GPII 1985 Insegnamenti - Messaggio al popolo del Giappone - Città del Vaticano (Roma)

Messaggio al popolo del Giappone - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Non deve esservi mai più un'altra Hiroshima

Parlare di Hiroshima e di Nagasaki è essere vivamente consapevoli dell'immenso dolore, orrore e morte che gli esseri umani sono capaci di infliggere l'uno all'altro. Ma è anche essere consci del fatto che tale tragico destino non è inevitabile. può e deve essere evitato. Il nostro mondo ha bisogno di riguadagnare fiducia nella sua capacità di scegliere il bene morale invece del male.

La Chiesa cattolica è irrevocabilmente impegnata nella sfida volta a promuovere la pace autentica tra i popoli e le nazioni, contro la guerra e la morte. La Chiesa considera questa sfida come un dovere davanti a Dio, Signore della vita, e come un imprescindibile servizio d'amore verso ogni uomo, donna e bambino su questa terra.

Desidero cogliere quest'opportunità per ripetere qualcosa che credo richieda molta riflessione. La vasta maggioranza della gente desidera la pace.

Tuttavia "il mondo odierno è come prigioniero in una rete di tensioni...

L'impotenza nella quale si trova l'umanità a risolvere le tensioni, ci rivela che gli intoppi o, al contrario, le speranze derivano da qualcosa di più profondo dei sistemi (sui quali sono costruite la vita moderna e le relazioni internazionali).

E' mia profonda convinzione... e, come spero, un'intuizione di molti uomini e donne di buona volontà, che la guerra prenda origine dal cuore dell'uomo. E' l'uomo che uccide e non la spada e neppure, oggi, i suoi missili" (Messaggio per la XVII Giornata mondiale della pace, 1 gennaio 1984). E' perciò il "cuore" umano che deve cambiare: la pace nasce da un cuore nuovo.

In questo prospettiva Hiroshima, a partire dal 6 agosto 1945, e Nagasaki, a partire da tre giorni più tardi, hanno una responsabilità unica di fronte al mondo. I popoli di queste due città possono proclamare con la forza della loro esperienza il valore della vita sulla morte, della pace sulla guerra.

Hiroshima è testimone vivente di ciò che può accadere ma che non deve e non dovrebbe mai accadere. Quando ho visitato Hiroshima nel 1981 ho voluto sottolineare che "si deve affermare e riaffermare, ancora e ancora, che il ricorso della guerra non è inevitabile e insostituibile".

Certamente non è sufficiente dirlo, come se la pace potesse essere raggiunta attraverso la ripetizione di slogan. Ciò che è necessario è una seria e completa educazione alla pace e una risposta impegnata alle disuguaglianze e alle ingiustizie predominanti nel nostro mondo. Se ogni individuo, gruppo e nazione, onestamente e sinceramente è disposto a seguire questo cammino, non vi sarà mai più un'altra Hiroshima.

Bisogna considerare la triste esperienza di quarant'anni fa come la pietra angolare di una nuova politica universalmente accettata di vie giuste e pacifiche per risolvere i conflitti presenti e futuri. Il compito particolare di Hiroshima in questo processo di educazione alla pace è insegnare che dall'orrore del passato può nascere una nuova prospettiva e una nuova speranza.

Con l'aiuto di Dio, l'esperienza di Hiroshima di quarant'anni fa non sarà vana. Prego ogni giorno il Creatore che ci insegni ad essere efficaci strumenti di pace e di solidarietà fraterna.

Data: 1985-08-06 Data estesa: Martedi 6 Agosto 1985





Al "Meeting" di Rimini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Con Cristo un uomo pienamente uomo, un mondo pienamente umano

Carissimi giovani.


1. A tutti voi che partecipate a questa edizione del "Meeting" di Rimini, riproposto anche quest'anno come un appuntamento atteso, il mio cordiale saluto e la mia parola d'incoraggiamento e di speranza. Valga essa ad aprire queste giornate e ne accompagni lo sviluppo come un filo ideale ricorrente lungo i momenti diversi che compongono il vostro incontro.

Mi piace rilevare che il vostro "Meeting" ha scelto l'uomo quale tema centrale di approfondimento e di dibattito. Tutto ciò che accade nel mondo, infatti, ha l'uomo come punto di riferimento. L'uomo è la chiave di volta del mondo e della società a motivo del potere, di cui è fornito, di scegliere il bene o il male, di andare verso la manifestazione definitiva della salvezza o verso la prospettiva d'una distruzione apocalittica.

Questa sesta edizione del vostro "Meeting" per l'amicizia fra i popoli, che ha per

Titolo: "La Bestia Parsifal & Superman", sotto le velate espressioni della metafora, lascia chiaramente intravedere le differenti scelte dell'avventura umana, le varie possibilità di comportamento offerte, soprattutto oggi, agli uomini in genere e ai giovani in particolare. Queste scelte e queste possibilità, riproposte quotidianamente dalla letteratura, dagli strumenti della comunicazione sociale, dalle ideologie correnti, possono determinare per il futuro tipi di civiltà profondamente diverse.


2. Quasi in ideale continuità con la lettera da me indirizzata a tutti i giovani del mondo la domenica delle Palme, mi rivolgo ora ai giovani del "Meeting" invitandoli a mettersi di fronte alla responsabilità delle proprie scelte, le quali devono andare ben oltre i confini di ciò che avete chiamato "la bestia".

A ciascuno di voi voglio porre alcuni interrogativi, che esigono una risposta personale. "Amico, chi vuoi essere? Vuoi chiuderti nel cerchio dei tuoi istinti e dei tuoi impulsi, e lasciarti definire da essi? Vuoi che il mondo diventi, come ha scritto Dante, "l'aiuola che ci fa tanto feroci"" ("Paradiso" 22,151)? L'originaria vitalità che appartiene all'animalità dell'uomo, il desiderio di vita, di godimento che egli condivide con tutti gli altri animali della terra, non sono in se stessi qualcosa di negativo, se accolti nel quadro dell'ordine previsto e voluto da Dio. Nell'uomo, a differenza degli altri animali, l'istinto non ha il diritto ad avere l'ultima parola, i suoi impulsi possono e devono essere soddisfatti entro precisi limiti, in modo conforme alla dignità propria della persona umana.

L'istinto lega alla vita, alle cose, alle persone, a noi stessi, ma la realizzazione autentica di tale possesso avviene soltanto seguendo il modello di quell'uomo che è anche Dio: Gesù, il Signore della vita, anzi, la vita. Solo lui restituisce l'uomo a se stesso, lo realizza al di sopra di ogni possibilità umana, gli garantisce un rapporto con la realtà e con le persone che non lo corrompe.

L'uomo è un essere incompiuto: solo Cristo lo può sottrarre ai limiti della sua animalità per renderlo pienamente uomo.


3. Per uscire dalla sua inferiorità animale, l'uomo, e soprattutto il giovane abbandonato a se stesso, può essere travolto dalla tentazione di scegliere la strada che voi avete scritto con l'immagine di Superman. A questo punto, non posso fare a meno di porre un'altra serie di domande ai giovani, e anche ai non più giovani, partecipanti al "Meeting": "Amico, vuoi che la misura del mondo nuovo, che aneli a costruire, sia definita dalla soggettività del tuo cuore, dalla tua particolare visione della giustizia, dalla carica erompente della tua forza fisica e intellettuale?".

E', questa, una suggestione più sottile della prima, altrettanto insufficiente, e in definitiva più insidiosa. Alla bestialità dell'istinto si contrappone qui un'ipotetica bontà, un'illusoria capacità naturale, una chiusa autosufficienza. Senza Cristo l'uomo non può costruire un mondo pienamente umano.

I criteri correnti di giustizia e di moralità sono, del resto, lontani dal soddisfare l'insaziabile aspirazione del cuore umano tendente all'infinito. Con essi, o almeno solo con essi, non si può costruire un mondo migliore, l'uomo nuovo e superiore, che tutti vogliamo.


4. Cari giovani, voi volete vivere in modo costruttivo, senza pericolo di fallimento, l'avventura della vostra personale esistenza sulla terra. E' quanto avete voluto esprimere con il riferimento alla leggenda di Parsifal. Ed ecco, allora, la proposta risolutiva data dall'offerta dell'incontro personale di ciascuno con Cristo, uomo e Dio, che è morto e risorto per vincere la nostra morte e i nostri mali, che è divenuto l'amico di ognuno di noi, il compagno di ogni giorno, contemporaneo e vicino a ciascun uomo che vive in qualsiasi momento della storia umana. Cristo porta dentro la vita dell'uomo il rapporto con l'infinito, porta la giovinezza che neppure il tempo può cancellare, porta la capacità di risollevarsi dalle cadute, l'esperienza della gioia e della passione, della purezza e della tenacia, la capacità di amare gli uomini come fratelli, e di lottare per la verità e la giustizia nella continua tensione verso un mondo migliore.

Auguro a voi tutti, giovani del "Meeting", di scoprire, in quest'anno a voi dedicato, la luminosa e avvincente attualità di Cristo. Sarà il modo migliore per ringiovanire il mondo. Vi accompagni tutti la mia apostolica benedizione.

Dal Vaticano, 6 agosto 1985

Data: 1985-08-06 Data estesa: Martedi 6 Agosto 1985







Messaggio radiotelevisivo all'Africa - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Una Chiesa giovane, avviata verso la piena maturità

Cari amici dell'Africa.

Mi appresto a visitare per la terza volta il vostro continente. Mi fermero in sette Paesi, i cui vescovi e le cui autorità mi avevano da tempo invitato. Per alcuni di questi Paesi si tratta della mia prima visita; il Togo, il Camerun, la Repubblica Centrafricana, il Marocco; altri celebrano un avvenimento particolare: l'inaugurazione della cattedrale di Abidjan in Costa d'Avorio, la prima beatificazione di una suora in Zaire, la celebrazione del 43° Congresso eucaristico internazionale in Kenya. Questo Congresso ha motivato il mio viaggio in questo periodo dell'anno. Il Cristo, presente nell'Eucaristia, è il centro della vita dei cristiani; è lui che noi adoriamo, che seguiamo, che cerchiamo di servire nella persona di tutti i nostri fratelli uomini.

Mi rallegro di ricevere la testimonianza della vitalità di queste Chiese fiorenti che si sono sviluppate da appena cent'anni. Esse vanno ora verso la loro piena maturità, autenticamente africana e autenticamente cristiana. Vengo a confermare i cattolici nel loro dinamismo missionario e a rinsaldare i legami con i loro fratelli di tutta la Chiesa.

Incontrero volentieri le altre persone o i gruppi che sono animati da sentimenti religiosi o che cercano sinceramente il bene del loro Paese, cosa che è sentita come un dovere dai cristiani. I vostri Paesi intrattengono relazioni regolari con la Santa Sede, in particolare attraverso i loro rappresentanti diplomatici. Sono felice di recarmi personalmente tra i loro popoli.

Tutti sanno che io vengo come responsabile religioso, testimone di Gesù Cristo e della Chiesa, servitore della pace, desiderando la libertà e il rispetto delle persone, il bene comune delle nazioni, l'instaurazione dell'amore fraterno.

I Paesi africani aspirano alla pace, allo sviluppo delle loro risorse, al riconoscimento della loro dignità e dei loro valori ancestrali. Nella loro saggezza, essi non vogliono separare lo sviluppo culturale, economico e sociale dal progresso morale e spirituale.

Li ringrazio già da ora per la loro benevolenza, la loro fiducia e l'accoglienza che hanno preparato al Pastore della Chiesa, successore di Pietro alla Sede apostolica. A tutti esprimo la mia stima, il mio saluto, i miei voti cordiali, in attesa di porgere loro la mano, e di pregare in mezzo a loro.

Dio vi benedica e vi doni la sua pace! Che benedica i vostri Paesi!

Data: 1985-08-07 Data estesa: Mercoledi 7 Agosto 1985





Arrivo all'aeroporto - Lomé (Togo)

Titolo: La fede deve maturare e portare frutti

Signor presidente, Cari fratelli nell'episcopato, Cari fratelli e sorelle, cari amici.


1. La mia gioia è grande e ringrazio il Signore di trovarmi, oggi, accolto nel Togo! Accolto calorosamente, come sa farlo questo popolo ospitale! Lo so che avete una certa impazienza di vedere il Papa da voi, dopo la sua visita ai due paesi vicini del Ghana e del Benin, e a parecchie altre comunità africane. Anch'io ero impaziente di incontrarvi.

Oggi, siete il primo paese che visito durante questo mio terzo viaggio in Africa. Esso mi condurrà in sei altre nazioni africane e in particolare nel Kenya dove mi assocero - con fratelli e sorelle cattolici del mondo intero - al culto che rendiamo a Cristo, presente nel santo sacramento dell'Eucaristia. E' lui che è il capo invisibile della Chiesa. E' lui che noi adoriamo, che noi seguiamo, che noi serviamo in tutti i nostri fratelli umani.

La tappa nel Togo inaugura questo grande periplo missionario. E mi rallegro di passare due giorni con voi.


2. Lo devo agli inviti convergenti di sua eccellenza il presidente della Repubblica e della Conferenza episcopale. Si, signor presidente, lei ha manifestato la sua disponibilità a ricevermi fin dal momento in cui ha incontrato il primo pro nunzio apostolico presso il Togo, nel gennaio 1983. La ringrazio per questo amabile invito, che lei ha rinnovato più volte, e sono commosso per l'accoglienza che mi ha preparato oggi, della fiducia che mi dimostra, e di tutte le disposizioni prese per assicurare il buono svolgimento di questo viaggio in parecchi luoghi del suo Paese, da sud a nord.

I vescovi, a più riprese, specialmente tramite monsignor Robert Casimir Dosseh Anyron, mi avevano espresso il desiderio di questa visita pastorale, in occasione della loro venuta a Roma.


3. Il vostro Paese ha raggiunto l'indipendenza civile venticinque anni fa. Era una tappa importante, impegnativa ma necessaria, per assumere il suo destino e per svolgere il suo ruolo sul piano internazionale. Ma io non dimentico che è l'erede di dinastie prestigiose notevolmente strutturate, risalenti almeno a quattro o cinque secoli. Il vostro passato è tessuto di gloria e anche di sofferenze. Voi non volete perdere il beneficio della saggezza della vostra cultura ancestrale e, d'altra parte, non volete mancare nemmeno alle possibilità di sviluppo che vi offre il mondo moderno.

La città di Lomé si è giustamente resa celebre ospitando numerose riunioni regionali e internazionali. Il suo nome è diventato il simbolo dell'incontro Nord-Sud, tra i Paesi industrializzati della Comunità europea e i Paesi africani. So che sto visitando un popolo dalla religiosità molto spontanea, un popolo formato da molti giovani avidi d'imparare, un popolo di persone che lavorano spesso con mezzi poveri.

Succedendo all'apostolo Pietro, che era stato scelto da Gesù tra i pescatori di Galilea per essere il pastore della sua Chiesa, sono lieto di trovarmi tra di voi.


4. La mia visita pastorale si rivolge prima di tutto a coloro che condividono pienamente la mia fede cattolica. Ho baciato la terra del vostro Paese. Tutta la terra è di Dio, e tutta la terra è bella, perché è popolata da uomini creati a immagine di Dio, e in qualche modo è santa, poiché Dio stabili la sua santa alleanza con questi uomini.

Io realizzo oggi un pellegrinaggio su questa terra che ha ricevuto il Vangelo. Rifaccio, in condizioni facili e agevoli, il tentativo umile e coraggioso dei primi cinque missionari della Società del Verbo Divino, inviati dal beato Arnold Janssen, loro fondatore, il 27 agosto 189 2. A partire da essi e da molti altri discepoli di Cristo, uomini e donne, la parola di Dio si è diffusa qui, è stata accolta, ha prodotto i suoi frutti. E oggi, meno di cento anni dopo, vengo ad ammirare i frutti di questa evangelizzazione. Trovo una comunità cattolica africana, forte in numero e in vitalità. Dio sia lodato! 5. Fu papa Leone XIII che, nel 1887, chiese alla Società del Verbo Divino d'iniziare questa evangelizzazione, e fu la Santa Sede che, cinque anni più tardi, stabili la prefettura apostolica del Togo. Il successore di Pietro non può rimanere indifferente quando un Paese intero non ha avuto la grazia di ascoltare la novella di Gesù, per potervi aderire liberamente.

Oggi, il Vescovo di Roma vi rende visita, come Pietro e Paolo visitavano le prime comunità cristiane, dove a volte non avevano né seminato né annaffiato.

Cari fratelli e sorelle, vengo a ricevere la testimonianza della vostra Chiesa, a pregare con voi, a rafforzare la vostra fede e a stringere i vostri legami con la Chiesa universale. Secondo il tema delle vostre riunioni preparatorie, vi offro l'occasione di "fare Chiesa con Pietro" Le Chiese in Africa, particolarmente giovani, arrivano ad uno stadio in cui la loro fede deve maturare e portare dei frutti autenticamente africani e autenticamente cristiani. Noi approfondiremo questo problema.


6. ln questo Paese, incontro pure dei fratelli protestanti che hanno dato anch'essi la loro fede nel Cristo salvatore. Incontro degli adoratori dell'Onnipotente e misericordioso, secondo la religione musulmana. Incontro una grande numero di persone che esprimono il loro sentimento religioso nell'ambito delle religioni tradizionali. Io le saluto tutte di gran cuore. Cari amici, il Papa viene a voi prima di tutto come un uomo religioso, un servo di Gesù Cristo; viene a voi con auguri di pace, sperando di promuovere in questo Paese la dedizione al Dio vivente e l'amore fraterno che è la sua legge.

Dio benedica il mio ministero in mezzo a voi! Benedica ciascuno di voi, secondo i vostri bisogni. Che benedica questo caro paese del Togo!

Data: 1985-08-08 Data estesa: Giovedi 8 Agosto 1985





La celebrazione eucaristica nella piazza "2 febbraio" - Lomé (Togo)

Titolo: Il rinnovamento morale è nell'amore fraterno




1. "Noi siamo il popolo che il Signore conduce per mano" (cfr. Ps 99[100],3).

Oggi, nel corso di questa solenne liturgia eucaristica, voi tutti, cari fratelli e sorelle, figli e figlie di questo paese del Togo, radunati nella vostra capitale, desiderate anzitutto proclamare davanti a Dio e davanti agli uomini: si, noi siamo il popolo che il Signore conduce per mano.

Oggi voi fate questa professione di fede, esprimendo ciò che sta al centro stesso della vostra fede: la gioia di essere il popolo di Dio, la fiducia di essere guidati da lui, dal Buon pastore.

E lo fate sotto la condotta di coloro che sono i vostri padri e pastori visibili della Chiesa che è nel Togo, i vostri vescovi, aiutati dal ministero dei vostri sacerdoti, sostenuti dalla testimonianza dei vostri religiosi e religiose, dei vostri catechisti, e questa sera - per la prima volta nella storia del vostro paese - in presenza del successore dell'apostolo Pietro che viene a farvi visita per confermare la vostra fede, rafforzare la vostra unità e incoraggiare il rinnovamento cristiano al quale vi siete preparati.


2. In questo paese, gli uomini hanno vissuto dei secoli, dei millenni utilizzando nel modo migliore le risorse della loro intelligenza e del loro cuore per organizzare il loro lavoro, la loro vita familiare e sociale, il loro governo, secondo strutture adatte e sotto l'autorità di capi sperimentati e rispettati. Il loro senso religioso sembra aver sempre segnato profondamente la loro vita. Poi è venuta l'ora dei legami politici con dei Paesi d'Europa.

Ma l'avvenimento che ha fatto si che voi siate qui questa sera, per celebrare Gesù Cristo, è l'evangelizzazione che è cominciata meno di un secolo fa con i missionari della Società del Verbo divino, poi con quelli delle missioni africane di Lione, e che è stata continuata fino ai nostri giorni con l'aiuto di molte congregazioni di religiosi e religiose. Questa sera, noi facciamo memoria di queste generazioni di missionari che non hanno avuto di mira altro che il comando di Nostro Signore: "Andate, insegnate a tutte le nazioni", e il vostro stesso bene: offrirvi la possibilità di divenire, come loro, dei discepoli del Cristo, di ricevere la salvezza che egli ci reca.

Onore e riconoscenza anche alle famiglie togolesi che hanno volentieri occolto il cristianesimo, al punto da formare un popolo di cristiani già molto numeroso, con sacerdoti e vescovi togolesi che prendono in mano l'animazione delle diocesi. Saluto qui i diocesani di Lomé, con il loro arcivescovo, monsignor Robert Casimir Dosseh-Anyron, che ringrazio della sua accoglienza; e gli altri cristiani della regione costiera, degli altipiani e delle savane dove si trovano le diocesi di Atakpamé, di Sokodé e di Dapaong. Saluto anche cordialmente i cristiani dei Paesi vicini, in particolare i vescovi del Benin con una numerosa delegazione di fedeli: so, cari amici, che la storia religiosa del vostro Paese è profondamente legata a quella del Togo. Saluto pure i cristiani del Ghana con i loro pastori. Mi ricordo con gioia dell'accoglienza di questi due popoli in occasione della mia visita pastorale.

Vi invito tutti a rendere grazie a Dio, perché è lui che ha disposto i cuori a predicare e ad accogliere la buona novella.

"Riconoscete che il Signore è Dio; egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo" (Ps 99[100],3).

Alleluia, alleluia! 3. Una buona novella, si! Attraverso Gesù Cristo, attraverso il suo Vangelo, vi è stato dato di conoscere il vero Dio, quale egli ha voluto rivelarsi agli uomini per opera dei profeti e del suo Figlio diletto. Molto spesso le religioni tradizionali vi davano già il senso della sua esistenza, inclinandovi al rispetto verso di lui, ad un rispetto timoroso, ma generalmente non all'amore, ad un certo culto di lui, ma spesso nell'incertezza di sapere ciò che conveniva offrire a questo Dio considerato come lontano. Il Dio che vi è stato annunciato dalla Chiesa è al tempo stesso nostro Creatore e nostro Padre. Voi lo avete scoperto e lo conoscete ormai come colui che ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unico, non per condannare il mondo, ma per salvarlo. E Gesù Cristo, che è l'immagine perfetta del Padre, in un'umanità simile alla nostra, si è manifestato come l'amore: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Jn 15,13). Voi sapete, infatti, che il Cristo ha dato la sua vita per noi: "Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro" (2Co 5,15). Si, veramente ci sentiamo "rapiti" da questo amore, perché attraverso di esso ci sono rivelati i disegni insondabili del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo verso gli uomini che essi associano alla loro vita divina, e noi scopriamo al tempo stesso la dignità unica che l'uomo, che ogni uomo, ha agli occhi di Dio.


4. Questa benevolenza di Dio per voi, cari fratelli e sorelle, che è sempre esistita ma di cui siete divenuti più consapevoli credendo al messaggio cristiano, non è una realtà astratta, lontana, anonima. L'amore di Dio si è esteso a ciascuno di coloro che lo hanno accolto con la fede, che hanno accettato il Battesimo, al prezzo di un catecumenato esigente. Allora, veramente, voi siete divenuti per il Cristo degli "amici" (cfr. Jn 15,15), dei fratelli e delle sorelle (cfr. Mc 3,35).

Siete divenuti con lui dei figli e delle figlie di Dio per adozione. Siete divenuti la dimora dello Spirito Santo che è in voi e che agisce in voi. Siete divenuti dei membri attivi della Chiesa, che è il corpo del Cristo. Voi siete, dice san Paolo, "passati attraverso la morte", cioè, siete morti al peccato, sottratti alla morte eterna. Voi avete ricevuto in voi - nascosta ma reale - la vita del Cristo risorto. La vostra vita è "centrata su di lui", inseparabile da lui. Voi dimorate in lui, nel suo amore: Gesù stesso lo ha detto nel Vangelo di questo giorno. E questo legame con il Cristo, se voi lo volete, non cesserà mai, sussisterà e avrà il suo compimento nella vita eterna. E fin da ora, in lui, voi potete portare molto frutto (cfr. Jn 15,5).


5. "Vi ho detto questo perché la mia gioia sia in voi e voi siate ripieni di gioia", dice ancora Gesù agli apostoli (cfr. Jn 15,11). Si, rallegratevi, e non cessate mai di rendere grazie! Poiché si tratta anzitutto di un dono di Dio, di una scelta gratuita, di cui anche voi siete stati fatti oggetto, cari cristiani del Togo. "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" (Jn 15,16). Quanto a voi, voi si avete scelto di seguire il Cristo, di obbedire al suo Vangelo, ma perché lui stesso vi ha scelti.

Egli ha voluto chiamarvi, voi eravate nel suo piano della salvezza, egli ha preparato il vostro cuore. Il Vangelo è un dono gratuito, una grazia. La fede, la vostra risposta di credenti è una grazia.


6. A partire da questa grazia, c'è tutto un rinnovamento che può essere compiuto, che voi dovete compiere, nella vostra vita personale, familiare, culturale, sociale, nazionale, nei vostri costumi, nelle vostre istituzioni, in tutto il mondo nel quale vivete. "Se uno è in Gesù Cristo, egli è una creatura nuova. Il mondo antico è passato, un mondo nuovo è già nato" (cfr. 2Co 5,17).

E' un mistero molto bello, questo rinnovamento. Lo troviamo espresso in molte parole di Gesù e degli apostoli, e lungo tutta la tradizione della Chiesa, fino al recente Concilio Vaticano II. Gesù ha paragonato il suo Vangelo a un vino nuovo che richiedeva otri nuovi, o anche a un tessuto nuovo, che non poteva adattarsi che a un abito nuovo (cfr. Mt 9,16-17). Egli è venuto a stabilire la nuova alleanza nel suo sangue (cfr. Lc 22,5), che esige e comporta "un cuore nuovo", "uno spirito nuovo", come aveva annunciato il profeta Ezechiele (cfr. Ez 36,26). Gesù ha parlato a Nicodemo di una nascita nuova (cfr. Jn 3,5), mediante il Battesimo e la parola di verità (cfr. Jc 1,18).

A sua volta, san Paolo ha riccamente spiegato ai cristiani di Efeso questo rinnovamento del discepolo di Gesù: "Dovete - egli dice - deporre l'uomo vecchio con la condotta di prima, l'uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera" (Ep 4,22-24). E Paolo elenca un certo numero di ostacoli da superare: menzogna, collera, furto, pigrizia, cattive parole, animosità, cattiveria.

Si, tutta l'opera della redenzione compiuta da Gesù è un rinnovamento delle persone, e attraverso di esse, del mondo che le circonda, dell'universo intero.


7. Fratelli e sorelle, desiderate veramente questo rinnovamento nel Cristo, della vostra mentalità, della vostra vita, delle vostre abitudini? Forse alcuni ne hanno paura? Perché la tendenza umana, ben comprensibile, è di attaccarsi o di ritornare al passato, a ciò che è noto, familiare, già vissuto. Il rinnovamento può perfino sembrare un'infedeltà al passato. In ogni caso, è in qualche modo un'avventura, è un rischio, e soprattutto richiede una certa rinuncia, una certa rottura. E ciascuna misura le sue forze: mi piacerà? ne avro il desiderio? il coraggio? la perseveranza? Cari amici, non è così che si deve ragionare. Se il Cristo vi chiede di seguirlo, anche per un cammino esigente, attraverso una porta stretta (cfr. Mt 7,14), dev'essere senz'altro per un bene, un guadagno, un sovrappiù di vita. "Tu hai parole di vita eterna" gli rispondeva Pietro (Jn 6,68). Occorre dargli fiducia. E non è una semplice decisione della vostra volontà, la quale resterebbe debole. Lo Spirito Santo che è in voi è colui che vi attira verso il bene, che vi dà la forza, quando gliela domandate. "Tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo concederà" (cfr. Jn 15,16). Dio vi propone un progetto meraviglioso: "Rivestirvi del Cristo"! 8. Parlavamo di una rottura. Voi l'avete promessa nel momento del Battesimo.

"Rinuncio al peccato, a ciò che conduce al peccato, a Satana, l'autore del peccato". Ma avete aggiunto poco dopo: "Credo in Dio, il Padre, credo in Gesù Cristo, credo nello Spirito Santo". Ecco colui che vi attira, il Dio trinitario.

L'importante è di fissare il vostro sguardo su di lui, per passare dalle tenebre alla sua luce. E, nella vita del battezzato, occorre sovente rinnovare questo passaggio, uscire da una situazione di peccato nella quale eravamo forse ricaduti, o da una vita cristiana tiepida, mediocre, nella quale mancavano la preghiera, l'amore degli altri, la purità dei rapporti, la verità. Ed è ciò che molti di voi hanno fatto in queste ultime settimane, rispondendo all'appello dei vostri vescovi, in preparazione a questo incontro. Voi avete seguito delle missioni popolari, avete preso coscienza dei vostri peccati, di ciò che contraddice la vita cristiana. Avete voluto farla finita con delle abitudini vecchie alle quali eravate forse tornati. Avete confessato i vostri peccati, avete ricevuto il sacramento di riconciliazione, avete fatto degli sforzi di pace tra di voi. Avete posto il vostro amore umano sotto il segno del sacramento del matrimonio. Avete organizzato delle veglie di preghiera, dei periodi di digiuno, di comunione dei beni. Mi rallegro con voi, cari amici. Ecco degli atti di rinnovamento nella vostra vita cristiana personale. Occorrerà tornarvi spesso. E sono sicuro che voi gustate già la pace, la gioia. Rimanete nell'amore del Signore! 9. Attraverso e al di là di questi atti meritori, il Signore vuole operare progressivamente una profonda trasformazione delle mentalità, al punto che si possa dire: ecco una famiglia cristiana, ecco una comunità cristiana, ecco una società cristiana.

Il Concilio Vaticano II diceva dei catecumeni - ma questo vale per tutti: "Sotto l'azione della grazia di Dio, il neo-convertito inizia un itinerario spirituale... Questo passaggio, che implica un progressivo cambiamento di mentalità e di costumi, deve manifestarsi nelle sue conseguenze di ordine sociale... E poiché il Signore in cui crede è segno di contraddizione, non di rado chi si è convertito va incontro a rotture e a distacchi, ma anche a gioie, che Dio generosamente concede" (Decreto sull'attività missionaria della Chiesa, n. 13). E il mio predecessore Paolo VI scriveva: "La Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del messaggio che essa proclama, cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l'attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l'ambiente concreto loro proprin (EN 18).

Questa trasformazione può riguardare taluni costumi tradizionali che vi appartenevano, o che vi appartengono, in questo paese. E' un campo delicato, difficile, perché questi costumi corrispondono spesso ad una lunga esperienza sociale, e comportano aspetti positivi d'iniziazione alla vita, di equilibrio o di coesione sociale. La loro abolizione può suscitare delle resistenze tenaci.

Ciascuna consuetudine va esaminata prudentemente, con discernimento, senza strappare prematuramente il grano buono con la gramigna. E tuttavia, la novità e la libertà del Vangelo devono fare la loro opera in questo campo. Si può, si deve lasciare che la coscienza dei battezzati interroghi questi costumi, per conservare ciò che è sano, giusto, vero, benefico; compatibile con la fede nel Dio unico, con la carità del Vangelo, con l'ideale cristiano del matrimonio, e per troncare, invece, con ciò che si oppone alla rivelazione di Dio e alla carità che egli ha diffuso nei nostri cuori, o con pratiche contaminate da sincretismo. Questo si fa - non occorre dirlo - nel rispetto delle persone che, in coscienza, pensano di dover mantenere le loro abitudini tradizionali. La carità cristiana lo esige. Ma la verità e la libertà cristiane possano invitare a prendere le distanze da tali abitudini; questo richiede coraggio personale, e coesione nella comunità cristiana attorno a dei sacerdoti. Si tratta di essere autenticamente africani e autenticamente cristiani, senza separare l'una cosa dall'altra, e senza temere di testimoniare in pubblico le proprie convinzioni. E' quello che si è fatto ovunque il Vangelo è stato predicato, ovunque la Chiesa è stata costruita: a Corinto, ad Efeso, a Roma, nelle giovani nazioni europee nel Medio Evo, e, oggi, da voi.


10. In senso più ampio, si potrebbe dire altrettanto dei diversi aspetti della cultura. C'è da compiere uno sforzo d'inculturazione. Ciascun paese africano, dopo aver ricevuto la fede da pionieri insigni, venuti da fuori, deve vivere il Vangelo con la sua qualità e le sue qualità proprie; deve tradurlo, non solo nella sua lingua, ma nei suoi costumi, tenendo conto dei valori umani del suo proprio patrimonio. Questo non potrà essere fatto che da voi, vescovi, sacerdoti, religiosi, laici togolesi, secondo la misura della vostra propria maturazione, con una grande preoccupazione di fedeltà all'essenziale della fede e della disciplina ecclesiastica della Chiesa universale. Quest'opera magnifica, necessaria, richiede al tempo stesso l'audacia e la prudenza, l'intelligenza e la fedeltà, diciamo la santità di apostoli quali furono Cirillo e Metodio. Voi sapete che undici secoli fa, venendo da Bisanzio, la città dalla splendida cultura greca, questi due sacerdoti hanno portato il Vangelo ai popoli slavi di cui il mio Paese fa parte.

Ed essi hanno contribuito a suscitare una nuova cultura, slava e cristiana. A questo riguardo ho scritto un'enciclica, dicendo fra l'altro: "Nell'opera di evangelizzazione che essi compirono è contenuto un modello di ciò che oggi porta il nome di "inculturazione" - l'incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone - ed insieme l'introduzione di esse nella vita della Chiesa" (Slavorum Apostoli, n.21).

11. Lo spirito di rinnovamento cristiano si deve esercitare anche nei riguardi di ciò che apportano, tra voi le civilizzazioni moderne dei paesi sviluppati. Spesso si tratta di meravigliosi successi tecnici che possono essere utilizzati per il bene economico, sanitario e culturale del Paese; ma voi vedete apparire anche i limiti della mentalità che spesso li accompagna: per esempio, la tentazione di sottomettere l'uomo alla materia, l'amore umano al piacere egoista, la libertà al capriccio, l'autonomia dello spirito alla dimenticanza o al rifiuto di Dio. Anche l'accoglimento di tutte queste possibilità, a volte ambigue, vi chiede molto discernimento e coraggio, Penso che i testi del Concilio Vaticano II vi offrano una luce per tracciare il vostro cammino in mezzo a queste nuove realtà, raggiungendo "l'aggiornamento" opportuno della fedeltà all'essenziale.


12. Tenendo conto di questi differenti ambiti, su quale punto preciso può vertere il rinnovamento morale che la vostra fede richiede? lo non posso che evocarli, lasciandovi la cura di riflettervi con i vostri vescovi, i vostri sacerdoti, i vostri catechisti.

Globalmente, sarà sempre nel senso dell'amore fraterno. Cristo ci ha dato "un comandamento nuovo", il suo comandamento, amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati (cfr. Jn 13,34 Jn 15,12).

Amare nel vostro ambiente, significa guardare l'altro con rispetto, sopportarlo malgrado i suoi difetti, far tacere l'animosità, l'odio nei suoi riguardi, significa perdonarlo, condividere con lui quando è nel bisogno, affamato, senza tetto, in prigione, malato, straniero. Amare significa aprirsi agli altri in uno spirito di pace e di cooperazione, al di là delle frontiere del proprio gruppo, della propria tribù, della propria nazione.

Voi siete chiamati pure ad un "amore sociale", ossia a lavorare per il bene comune della nazione, ad assumere al vostra parte di responsabilità nella vita sociale, per promuovere in essa sempre più giustizia, più concordia, per creare le condizioni che rispettano la dignità di ogni uomo ed i suoi diritti fondamentali. La vostra professione, soprattutto se siete funzionari, vi contribuisce già, quando l'esercitate con integrità, coscienza professionale, come un servizio. Se siete studenti, cercate di acquisire una vera competenza perché domani si possa contare su di voi. E' così che si può, gradatamente, rinnovare il tessuto della società. Nella vita sociale il cristiano ha la preoccupazione di proteggere i più bisognosi, di aiutarli; si sente solidale con le regioni più svantaggiate del suo paese e anche del mondo.

Infine, l'amore coniugale, familiare, ha incessantemente bisogno di essere rinnovato. Il sacramento del matrimonio permette di santificare l'unione e tutta la vita degli sposi, ed è importante che i cristiani vi si preparino con cura; esso non dispensa dagli sforzi quotidiani per rafforzare, con l'aiuto di Cristo, l'unità della famiglia, la fedeltà permanente degli sposi, la delicatezza del reciproco amore, la cura dell'educazione alla fede dei bambini. La pastorale familiare, nel senso esposto dall'esortazione "Familiaris Consortio", deve avere un posto privilegiato in questa Chiesa.


13. Tutte queste esigenze morali preparano il rinnovamento che voi attendete. Esse sono ancorate nella nostra coscienza. Esse manifestano la serietà della nostra fede che, senza gli atti, non servirebbe a nulla (cfr. Jc 2,14). E' per questo che restiamo nell'amore stesso di Dio: "Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore" (Jn 15,10).

Ma bisogna mantenere direttamente questo amore di Dio in noi. Bisogna dare a Cristo i mezzi per diffondere in noi la sua grazia, di essere come un fermento che farà lievitare tutta la pasta.

Cari fratelli e sorelle del Togo, bisogna essere consapevoli, ogni giorno, del dono di Dio che è in voi, e dei suoi appelli. Occorre cercare i mezzi per conoscere meglio il Vangelo, approfondire la vostra fede, riflettere alle sue implicazioni connesse con la vita. In particolare penso alla catechesi adatta da proporre a questa numerosa gioventù, nelle scuole, nei licei, nelle parrocchie.

Dovete cercare sostegno nei movimenti cristiani perché, abbandonati a voi stessi, non potreste resistere. Dovete sviluppare, rinnovare il vostro modo di pregare: la preghiera è vitale per un cristiano, essa l'unisce al pensiero e alla volontà di Dio e nello stesso tempo gli espone i suoi bisogni. Dovete assumere la vostra parte nelle eucaristie domenicali, che sono allo stesso tempo una festa e un nutrimento. Dovete costantemente attingere la santità nei sacramenti di Cristo: la penitenza, la comunione. così rimarrete nel suo amore.

Voi sapete che il mio pellegrinaggio in Africa conoscerà il suo culmine al congresso eucaristico internazionale di Nairobi. Cristo è il cuore della Chiesa. E' lui che la nutre e che la trasforma a sua immagine. Essa è il suo corpo.


14. Il signore Gesù vi dice ancora: "lo ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Jn 15,16).

Il vescovo di Roma, il successore di san Pietro, ve lo augura. Egli prega con voi che costituite la Chiesa del Togo: "Perché andiate"; si, perché prendiate una nuova partenza, ciascuno e tutti insieme.

"Perché portiate frutto": il frutto della redenzione di Cristo che si è consegnato per voi, il frutto della grazia e della salvezza, il frutto dell'amore del Padre, il frutto dello Spirito Santo che vi anima, perché siate delle creature nuove.

"E perché il vostro frutto rimanga". Amen. Data: 1985-08-08 Data estesa: Giovedi 8 Agosto 1985






GPII 1985 Insegnamenti - Messaggio al popolo del Giappone - Città del Vaticano (Roma)