GPII 1985 Insegnamenti - Ai missionari e organismi di aiuto - Utrecht (Paesi Bassi)

Ai missionari e organismi di aiuto - Utrecht (Paesi Bassi)

Titolo: Le strade della cooperazione missionaria portano alla pace

Cari fratelli e sorelle.


1. Sono felice di salutare qui i missionari e tutti coloro che collaborano nelle opere di missione e di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo. La varietà delle vostre istituzioni e dei vostri servizi che si tratti di aiuti sanitari, economici o tecnici, di centri di accoglienza o di opere più specificatamente imperniate sull'evangelizzazione, come le Pontificie opere missionarie - più particolarmente legate alla nostra azione pastorale come prime promotrici del Vangelo - tutto questo, dicevo, rende testimonianza al vostro senso dell'universale, alla prospettiva mondiale del vostro impegno in quanto membri questa grande famiglia che costituisce, come sottolineavo dinanzi alla Conferenza internazionale del lavoro (15 giugno 1982), a Ginevra, "la comunità mondiale". Voi avete illustrato con il vostro esempio quanto dichiarava il documento conciliare GS 72 § 2), di cui celebriamo quest'anno il ventesimo anniversario: "Chi segue fedelmente Cristo, cerca anzitutto il regno di Dio e assume così più valido e puro amore per aiutare tutti i suoi fratelli e per realizzare, con l'ispirazione della carità, le opere della giustizia".


2. I testi della liturgia eucaristica di questa sesta domenica dopo Pasqua, che celebriamo questo pomeriggio, sono proprio adatti a ridestare un'eco potente nei vostri cuori e a stimolare il vostro impegno. La lettura degli Atti degli apostoli ci ricorda la visita di Pietro a Cesarea dal centurione Cornelio, e la rivelazione fatta al capo degli apostoli della chiamata universale agli uomini ad entrare nella Chiesa di Dio: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone; ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto" (Ac 10,34-35). Quanto al testo del Vangelo di Giovanni, ci invita a scoprire la gratuità e insieme la responsabilità inerenti alla chiamata del Signore: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Jn 15,16).


3. Nel corso dei miei numerosi viaggi apostolici, ho avuto la soddisfazione di incontrare diverse testimonianze della risposta del vostro Paese all'invito di Cristo. Come gli apostoli, voi avete ascoltato l'invito a lasciare la riva, quella riva che è in gran parte la terra conquistata al mare con i vostri sforzi e che, naturalmente, vi induce a prendere il largo; i vostri missionari, le numerose congregazioni religiose maschili e femminili, i laici impegnati, sono andati a portare ad altri popoli la buona novella che voi avevate ricevuto prima di loro. E la vostra opera ha dato frutti che restano ancora oggi.

Dalle isole dell'Oceano Indiano all'America, dal Pacifico all'Africa, la Chiesa del vostro Paese ha portato il nome di Cristo e i benefici del suo amore a tutti i popoli. Il frutto che oggi vediamo sono le giovani Chiese fiorenti con le loro vocazioni autoctone e il loro clero locale (clero di cui vi siete tanto preoccupati, in collaborazione con la Pontificia opera di san Pietro apostolo).

Sono le numerose istituzioni caritative generosamente sostenute dalla vostra cooperazione missionaria, dai mille volti, dalla Pontificia opera per la propagazione della fede a quella della Santa infanzia, fino alle attività specializzate di esperti e cooperatori, senza dimenticare l'infaticabile dedizione di numerosi sacerdoti e religiosi o religiose missionari del vostro Paese.


4. Di fronte allo sviluppo di nuove cristianità desiderose di prendere in mano il loro destino, di fronte alla formazione di un clero e di religiosi e religiose autoctoni, di fronte alla competenza dei catechisti, apostoli del loro ambiente, ci si potrebbe chiedere: si ha ancora bisogno dei missionari? Perché mandare dai nostri Paesi occidentali degli evangelizzatori, inevitabilmente meno adatti ad essere capiti, meno integrati nella cultura locale? Ma - lo ha sottolineato con forza il Vaticano II - tutta la Chiesa è missionaria: lo scambio tra Chiese diverse e il dialogo tra le culture sono essenziali alla missione stessa.

Certamente, le relazioni tra le Chiese sono cambiate nel corso dell'evoluzione storica. Oggi non si può più stabilire una netta distinzione tra Chiese evangelizzatrici e Chiese evangelizzate. Abbiamo potuto constatare - e voi stessi l'avete sperimentato - un cambiamento di strutture missionarie che non è stato esente da pene e da difficoltà, come in ogni crescita e in ogni nascita. Non è meno vero che la comunicazione e la condivisione tra le Chiese più vecchie e le Chiese giovani sono necessarie alla vitalità di tutte e costituiscono un arricchimento per tutte.

La Chiesa tutta intera, evangelizzando, è anch'essa evangelizzata. Una Chiesa particolare che si allontanasse dalle altre Chiese, dimenticando il carattere universale della Chiesa di Cristo - ciò che abbiamo ricordato all'inizio con l'evocazione della lettura degli Atti - si impoverirebbe nella sua dimensione ecclesiale. Negli scambi fraterni fra le Chiese particolari, ognuna dona e ognuna riceve, nell'unità di una "Chiesa universale senza confini, né frontiere" (EN 61). Le ricchezze di ciascuna giovano a tutti.

Peraltro Paolo VI, di venerata memoria, lo faceva già notare: l'estensione dell'evangelizzazione non è soltanto il movimento che la spinge a raggiungere regioni geograficamente più vaste o con popolazioni più numerose; essa consiste anche nel conquistare e come capovolgere con la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d'interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità.


5. Come non vedere allora la vera portata dell'azione missionaria della Chiesa? Certo, l'azione missionaria deve essere accompagnata da sforzi di promozione umana, di progresso sociale, di liberazione dalle oppressioni ingiuste, dalla lotta contro tutto ciò che condanna l'uomo a una condizione indegna della sua natura. I missionari hanno, fin dalle origini, compiuto sforzi notevoli in questo campo, offrendo così una prova supplementare della credibilità del loro impegno missionario.

Questa tradizione di generosità deve essere continuata e molteplici organismi nati a questo scopo testimoniano la vostra volontà di proseguire su questo cammino, che è quello della solidarietà. Ma la missione evangelizzatrice della Chiesa non potrebbe ridursi alla sola azione di mutua assistenza socio-economica né confondersi con essa. L'evangelizzazione è il primo dovere e il compito specifico della Chiesa: è l'annuncio della buona novella della salvezza in Gesù Cristo che ci libera dal male e dal peccato e ci introduce nell'amore di Dio in cui tutti gli uomini sono fratelli. E' in questo senso che la Chiesa "esiste per evangelizzare" (EN 14) ed è soltanto in questo impegno che essa dà all'uomo uno sviluppo integrale, aprendolo all'assoluto di Dio. Infatti l'apertura a Dio è la vera dignità dell'uomo, la sua ricchezza interiore, la fonte stessa del dinamismo che gli permette di realizzare i più grandi valori individuali e sociali.

Un lavoro così gigantesco richiede operai zelanti e numerosi. Nel vostro Paese, che ha dato tante vocazioni missionarie, lancio ai giovani un appello che molti sono in grado d'intendere. Il Signore mi induce ad avere fiducia nella gioventù. Quante volte la mia speranza è stata appagata! 6. E' un compito che stimola l'impegno di ogni cristiano e di ogni cristiana, ma è un compito che supera le nostre possibilità. Solo la grazia divina fornita dallo Spirito Santo può aprire i cuori all'annuncio del Vangelo. Dobbiamo dunque pregare con fervore per ottenere il dono di Dio. Malgrado le prove e le difficoltà, la Chiesa del nostro tempo è fortemente segnata dal soffio dello Spirito. Numerose esperienze, vissute da alcuni fedeli nelle Chiese giovani, ma anche nei Paesi di antica civiltà cristiana come il vostro, sono la testimonianza della vitalità indistruttibile della Chiesa, secondo la promessa del suo fondatore a Pietro: "Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16,18).

La preghiera, unendoci a Dio, facendoci partecipare al suo amore, ci dona forza e coraggio per l'azione. "Più che chiunque altro, colui che è animato da una vera carità è ingegnoso nello scoprire le cause della miseria, nel trovare i mezzi per combatterla, nel vincerla risolutamente". E' ancora la preghiera che vi renderà capaci di vedere dei fratelli e delle sorelle nelle persone alle quali portate l'assistenza tecnica o materiale: "Una popolazione intuisce subito se l'aiuto che vengono a portare è dato con passione oppure no, se sono li semplicemente per applicare delle tecniche o non anche per dare all'uomo tutto il suo valore. Il loro messaggio rischia di non essere accolto, se non è accompagnato da uno spirito di amore fraterno" (PP 71 PP 75). Lo spirito d'iniziativa del vostro Paese, il coraggio e la generosità di cui il vostro popolo ha dato prova nel corso dei secoli, troveranno nel sostegno della preghiera un nuovo incentivo per i compiti del nostro tempo.


7. Nel nostro mondo lacerato dalle guerre e dalle controversie tra i popoli, minacciato dalla prospettiva di un terribile disastro nucleare, è ancora utile ricordare che la pace non è solo, come dice l'enciclica "Pacem in Terris" (PT 163) "un'assenza di guerra, frutto dell'equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno dopo giorno nell'adempimento della volontà di Dio, che comporta la giustizia più perfetta tra gli uomini". così, i cammini di cooperazione missionaria sono anche i cammini della pace, perché avvicinano e uniscono gli uomini in uno sforzo comune di costruzione, in un movimento di autentica solidarietà.


8. Vi esorto dunque, fratelli e sorelle diletti, a continuare la vostra azione ispirata dallo zelo per il regno di Dio e la salvezza degli uomini, con uno slancio nuovo e una rinnovata fiducia nella missione della Chiesa. Fatelo con la preoccupazione di conservare, nella diversità dei compiti e degli impegni, l'unità dello Spirito. Tale unità è una condizione essenziale del successo dell'evangelizzazione, come Gesù stesso ci ha indicato nella sua preghiera al termine della sua vita: "Siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21).

Popolo di Dio qui riunito, vogliamo concludere questo incontro fraterno cantando il "Padre nostro" nelle diverse lingue. Rivivremo così una sorta di nuova Pentecoste intorno a Maria, Stella dell'evangelizzazione, secondo la tanto felice espressione del mio venerato predecessore Paolo VI. Gente di culture, di lingue diverse, tutti figli di uno stesso Padre che è nei cieli, apriremo tutti le nostre orecchie e i nostri cuori al linguaggio unico dello Spirito Santo. Egli ci insegnerà a spargere il seme della giustizia e dell'amore perché il regno di Dio arrivi, perché il suo nome sia santificato, perché ogni figlio di Dio, cioè ogni uomo, possa trovare il suo pane quotidiano, quello che nutre il corpo, quello che nutre le sue aspirazioni spirituali e sociali.

"Regina coeli" e appello per i rifugiati L'ora ci invita a rivolgere il nostro pensiero a Maria con la tradizionale preghiera del "Regina coeli". I cattolici di questa terra dei Paesi Bassi hanno tributato nel corso dei secoli significative testimonianze di devozione alla Madre di Dio, a lei dedicando chiese e cappelle, celebrando le sue feste con fiducia in ogni loro necessità. Mi faccio interprete di queste radicate convinzioni, che i vostri antenati vi hanno trasmesso e che voi conservate con fierezza, elevando a Maria santissima, insieme con voi e con tutti coloro che sono sintonizzati con noi mediante la radio-televisione, il "Regina coeli", la bella antifona attraverso i cui versi scorre sempre fresca l'onda della gioia pasquale.

Voglia Maria proteggere voi e le vostre famiglie, come anche l'intero popolo di Dio che, in queste contrade, cammina sorretto dalla speranza verso la patria celeste.

Vorrei anche invitarvi a pregare e a intensificare la vostra opera a favore dei rifugiati. Il giorno 11 del mese di maggio dello scorso anno ho visitato in Thailandia un campo di rifugiati, ed una volta di più ho potuto constatare la drammaticità di una situazione che coinvolge milioni di persone. E' un gravissimo problema umano, che mi pesa sul cuore. Nel rinnovare la mia supplica alla Vergine santa per le sofferenze di tanti innocenti, voglio perorare ancora una volta la loro causa presso tutte le persone che lavorano con sincerità per la promozione della giustizia e della pace nel mondo.

Data: 1985-05-12 Data estesa: Domenica 12 Maggio 1985





Al clero e agli operatori pastorali - Utrecht (Paesi Bassi)

Titolo: Impegni prioritari: vocazioni, famiglia, difesa della vita




1. Cari fratelli nell'episcopato, cari sacerdoti, diaconi, collaboratori e collaboratrici pastorali, e voi tutti che dedicate gran parte del vostro tempo libero allo sviluppo delle vostre parrocchie, vi saluto tutti di vero cuore.

Rivolgo il mio saluto ugualmente alle decine di migliaia di credenti attivi nelle parrocchie e negli altri organismi diocesani e nazionali e a coloro che sono collegati con noi attraverso la televisione, o attraverso la radio. Nel nome di Cristo, Signore della Chiesa, vi ringrazio sinceramente per quanto fate con amoroso impegno.

Sono qui per incoraggiarvi e stimolarvi a continuare il vostro lavoro, spesso modesto e nascosto, ma quanto mai indispensabile alla vitalità della Chiesa, corpo mistico di Cristo! Io mi auguro ardentemente, e prego il Signore, che per mezzo delle mie parole ciascuno di voi possa trovare un nuovo slancio che sostenga il suo impegno e gli dia nello stesso tempo la luce e gli orientamenti necessari per un servizio sempre più efficace alla buona novella della salvezza.


2. Ho seguito con grande interesse la presentazione che mi avete fatto dei differenti modi secondo i quali si articola la vita di una parrocchia nei Paesi Bassi. E ho ammirato molti degli aspetti dell'attività liturgica, catechetica, caritativa che vi si dispiega grazie alla generosa partecipazione dei diversi gruppi che compongono il popolo di Dio. Ed è precisamente a partire da ciò che io vorrei farvi partecipi di una prima convinzione, che ho spesso l'occasione di sottolineare: il ruolo essenziale che la parrocchia è chiamata a svolgere, anche nel contesto sociale attuale e nell'ambiente urbano. Infatti, quando si parla dell'impegno per il rinnovamento della vita cristiana, bisogna in primissimo luogo sottolineare l'importanza della parrocchia. Accade che la parrocchia sia minacciata, e a volte anzi afflitta, da serie crisi. Tuttavia, malgrado ciò, essa costituisce l'espressione normale della vita religiosa del popolo cristiano.

E' vero che la parrocchia non basta a se stessa. Essa dev'essere incorporata in un insieme più vasto e ricevere l'appoggio dall'esterno. Ma essa è un organo indispensabile alla vita della Chiesa. Dopo la famiglia, essa costituisce la prima scuola di religione, di preghiera e di formazione morale cristiana. Dopo la famiglia, essa è il terreno più propizio per mettere in pratica l'amore del prossimo; essa rappresenta il luogo più appropriato e più importante per la predicazione e la catechesi. A questo proposito, la definizione che il nuovo Codice di diritto canonico dà della parrocchia è assai significativa. La descrive come una "comunità di credenti ben definita, formata in modo permanente all'interno di una diocesi" (CIC 515 § 1).

La parrocchia deve realizzare ciò riscoprendo di essere una comunità di fede, di speranza e di amore. Una parrocchia non è soltanto una comunità di uomini che esercitano un certo numero di funzioni sociali. Una parrocchia è una comunità di credenti, i quali, in forza della fede che condividono, risalgono alla sorgente del loro riunirsi: la parola di Dio annunciata e accolta nella celebrazione dei divini misteri.


3. Ed è appunto intorno alla mensa eucaristica, soprattutto, che la comunità cristiana si riconosce per quello che è: "la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le sue opere meravigliose" (1P 2,9). Partecipando all'Eucaristia ogni fedele esprime nel modo più chiaro quella dimensione sacerdotale che è propria del suo essere nuovo di rinato in Cristo mediante il Battesimo.

Ma è ancora intorno alla mensa eucaristica che si rende evidente come, all'interno dell'unico popolo sacerdotale, si abbia una partecipazione differenziata all'unico sacerdozio di Cristo: è infatti colui che presiede alla celebrazione che, come ha sottolineato il Vaticano II, "compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo"; mentre "i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all'oblazione dell'Eucaristia" (LG 10). Fu Cristo stesso a volere tale differenziazione "essenziale e non solo di grado" e la volle in funzione del sacerdozio comune dei fedeli, affinché il popolo di Dio fosse presenza sempre più viva di fede, annuncio sempre più credibile di speranza, fermento sempre più efficace di amore nel mondo.

Non privilegio, dunque, ma servizio è il nostro, carissimi fratelli nel sacerdozio! Cristo s'aspetta da noi quella disponibilità piena nel dono di noi stessi, che fece di lui l'uomo per gli altri. "Si tratta dell'umile prontezza ad accettare i doni dello Spirito Santo e ad elargire agli altri i frutti dell'amore e della pace, a donare a loro quella certezza della fede, dalla quale derivano la profonda comprensione del senso dell'esistenza umana e la capacità di introdurre l'ordine morale nella vita degli individui e degli ambienti umani" (Ai sacerdoti per il Giovedi santo 1979, n. 4).

Il sacerdote, che vive con questo spirito la sua missione, lungi dal soffocare, suscita e stimola l'impegno dei laici nella parrocchia, sintonizzandosi gioiosamente con l'azione dello Spirito Santo, il quale "dispensa tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa secondo quelle parole: "A ciascuno... la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio" (1Co 12,7)" (LG 12).


4. Ognuno è chiamato a edificare la vita della parrocchia. Lungi dall'essere soltanto dei soggetti passivi dell'attività pastorale, i laici, sulla base della loro vocazione cristiana, devono esserne i costruttori attivi. Ciascuno è chiamato a dar testimonianza dello Spirito che gli è donato nella misura dei suoi talenti e delle sue capacità.

Fra le decisioni del Sinodo straordinario dei vescovi dei Paesi Bassi, è detto espressamente, al numero 33: "l membri del Sinodo sono consapevoli del fatto che i laici contribuiscono in grande misura all'attività pastorale della Chiesa.

Essi ringraziano di tutto cuore le migliaia di laici che partecipano benevolmente e regolarmente in tanti modi differenti a funzioni quali la liturgia, le attività sociali, la catechesi dei fanciulli e degli adulti, lo scambio e l'aiuto reciproco, gli sforzi della giustizia e della pace. Questi laici si sforzano, in condizioni spesso difficili, di rendere la Chiesa presente in un mondo sempre più secolarizzato". Il Sinodo esprime in pari modo i suoi sentimenti di profonda gratitudine ai numerosi cristiani, "in modo particolare ai malati e alle persone della terza età, che corroborano il lavoro della Chiesa con le loro preghiere e il loro sacrificio".

Tra questi laici, voglio indirizzarmi in maniera particolare ai numerosi collaboratori e collaboratrici pastorali che, con generosità e convinzione, si affaticano nel servire la missione pastorale della Chiesa. L'incarico che essi hanno ricevuto dal vescovo li invita ad essere, in stretta collaborazione col sacerdote e col diacono permanente, gli araldi della parola di Dio e i testimoni del messaggio di Cristo per far penetrare i valori evangelici in tutti gli ambienti della società. Grazie a una formazione dottrinale e pastorale appropriata e continua, nello svolgimento di compiti diversi e molteplici, essi potranno approfondire il senso della loro missione particolare: quella di sapersi associati direttamente alla missione pastorale della Chiesa in quanto laici, rifiutandosi di diventare dei semplici funzionari ecclesiastici o di attribuirsi le funzioni che sono proprie del sacerdote o del diacono permanente. Il loro compito è importante, soprattutto in un mondo sempre più scristianizzato e secolarizzato. Tutti offrono un contributo che bisogna apprezzare nel suo giusto valore. E' necessario per la vita del corpo della Chiesa che tutti i membri svolgano la loro missione in accordo con l'identità propria di ciascuno: in unità di spirito nella diversità delle funzioni. Paolo ha scritto: "Se il corpo non fosse che occhio, dove sarebbe l'udito? Se non fosse che orecchio, dove sarebbe l'odorato? Ma Dio ha messo ciascuna delle membra nel corpo com'egli ha voluto: se tutte fossero il medesimo membro, dove sarebbe il corpo? Invece ci sono parecchie membra ma un corpo solo (1Co 12,17-21).


5. Quando parliamo di parrocchie, non dobbiamo omettere di menzionare i differenti raggruppamenti che si presentano sotto la denominazione di "comunità di base".

Queste comunità mettono in risalto dei valori positivi, quando i loro membri tentano di realizzare, in maniera semplice e sincera, il Vangelo nella loro vita quotidiana. Il pericolo che minaccia tuttavia queste nuove forme comunitarie è che a volte esse si considerano come la sola e unica maniera di essere Chiesa. I loro membri rischiano di chiudersi in gruppi ristretti e di prendere le distanze da quella che essi chiamano la "Chiesa istituzionale".

Spetta al parroco, al vescovo e a tutti coloro che sono interessati allo sviluppo delle parrocchie, aprirsi ai valori positivi di queste comunità; essi devono trarne vantaggi per le parrocchie. Ma deve essere ben chiaro che queste comunità di base non devono presentarsi come una variante delle parrocchie. I loro membri hanno come per ogni cristiano il dovere d'essere pronti a servire la parrocchia e la diocesi; essi devono unirsi all'insieme delle parrocchie e delle diocesi. Questa è la sola maniera nella quale le esperienze e le convinzioni di questa comunità potranno ottenere tutto il loro valore.

Decisivo resta per la vita della parrocchia e della diocesi, cari fratelli e sorelle, che i singoli fedeli, come anche le associazioni e i movimenti, si muovano concordemente nella direzione delle iniziative decise dal vescovo, insieme con i Consigli presbiterale e pastorale, per tutta la diocesi. A questo patto soltanto è possibile sviluppare un'azione incisiva sul contesto sociale circostante, animandolo cristianamente e orientandolo a Dio, suprema meta della storia. Non si deve infatti dimenticare l'ammonimento di Cristo: "Ogni regno discorde cade in rovina, e nessuna città o famiglia discorde può reggersi" (Mt 12,25).


6. Nell'esortare, pertanto, a coltivare nell'animo sentimenti di carità vicendevole, che si traducono in decisioni concrete di operosa collaborazione, desidero indicare alcuni punti che ritengo particolarmente importanti e urgenti per un'azione pastorale tempestiva ed efficace. Tra questi pongo in primo luogo l'impegno per le vocazioni ecclesiastiche. E' questo un problema strettamente congiunto con la vita stessa della Chiesa e con la causa dell'evangelizzazione nel mondo: il messaggio di Cristo e l'azione vivificante della sua grazia passano infatti normalmente attraverso l'opera capillare e assidua dei sacerdoti e dei missionari. Certo, la vocazione dipende dall'iniziativa divina, come Cristo stesso ricorda: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" (Jn 15,16).

L'accoglimento, pero, di tale interiore chiamata suppone un insieme di elementi di ordine personale e ambientale, in cui è inevitabilmente coinvolta la responsabilità del singolo e della comunità. Occorre perciò che la parrocchia provveda a svolgere un'adeguata pastorale vocazionale in sintonia con le direttive e i sussidi del centro diocesi. Sarà poi necessario dedicare una cura specialissima agli istituti di formazione, nei quali i giovani, che hanno accolto la chiamata divina, si preparano al loro futuro ministero. E' sempre decisiva, infatti, la rilevanza che ha sull'animo del futuro sacerdote la formazione intellettuale, morale e religiosa che viene a lui impartita durante gli anni del seminario. Non mi stanchero quindi di raccomandare la cura più attenta di questo aspetto della vita ecclesiale. Il capitale di amore, di intelligenza, di tempo, di mezzi, che viene qui investito, non mancherà di dare a suo tempo frutti tali da compensare i sacrifici affrontati.


7. Un secondo settore di impegno, che desidero sottolineare, è quello della pastorale in favore della famiglia. Ho manifestato già in altre occasioni la convinzione che il futuro dell'evangelizzazione dipende in gran parte dalla "chiesa domestica": quale sarà la famiglia tali saranno i fedeli della Chiesa di domani. L'argomento è stato affrontato nel Sinodo dei vescovi del 1980, che ne ha trattato con profonda sensibilità pastorale, offrendo una ricca messe di insegnamenti e di direttive, da me successivamente presentati al popolo di Dio con l'esortazione apostolica "Familiaris Consortio". Auspico che in tutta la Chiesa si lavori alacremente secondo le linee indicate nel menzionato documento. So che molto già si fa nelle vostre parrocchie, a sostegno della famiglia nei vari momenti del suo cammino.

Mentre esprimo il mio apprezzamento per le iniziative già in atto, esorto a perseverare con generosità in un settore pastorale tanto urgente, studiando le forme di intervento più efficaci per aiutare le giovani coppie dapprima a comprendere e poi a vivere in pienezza il disegno di Dio sull'amore umano. Impresa non facile, se si considerano le non lievi deformazioni che di tale disegno sono attivamente diffuse da vari "centri di opinione" del mondo attuale.

La difficoltà del compito non deve, tuttavia, indurre a scoraggiamento: il credente sa di poter contare sull'aiuto di Dio in una causa che tocca tanto da vicino la dignità dell'uomo e il suo terreno ed eterno destino.

Nel contesto della famiglia mi preme, infine, segnalare al vostro zelo, carissimi fratelli e sorelle, un terzo obiettivo pastorale: il contesto sociale odierno sembra richiedere un impegno particolarmente decisivo in ogni persona di buona volontà a difesa della vita, dal primo sbocciare nel seno materno fino all'estremo palpito dell'inevitabile declino. Mai forse come oggi, di fronte a un mondo che cede sempre di più al fascino tenebroso di una cultura della violenza e della morte, i cristiani sono chiamati a testimoniare la loro fede in un Dio "non dei morti, ma dei vivi, perché tutti vivono per lui" (Lc 20,38). Uno dei servizi più importante che la Chiesa deve oggi rendere al mondo sta proprio in questo: promuovere con la testimonianza della parola e dell'esempio un'autentica cultura della vita.


8. Compiti ardui ma esaltanti, carissimi fratelli e sorelle, sono quelli che un'attenta lettura dei "segni dei tempi" propone a quanti vogliono seguire Cristo in quest'ultimo scorcio di millennio. Per farvi fronte occorre stringersi insieme, unendo le forze in una gara di comprensione reciproca e di amore sinceri, che faccia convergere tutti intorno al pastore comune, il vescovo diocesano, e colui che lo rappresenta nella comunità pastorale, il parroco.

Intorno a questo centro si deve formare una comunità viva di persone che si stimano e si amano, una comunità capace di offrire un'accoglienza ospitale a tutti coloro che, di concerto con gli altri parrocchiani, desiderano vivere come discepoli di Cristo.

Bisogna che si tratti di un'accoglienza per la quale ha il coraggio di aprirsi e di confidarsi l'uno con l'altro così come di affidarsi alla voce del Signore. I vostri vescovi hanno detto a questo proposito: "Un'accoglienza non la si pratica da soli, ma essa evolve a mano a mano che gli uomini se la offrono scambievolmente. Avviene la stessa cosa per la comunità religiosa. Essa diviene accoglienza a mano a mano che i vecchi e i giovani l'edificano nella confidenza reciproca" (Geloofsoverdracht: Lettera episcopale, n. 1, 6, p. 12).

Nell'Epistola agli Ebrei è scritto: "Facciamo attenzione gli uni agli altri, per incitarci all'amore e alle opere buone. Non disertate la vostra assemblea come alcuni hanno l'abitudine di fare. Al contrario, esortate, tanto più che voi vedete avvicinarsi il giorno" (He 10,24-25).

Con questa esortazione che ci viene dall'esperienza vissuta dalla Chiesa primitiva, pongo termine a questo incontro. Sono contento di avervi incontrato, poiché ciò mi stava particolarmente a cuore. Abbiate fiducia! Vincerete tutte le difficoltà, se resterete legati, nelle vostre preghiere e nella vostra obbedienza, a Gesù Cristo, pastore della Chiesa, pastore di ogni diocesi, pastore anche della vostra parrocchia.

Laudetur Jesus Christus!

Data: 1985-05-12 Data estesa: Domenica 12 Maggio 1985





Omelia all'"Irenehal" - Utrecht (Paesi Bassi)

Titolo: Nell'amore di Cristo si rafforzi l'unità della Chiesa




1. "Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio" (Ps 97,3).

Abbiamo ascoltato queste parole del profeta Isaia questa mattina nelle Lodi che abbiamo cantato insieme all'inizio dell'odierna domenica VI del tempo pasquale. Le abbiamo portate con noi per tutta la giornata. Ci hanno accompagnato nel corso degli incontri con i vari gruppi e categorie di persone, che esprimono la vitalità della Chiesa in terra olandese: i religiosi e le religiose, i rappresentanti delle organizzazioni sociali, i rappresentanti delle opere missionarie e delle organizzazioni per l'aiuto ai Paesi sottosviluppati, e infine i parroci e i loro collaboratori in rappresentanza di tutte le parrocchie dei Paesi Bassi.

Adesso le stesse parole del profeta ritornano a noi nella liturgia eucaristica: "Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio.

Acclami al Signore tutta la terra, gridate, esultate con canti di gioia").


2. Tale invito alla gioia pasquale desidero condividere con tutti i partecipanti alla santa messa. Saluto tutti con il bacio di pace nel raccoglimento e nel silenzio del Cenacolo, al quale ci conduce la santa liturgia eucaristica. Il mio saluto si rivolge in particolare a tutti coloro che hanno preso parte alle riunioni di questa mattina e di questo pomeriggio e inoltre ai membri del Senato e della Camera dei deputati e a quanti sono venuti dalle parrocchie dell'arcidiocesi di Utrecht e delle diocesi di Haarlem, Rotterdam e Groningen. E' per me una grande gioia trovarmi qui a Utrecht, nella città il cui primo vescovo fu san Willibrordo, che fu ordinato a Roma dal papa Sergio I alla fine del VII secolo. In questa città nacque nel 1459 Adriaan Florenszoon, che nel 1523 fu eletto papa col nome di Adriano VI, l'unico Papa olandese nella storia della Chiesa. Nel 1853, allorché la gerarchia cattolica venne ristabilita nei Paesi Bassi, questa città divenne di nuovo la sede principale della provincia ecclesiastica, sede arcivescovile, oggi retta da monsignor Adriano Simonis, al quale rivolgo un pensiero particolarmente affettuoso, che estendo agli altri confratelli nell'episcopato presenti.

Desideriamo, celebrando questa Eucaristia e partecipando ad essa, abbracciare nel sacrificio di Cristo e della Chiesa tutti coloro che vivono in questa terra, e che ci sono vicini, ma anche quanti sono lontani, sconosciuti ed estranei, i cui nomi, pero, e i cui cuori sono conosciuti da Dio stesso, nostro Padre che è nei cieli, per Cristo nostro Signore e nostro fratello, nello Spirito Santo consolatore.


3. "Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio". Che cosa è la salvezza? Che cosa è la salvezza per l'uomo di ieri, di oggi e di domani, per l'uomo dei nostri tempi difficili? Per l'uomo che a volte è triste, avvilito, perso, vicino alla disperazione, anche quando viva in condizioni di benessere e di lusso? Che cosa è la salvezza...? Troviamo la risposta nella parola di Dio dell'odierna liturgia, ed essa viene, in un certo senso, dal cuore stesso del Vangelo. La salvezza è Dio che si comunica all'uomo, che gli si dona, perché è amore. Quindi la salvezza è amore, in cui Dio si dà all'uomo, riempie la sua vita dall'interno e insieme la apre verso gli altri, verso il prossimo, verso gli uomini: vicini e lontani.

In tale spirito parla oggi a noi l'apostolo Giovanni: "Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio... perché Dio è amore" (1Jn 4,7-8).




4. Dio è amore e l'amore è da Dio. Esso viene all'uomo come dono! Questo dono ha la sua forma concreta, storica e permanente, il cui nome è: Gesù Cristo. "In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui" (1Jn 4,9). Quindi in Dio è l'inizio dell'amore, di quest'amore che salva l'uomo in Dio stesso. La fonte della salvezza è in Dio: "Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1Jn 4,10).


5. Ci siamo riuniti per partecipare all'Eucaristia. Essa è sacrificio di espiazione per i peccati del mondo, per i nostri peccati, e proprio per questo è sacrificio della salvezza. ln essa l'amore vince il peccato, vince l'odio, vince la morte. Questo si è compiuto una volta per sempre sul Calvario mediante la croce e la risurrezione di Cristo e si compie in modo sacramentale, con la forza dell'istituzione di Cristo, nell'Eucaristia, in ogni santa messa.

Ci siamo riuniti dunque, per partecipare al sacramento dell'amore: al sacramento della salvezza. Ci uniamo a coloro che per primi hanno partecipato a questo sacramento. Cristo disse a loro, agli apostoli: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore" (Jn 15,9). Queste parole sono cariche di un contenuto grandioso: un contenuto salvifico! Cristo trasferisce su di noi quest'amore col quale egli stesso è eternamente amato dal Padre, e nel quale ama eternamente il Padre. Trasferisce sugli uomini questo amore che salva.

Lo innesta negli uomini: nei cuori, nelle coscienze, nella volontà, nelle opere.

L'amore è dono: "E' stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo" (Rm 5,5), a opera di Cristo. così è stato riversato nei cuori degli apostoli nel Cenacolo. così è stato riversato anche nei cuori del centurione Cornelio e dei suoi domestici che furono visitati dall'apostolo Pietro a Cesarea per una chiara disposizione dello Spirito consolatore, come leggiamo oggi nella prima lettura, dagli Atti degli apostoli.


6. così, dunque, l'amore è dono. E la salvezza è dono: il dono di Dio stesso.

Contemporaneamente, lo stesso amore è un compito che Dio assegna all'uomo. E anche la salvezza è un compito. Dio ci salva con la potenza dello Spirito Santo, ma non ci salva senza di noi. Perciò Cristo, nel centro stesso del Vangelo - e in un certo senso nel centro dell'Eucaristia - mette il comandamento dell'amore.

"Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Jn 15,12). E aggiunge, pensando al sacrificio della croce che si avvicinava: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Jn 15,13).

Così, dunque, permanere nel suo amore vuol dire osservare i suoi comandamenti, anzitutto il comandamento dell'amore. E ancora Cristo aggiunge: "Come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore" (Jn 15,10). Colui che dice queste parole è il Figlio della stessa sostanza del Padre.

E' Dio da Dio. E contemporaneamente è vero uomo. La volontà del Padre è identica alla sua volontà nell'unità trinitaria della divinità e al tempo stesso la volontà del Padre è per lui, come uomo, un comandamento. Questa volontà - eterna volontà del Padre - è la salvezza degli uomini mediante l'amore.


7. Il Figlio di Dio viene per rivelare quest'amore. Proclama il comandamento dell'amore. Viene per stringere amicizia con gli uomini mediante quest'amore che è da Dio. "Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando... vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Jn 15,14-15).

Ci siamo riuniti così, come coloro che per primi hanno udito queste parole, come gli apostoli, che per primi hanno partecipato all'Eucaristia nell'ultima cena, e in seguito, per chiara volontà di Cristo, per primi l'hanno celebrata e hanno trasmesso il potere di celebrarla ai loro successori nella Chiesa.

Partecipiamo all'Eucaristia, a questo mirabile sacramento dell'amicizia di Dio con gli uomini, del Figlio di Dio con i figli umani. Quest'amicizia è stata confermata mediante il sacrificio pasquale, mediante la croce e la risurrezione.

Quest'amicizia si rafforza incessantemente mediante il sacramento dell'altare, il sacramento del corpo e del sangue del Signore. Si conferma l'amicizia. Si conferma l'amore con cui Dio ha amato eternamente l'uomo. Si conferma la salvezza che viene all'uomo da Dio, mediante l'amore. La salvezza che è dono ed è comandamento: che è compito.


8. Gesù dice: "Io ho scelto voi e vi ho costituiti, perché andiate e portiate frutto" (Jn 15,16).

Nel corso della giornata odierna molte persone incontrate in questa città hanno parlato del modo con cui cercano di osservare il comandamento di Cristo. Come cercano di "andare e portare frutto". Come lo cercano i religiosi e le religiose in virtù della loro vocazione speciale, vivendo in povertà, castità e obbedienza, per contribuire così alla salvezza del popolo di Dio, sia mediante la vita contemplativa e di preghiera, sia nella vita attiva qui in patria come pure nei territori di missione, ove lavorano insieme con tanti laici generosi e ferventi per l'evangelizzazione e lo sviluppo umano, culturale ed economico di quelle popolazioni. Questo cercano tante persone impegnate nelle opere sociali, nell'assistenza agli ammalati, agli anziani, carcerati, emarginati, handicappati, bambini, nell'insegnamento, nell'azione sociale e politica. E non possiamo non menzionare tutti quelli che si impegnano nelle loro parrocchie per creare un'autentica comunità di fede, nella quale l'amore fiorisca in forma profonda, molteplice e fruttuosa. Tutti costoro, divenendo partecipi della salvezza, desiderano servire, in diversi modi, l'opera della salvezza: mettere, in maniera differente, in pratica il comandamento dell'amore; restare nell'amore di Cristo e abbracciare con quest'amore gli altri.

Voi tutti, cari fratelli e sorelle, portate a questa mensa eucaristica il dono reciproco delle vostre opere e delle vostre preghiere, delle vostre preoccupazioni e delle vostre sofferenze, affinché questo dono di ciascuno e di tutti sia associato al sacrificio eucaristico: affinché il mio e vostro sacrificio divenga il sacrificio di Cristo stesso, il sacrificio dell'eterna salvezza.




9. Con quanto fervore prego insieme con voi, affinché il vostro frutto rimanga! Affinché rimanga l'amore, un amore paziente e benigno, che non è invidioso, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità (cfr. 1Co 13,4-6). Insomma un amore che "edifica". I cattolici olandesi hanno costruito molto, nel proprio Paese e altrove nel mondo, nei Paesi di missione e in via di sviluppo. Quest'opera ricca di fede e di amore non deve andare perduta, ma deve rimanere e crescere ancora. Possano perciò essere superate nell'amore e nella verità le divisioni e le resistenze che offuscano la fede e raffreddano la carità, privando la convivenza cristiana di quella gioia, che è frutto dello Spirito Santo, mandato dal Signore risorto.

Dal profondo del cuore vi auguro che nella vita della Chiesa in terra olandese si compiano le parole di Cristo sulla gioia: perché la sua "gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Jn 15,11). Questa gioia sarà in voi e sarà piena se rimarrete nell'amore di Cristo, osservando i comandamenti e soprattutto il comandamento dell'amore reciproco, che egli volle qualificare come "il suo comandamento". Possa quest'amore rafforzare l'unità della Chiesa in Olanda affinché essa viva veramente nella gioia piena, in quella gioia che è la pregustazione della gioia infinita che ci riunirà per sempre nella casa del Padre, insieme con il Figlio suo, nostro fratello e Signore Gesù Cristo. Amen!

Data: 1985-05-12 Data estesa: Domenica 12 Maggio 1985



GPII 1985 Insegnamenti - Ai missionari e organismi di aiuto - Utrecht (Paesi Bassi)