GPII 1985 Insegnamenti - Ai seminaristi diocesani - Treviso

Ai seminaristi diocesani - Treviso

Titolo: Fede ecclesiale e carità

Carissimi studenti di teologia del seminario diocesano e degli istituti religiosi della diocesi di Treviso.


1. Vi saluto tutti, e desidero esprimervi la mia gioia per questo incontro, breve ma ricco di significato, di cordialità e di affetto. Grazie per la vostra accoglienza e per il vostro entusiasmo.

Voi costituite per ogni vescovo e pastore della Chiesa una parte eletta della sua speranza. II futuro della vostra diocesi e delle vostre comunità dipende molto da voi e dal generoso impegno, che vi siete assunti, di prepararvi al ministero della cura d'anime, disposti a servire la Chiesa nel luogo e nel modo da essa richiesto. Sappiate apprezzare questa responsabilità, e preparatevi a rispondere con coscienza fedele alla speranza che la Chiesa ripone in voi.


2. Uno dei punti sui quali sarete maggiormente chiamati a testimoniare nella cura d'anime sarà la vostra fede ecclesiale. Ciò richiederà da voi l'allenamento a un intenso dialogo col mondo al fine di costruire e rafforzare nelle menti e nelle coscienze la fede cattolica; tale dialogo dovrà diventare l'assillo quotidiano del vostro ministero. Dovete, perciò, prepararvi con grande serietà e diligenza a tale compito, esercitandovi fin d'ora in questa attitudine umana di fondamentale importanza.

Ciò domanda a voi di conoscere bene il mondo e l'ambiente nel quale operate; ma ancor più, e più profondamente, esige che voi conosciate con competenza la dottrina che dovrete predicare. L'assimilazione fedele del deposito di verità affidato da Cristo alla sua Chiesa costituisce, perciò, una delle principali responsabilità nell'itinerario di preparazione al sacerdozio. Tale dono di verità dovrà essere sempre integralmente custodito e fedelmente trasmesso alle generazioni che vi attendono.

Attingete, quindi, la conoscenza della fede dalle sorgenti autentiche, in spirito di unità con il magistero, per un servizio pastorale profondo, ricco, pertinente, ispirato con affetto alla parola di Dio e alla predicazione della Chiesa.


3. Il popolo di Dio ha bisogno dell'integrità della fede. Nel dialogo con gli uomini si può essere tentati, non di rado, di ridurre il messaggio evangelico ad alcuni temi che, in forza di un'analisi superficiale, pare rispondano meglio alle esigenze di un'epoca o di una cultura. Poiché ciò condurrebbe a diminuire il senso del messaggio della fede, si defrauderebbero le anime di un loro supremo diritto: quello di ricevere dalla Chiesa il dono della verità intera su Dio, sull'uomo e sulla presenza di Dio, operatore di un mistero di salvezza nella storia umana.

Sappiate assimilare l'insegnamento della teologia dalla Chiesa e nella Chiesa evitando alterazioni prodotte dalle ideologie non conformi allo Spirito di Cristo.

Impegnatevi nella scienza teologica con uno spirito di leale e tenace ricerca della verità, senza permettervi rischiose lacune, e senza distrarvi in esperienze che impoveriscano in voi la ricchezza del messaggio.

Fedeli alla dottrina, mirate soprattutto a una sincera esperienza di Dio e diverrete così efficaci nella testimonianza della vita e della parola; potrete essere guide sicure nella fede per chiunque domanderà a voi di conoscere la via di Dio.


4. Voglia il Signore Gesù Cristo confortare ogni vostro buon proposito, egli che, come gli apostoli, vi ha chiamati per nome perché voi lo seguiate più da vicino nella sua stessa missione.

Maria Santissima, che qui invochiamo come "Auxilium christianorum", sostenga il vostro giovanile entusiasmo e guidi maternamente i vostri passi verso l'altare.

Con questi voti desidero impartire a voi tutti, ai vostri superiori e insegnanti, ai vostri familiari e a tutti i vostri cari un'affettuosa e larga benedizione, propiziatrice di celesti favori.

Data: 1985-06-16 Data estesa: Domenica 16 Giugno 1985





Omelia alla solenne concelebrazione - Treviso

Titolo: Pio X ha annunciato il Vangelo in mezzo a molte tensioni




1. "...Dio ci ha trovati degni di affidarci il Vangelo" (1Th 2,4).

Ecco, si presenta oggi davanti a noi la beata figura di un figlio di questa terra: Giuseppe Sarto-san Pio X Ieri lo abbiamo venerato nel suo luogo natale: Riese. Oggi, qui a Treviso, ascoltiamo nel Vangelo lo stesso dialogo di Cristo risorto con Simon Pietro: "Mi ami?" (Jn 21,15). "Signore, tu lo sai che ti amo" (Jn 21,1 Jn 5 Jn 21,16).

Quando, nelle diverse tappe della sua vita, Giuseppe Sarto, come Pietro, rispose alla domanda di Cristo, udi anche - in un grado e con un contenuto sempre nuovo - la stessa risposta del Maestro: "Pasci i miei agnelli" (Jn 21,15).

Poteva anche, quel figlio beato della vostra terra, l'uomo scelto dal Signore per il suo esclusivo servizio, applicare a se stesso le parole dell'apostolo Paolo dell'odierna liturgia: "...Dio ci ha trovati degni di affidarci il Vangelo" (1Th 2,4).


2. "Degni"!?: questa parola nasconde in sé tutto il senso della propria indegnità, così essenziale per ogni cristiano. "Signore, io non sono degno" dice ognuno di noi al momento della santa Comunione eucaristica.

Certamente anche Pietro si sentiva indegno, quando Cristo parlo con lui dopo la risurrezione - dopo il triplice rinnegamento - e si sentiva indegno Paolo, mentre scriveva le parole dette sopra, nella Lettera ai tessalonicesi; Paolo, che in passato era stato persecutore dei cristiani.

Indegno si sentiva anche Giuseppe Sarto, quando Cristo lo chiamo, prima, al sacerdozio; in seguito, all'episcopato; e infine - nella Cappella Sistina, nell'elezione del conclave - come successore di san Pietro in Roma. Si sentiva indegno. E, nello stesso tempo, per la grazia dello Spirito Santo ebbe questa consapevolezza, che Dio, che sin dall'inizio affidava il suo Vangelo a "uomini indegni", voleva, attraverso le diverse tappe, affidarlo proprio a lui: a Giuseppe Sarto, figlio di questa terra, nella quale oggi si trova in pellegrinaggio un altro indegno successore di san Pietro, per rendere grazie a Dio per tutto il servizio del Vangelo che la Chiesa deve a Pio X, Giuseppe Sarto.


3. Il Vangelo fu affidato a lui, Giuseppe Sarto, perché "ha sofferto", cioè ha sperimentato il sacrificio nella sua vita, nella povertà delle sue origini, nell'assidua applicazione allo studio, nel bisogno della carità degli altri, per raggiungere la meta desiderata del sacerdozio.

Ha avuto il coraggio di annunciare il Vangelo di Dio in mezzo a molte lotte. Fin da giovane sacerdote - come attestano i laboriosi quaderni del catechismo compilato a Salzano - lotto contro l'ignoranza religiosa, si prodigo verso i poveri contribuendo alacremente per la loro promozione sociale. Da vescovo a Mantova si dedico a portare il clero a una conveniente pratica della vita pastorale. Ma soprattutto da sommo pontefice visse "in mezzo a molte lotte" il suo pontificato, operando con coraggio, talvolta nell'incomprensione e nel pianto, ma con decisa volontà di salvare la Chiesa dal rischio di dottrine alienanti per l'integrità del Vangelo.

Egli lavoro con grande sincerità, per mettere in luce le pieghe subdole del sistema teologico del modernismo, con grande coraggio, mosso nel suo impegno solo dal desiderio di verità, affinché la rivelazione non venisse sfigurata nel suo contenuto essenziale.

Questo grande disegno costrinse Pio X a un continuo lavoro interiore per non cercare "di piacere agli uomini". Sappiamo bene quante avversità egli dovette soffrire proprio per l'impopolarità a cui si sottopose con le sue scelte. Egli volle essere gradito "a Dio, che prova i nostri cuori", come discepolo fedele del maestro Gesù.

"L'ufficio divinamente affidatoci - egli diceva - di pascere il gregge del Signore... comporta anche quello di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmesso ai santi, ripudiando le profane novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome" (cfr. enciclica "Pascendi").

Egli diede alla Chiesa un esempio, cercando sempre tutte le occasioni possibili per "spezzare il pane" della parola di Dio ai piccoli, alla gente semplice, mediante la catechesi, avendo cura delle sue creature come una madre che nutre, educa e difende. Uomo di senso pratico, egli si senti in dovere di tracciare dettagliatamente i programmi della sua azione pastorale anche per gli altri pastori della Chiesa, affinché nessuno rimanesse escluso dall'impresa apostolica che occorreva per il bene del popolo di Dio.

Davvero, in questo modo egli amo con tutto se stesso la comunità cristiana e diede la propria vita, il suo impegno totale, per fungere autenticamente da guida del gregge.


4. Per tutto il gregge! perché l'annuncio dell'autentica fede nella catechesi è compito che Dio affida a tutti i battezzati, come afferma il Vaticano II. Il laico cristiano è inserito a pieno titolo nell'opera dell'evangelizzazione, perché è chiaro che tutta la Chiesa, che riceve coesione e unità da Cristo, capo e pastore e maestro, compie "l'opera del ministero, per l'edificazione del corpo di Cristo" (Ep 4,17).

Tale partecipazione all'apostolato, lungi dall'essere un momento sostitutivo del ministero dei sacerdoti e dei vescovi, costituisce un'essenziale qualità di ogni battezzato, inviato da Cristo nel mondo per essere testimone della fede tra i fratelli e annunciatore delle meraviglie di Dio.

La catechesi e la testimonianza sono gli urgenti impegni di questo apostolato; ma ciò comporta anche autentiche e impegnative responsabilità. Ogni laico, per essere autentico apostolo, deve conoscere il suo maestro, Cristo, deve amare la sua Chiesa con amore filiale. Al catechista e al testimone occorre la fedeltà all'intera dottrina, condizione indiscutibile per la comunione nella verità con tutto il popolo di Dio.

Il laico, consapevole della vocazione all'apostolato, non cercherà mai di agire in dissonanza, di esaltare una sua autonomia dal magistero, non assumerà come fonte del suo annuncio la propria soggettiva esperienza di fede; ma cercherà dalla dottrina annunciata dalla Chiesa la forza della verità rivelata, assimilata e vissuta con integra fedeltà.


5. Con grande fiducia e con profondo spirito di fraternità mi rivolgo a voi, cari sacerdoti della Chiesa di Treviso, perché teniate sempre viva la memoria e l'esempio di san Pio X nella vostra missione per realizzare il suo programma di apostolato: è programma valido per ogni presbitero che vive con responsabilità i segni dei suoi tempi.

I laici saranno apostoli, saranno con voi catechisti e annunciatori del Vangelo, saranno con voi pedagoghi dell'esperienza del Signore se voi seguirete la via giusta per suscitare attorno a voi vocazioni ferventi all'apostolato.

Come ieri a Riese ho ricordato che dalla famiglia e dalla parrocchia nacque la vocazione di Giuseppe Sarto, così ora vorrei dirvi con forza che l'apostolato nasce da voi, da voi prende l'esempio. Dalla vostra dedizione alla catechesi scopriranno di essere chiamati per nome da Gesù Cristo i ragazzi e i giovani che frequentano le vostre parrocchie e i vostri oratori. Suscitate nei giovani la consapevolezza della loro chiamata. Insegnate ad ogni cristiano ad essere a servizio del Vangelo in virtù del Battesimo, e troverete aperta la porta anche alla vocazione più sublime e più grande, che è quella del sacerdozio ministeriale. così è avvenuto per Giuseppe Sarto; ma così è successo per ciascuno di noi, che abbiamo trovato lungo il nostro cammino sacerdoti "affezionati a noi", desiderosi di donarci "non solo il Vangelo di Dio", ma disposti a "dare la vita" per l'apostolato al quale erano stati chiamati. Questi apostoli ci hanno affascinato e ci hanno aperto gli occhi sulla parola di Cristo che ci chiamava.


6. Desidero ora rivolgere il mio saluto a voi tutti che partecipate a questa celebrazione eucaristica. Ringrazio il vostro vescovo, monsignor Antonio Mistrorigo, rinnovandogli l'espressione della mia partecipazione al ricordo del suo 50°, di sacerdozio e 30° di episcopato; e ringrazio tutto il presbiterio trevigiano per il suo zelo, per il generoso donarsi all'apostolato e al ministero, per la fedeltà alla Chiesa di Roma e per la fedeltà al servizio delle anime.

Mi sono ben note le molteplici attività per la catechesi, promosse in diocesi, per l'apostolato tra i giovani, per la preparazione al matrimonio dei vostri fedeli e l'apostolato familiare. Ho ben presente quanto viene fatto perché in tutte le scuole sia vivo l'annuncio della dottrina cattolica. Apprezzo inoltre l'opera svolta dalla scuola di teologia per laici, per preparare un laicato cosciente della propria fede ed esperto nel proclamarla. Questo è motivo di grande conforto.

Altrettanto è motivo di gioia sapere che state celebrando con grande impegno il vostro Sinodo diocesano. Conosco anche le difficoltà e le tensioni che la vostra diocesi deve affrontare, ma confido che, tenendo fisso lo sguardo all'amore di san Pio X a Dio e alle anime, saranno superate.


7. Da questi luoghi che hanno visto l'opera pastorale di Giuseppe Sarto, sacerdote, parroco e direttore spirituale del seminario, mi e caro rivolgere, con le sue stesse parole, un caldo appello ai sacerdoti d'Italia: "Voi tutti vedete, ovunque siate, quale momento attraversa la Chiesa per un disegno misterioso di Dio. Rendetevi dunque conto che avete il sacro dovere di prestarle assistenza e aiuto nelle sue strettezze... ora più che mai urge che il clero rifulga di virtù non comune, esemplarmente illibata, viva, operosa, pronta più che mai ad agire e a soffrire con fortezza per Cristo" ("Haerent Animo").

San Pio X ci ha insegnato ad amare la vocazione, e noi dobbiamo testimoniare il nostro amore e la nostra gioia per questo dono di Dio, Preoccupandoci di suscitare vocazioni intorno a noi, attenti ad orientare verso Gesù Cristo giovani capaci di assumersi il coraggio di "annunziare il Vangelo anche in mezzo a molte lotte". Il Signore non cessa di suscitare anime sincere e generose, "degne della sua fiducia", che sapranno comportarsi con il vivo "desiderio di piacere a Dio e non agli uomini".

Questa terra ha dato alla Chiesa numerose vocazioni anche perché ha trovato in Giuseppe Sarto un solerte maestro di spirito.

Fate rivivere la missione dei seminari. Mentre cresce felicemente il numero di coloro che accettano la divina chiamata, deve farsi più attenta la sollecitudine per la loro formazione spirituale, morale, culturale, senza la quale l'urgenza di comunicare Cristo verrebbe vanificata. Il momento del seminario, tempo in cui Dio "prova i nostri cuori" per plasmarli su una "pietà sincera" (cfr. "Haerent Animo") è validissimo e non facilmente sostituibile per la preparazione al ministero ecclesiale.

Sappiate, sacerdoti di tutta la Chiesa, percorrere la strada sacerdotale di Giuseppe Sarto. Egli ci illumina sul valore di un servizio pastorale generoso, che non cerca la "gloria umana", ma di piacere a Dio, per essere trovati da lui degni dell'affidamento del Vangelo.


8. Il 150° anniversario della nascita di Giuseppe Sarto e il centenario della sua consacrazione episcopale hanno indotto il Vescovo di Roma a venire in questi luoghi, dai quali egli fu chiamato all'inizio di questo secolo.

A distanza di anni e di decine di anni ci si manifesta nuovamente come importante e piena di attrattiva la figura del figlio di questa terra, il quale sembra tuttora dire - prima come sacerdote e parroco, in seguito come vescovo, patriarca di Venezia e cardinale, Infine come Pontefice -: siamo "così affezionati a voi che avremmo desiderato di darvi non solo il Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari" (1Th 2,8).

Questa la confessione di Paolo nella Lettera ai Tessalonicesi. così la confessione di Pietro, al quale Cristo ha detto: "Pasci le mie pecorelle!" (Jn 21,1 Jn 6 Jn 21,17). Altrettanto dice la confessione di Giuseppe Sarto-Pio X, all'inizio del nostro secolo.

Nonostante l'indegnità umana ognuno di essi ripete: "...Dio ci ha trovati degni di affidarci il Vangelo". Che queste parole diventino per noi tutti fonte di ispirazione e di sostegno, alla fine di questo secolo, che al suo inizio vide sulla sede di Pietro il santo papa Pio X - Giuseppe Sarto, figlio della vostra terra.

Amen. Data: 1985-06-16 Data estesa: Domenica 16 Giugno 1985





Recita dell'Angelus - Treviso

Titolo: L'inifinta maestà de Padre nascosta nel cuore del Figlio




1. L'ora dell'Angelus ci invita a rivolgere lo sguardo a Maria. Ci invita oggi anche il luogo presso il quale ci troviamo, cioè il tempio di Maria Ausiliatrice, voluto dal vescovo, che papa Pio X diede in dono a Treviso, il servo di Dio Andrea Giacinto Longhin. Egli, insieme con tutta la città, ne aveva fatto voto alla beata Vergine il 27 aprile 191 7. Il popolo cristiano, dopo l'inumana distruzione provocata dall'inesorabile quanto assurdo bombardamento del 7 aprile 1944, volle che questo santuario dell'Ausiliatrice risorgesse più bello di prima e con accanto la cappella votiva che raccoglie le salme dei caduti di guerra e, in eloquente fraternità, le salme delle vittime civili dei bombardamenti aerei.

Ci impegna a volgere lo sguardo a Maria anche la storia tutta di Treviso, quella civile e quella religiosa, snodatasi per gran parte attorno al sacello edificato più di dodici secoli fa sulla riva del Cagnan e dedicato a Maria santissima, Madre di Dio.

Mediante il cuore immacolato di Maria vogliamo rivolgerci al cuore divino del suo figlio, al cuore di Gesù, di maestà infinita! Ecco: l'infinita maestà di Dio è nascosta nel cuore umano del Figlio di Maria. Questo cuore è la nostra alleanza. Questo cuore è la massima vicinanza di Dio nei riguardi dei cuori umani e della storia umana. Questo cuore è la meravigliosa "condiscendenza" di Dio: il cuore umano che pulsa con la vita divina: la vita divina che pulsa nel cuore umano.


2. Nella santissima Eucaristia scopriamo col "senso della fede" lo stesso cuore, il cuore di maestà infinita, che continua a pulsare con l'amore umano di Cristo, Dio-uomo.

Quanto profondamente ha sentito quest'amore il santo papa Pio X, già patriarca di Venezia; quanto ha desiderato che tutti i cristiani, sin dagli anni della fanciullezza, s'avvicinassero all'Eucaristia, facendo la santa Comunione: perché si unissero a questo cuore che, ad un tempo, è per ogni uomo "casa di Dio e porta del cielo". "Casa": ecco, mediante la Comunione eucaristica il cuore di Gesù estende la sua dimora ad ogni cuore umano. "Porta": ecco, in ciascuno di questi cuori umani egli apre la prospettiva dell'eterna unione con la santissima Trinità.


3. Madre di Dio! Mentre meditiamo il mistero della tua annunciazione, avvicinaci questo cuore divino - il cuore di maestà infinita, casa di Dio e porta del cielo -, questo cuore che, dal momento dell'annunciazione dell'angelo, ha cominciato a battere presso il tuo cuore verginale e materno.

[Dopo l'Angelus:] Ringrazio soprattutto questa diocesi che ha visto crescere spiritualmente un figlio di questa terra: Giuseppe Sarto. Il servizio sacerdotale del mio santo predecessore fu molto diversificato e ne gioisco con lui. Da anni gli sono tanto affezionato. Gioisco con lui per l'eredità e la vitalità che ha lasciato a questa Chiesa con il suo servizio sacerdotale antecedente alla sua chiamata a vescovo di Mantova prima, e patriarca di Venezia poi, e infine a successore di Pietro.

Voglio esprimere la mia gratitudine per l'intenso programma che, anche se mi sembrava un po' troppo pesante, mi sono reso conto poi che era giusto e che non si poteva togliere nulla. E poi voglio ringraziare i giovani per aver sfidato ieri sera la pioggia: hanno mostrato un esempio di coraggio e anche dunque il Papa doveva dimostrarsi coraggioso come loro. Voglio ringraziare tutti a nome di Pio X.

Io penso che voi vi sentiate veramente legati al suo grande spirito sacerdotale ma anche e soprattutto allo spirito cristiano proprio di questa terra.

Il suo sacerdozio, la sua chiamata ad essere Vescovo di Roma, tutto viene da questa terra, che ha saputo conservare la verità del Vangelo, la forza del Vangelo; che ha saputo conservare quell'amore grande, con cui il figlio di questa terra ha potuto rispondere a Gesù: "Signore, tu sai che ti amo".

Insieme con voi ringrazio il vostro vescovo monsignor Mistrorigo. Vi auguro di continuare nello stesso spirito esemplare di questo popolo, di questa terra così profondamente formati dalla verità e dall'amore di Cristo, dalla verità e dall'amore del Vangelo.

Data: 1985-06-16 Data estesa: Domenica 16 Giugno 1985





Alle autorità in piazzetta San Marco - Venezia

Titolo: Città della pace, sintesi della nostra civiltà

Onorevole signor ministro, signor sindaco, carissimi veneziani.


1. Ringrazio del saluto sincero e sentito, con cui sono stato accolto in questa città che, per la sua bellezza, la sua storia e le sue tradizioni civilissime, è punto di approdo per gli uomini di tutti i continenti. Desidero ricambiare tanta cortesia rivolgendo a mia volta un saluto cordiale alle autorità e ai cittadini, lieto di questa vostra presenza, che manifesta pubblicamente e gioiosamente il vostro affetto.

Mi è caro esprimere il sentimento commosso, con cui ricordo i patriarchi di questa città, che furono miei venerabili predecessori: il cardinal Sarto, il cardinal Roncalli, il cardinal Luciani. So che essi sono stati stimati e onorati da tutti i veneziani e che la loro figura ha lasciato non tanto una memoria cara, quanto soprattutto un'eredità di valori vera e umana.

Venezia ha un talento suo proprio. Papa Roncalli amava considerare Venezia città ponte fra l'Occidente e l'Oriente e questa vocazione può essere ancor oggi sentita e vissuta. Venezia è una città di pace, perché spazio di incontro, di dialogo, di accoglienza, di nobile ospitalità per tutti. Non è un caso che diverse istituzioni internazionali abbiano richiamato da decenni l'attenzione su questa città, perché sia salvata come patrimonio comune che non può andare perduto.


2. Con la stessa intensità d'affetto di papa Paolo VI, che sosto fra voi il 16 settembre 1972, mentre si recava a Udine per la celebrazione del XVIII Congresso eucaristico nazionale, rinnovo l'augurio che tutti i veneziani custodiscano con la consueta determinazione e senso di responsabilità quelle ricchezze artistiche e culturali, che secoli di storia operosa hanno accumulato in questa città.

Venezia è luogo di cultura e tutto in essa parla di civiltà. Conosco lo sforzo e l'impegno con cui sono promosse iniziative perché questa tradizione continui e perché Venezia cresca come luogo specifico, dove la ricerca culturale, in ogni forma, stimoli e solleciti la crescita di un'umanità ancora più alta.

Sono davvero fortunati i veneziani: possono respirare spontaneamente e quasi fisiologicamente quella speciale atmosfera, ricca di fascino, che si sprigiona dall'insieme di una città ove ci si educa fin da bambini alla proporzione, all'armonia, alla gentilezza, doti che s'accompagnano alla bellezza.

La finezza stessa dell'artigianato, dal vetro di Murano al merletto di Burano, all'eleganza inimitabile della gondola, ne danno testimonianza. Qui convengono giovani da tutto il mondo per imparare le tecniche del restauro dei materiali di cui è fatta la città: pietra, legno, dipinto, mosaico. Un lavoro che auspico sia continuamente promosso e sostenuto, creando nuove possibilità di impiego per molti.


3. Ricordero questo incontro come un grande dono, anche perché mi offre la possibilità di vedere i due volti della nostra civiltà, che qui sono veramente uniti e interdipendenti. Penso allo splendore di Venezia e alla sua storia gloriosa e penso al tempo stesso alla città di Mestre con l'imponente complesso industriale di Marghera, indice del modo moderno di vivere e di produrre. Come farli incontrare? Sembrano così diversi da essere perfino alternativi. Eppure la convergenza esiste e si situa nell'uomo, nella persona, nella sua libertà, nel suo diritto. E' l'uomo il bene più prezioso, che va custodito, difeso e promosso. Sta qui la continuità di ogni vera civiltà: essere capace di rendere l'uomo protagonista consapevole della propria vita. Venezia ama ricordare di essere stata luogo di libertà e di ospitalità. Sono sicuro che questo sta certamente a cuore ai pubblici amministratori e a quanti operano responsabilmente in questa città. Più volte ho avuto modo di esprimere questi pensieri affermando che "l'uomo è la via della Chiesa"! Mi è gradito ricordarlo qui, perché quanti vivono e lavorano in questa città troveranno nei cristiani di questa Chiesa veri collaboratori per un più giusto progetto-uomo.

Al signor ministro e al signor sindaco vada il mio grazie commosso per i sentimenti e i pensieri che mi hanno rivolto. E a tutte le persone qui presenti assicuro che la mia preghiera si eleva a Dio per implorare che si degni di effondere i suoi favori su questa diletta città, guidandola a costruire con fierezza e dignità il proprio futuro.

Data: 1985-06-16 Data estesa: Domenica 16 Giugno 1985





Ai sacerdoti nella basilica di San Marco - Venezia

Titolo: Attenti ai segni dei tempi nuovi

Signor cardinale e carissimi confratelli nel sacerdozio!


1. Ritrovarmi con voi all'interno di questa storica e veneranda basilica, dedicata a san Marco, interprete di Pietro, è per me motivo di profonda consolazione. E sono sicuro che un tale sentimento è anche vostro, nella persuasione che il presente incontro configura uno dei momenti culminanti della mia visita pastorale a Venezia. Sento vicino a me, in mezzo a noi, tre grandi figure di patriarchi, ai quali, per essere essi ascesi in questo secolo al soglio di Pietro, tutti noi guardiamo con un comune intendimento, che è pensiero, ricordo, ammirazione, riconoscenza, venerazione. E anche ispirazione: per voi, perché essi sono stati pastori in questa terra benedetta, a cui han lasciato una preziosa eredità fatta di zelo pastorale e di tante virtù umane e cristiane; per me, perché a Roma han portato esperienze, fermenti, esempi, a cui ci si può tuttora fruttuosamente riferire in ordine agli odierni problemi della Chiesa di Dio. Noi li sentiamo qui spiritualmente presenti: san Pio X, papa Giovanni XXIII e il mio immediato predecessore Giovanni Paolo I.


2. Nel rinnovarvi il mio saluto, penso a tutti e a ciascuno di voi: penso ai sacerdoti diocesani, ma anche ai sacerdoti religiosi, che svolgono con una presenza molto significativa una parte generosa nell'insieme della vita diocesana, specie nelle parrocchie. A tutti io penso: giovani e anziani, operanti nel centro storico o nell'area industriale. So bene che non siete tanto numerosi quanto le esigenze religioso-ecclesiali richiederebbero; ma so pure che siete impegnati senza riserva nel servizio delle vostre comunità e dell'intero patriarcato.

Fate in modo che il lavoro non vi stanchi: non solo fisicamente, ma moralmente. Lo sappiamo: è difficile vederne i frutti. Ma dobbiamo anche ricordare che Dio benedice sempre la fatica apostolica, la quale si fa strada secondo i percorsi segreti della grazia, che egli solo conosce (cfr. Jn 4,35-38 Ps 125,5).


3. Se tante sono le necessità pastorali, allora il primo dovere è di pregare il Padre, "perché invii operai nella sua messe", che è "molta" (Mt 9,37). Credete a questa preghiera e, se essa è davvero invocazione profonda, diventerà trasparente nei gesti e nelle parole della vostra vita. Ne sarete la traduzione concreta. "Chi ascolta voi, ascolta me" (Lc 10,16): chi vi ascolterà udrà nella vostra vita donata, la voce che chiama, come voi stessi siete stati chiamati.

Alla preghiera deve, poi, seguire la ricerca. Chiamate i giovani e fate loro intuire la bellezza forte e piena di senso di questa consacrazione. Vivete in modo che, guardandovi, essi desiderino di viverla come voi. Se ciascuno di noi potesse dire, al modo dell'apostolo Paolo: "Imparate da me, come anch'io ho imparato da Cristo" (1Co 11,1), si aprirebbe quella "via" che è Cristo stesso e che a tutti, ma in primo luogo ai giovani, si rivela anche come "verità e vita" (Jn 14,6).

Il secondo dovere è quello di avere un forte senso di comunione: bisogna sempre ricordare che il presbitero non è solo, ma vive della pienezza sacerdotale del suo vescovo e in comunione con lui (cfr. decreto CD 28). E' nel presbiterio che egli incontra gli altri presbiteri, non per una semplice relazione di naturale amicizia, di simpatia o di efficienza, ma per la ragione essenziale dell'identità della vocazione dell'associazione in un unico ministero.

E' li e non altrove che egli potrà maturare nella sua coscienza e responsabilità pastorale.

L'incontro dei presbiteri col loro vescovo è esso stesso immagine viva della Chiesa. E' nutrimento e scambio, conoscenza e riconoscenza, aiuto e sostegno, identità nella diversità confortata e convissuta. E' esperienza in atto e genialità ecclesiale: esperienza - dico - di autentica comunione, nella quale ciascuno porta il carico peculiare del suo ministero, confronta prove e difficoltà con i confratelli, condivide con essi i successi e le gioie. Comunione è anche scambio assiduo di proposte e di soluzioni, è esercizio applicato di fraternità.

Cari sacerdoti, è molto importante che vi presentiate uniti in questa vitale comunione alle vostre comunità, e allora vedrete meglio come guidarle, perché anch'esse crescano al modo stesso in cui cresce il presbiterio. Siate uniti, dunque, onoratevi a vicenda, aiutatevi costantemente, disposti sempre a servirvi gli uni gli altri, al di là di ogni particolarismo. Solamente così la diversità dei doni e dei carismi sarà davvero benedetta e feconda, perché essi entreranno nella circolazione ecclesiale, in un confronto e in un arricchimento reciproco.


4. Mi rendo conto di quanto sia necessaria al vostro presbiterio una speciale inventiva per far fronte alla complessità dei problemi pastorali che si pongono in una diocesi, che ha esigenze del tutto particolari. Infatti, c'è da tener presente anzitutto il centro urbano, che comprende in uno spazio relativamente stretto, definito originalmente dalle sue calli, canali e rii, il patrimonio incomparabile di una città che fu già Stato (la Repubblica Serenissima). Poi si deve tener conto dell'entroterra mestrino ad altissima densità di popolazione, cresciuta senza una tradizione locale sufficientemente radicata per sostenere tale sviluppo in maniera equilibrata; con al centro la realtà di Marghera, che è anch'essa un polo industriale ad alta concentrazione. C'è, inoltre, tutta la fascia del litorale che, da Caorle agli Alberoni, anche se in maniera differenziata, deve rispondere a un'immigrazione turistica che ha pochi eguali al mondo. E infine, c'è la Riviera del Brenta, che conosce i problemi di ogni hinterland, con differenti modalità rurali, artigianali, industriali e turistiche. Mi rendo conto dei problemi, diretti o indotti, emergenti da questo complesso tessuto socio-topografico e, mentre sollecito il vostro zelo in ordine alla loro migliore soluzione, desidero esprimervi tutta la mia solidarietà e comprensione. E vi incoraggio a quello sforzo di discernimento che richiede studio, vigilanza critica, valutazione illuminata.

Dovete, perciò, sentirvi impegnati in una formazione permanente, veicolo della sapienza pastorale che continuamente rimedita la verità di Dio per proporla all'uomo di oggi, al quale l'immutabile Vangelo di Cristo deve essere annunciato nella cultura, in cui è inserito.


5. Sarà anche necessario che il presbitero trovi il tempo per riflettere, pregare, adorare. Per acquistare, fra l'altro, in una società talvolta dispersiva e distratta, la prontezza a ricevere e ad ascoltare le persone; a discernere, inoltre, quei "segni dei tempi", che solo un'attenzione paziente e pensosa rende possibile. Bisogna saper sostare per distinguere ciò che è essenziale da ciò che non lo è. Solo così si eviteranno evasioni e digressioni, mentre il tempo ritroverà anche nella nostra vita la sua misura.

Con quale speranza lavorare? Con quella del Vangelo, che è poi la stessa persona di Gesù Signore nostro (cfr. 1Tm 1,1): niente e nessuno può allontanarvi da lui (cfr. Rm 8,35-39). Per questo, vorrei suggerirvi di procedere nel vostro ministero al modo stesso dei due discepoli di Emmaus, che, ascoltando il Pellegrino ignoto, "sentivano come un fuoco nel cuore", quando egli lungo la via parlava e spiegava loro le Scritture (cfr. Lc 24,32). così la speranza, pur nella prova, non vi verrà mai meno.


6. Permettete che il Papa, a conclusione, vi lasci come ricordo dell'odierno incontro tre indicazioni.

La prima è un invito ad aver cura in maniera specialissima dei giovani, che sono - non occorre ripeterlo - il futuro della Chiesa e della società. Essi sono la frontiera del regno di Dio, che sempre viene. Dentro le contraddizioni o le incertezze della loro età, essi cercano speranze e ragioni di vita. Parlate loro il linguaggio del Vangelo e fateli incontrare con Cristo. Senza genericità e superficiali sentimentalismi. Dite loro con semplicità e con chiarezza: l'incontro con Cristo passa attraverso la conversione. Su questo fondamento di chiarezza, creerete anche le condizioni per lo sviluppo di specifiche vocazioni.

La seconda è un invito ad amare il seminario come il luogo dove il presbiterio col suo vescovo prepara il futuro certo del ministero pastorale.

Amate, dunque e fate amare il seminario, così che l'intera comunità ecclesiale lo sostenga e lo accompagni, nella fiducia che da ogni zona del patriarcato Dio chiami i giovani a cercarlo, come occasione per la loro risposta vocazionale.

Presbiterio e seminario devono procedere insieme: sarà segno che questa nobilissima Chiesa è viva e ha un futuro.

La terza è un invito a impegnarvi nel ministero in favore degli sposi e delle famiglie. L'amore coniugale non è una realtà qualsiasi: è il "segno" che Dio eleva sacramentalmente, perché i coniugi si sentano realmente i ministri del matrimonio, il cui primo compimento è la famiglia. La famiglia è lo spazio privilegiato in cui gli sposi annunciano, per propria vocazione e non per delega, la fede ai figli e li accompagnano con responsabilità diretta lungo l'itinerario dei sacramenti dell'iniziazione cristiana. Fate, dunque, crescere comunità sponsali-familiari evangelicamente consapevoli, dove gli sposi-genitori, coscienti del loro ministero, testimonieranno nella concretezza esistenziale che il matrimonio è grande realtà umana e cristiana e che la famiglia che ne nasce è luogo di vita benedetta. E' in questa prima comunità sociale che si spezza fin dall'inizio l'idolatria dell'avere, del potere e del riuscire, mediante il donare, l'amore e il servire.

Vogliono essere, queste, tre risposte di speranza che alimenteranno la vostra fiducia e quella della Chiesa di Venezia. Su di voi che certamente le condividete e vi sforzerete di tradurle nella prassi, cioè nelle forme e nei modi della triplice pastorale giovanile, vocazionale, familiare, io invoco con fiducia la speciale assistenza di Gesù, Maestro e Signore, ch'è l'esemplare assoluto del nostro sacerdozio. E a conforto e incoraggiamento ancora una volta io vi addito l'alto insegnamento degli indimenticati pastori veneziani e romani, che già ho ricordato all'inizio.

Con loro spiritualmente vicini, io vi benedico nel nome di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.

Data: 1985-06-16 Data estesa: Domenica 16 Giugno 1985






GPII 1985 Insegnamenti - Ai seminaristi diocesani - Treviso