GPII 1985 Insegnamenti - Lettera al cardinale Casaroli - Città del Vaticano (Roma)


Lettera al cardinale Casaroli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nomina a legato pontificio in Cecoslovacchia

Al venerato fratello, il signor cardinale Agostino Casaroli, legato per le celebrazioni in onore dei santi Cirillo e Metodio.

Tra le numerose iniziative suggerite dall'XI centenario della morte di san Metodio assume una particolare importanza quella che si apprestano ad attuare i fedeli cechi e slovacchi a Velehrad il 7 luglio prossimo venturo. Infatti, la terra in cui vivono questi due popoli fu, in buona parte, testimone dell'apostolato dei santi Cirillo e Metodio e accolse anche l'ultimo respiro e le spoglie mortali del più grande dei due fratelli. Luoghi come Velehrad, Nitra e Devin sono i testimoni storici della loro missione e vita.

Nella mia recente epistola enciclica "Slavorum Apostoli" (n. 23) ho ricordato questo fatto storico con le parole: "L'attività apostolico-missionaria dei santi Cirillo e Metodio, che cade nella seconda metà del IX secolo, può considerarsi la prima efficace evangelizzazione degli slavi. Essa interesso in diverso grado i singoli territori, concentrandosi principalmente su quelli dello Stato della Grande Moravia di allora. Prima di tutto, abbraccio le regioni della metropolia, il cui pastore era Metodio, cioè la Moravia, la Slovacchia e la Pannonia, cioè una parte dell'odierna Ungheria. Nell'ambito del più vasto influsso esercitato da questa attività apostolica, specialmente da parte dei missionari preparati da Metodio, si trovarono gli altri gruppi di slavi occidentali, anzitutto quelli di Boemia".

Il mio animo percepisce vivamente tale importanza e il cuore mi detta un gesto significativo che manifesti in modo palese la mia partecipazione a quella solenne giornata in Cecoslovacchia. La nomino pertanto, signor cardinale, mio legato per le celebrazioni di Velehrad. Ella che da vicino conosce e segue il lavoro del successore di Pietro partecipando alle sue ansie e gioie quotidiane potrà essere il segno più chiaro della mia presenza e l'espressione più eloquente del mio affetto.

Ella sa anche bene quanto io consideri importante il contributo dato dai fratelli di Salonicco all'evangelizzazione dei popoli slavi, alla loro promozione culturale e alla causa dell'unità tra l'Oriente da dove provenivano e l'Occidente che li accolse come suoi. La proclamazione dei santi Cirillo e Metodio a patroni d'Europa, insieme con san Benedetto, è scaturita spontaneamente da questa convinzione. "Cirillo e Metodio sono come gli anelli di congiunzione, o come un ponte spirituale tra la tradizione orientale e la tradizione occidentale, che confluiscono entrambe nell'unica grande tradizione della Chiesa universale" ("Slavorum Apostoli", 27).

Nell'opera dei due santi la fedeltà al messaggio perenne del Vangelo e il rispetto per il terreno che accoglie la semina si fondono strettamente. La sintesi delle tradizioni dell'Oriente e dell'Occidente, che trova molteplici e mirabili espressioni nella vita e nelle azioni dei santi fratelli, ci assicura che in tale incontro nessuno è costretto a rinunciare ai valori che possiede e con il rispetto dell'altrui patrimonio avvalora meglio anche la propria ricchezza spirituale. Inoltre i santi Cirillo e Metodio, con la loro opera, ci insegnano che ogni cultura rivolta al bene, alla verità e alla bellezza, viene stimolata, dalla luce della rivelazione e del Vangelo di Cristo, a coltivare ogni giorno di più tali valori.

Vivi, dunque, rimangono la dottrina e il ricordo di questi illustri apostoli: l'arcidiocesi di Olomuc, nel cui territorio è sita Velehrad, si gloria di averli come patroni. Lo stesso altare maggiore della cattedrale è a loro dedicato, sin dall'inizio del XIV secolo. Inoltre le facoltà teologiche della Cecoslovacchia portano i loro nomi; e i novi convegni ecumenici tenuti a Velehrad, con le Chiese ortodosse slave, quando era vescovo Antonio Stojan, di venerata memoria, furono frutto della "scuola" di questi due santi.

L'auspicio che questi insegnamenti del passato possano conservare una perenne attualità si unisce all'augurio, che le celebrazioni centenarie trovino un prolungamento costante nella conservazione e nella crescita della vera fede, nell'affermarsi e nel diffondersi della cristiana speranza, nella profondità e nella dilatazione dell'operosa carità. Possa così sempre continuare il cammino del Vangelo verso i valori umani e culturali e l'apertura della cultura alla luce che viene dall'alto.

La prego, signor cardinale, di voler rendersi interprete di queste riflessioni e di questi sentimenti presso i popoli della Cecoslovacchia che porto nel cuore e affido al Signore nella preghiera di ogni giorno. Rechi loro la mia benedizione paterna e l'assicurazione del mio affetto profondo. Concedo, poi, al santuario di Velehrad la "Rosa d'oro".

Dal Vaticano, 28 giugno 1985, settimo del nostro pontificato.

Data: 1985-06-28 Data estesa: Venerdi 28 Giugno 1985


Alla delegazione di Costantinopoli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Spirito di fraternità nelle relazioni fra le nostre Chiese

Cari fratelli, "grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo" (Rm 1,7).

La commemorazione dei santi apostoli Pietro e Paolo, festa patronale della Chiesa di Roma, ci dà ancora una volta l'occasione di un incontro nella preghiera, nella gioia e in fecondi e fraterni scambi di vedute. Rivolgo a voi, eminenza, e a coloro che vi accompagnano, un cordialissimo benvenuto. Sono profondamente lieto di accogliervi personalmente. Attraverso le vostre persone, saluto e ringrazio sua santità Dimitrios I, patriarca ecumenico, per avervi inviati a partecipare alla nostra festa, rispondendo così alla nostra delegazione che, ogni anno, si reca al Fanar per la festa dell'apostolo Andrea, il primo dei chiamati.

La comune celebrazione degli apostoli mette in rilievo la nostra fede, la fede che da loro abbiamo ricevuto e ci ricorda la successione apostolica che è, nelle nostre Chiese, un elemento fondamentale per la santificazione e l'unità del popolo di Dio. Nel breve "Anno Ineunte" che papa Paolo VI ha inviato al patriarca Atenagora in occasione della sua visita a Fanar, viene messa in rilievo l'importanza essenziale della successione apostolica. Attraverso il Battesimo, noi siamo una cosa sola in Cristo Gesù e "in virtù della successione apostolica, il sacerdozio e l'Eucaristia ci uniscono più intimamente. In ogni Chiesa locale si opera questo mistero d'amore divino; e non è questa la ragione dell'espressione tradizionale e così bella secondo la quale le Chiese locali amano chiamarsi Chiese sorelle?" ("Tomos Agapis", 176).

Il dialogo tra le nostre Chiese trova un solido fondamento, nell'esperienza comune che insieme abbiamo vissuto durante il primo millennio, malgrado le tensioni che non sono mancate, durante quel periodo. I concili ecumenici sono stati un'espressione al più alto livello della vita sinodale e della comunione delle Chiese. Essi hanno formulato e promulgato la fede apostolica, difendendola da oggi alterazione. Facendo ciò, essi condussero le nostre Chiese alla dossologia comune nella quale noi lodiamo e adoriamo il Padre che attraverso il Figlio e nello Spirito Santo ci ha rivelato i grandi misteri della fede. Al servizio di questa fede, i concili si sono nello stesso tempo sempre espressi col più grande rispetto della legittima varietà di espressione di questa fede nelle differenti forme liturgiche, disciplinari e teologiche delle Chiese d'Oriente e d'Occidente. Si pensi, alle origini, come Clemente di Roma scrivesse alla Chiesa di Corinto, e come Ignazio di Antiochia scrivesse alla Chiesa di Roma. Si pensi a sant'Ireneo e alla sua opera.

Oggi le nostre Chiese si incontrano nell'autentico spirito di fraternità che caratterizza le relazioni tra Chiese sorelle. Dopo secoli, noi ci troviamo nel dialogo della carità, in seno al quale si sviluppa quello teologico. Attraverso di esso cerchiamo di ritrovare insieme un'espressione comune della nostra fede sui punti in cui diverse evoluzioni hanno creato incomprensioni e disaccordi. I principi che hanno guidato i nostri padri per mantenere la comunione, nel rispetto della diversità di usi ed espressioni teologiche, ci devono guidare per ricomporre la piena comunione tra di noi. Celebriamo quest'anno l'11° centenario della morte di san Metodio. Egli compi, insieme al fratello Cirillo, una delle opere più importanti dell'evangelizzazione dell'Europa. Ciò avvenne nel pieno accordo tra Roma e Costantinopoli. Che essi ci proteggano, che intercedano per il progresso del nostro dialogo, che ci siano di modello. Ringrazio quanti si impegnano a nome della loro Chiesa in questo dialogo. Prego il Signore di portare a termine l'opera che ha cominciato attraverso di noi. Ciò avverrà per la più grande gioia di tutto il popolo di Dio, gioia che è frutto dello Spirito.

In questi sentimenti, vi sono profondamente riconoscente per questo incontro; questa celebrazione comune dei santi apostoli Pietro e Paolo ravvivi la nostra fraternità e rafforzi la nostra fede. così cattolici e ortodossi si avvicinano nell'amore, fratelli di un'unica famiglia, inviati insieme per proclamare l'unico Vangelo a tutte le nazioni.

Nel ricordare il nostro compito al patriarcato ecumenico di sei anni fa per la festa di sant'Andrea, vi prego di portare al patriarca Dimitrios I e al santo sinodo l'espressione della mia stima e della mia carità fraterna. La pace del Signore sia sempre con voi e con noi!

Data: 1985-06-29 Data estesa: Sabato 29 Giugno 1985





Solennità dei santi Pietro e Paolo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Gratitudine della Chiesa per i martiri che l'hanno fondata

"Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).


1. Queste parole pronunziate nei pressi di Cesarea di Filippo, questa confessione della verità su Gesù di Nazaret, che per un figlio dell'antica alleanza non era facile da pronunziare, segnano il momento della nascita di Pietro! Possiamo dire che egli è nato in questa confessione. Prima era conosciuto come figlio di Giona, come Simone. Era pescatore, come suo fratello Andrea; era stato Andrea a condurlo da Gesù sulle sponde del lago di Genesaret. Già allora Gesù disse: "Ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)" (Jn 1,42), ma questo fu soltanto un preannunzio.

Pietro - Cefa - pietra/roccia.

Nel momento in cui Simone figlio di Giona confessa che Cristo - il Messia - è il figlio di Dio, quel preannunzio diventa realtà. E Cristo dice a Simone: "Tu sei Pietro" - roccia.

Così dunque la confessione fatta nei pressi di Cesarea di Filippo è, in realtà, il momento della nascita di Pietro. E' nato mediante la fede nella figliolanza divina di Cristo. In questa fede si è rivelato il Padre, il Dio dell'alleanza come Padre. E Dio-Padre ha rivelato a Simone il suo figlio: "Né la carne, né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli!" (Mt 16,17).


2. Questa nuova nascita di Simone, figlio di Giona - la nascita di Pietro - permette a Cristo di concretizzare la prospettiva del regno di Dio, che egli ha proclamato sin dall'inizio della sua missione messianica in Israele.

Cristo dice: "Edifichero la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16,18). Nell'annunzio di Cristo, la Chiesa viene legata a Pietro, e Pietro viene inserito nella Chiesa come roccia, cioè Cefa. In questo modo si spiega il mistero del nome, che Gesù di Nazaret ha proclamato a Simone già durante il primo incontro. "Io ti dico: tu sei Pietro e su questa Pietra edifichero la mia Chiesa".

Le parole sono chiare e univoche. Colui che costruisce la Chiesa è Cristo stesso. Pietro deve essere una particolare "materia", un elemento particolare della costruzione. Deve esserlo mediante la fedeltà alla sua professione fatta presso Cesarea di Filippo, in forza delle parole: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente".


3. La nascita di Pietro nei pressi di Cesarea di Filippo ha, come si vede, un duplice carattere: cristologico ed ecclesiologico. Pietro nasce dalla fede nella divinità, nella figliolanza divina di Cristo. Nasce insieme nella Chiesa e per la Chiesa. Nasce per un particolare servizio, al quale corrisponde un particolare carisma. Il servizio di Pietro e il carisma di Pietro.

Cristo dice: "A te daro le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terrà sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (Mt 16,19). La Chiesa ha il suo inizio in Dio: nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Nella santissima Trinità essa ha anche il suo destino definitivo.

La vocazione e missione della Chiesa si compiranno in modo definitivo nel regno di Dio. Sulla strada verso questo regno la Chiesa deve "legare e sciogliere", deve quindi tenere "le chiavi del regno", e Pietro è il primo depositario di questo potere, che è un servizio (di questo servizio che è un potere).


4. Oggi la Chiesa romana, i cui inizi sono collegati al servizio di Pietro-apostolo, ricorda con affettuosa venerazione il martirio della sua "roccia". Dal giorno della morte di Pietro guarda - mediante le letture liturgiche - verso la sua nascita. E cerca di ricordare anche le principali tappe della via, che da Cesarea di Filippo lo condusse proprio a Roma. In particolare ricorda il periodo gerosolimitano, quando il Signore strappo miracolosamente Pietro "dalla mano di Erode" (Ac 12,11).

E' noto che dopo aver lasciato Gerusalemme e prima di venire a Roma, san Pietro dette altresi inizio alla Chiesa di Antiochia. In tutte queste tappe sono rimaste determinanti le parole di Cristo, mediante le quali Simone, figlio di Giona, nacque come Pietro. Parole riconfermate dopo la risurrezione, quando Cristo stabili Pietro nell'amore e gli affido il servizio pastorale: "Pasci i miei agnelli... pasci le mie pecorelle" E allora gli predisse "con quale morte egli avrebbe glorificato Dio" (Jn 21,15-19).


5. Oggi la Chiesa romana ricorda proprio il giorno di questa morte beata, da martire. Essa ha unito al termine della via i due apostoli: Pietro e Paolo.

Sant'Agostino ne parla così nell'odierna liturgia delle ore: "Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch'essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo segui. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli. Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione" ("Sermo 295": PL 38, 1352).


6. La Chiesa romana unisce ambedue gli apostoli nel comune ricordo della loro morte di martiri. La liturgia dedica un altro giorno al ricordo della nascita di Paolo. E' il 25 gennaio, che celebra la sua miracolosa conversione davanti alle porte di Damasco. Colui che si è convertito, era prima un nemico mortale del nome di Cristo e persecutore dei cristiani. E il suo nome era Saulo. Saulo di Tarso.

Sulla strada verso Damasco la potenza di Dio lo fece cadere a terra. E Cristo gli domando: "Perché mi perseguiti?" (Ac 9,4). A Simone, Gesù rivolse la domanda: "La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?" (Mt 16,13). E a Paolo: "Perché mi perseguiti?".

E come dalla risposta di Simone è nato Pietro, così dalla risposta a Cristo, data da Saulo vicino a Damasco, è nato Paolo. L'apostolo Paolo, che ha detto di essere "infimo" perché ricordava di aver perseguitato, una volta, "la Chiesa di Dio" (1Co 15,9), è nato dalla fede in Gesù risorto, la cui potenza ha sperimentato davanti alle mura di Damasco. E l'ha sperimentata poi su tutte le vie della sua missione apostolica.

E anche nella nascita spirituale di Paolo, Cristo ha inscritto il mistero della propria Chiesa. Già da allora, quando gli domando: "Perché mi perseguiti?", egli parla della Chiesa. Saulo infatti perseguitava la Chiesa.

Quindi, già da quella volta, Paolo poté vedere con gli occhi della fede Cristo nella Chiesa e la Chiesa in Cristo. La Chiesa, corpo di Cristo.


7. Oggi, nel giorno in cui si rende omaggio alla morte beata di ambedue gli apostoli a Roma, ambedue sembrano parlare a noi che siamo la Chiesa: "Celebrate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome" (Ps 33,4). E contemporaneamente la Chiesa risponde ai due apostoli con lo stesso versetto del salmo: "Celebrate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome". Lo fa in particolare la Chiesa romana: "O Roma felix, quae tantorum principum / es purpurata pretioso sanguine, / non laude tua, sed ipsorum meritis / excedis omnem mundi pulchritudinem" (Primi Vespri).


8. La Chiesa di Roma ha la gioia di salutare la delegazione ortodossa presieduta dal metropolita Chrysostomos di Mira, che il patriarca ecumenico Dimitrios I ha inviato a Roma per questa festa dei santi Pietro e Paolo. E' per noi cara la presenza di tale delegazione, nel giorno solenne dedicato a Simone, figlio di Giona. Pietro infatti fu chiamato per mezzo del fratello Andrea, il quale è venerato, in modo particolare, dalla Chiesa di Costantinopoli, di cui è patrono.

Ringraziamo pertanto i rappresentanti di questa Chiesa che si sono uniti alla nostra celebrazione.

Il dialogo aperto tra le nostre Chiese sulla comune fede apostolica ci condurrà alla piena unità e, finalmente, a poter celebrare insieme l'Eucaristia del Signore. A questo scopo invito tutti a pregare sempre e particolarmente quest'oggi.


9. La Chiesa romana gioisce anche della presenza dei nuovi metropoliti che riceveranno il pallio qui presso la tomba di san Pietro. Sono undici metropoliti, provenienti da varie parti del mondo.

Come sappiamo, il pallio è simbolo di una speciale comunione con la Sede di Pietro. Esso è titolo d'onore ma anche richiamo a una più alta responsabilità, a un più generoso spirito di servizio e di sacrificio nella fedeltà e nella comunione col vicario di Cristo per l'unità, la santificazione e la crescita del corpo mistico e la salvezza del mondo. L'augurio che vi rivolgo, allora, cari confratelli, è che il vostro amore a Cristo e alla Chiesa non venga mai meno, e siate pronti, per questo amore, ad affrontare ogni prova, partecipando del coraggio apostolico dei santi che oggi festeggiamo.


10. così, dunque, venerabili fratelli nell'Episcopato, e anche voi, cari fratelli e sorelle del popolo di Dio! Rallegriamoci nella solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo.

Mediante la loro vocazione e il servizio ai misteri di Cristo, Figlio di Dio, tale solennità è stata inscritta, una volta per sempre, nella storia del regno di Dio sulla terra. E i due apostoli, nascendo da questo mistero, hanno costruito la Chiesa nelle sue fondamenta.

Beato te, Simone figlio di Giona! Beato te, Paolo di Tarso! "Per crucem alter, alter ense triumphans / vitae senatum laureati possident" (Inno dei primi Vespri). La Chiesa romana celebra con grande gratitudine il giorno della vostra nascita al regno dei cieli: per l'eternità in Dio. Amen. Data: 1985-06-29 Data estesa: Sabato 29 Giugno 1985





Alle autorità e alla cittadinanza - Atri

Titolo: La profonda fede cristiana della terra d'Abruzzo

Signor sindaco, fratelli e sorelle della città di Atri.


1. Rivolgo il mio più vivo e cordiale saluto a tutti e a ciascuno di voi, convenuti tanto numerosi ed entusiasti a questo incontro da voi e da me cordialmente desiderato. Ringrazio il signor sindaco per le parole così sentite e vibranti a me indirizzate a nome dell'intera popolazione.

Sono lieto di ritornare in Abruzzo e di raccogliere nuovamente la testimonianza della profonda fede cristiana e della solida devozione alla Chiesa di Roma, che sono prerogative delle vostre nobili tradizioni. Nei miei ormai numerosi viaggi apostolici in Italia e fuori, io rivivo dovunque l'autentica realtà della Chiesa di Cristo, cementata dall'unità dei cuori. La medesima esperienza mi è grato di compiere oggi tra voi, circondato dal vostro affetto.


2. Qui, nel vostro Abruzzo, la natura sprigiona messaggi elevanti. Il nitido paesaggio di monti e di mare richiama a Dio, al silenzio, alla riflessione, alla serenità dell'impegno quotidiano, all'amore per la famiglia, per le cose semplici e buone. Da questo scenario di intatte bellezze hanno trovato ispirazione i vostri artisti: pittori, architetti, poeti, scrittori, cesellatori di oreficeria, autori di canti popolari. Ma penso soprattutto ai vostri santi.

Così, con senso di devota considerazione, il pensiero corre al mio santo predecessore Pietro di Morrone, l'eremita della montagna, che dagli spettacoli naturali traeva spinta per elevarsi alle vette della pura contemplazione, e che, divenuto Celestino V, rimase sempre avvinto - mente e cuore - al fascino della solitudine contemplativa.


3. Cari fratelli e sorelle, sono lieto anche di trovarmi nella vostra operosa città, collocata in bellissima posizione, al cospetto dell'Adriatico e del Gran Sasso. La vostra antica e imponente cattedrale, alta sul colle, richiama l'immagine evangelica di una missione di luce. Atri s'è conquistata un suo spazio non soltanto nella storia dell'Abruzzo, ma anche nella storia della Chiesa, per l'attività della sua diocesi, per il costante e fedele attaccamento ai valori della fede, testimoniato dalle numerose e bellissime chiese, per la qualità e il prestigio internazionale di alcuni suoi uomini impegnati nella diffusione del Vangelo.

A tale proposito, tra i vostri concittadini che più si sono distinti nel servizio della Chiesa, mi piace ricordarne almeno due. Il primo: padre Claudio Acquaviva figlio del duca d'Atri, uno dei più eccellenti superiori della Compagnia di Gesù, il quale durante il suo lungo generalato diede vigoroso impulso alle missioni cattoliche in tutti i continenti allora conosciuti.

Il secondo: padre Rodolfo Acquaviva, nipote del precedente, che fu missionario in India verso la fine del secolo XVI, mori martire nella penisola di Salsette, vicino a Goa, e che oggi veneriamo col titolo di beato.


4. Questa tappa ad Atri all'inizio del mio odierno pellegrinaggio vuol essere un segno del mio affetto per voi e insieme un auspicio per il futuro. Sono certo che il Congresso eucaristico diocesano porterà abbondanti frutti di ripensamento personale, di rinascita ecclesiale, di amore evangelico, di pace e di vera giustizia.

A tutti e a ciascuno di voi imparto la mia particolare benedizione.

Data: 1985-06-30 Data estesa: Domenica 30 Giugno 1985





Agli ammalati nella cattedrale - Atri (Teramo)

Titolo: La salvezza passa attraverso l'esperienza del dolore

Carissimi fratelli e sorelle!


1. Nell'itinerario pastorale di questa domenica, che mi porterà nel pomeriggio alla città di Teramo, per la chiusura del Congresso eucaristico, l'incontro con voi, cari ammalati, e con coloro che vi amano, nella vetusta e gloriosa basilica cattedrale di Atri, è un momento particolarmente caro al mio cuore. Ringrazio sentitamente monsignor vescovo e i dirigenti dell'Unitalsi per aver voluto questa solenne assemblea di fede e di fraternità, e ringrazio tutti voi, per la vostra partecipazione.

Con grande affetto porgo il mio saluto a voi, malati, che in vario modo sentite maggiormente il peso della croce e implorate la grazia della guarigione o almeno del sollievo. Saluto voi, parenti, amici, volontari, medici, infermieri, che li assistete con amore e generosità e rivolgo il mio pensiero beneaugurante anche ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, tra cui le suore Clarisse contemplative, che si sono uniti a questo significativo incontro. La mia presenza in mezzo a voi vuol essere espressione di amicizia e anche dono di conforto e di incoraggiamento, per assicurarvi che il Signore è vicino nella sua Provvidenza specialmente a coloro che soffrono, e che la Chiesa si china con volto materno sul dolore degli uomini.

Carissimi fratelli e sorelle, penso a voi, uno per uno, singolarmente, nelle vostre pene, nelle vostre speranze, nei vostri sforzi per accettare e per superare la malattia, e invoco dal Signore per tutti la consolazione della sua grazia, il coraggio nell'affrontare le situazioni difficili, la rassegnazione nei momenti dell'incertezza e dell'angoscia, l'intima letizia spirituale di sapersi e sentirsi amati e seguiti in tutte le circostanze della vita da colui, che - come scrisse Alessandro Manzoni del quale quest'anno ricordiamo il bicentenario della nascita - "non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande" ("I promessi sposi", cap. VIII).

La mia visita purtroppo e la mia permanenza con voi sono necessariamente brevi. Ma sono qui per confermarvi nella fede in Cristo e per assicurarvi la sua predilezione e la sua presenza: egli rimane! Egli ripete continuamente: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorero!" (Mt 11,28).


2. Cari amici! L'odierno incontro in questo luogo sacro mi dà l'opportunità di meditare con voi e con quanti vi attorniano su alcune verità di fede e su alcune direttive pratiche, che possono essere di aiuto per una sempre più convinta e sentita vita spirituale.

a) La malattia, di qualunque genere essa sia e qualunque origine abbia, è sempre un momento della "storia della salvezza", che la dottrina cristiana lega strettamente al dramma del "peccato originale" e all'avvenimento salvifico dell'incarnazione del Verbo divino e della redenzione. Essa è un richiamo alla visione soprannaturale dell'esistenza e un invito ad accogliere il Signore, che passa più vicino all'anima, per farle sentire la sua presenza, per donarle la sua grazia, per elevarla alla contemplazione delle verità supreme ed eterne.

Generalmente nella malattia si desidera con ansia la guarigione e ci si affida con fiducia agli esperti, ai loro studi e alle loro tecniche: è logico ed è giusto; ma quella stessa esperienza fa comprendere anche quanto sono labili i progetti dell'uomo, desideroso di soddisfazioni e di realizzazioni; quanto effimero il dinamismo dell'esistenza; quanto incerto il programma dei propri impegni personali, familiari e sociali. La malattia è una tappa di riflessione e talvolta anche di conversione, che la Provvidenza vuole o permette per il bene soprannaturale dell'anima. San Paolo, meditando sul fatto che l'uomo esteriore si va disfacendo di giorno in giorno, mentre quello interiore si rinnova, scriveva: "Il momentaneo leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne" (2Co 4,17-18). Per questo motivo, così vero anche se talvolta così difficile da percepire, vi esorto alla preghiera, alla pazienza e alla confidenza! b) La malattia è anche una misteriosa ma reale partecipazione all'opera redentrice, che Cristo ha compiuto con la sua passione e morte in croce. "Nella croce di Cristo - ho scritto nell'enciclica "Salvifici Doloris" (n. 19) - non solo si è compiuta la redenzione mediante la sofferenza, ma è stata redenta la sofferenza umana stessa". Questa verità ci introduce veramente nel mistero della salvezza: "Cristo è morto a causa dei nostri peccati - dice san Paolo - ed è risorto per la nostra giustificazione" (Rm 4,26). "Io sono venuto perché abbiano la vita - affermava Gesù stesso - e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10). La salvezza, la vita soprannaturale, la santità passano attraverso la passione di Cristo e di coloro che in lui credono e lo amano! E' la realtà mistica dell'espiazione, della compensazione, dell'unione alle sofferenze di Cristo, che ottiene misericordia e perdono per tanti peccatori, che applica alle anime le grazie della redenzione, che purifica e mantiene salda la Chiesa nella sua missione nel mondo. Vedremo in paradiso l'efficacia di tante nascoste immolazioni! c) Infine la malattia è anche un mezzo per richiamare ogni persona ai suoi doveri di carità, di fratellanza, di aiuto reciproco. Nella società moderna, sempre più stimolata dalla ricerca di soddisfazioni individualistiche, è necessario ad ogni costo vincere la tentazione dell'egoismo. Perciò non si raccomanderà mai abbastanza la cura amorevole e premurosa dei malati, anche per uscire dal cerchio ristretto dei propri interessi. Che essi non siano lasciati nella solitudine, nella desolazione, nell'abbandono! Siate tutti dei "buoni samaritani"! Ricordate le parole del Divin giudice: "Ero malato e mi avete visitato!".


3. Desidero ora rivolgere una parola anche a voi qui presenti con i cari malati, e a tutte le altre persone appartenenti a questa città e diocesi di Atri, così ricca di vicende storiche, civili e religiose. Questa vostra Chiesa locale, come l'intera regione d'Abruzzo, parla di fede cristiana, profondamente sentita e attuata nella vita quotidiana; tutto qui invita a pensare alla schiera innumerevole di credenti che hanno camminato per queste strade e hanno fatto parte di questa comunità. E quindi tutto spinge logicamente anche voi a impegnarvi con sereno coraggio e con perseveranza nelle tradizioni ricevute, testimoniando e tramandando il messaggio di Cristo nella società moderna. Voi dovete vivere il Vangelo, in modo integro e salvifico, in mezzo alle vicende di questi tempi. Il Signore vi faccia sentire e godere quanto è grande e bello servire lui solo, totalmente e lietamente.


4. Carissimi! Dovendo lasciarvi per raggiungere il santuario di San Gabriele dell'Addolorata, mi piace ricordare che - come scrivono i testimoni - tutti ammiravano nel caro giovane la sua viva devozione a Gesù sacramentato, alla passione di Cristo e in modo speciale alla Vergine addolorata. Imitate anche voi san Gabriele, che in pochi anni di vita raggiunse le vette della santità; amate Maria santissima, invocatela con affetto e fiducia nelle vostre pene: ella, che fu "addolorata" e conobbe il pianto, è la nostra grande, vera consolatrice! Mentre assicuro il ricordo nella preghiera, in pegno della mia benevolenza vi imparto di gran cuore la benedizione apostolica.

Data: 1985-06-30 Data estesa: Domenica 30 Giugno 1985





Ai giovani nel santuario di San Gabriele (Teramo)

Titolo: Come il "santo del sorriso" testimoniate la forza redentrice

Carissimi giovani d'Abruzzo e Molise!


1. Sono veramente lieto di incontrarmi con voi presso questo suggestivo santuario di San Gabriele dell'Addolorata, ai piedi del Gran Sasso d'Italia, che con la sua ardita impennata invita non solo a compiere escursioni turistiche, ma anche ascensioni spirituali. Già il 30 agosto del 1980 ebbi modo di ammirare il versante aquilano di questo stupendo massiccio dell'Appennino, in occasione del mio incontro con i lavoratori addetti alla monumentale opera del traforo. Ho appreso con piacere che essa oggi è una felice realtà, destinata ad unire sempre di più le genti d'Abruzzo e Molise e a favorire reciproca conoscenza e utili scambi culturali, sociali ed economici.

Esprimo il mio cordiale saluto a tutti voi, cari giovani, ragazzi e ragazze, e vi ringrazio per la vostra presenza così numerosa ed entusiastica.

Saluto in particolare il vescovo diocesano, monsignor Abele Conigli; il preposito generale dei Passionisti, padre Paul Boyle; e il commissario prefettizio di Isola del Gran Sasso: ad essi va la mia più viva gratitudine per il gentile invito rivoltomi e per la calorosa accoglienza, ben degna del senso di ospitalità proprio del popolo abruzzese.

Le ricorrenze del primo centenario della venuta di san Gabriele in Abruzzo e del 25° della sua proclamazione a patrono principale dell'Abruzzo e del Molise hanno offerto, cari giovani, a voi e a me l'occasione propizia per visitare questo santuario e per venerare le sacre spoglie del "Santo del sorriso". Questo pellegrinaggio vi ha raccolti da ogni parte delle due regioni, in rappresentanza dei movimenti ecclesiali giovanili, appartenenti all'Azione cattolica, Comunione e liberazione, Agesci, Neo-catecumenato, Gen, Cursillos e altri gruppi. Sono venuto per voi; per vedervi, per parlarvi, per guardarvi negli occhi, come faceva Gesù (cfr. Mc 10,20); sono venuto per affidarvi una parola particolare, in questo Anno internazionale della gioventù, che vi sia di stimolo a vivere sempre più profondamente le esigenze del Vangelo, nella splendida luce dell'esempio di un giovane, più o meno della vostra età, san Gabriele dell'Addolorata.


2. Il primo sentimento che nasce nel mio cuore è quello della gioia, come ho già accennato. La gioia cristiana fu la nota caratteristica di san Gabriele, il quale, pur nella continua meditazione della passione di nostro Signore e della beata Vergine Addolorata, ne visse in profondità ogni interiore risonanza, e ne fece oggetto di conversione e di corrispondenza epistolare. Le fonti storico-biografiche (pp. 24-25) affermano che: "Aveva sortito da natura un carattere molto vivace, soave, gioviale, insinuante, insieme risoluto e generoso, e aveva un cuore sensibilissimo e pieno d'affetto... di parola pronta, propria, arguta, facile e piena di grazia, che colpiva e metteva in attenzione". Scriveva ai familiari: "La contentezza e la gioia che io provo entro queste sacre mura è quasi indicibile"; "piena di contenuto è la mia vita"; "la mia vita è un continuo godere"; e ancora: "vivo contento d'essermi ritirato in questa santa religione" ("Scritti", p. 18 5.19 2.20 6.322).

A questo livello si innalza la gioia cristiana, ogniqualvolta si intraprende un effettivo cammino di fede, di speranza e di carità autenticamente evangeliche. Anche voi, cari giovani abruzzesi e molisani, sulla scia di così luminoso esempio che incessantemente si irradia da questo santuario, siete invitati a riscoprire le radici profonde della gioia, cioè della buona novella recata sulla terra dalla venuta di Gesù: "Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo" (Lc 2,10). Abbiate sempre più chiara coscienza di questa realtà interiore che contraddistingue ogni seguace di Cristo, chiamato a viverla intensamente e a proclamarla come espressione della nuova alleanza, suggellata dal sangue dell'Agnello e come segno pasquale della risurrezione e dell'Alleluia.

Diffondetela negli ambienti dove vivete o svolgete le vostre attività: nella famiglia, nella scuola, nei posti di lavoro, di gioco e di divertimento; comunicatela soprattutto alle persone sole, anziane, ammalate o emarginate dalla società; a quelle assorbite dalla routine del trantran quotidiano; a quelle che invano la cercano dove essa non è: nei micidiali surrogati della droga e dell'alcool; o nel fatale e vuoto ricorso al consumismo e al disimpegno; e soprattutto a quelle che dovessero lasciarsi suggestionare dalle deplorevoli iniziative ispirate in qualunque modo alla violenza o alla mancanza di rispetto per la persona altrui. A tutti questi fratelli e sorelle, che, in un modo o nell'altro, consapevolmente o inconsapevolmente, attendono una vostra parola, un vostro sorriso e la vostra amicizia, non fate mancare la vostra presenza, non rifiutate di mostrare la vostra gioia, le ragioni della vostra speranza.


3. Certamente conoscerete la vita di san Gabriele: nato ad Assisi nel 1838 nell'illustre famiglia del governatore dello Stato pontificio, Sante Possenti, ricevette nel Battesimo il nome di Francesco. A 18 anni entro a far parte della famiglia Passionista, compiendo il noviziato a Morrovalle. Nel luglio del 1859 giunse con i suoi confratelli ad Isola del Gran Sasso, ultima tappa del suo peregrinare: qui infatti mori il 27 febbraio del 1862, all'età di 24 anni. Come vedete, non ci fu niente di eccezionale esternamente, ma quanta ricchezza interiore vibro nel suo animo sensibile e generoso, e quale totale dono di sé egli seppe fare a Dio e alla Vergine, nell'assoluta fedeltà alla Regola e allo spirito di orazione e di penitenza! In conformità al carisma proprio della congregazione della Passione di Gesù Cristo, egli trovo il segreto della sua perfezione nella meditazione del Cristo crocifisso e della madre sua Addolorata ai piedi della croce. Alla scuola di Gesù e di Maria, egli seppe raggiungere nel breve spazio di pochi anni le vette più alte della perfezione con slancio davvero mirabile: "ad Iesum per Mariam!".

Egli si pose come grano, destinato a morire per portare frutto (Jn 12,24), nel solco fecondo della croce di Cristo per recare il suo contributo all'azione salvifica che ivi si attua ogni giorno fino alla fine del mondo. Nella croce egli percepi l'incontro salvifico della colpa con l'innocenza, della cattiveria con la bontà, dell'odio con l'amore, della morte con la vita; nella croce seppe ravvisare la composizione della giustizia con la misericordia, del dolore con la speranza, della gioia col sacrificio. A colei che egli contemplava ai piedi della croce, non cessava di ripetere: "Il mio paradiso sono i tuoi dolori, o Madre mia" ("Fonti", 136).


4. Carissimi giovani, san Gabriele, vostro coetaneo, oggi vi ricorda che, se volete essere veramente cristiani, non potete rifiutarvi di partecipare alla passione del Signore e di portare dietro a lui la vostra croce: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà" (Lc 9,23-24).

E' questa la legge dell'ascetica cristiana, ribadita, peraltro, anche dalla sapienza umana: "per crucem ad lucem"; "per angusta ad augusta". E lo stesso sommo poeta Dante Alighieri significativamente ammoniva: "...seggendo in piuma / In fama non si vien, né sotto coltre" (Inf. XXIV, 47-48).

Se la vita viene svuotata della croce non ha più senso, sapore e valore.

Chi tentasse di chiudere le pagine del Vangelo che documentano il tragico epilogo della vita terrena di Gesù, vagheggiando un Vangelo più facile, più comodo, più conforme ad un modo accomodante della vita, ridurrebbe il Vangelo di Gesù a un documento del passato, a una parola inerte, a un racconto senza vita e senza capacità di salvezza. Il Signore ha salvato il mondo con la croce: ha ridato all'umanità la speranza e il diritto alla vita con la sua morte. Non si può onorare Cristo, se non lo si riconosce come Salvatore, se non si riconosce il mistero della sua santa croce. E' tutto qui il nucleo del messaggio vissuto da san Gabriele dell'Addolorata e raccomandato ai giovani.


5. Carissimi, ricordatevi sempre che anche voi collaborerete alla redenzione del mondo, se saprete trasformare in energia morale le immancabili difficoltà inerenti alle vostre specifiche situazioni esistenziali; se saprete portare la croce, se saprete cioè affrontare la vita con coraggio, senza mollezze e senza viltà; se saprete comprendere il dolore altrui ed essere dei buoni samaritani verso i fratelli che incontrerete lungo la via della vostra vicenda umana; se saprete finalmente stabilire col Cristo una profonda comunione affettiva ed effettiva.

Accogliete con generosità questa consegna che ogni viene deposta nelle vostre mani e traducetela in pratica con quell'entusiasmo di cui voi siete capaci.

In questo modo riuscirete a fugare le incertezze e i timori che non mancano di affacciarsi sull'orizzonte, e sarete davvero i portatori di una nuova civiltà, nella quale si realizzino la giustizia, la verità, la solidarietà e l'amore.

A vent'anni dalla fine del Concilio Vaticano II vi ripeto con gli stessi caldi accenti di quella grande assise ecumenica: "La Chiesa vi guarda con fiducia e amore... Anche voi guardatela, e ritroverete in essa il volto di Cristo, il vero eroe, umile e saggio, il profeta della verità e dell'amore, il compagno e amico dei giovani" (Messaggio ai giovani, 8 dicembre 1965).


6. Un'ultima esortazione desidero rivolgervi. La riassumo in una sola parola: coerenza. Siate coerenti con la vostra vocazione e con la fede cristiana.

La fede è un dono da custodire, ma non in maniera intimistica e individualistica. La fede pervade le profondità del cuore, lo riempie in misura esuberante, e perciò si effonde nelle azioni. All'essere cristiani deve conseguentemente far riscontro il vivere da cristiani.

Siate fieri di professarvi apertamente per quel che siete. Siate lieti di testimoniare con la condotta i valori morali contenuti nella legge di Dio, specialmente quelli che una mentalità corrente tende ad offuscare, quali, per esempio, la purezza, l'onestà del costume, la santità del matrimonio e della famiglia. Ricordate la parola del Signore: "Chi mi riconoscerà davanti agli uomini anch'io lo riconoscero davanti al Padre mio che è nei cieli" (Mt 10,32). Ogni battezzato deve essere un apostolo, cioè un inviato a trasmettere ovunque la luce del Vangelo, a portare in ogni dimensione della vita l'animazione del fermento cristiano.

Miei giovani amici! Il mondo dei vostri coetanei, il campo della cultura e dell'arte, il settore della vita civica e la politica, come ogni ambiente dell'attività umana, non possono essere estranei al vostro impegno di apostolato.

Dico dell'apostolato individuale e di quello associativo.

Ricordatelo sempre: dal vostro impegno dipende in gran parte il progresso della civiltà e della cultura dell'amore, di cui ha immenso bisogno la vostra epoca.

A ciò vi sia di sostegno e di conforto la mia speciale benedizione apostolica che ora, invocando l'intercessione di san Gabriele, imparto di cuore a voi tutti e ai vostri amici.

Data: 1985-06-30 Data estesa: Domenica 30 Giugno 1985






GPII 1985 Insegnamenti - Lettera al cardinale Casaroli - Città del Vaticano (Roma)