammino dei cristiani dai tempi di san Damaso quando nella Chiesa di Roma e in tutto l'impero romano c'era già la pace; il cammino dei cristiani anche ai tempi di san Lorenzo quando la Chiesa era perseguitata e c'erano tanti martiri come lui, il diacono martire.

Ecco, questa strada, questo cammino che dura da tante generazioni, da tanti secoli, si conferma sempre l'unico possibile per l'umanità. Naturalmente, ogni generazione deve di nuovo riscoprirlo nel proprio contesto storico. Ed ecco che voi siete chiamati a riscoprire quel cammino in Cristo nello specifico contesto del XX secolo, anzi della fine del XX secolo, della fine del secondo millennio. Tutto ciò si ritrova nel concetto che i giovani e la pace camminano insieme. E io ve lo auguro di camminare insieme con la pace, perché vuol dire camminare con Cristo.

Vi benedico, voi e le vostre famiglie, insieme al cardinale Poletti e ai vescovi qui presenti.

[Ai gruppi di apostolato:] Forse nessun'altra parrocchia, in Roma, può contare su palazzi così ricchi d'arte e di tradizione. E' veramente romana. Ma non possiamo fermarci sulle cose, dobbiamo entrare in contatto con le persone, con la comunità parrocchiale. Ho già salutato all'omelia tutti i gruppi apostolici di questa parrocchia, veramente presente, organizzata, nei vari gruppi apostolici.

Parrocchia ricca di apostolato, questa è la mia impressione. Vi auguro, carissimi fratelli e sorelle che appartenete a questi gruppi, di fare un apostolato fruttuoso, diverso apparentemente perché diverse sono le caratteristiche dei vostri gruppi. Ma tutti date vita all'insieme della vita parrocchiale, costituite una comunità, una comunità cristiana. Vi auguro di trovare, in questo apostolato, il vostro cammino di salvezza, di salvezza eterna. Tutti ci troviamo in questo cammino verso i destini ultimi dell'uomo, che sono in Dio solo, perché solo in Dio l'uomo può vivere veramente.

La terra ha i suoi limiti e così l'uomo sulla terra. Una vita senza fine, per l'uomo, è concepibile solo in Dio. E la nostra vita è un cammino verso Dio. Vi auguro che alla fine di questo apostolato voi possiate incontrare il nostro Padre comune che ci aspetta nella sua casa, come ha detto Gesù. Vi benedico insieme ai vostri gruppi e alle vostre famiglie.

Data: 1985-02-24 Data estesa: Domenica 24 Febbraio 1985



GPII 1985 Insegnamenti - A vescovi colombiani visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)