GPII 1985 Insegnamenti - Al congresso su "Chiesa ed economia" - Città del Vaticano (Roma)

Al congresso su "Chiesa ed economia" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lo sviluppo non può prescindere dai valori spirituali dell'uomo

Eminenze, eccellenze, gentilissimi signore e signori.


1. Accolgo qui in Vaticano con particolare gioia i partecipanti al Congresso "Chiesa ed economia nella responsabilità per il futuro della economia mondiale" In questi giorni discutete un argomento che riguarda da vicino i popoli del mondo e anche la Santa Sede: ossia il problema scottante di cui tutti dobbiamo sentirci responsabili, del compimento di ciò che il mio predecessore Paolo VI ha definito "Populorum progressio", cioè "Sviluppo dei popoli". In questi giorni ho potuto ricevere in Vaticano l'assemblea Generale dell'Organizzazione mondiale per l'alimentazione e l'agricoltura delle Nazioni Unite. Essa è stata convocata per celebrare il 40° anniversario della fondazione ma nello stesso tempo per prendere nuove iniziative in vista del crescente bisogno dei Paesi in via di sviluppo.

Dalle relazioni di questa Organizzazione delle Nazioni Unite emerge infatti un quadro impressionante. La recessione economica dei Paesi industrializzati si è riscossa in maniera disastrosa su molti Paesi in via di sviluppo. L'indebitamento di molti di questi è aumentato in modo tale da far loro rischiare un crollo finanziario. In molti dei Paesi in via di sviluppo esso ha causato - insieme a catastrofi naturali e altri fattori - un regresso nell'agricoltura, così che l'indigenza e la fame hanno assunto dimensioni spaventose. Qui si pone dinnanzi all'umanità intera una sfida, che il mio predecessore Paolo VI ha così riassunto: "Bisogna affrettarsi! Troppi uomini soffrono, e aumenta la distanza che separa il progresso degli uni e la stagnazione, se non pur anche la regressione, degli altri". (PP 29).


2. Dal programma del vostro congresso noto che voi, rappresentanti dei Paesi industrializzati e rappresentanti dei Paesi in via di sviluppo, vi impegnate insieme a trovare una risposta alle tre domande che sono al centro di questa sfida.

Il primo interrogativo è il seguente: Che cosa devono fare i Paesi industrializzati per lo sviluppo dei popoli? Non è compito della Chiesa proporre soluzioni concrete in questo senso. Essa non dispone né dei mezzi necessari né della competenza richiesta. Tuttavia essa deve ribadire incessantemente che i Paesi altamente sviluppati hanno il grave obbligo di venire in aiuto agli altri Paesi nella loro lotta per lo sviluppo economico, sociale e culturale. Il Concilio Vaticano II esige che a tale scopo gli stessi Paesi industrializzati procedano a delle "revisioni interne spirituali e materiali" per fronteggiare questa sfida (GS 86). Sotto questo punto di vista si fa già molto, sia a livello statale che privato. Ciò deve essere giustamente riconosciuto. Ma fin troppi settori industriali fino alla produzione di armi vengono condotti seguendo regole e valori puramente economici e sembra che non abbiano ancora riconosciuto i segni dei tempi e la loro responsabilità socio-politica a livello mondiale.

E' comprensibile che i Paesi industrializzati, che oggi si trovano essi stessi in difficolta economiche, si occupino in primo luogo della soluzione dei propri problemi. Ma bisogna vedere chiaramente il pericolo di un egoismo collettivo, come ad esempio è la tentazione di nuove barriere doganali. Nei Paesi industrializzati può anche subentrare una certa rassegnazione poiché dei loro aiuti è stato fatto talvolta cattivo uso o perché essi non hanno riscosso immediato successo o hanno addirittura avuto effetti negativi. In base a una visione realistica bisogna riconoscere che lo sviluppo dei popoli e delle Nazioni è un processo lento e a lungo termine.

Ma tutto ciò non deve indebolire nelle nazioni industrializzate la responsabilità per lo sviluppo dei popoli. Ci avviamo verso un futuro in cui il mondo diventa sempre più "uno" e in cui gli uni dipendono dagli altri anche sul piano economico. Molti dei problemi che incombono oggi sulle singole economie nazionali potranno essere risolti soltanto se considerati nel contesto di una economia mondiale funzionante.

Un cristiano e ogni uomo di buona volontà non opera mai soltanto per la risoluzione di problemi di mercato puramente economici, ma anche e sempre per l'attuazione della giustizia e di una maggiore umanità per tutti.


3. In questo congresso vi siete posti con ragione una seconda domanda: che cosa possono e devono fare gli stessi Paesi in via di sviluppo per il progresso dei popoli? In fondo è decisivo proprio l'impegno in prima persona; esso non può essere sostituito da alcun aiuto esterno. Gli sforzi economici, in concreto l'aumento delle proprie capacità produttive, rivestono certo una particolare importanza in questo senso. Ma nello stesso tempo bisogna incentivare anche lo sviluppo sociale. Il Concilio Vaticano II richiama espressamente l'attenzione sul fatto che, pur nel pieno rispetto della realtà sociale dei singoli popoli, bisogna tuttavia evitare "che alcune consuetudini vengano considerate come assolutamente intangibili e immutabili se esse non rispondano più alle nuove esigenze del tempo presente" (GS 69). Riveste un'importanza primaria nella responsabilità dei Paesi in via di sviluppo il compito della formazione e dell'educazione, che era uno dei più importanti presupposti per il buon esito dell'opera dello sviluppo. La formazione e l'educazione hanno senza dubbio anche una dimensione economica. Tuttavia devono andare ben oltre tale dimensione. Devono derivare infine da una base spirituale e mirare allo sviluppo di tutto l'uomo.

Una cosa pero deve essere detta in tutta chiarezza: lo sviluppo dei popoli non può consistere nel fatto che i Paesi in via di sviluppo facciano semplicemente propri i modelli economici, sociali e politici delle nazioni industrializzate. La distruzione della ricchezza culturale di questi Paesi non porterebbe soltanto pesanti turbamenti interni, ma anche gravi conseguenze per la crescente unità della comunità dei popoli che non potrebbe formarsi su una civiltà unitaria e livellata, bensi sulla ricca varietà delle culture dell'umanità.


4. Nel vostro congresso infine voi vi ponete ancora un terzo interrogativo: Quali premesse spirituali devono sussistere per portare avanti lo sviluppo con quella fermezza che la necessità richiede? Queste premesse riguardano allo stesso modo tanto i Paesi industrializzati come quelli in via di sviluppo, Certamente, come dice il Concilio Vaticano II, nell'ambito delle singole realtà culturali esiste una certa autonomia che deve essere presa in considerazione, Ciò vale anche per il settore dell'economia e del suo sviluppo. Tuttavia questa relativa autonomia non è un meccanismo cieco e automatico. Deve essere portato in un contesto morale e da li trovare i propri obiettivi e le motivazioni ultime. La ricerca di questi obiettivi e motivazioni è uno dei più grandi, ma anche dei più difficili compiti del nostro tempo. Voi non avete evitato questo problema, anche se da questo congresso non troverete subito una risposta esauriente.

Certamente qui sta anche il motivo, per il quale avete cercato il dialogo con la Chiesa, che è intesa, come dice Paolo VI, come "esperta dell'umanità" e precisamente dell'umanità nella sua radice più profonda: vale a dire nella ricerca del senso e della meta, E' compito intenzionale della Chiesa dare il proprio contributo per la formazione di quell'uomo che vive da un centro spirituale e che da questo centro si sente responsabile della collaborazione per la soluzione dei grandi compiti dell'umanità e che non si lascia deludere e amareggiare perché egli vive sempre della speranza. Per assolvere a questo compito la Chiesa ha bisogno del dialogo con questo mondo soprattutto con coloro che responsabilmente portano la responsabilità dell'economia, della società della politica e della cultura. Il vostro congresso è un prezioso contributo a questo dialogo continuo. Per questo motivo seguo il vostro lavoro con mio particolare interesse e con la mia benedizione.

Data: 1985-11-22 Data estesa: Venerdi 22 Novembre 1985





Ai vescovi di Kerala in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La liberazione promossa dalla Chiesa è spirituale e sociale

Cari fratelli vescovi.

Sono felice di dare il benvenuto a voi, vescovi della diocesi di rito latino di Kerala, che state rendendo la vostra visita quinquennale alle tombe degli Apostoli, "ad limina Apostolorum".

Per me questo è un momento di profonda comunione spirituale con le vostre Chiese locali. Vorrei chiedervi di portare ai vostri sacerdoti, religiosi e laici i miei affettuosi saluti e l'assicurazione che aspetto con gioia la visita pastorale che, con la grazia di Dio rendero a varie parti dell'India nel febbraio del prossimo anno.


1. Ci incontriamo quasi alla vigilia della celebrazione del Sinodo straordinario dei vescovi che segna il 20° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II.

Il Sinodo "ha lo scopo di stimolare tutti i membri del Popolo di Dio a una coscienza ancora più profonda degli insegnamenti del Concilio, e a un'applicazione ancora più fedele dei principi e delle direttive che sono emerse da quella fondamentale assemblea" (Messaggio dell'Angelus, 29 settembre 1985).

In tal senso il Sinodo rappresenta un momento di riflessione per tutta la Chiesa e un tempo di ulteriore lavoro al rinnovamento ecclesiale che il Concilio si prefiggeva e per il quale ha offerto le necessarie direttive. Anche la diocesi di rito latino di Kerala sono coinvolte nel processo di assimilazione e realizzazione dell'eredità dottrinale e pastorale del Concilio.


2. La vocazione alla santità che il Concilio presento come diretta a tutti i cristiani, costituisce un dovere in primo luogo per i vescovi stessi. Questa santità ha stretta attinenza con il vostro legame sacramentale a Cristo e con la vostra fedeltà a lui in amore e spirito da discepoli. "Poiché un vescovo", nelle parole di san Paolo, "quale amministratore di Dio, deve essere irreprensibile" (Tt 1,7).

In verità, come afferma il Concilio: "I vescovi assumono in maniera evidente e visibile il ruolo di Cristo stesso come maestro, pastore e sommo sacerdote, e agiscono nella sua persona" (LG 21). Cristo stesso è il pastore supremo della vostra gente (cfr. 1P 5,4) e nelle vostre vite e nel vostro ministero i fedeli desiderano vedere il riflesso di lui. Da parte vostra desiderate vedere la porzione di popolo di Dio affidata al vostro ministero crescere "come tempio santo del Signore" (Ep 2,21).

Prego per le vostre Chiese, cosicché sotto il vostro ministero possano beneficiare ancor più pienamente di una rinnovata coscienza della vocazione alla santità della vita. Prego affinché i laici che collaborano con voi nell'apostolato possano rispondere all'insegnamento di san Paolo: "poiché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione" (1Th 4,3).


3. Le diocesi di rito latino di Kerala, al pari di tutta la Chiesa, hanno il supremo dovere di far conoscere il messaggio evangelico di salvezza. La Chiesa "esiste per evangelizzare, vale a dire, per predicare e insegnare, per essere dispensatrice dei doni di grazia, per riconciliare i peccatori con Dio, e per perpetuare il sacrificio di Cristo nella Messa, che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione" (EN 14).

La comunità ecclesiale stessa ha bisogno di essere costantemente evangelizzata. Ciò vale anche per le vostre diocesi. La vostra gente ha forti tradizioni e convinzioni cristiane. Ha uno sviluppato senso della propria identità cristiana. Tuttavia di fronte alle molteplici sfide che la Chiesa deve affrontare avvicinandosi alla fine del secondo millennio, persiste una grande necessità che si lavori ardentemente per evangelizzare e catechizzare i fedeli, specialmente i giovani.

Nell'adempimento di questo compito, gli agenti dell'evangelizzazione non possono accontentarsi solo dei metodi del passato. I mutamenti sociali e culturali pongono nuove esigenze. Ai pastori in particolare "spetta la responsabilità di riformulare con coraggio e saggezza, ma in completa fedeltà ai contenuti dell'evangelizzazione, i mezzi che siano i più adatti e efficaci per comunicare il messaggio del Vangelo agli uomini e alle donne dei nostri tempi" (EN 40).

Permettetemi di riferirmi brevemente a un aspetto dell'evangelizzazione all'interno della comunità ecclesiale: l'importante valore dell'istruzione catechetica. Ancora la "Evangelii Nuntiandi" ci ricorda che "i metodi devono essere adattati all'epoca, alla cultura e al costume delle persone interessate; devono cercare di fissare nella memoria, nell'intelligenza e nel cuore le verità essenziali che devono impregnare tutta la vita".

Desidero ardentemente incoraggiare voi e i vostri collaboratori, specialmente i catechisti, affinché continuiate a porre sollecita attenzione al lavoro di istruzione dei laici nella fede, con fedeltà agli insegnamenti di Cristo e con creatività nel modo di presentare il messaggio. Questo è un compito di grande importanza per il benessere delle vostre comunità. Possa lo Spirito Santo sostenervi in questo sforzo!

4. Il messaggio evangelico di salvezza in Cristo è legato alle concrete circostanze personali e sociali in cui gli ascoltatori del messaggio sono chiamati a metterlo in pratica.

La vostra gente è coinvolta in un processo di sviluppo economico e sociale che ha già prodotto frutti verso condizioni di vita migliori e una più piena partecipazione alla vita pubblica per alcuni, ma che allo stesso tempo serve ad aggravare la situazione che costringe altri a rimanere ai margini della vita.

In tale situazione la Chiesa ha il dovere di rendere testimonianza dell'inalienabile dignità dell'uomo e di cercare la sua vera liberazione nella giustizia e nell'amore evangelico.

La liberazione che la Chiesa proclama non può essere identificata esclusivamente con le dimensioni economiche, politiche e sociali dello sviluppo.

Deve sempre e simultaneamente proporre e promuovere la dimensione spirituale ed escatologica della salvezza offerta da Gesù Cristo.

Nell'esercizio dell'ufficio catechetico all'interno della Chiesa, attraverso la predicazione e l'istruzione religiosa in ogni sua forma, è essenziale presentare il messaggio salvifico del Vangelo nella sua pienezza. E' importante anche che i membri della Chiesa lavorino per la realizzazione di questa liberazione, ognuno secondo la grazia ricevuta e in conformità con il proprio stato. In particolare spetta ai laici trasformare la società e "instillare i valori morali nella cultura e nelle attività umane" (LG 36).


5. Miei cari Fratelli vescovi: riconosco pienamente la vastità del vostro compito di rendere presente il regno di Cristo tra la vostra gente. Rendiamo grazie insieme al nostro Padre celeste che benedice le vostre Chiese con vivaci fermenti di vita cristiana, con la vitalità delle vostre istituzioni, l'abbondanza di vocazioni, la testimonianza di santità e servizio evangelico di numerosi sacerdoti, religiosi e laici, uomini e donne. Affidiamo le vostre Chiese locali all'intercessione di Maria, Madre della Chiesa, cosicché voi tutti possiate procedere in comunione con il Padre e con suo Figlio Gesù Cristo (cfr. 1Jn 1,3).

Data: 1985-11-22 Data estesa: Venerdi 22 Novembre 1985





Ad artisti handicappati - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Richiamato ai governanti il monito: "Non uccidere"

Carissimi!


1. Desidero esprimere la mia viva e sincera gioia di trovarmi in mezzo a voi, che avete organizzato o partecipato al "Festival Arte Handicappati", che si è svolto a Roma in questi giorni con particolare successo. Il mio cordiale saluto va ai dirigenti e ai membri dell'"Associazione nazionale arte Handicappati", affiliata al "John F. Kennedy Center for the Performing Arts" di Washington, che trova il coordinamento nell'"International Committee, Arts with the Handicapped"; va anche a tutte le associazioni, enti e istituti che hanno dato la loro adesione a tale simpatica iniziativa; va alle numerose personalità della politica, della cultura, dell'arte, dello spettacolo, che hanno voluto manifestare con la loro presenza la loro affettuosa e concreta solidarietà all'iniziativa.

Intendo anche dire pubblicamente il mio plauso alle finalità della menzionata e benemerita "Associazione nazionale arte handicappati" e a quelle analoghe, che si propongono di garantire agli individui disabili di poter partecipare a programmi, che dimostrino l'importanza dell'attività artistica nella vita di ogni soggetto, e promuovono in tal modo la dignitosa, graduale integrazione dei disabili nella società.

Durante i giorni del festival, voi, carissimi giovani, avete dato una valida prova del vostro impegno nelle discipline più diverse, dalla pittura alla scultura, dal teatro alla musica classica e leggera, dalla letteratura alla danza, dall'artigianato alla fotografia, suscitando in tutti interesse, consensi, entusiasmo.


2. Questa importante iniziativa è un'ulteriore, tangibile dimostrazione delle capacità artistiche degli handicappati ed è soprattutto uno sprone perché ai diversi livelli si studino e si trovino valide soluzioni per riuscire ad attenuare il senso di isolamento dei portatori di handicap e di inserirli gradualmente e serenamente nell'ordinata convivenza umana e civile. Tale è il dovere di tutte le forze politiche e sociali, a livello nazionale e internazionale.

L'esistenza di fratelli e di sorelle portatori di handicap ci pone drasticamente di fronte al problema della sofferenza nel mondo. E di fronte a questo drammatico problema, di fronte ai fratelli e alle sorelle bisognosi di comprensione, di affetto, di aiuto, noi dobbiamo sentire e far nostro lo spirito del "buon samaritano", descritto da Gesù nella parabola riferita dal Vangelo di Luca (Lc 10,29-37). Come ho scritto nella mia lettera apostolica sul senso cristiano della sofferenza umana, "l'uomo deve sentirsi come chiamato in prima persona a testimoniare l'amore nella sofferenza. Le istituzioni sono molto importanti e indispensabili; tuttavia, nessuna istituzione può da sola sostituire il cuore umano, la compassione umana, l'amore unitario, l'iniziativa umana, quando si tratti di farsi incontro alle sofferenze fisiche, ma vale ancor di più se si tratta delle molteplici sofferenze morali, e quando, prima di tutto, a soffrire è l'anima" ("Salvifici Doloris", 29).

Dobbiamo pertanto accrescere la capacità di donare la nostra comprensione, il nostro tempo, il nostro sorriso, per venire incontro con sincera dedizione ai bisogni di coloro che, dal punto di vista fisico e psichico, sono meno fortunati di noi.


3. Desidero in questa circostanza, alla presenza di tante illustri personalità e di tanti nostri fratelli e sorelle portatori di handicap, ribadire il diritto di questi ad essere facilitati a partecipare alla vita della società in tutte le dimensioni e a tutti i livelli, che siano accessibili alle loro possibilità: "La persona handicappata - ho detto nella mia enciclica sul lavoro umano - è uno di noi e partecipa pienamente alla nostra umanità. Sarebbe radicalmente indegno dell'uomo, e negazione della comune umanità, ammettere alla vita della società, e dunque al lavoro, solo i membri pienamente funzionali perché, così facendo, si ricadrebbe in una grave forma di discriminazione, quella dei forti e dei sani contro i deboli e i malati" (LE 22).

Dobbiamo riconoscere con soddisfazione che le comunità nazionali e le organizzazioni internazionali hanno rivolto in tempi recenti la loro attenzione a questo problema, approntando adeguati strumenti legislativi. Auspico che le diverse istanze coinvolte nel mondo del lavoro promuovano sempre più, con misure efficaci e appropriate, il diritto delle persone handicappate alla preparazione professionale e al lavoro, di modo che esse possano essere inserite in attività produttrici per le quali siano idonee.


4. Durante il vostro festival, carissimi amici, voi avete dimostrato di essere capaci di esprimere il vostro mondo interiore nelle varie forme dell'arte e della bellezza, linguaggio universale, che ci accomuna e ci affratella nella contemplazione e nella fruizione di valori più alti della semplice realtà puramente materiale e sensibile; arte e bellezza, che ci avvicinano - come una forma di ricerca dell'assoluto - a Dio.

Continuate con entusiasmo questa vostra esperienza artistica! Nel vostro itinerario siete circondati dall'affetto dei vostri cari, della Chiesa, di tante e tante associazioni e istituzioni, che hanno come finalità l'autentica e integrale promozione della persona umana! E ai membri di tutte queste associazioni, enti e istituzioni desidero dire il mio sentito plauso per il loro lavoro indefesso, costante, spesso nascosto e sconosciuto; desidero esprimere il mio incoraggiamento a continuare con rinnovato vigore in questa opera altamente meritoria dal punto di vista sociale e cristiano, quale è l'assistenza, l'aiuto, la promozione delle persone portatrici di handicap.

Questo nostro incontro, così pieno di entusiasmo, ma anche di grande emozione, pone di fronte alla nostra coscienza il problema morale dell'accoglienza e del rispetto della vita di coloro che sono handicappati. In certe Nazioni il togliere il diritto alla vita dei non-ancora nati o addirittura dei neonati è stato "legalizzato" quando ci si trovi di fronte a esseri portatori di handicap! Ai legislatori, ai politici, ai governatori di tali Nazioni e di tutte le Nazioni della terra vorrei ricordare in questo momento la forte parola di Dio: "Non uccidere!" (Ex 20,13 Dt 5,17), che intende proteggere, salvaguardare e difendere l'essere umano, ogni essere umano, fin dal suo concepimento! Concludo, affidando alla vostra riflessione le splendide considerazioni di un antichissimo scritto delle prime generazioni cristiane: "Non si è felici nell'opprimere il prossimo, nel prevaricare sui più deboli, nell'arricchirsi e nel tiranneggiare gli inferiori. Non si può imitare Dio con azioni del genere, del tutto contrarie alla sua maestà! Ma chi prende su di sé il peso del prossimo e in ciò in cui è superiore cerca di beneficiare altri meno fortunati; chi, dando ai bisognosi ciò che ha ricevuto da Dio, è come un Dio per i beneficati, egli è imitatore di Dio" ("A Diogneto", X, 5-6).

Con questi voti vi rinnovo i sentimenti della mia stima e benevolenza e imparto a tutti voi la benedizione apostolica, che estendo a quanti vi sono cari.

Data: 1985-11-23 Data estesa: Sabato 23 Novembre 1985





Lettera all'episcopato vietnamita - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dal sangue dei martiri fiorisca una nuova generazione

Ricorre oggi il XXV anniversario dell'istituzione della gerarchia della Chiesa in Vietnam a opera del caro e venerato Papa Giovanni XXIII, e per questo motivo, provo una gioia profonda, in questa lieta circostanza, nel rivolgermi a sua eminenza, a tutti i vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, e a tutto il popolo cristiano del Vietnam.

Questa iniziativa - che istituiva tre province ecclesiastiche l'una a nord, l'altra al centro e la terza a sud, aventi rispettivamente come sedi metropolitane Hanoi, Hué e Saigon (oggi Hochiminhville) e comprendente un complesso di diciassette nuove diocesi - costituiva un segno evidente della stima che papa Giovanni XXIII nutriva per lo zelo e le qualità particolari dell'episcopato e del clero vietnamiti, e della fiducia che esso aveva nella maturità della propria devozione pastorale. In un contesto di situazioni sociali complesse e difficili - con un gesto lungimirante che anticipava quanto sarebbe stato riaffermato qualche tempo dopo dal Concilio Vaticano II - egli organizzava stabilmente la Chiesa vietnamita. Il decreto "Ad Gentes" (AGD 6) afferma infatti: "E' necessario che le Chiese autoctone particolari, nate dalla Parola di Dio, crescano dovunque nel mondo e ricche di forze proprie e di una propria maturità siano fornite adeguatamente di una gerarchia propria unita al popolo fedele e di mezzi appropriati per vivere pienamente la vita cristiana". La Chiesa del Vietnam manifesto allora ancor più pienamente la sua essenza intima e la sua missione nei riguardi di tutto il popolo vietnamita.

In questo giorno tanto solenne e significativo per la vostra Chiesa particolare, è di grande conforto per me potervi esprimere i sentimenti che provo per voi, cari pastori, cari figli e figlie del Vietnam. Non passa giorno, infatti, che io non pensi a voi nella preghiera, con grande affetto e profonda stima.

Malgrado la distanza geografica che ci separa, conosco bene il vostro senso religioso, il vostro essere fieri di appartenere alla Chiesa cattolica e il coraggio con il quale testimoniate la vostra fede in mezzo alle difficoltà che si prolungano e aumentano. So quali sacrifici vi chiede la fedeltà al Vangelo, e so anche quale forza d'animo vi è necessaria per vivere autenticamente questo Vangelo nelle vostre famiglie, nel vostro ambiente di lavoro e nella società. La Chiesa cattolica del mondo intero guarda a voi e, solidamente edificata, trae grande beneficio spirituale dall'esempio che le offrite tanto chiaramente.

Voi pastori date prova di generosa sollecitudine nell'essere attenti alle esigenze dei vostri fratelli; condividete i loro timori e le loro preoccupazioni, vivete con loro la prova della povertà, ma siete confortati dal loro affetto e dalla testimonianza della loro intima e sincera comunione.

Il fervore della vita religiosa accresce nei vostri fedeli il desiderio di poter beneficiare dei servizi pastorali di un maggior numero di sacerdoti. Le vocazioni non mancano e io chiedo al Signore Gesù che le loro aspirazioni, tanto reali e legittime, possano essere pienamente soddisfatte.

Cari fratelli e cari figli del Vietnam, posso dire che voi siete veramente l'espressione di un popolo conosciuto e stimato per il suo senso del lavoro e per la tenacia coraggiosa con la quale affrontate tante gravi e dolorose difficoltà, in particolare le difficoltà causate dalla guerra che, per lunghi anni, ha seminato la morte, la distruzione e la sofferenza. Vorrei che, al di là della stima che hanno per voi, i popoli si sentano spinti a portare un aiuto efficace alla vostra nazione nelle esigenze umane che avvertono maggiormente.

Come si afferma nella Lettera pastorale collettiva del 1980, voi volete essere "la Chiesa di Cristo in mezzo al vostro popolo". Voi offrite concretamente un impegno onesto e attivo per la ricostruzione e il progresso integrale del Paese, voi portate la luce che viene dal Vangelo e mettete a disposizione dei vostri compatrioti le energie della salvezza.

Questo XXV anniversario cade nel momento in cui ha luogo la visita "ad limina" dei vescovi del Vietnam. E' una gioia per me poter incontrare in questi giorni i tre prelati venuti a Roma e di avere così l'occasione di partecipare personalmente alle gioie, alle inquietudini e alle preoccupazioni delle comunità che sono loro affidate.

Nel corso della visita "ad limina", i vescovi del mondo intero vengono di persona a rendere partecipe delle loro sofferenze e delle loro gioie di Pastori il successore di Pietro, e il Papa li ascolta, li conforta, li incoraggia nella fede. Ma quanto sarebbe stato più bello e significativo se fosse stato permesso a tutti i vescovi vietnamiti di venire a Roma, per "videre Petrum" come era mio desiderio ardente! Avremmo colto questa occasione per esprimere in maniera ancora più visibile il vincolo di comunione che ci unisce, e per ricordarci di voi dinanzi ai sepolcri degli apostoli Pietro e Paolo. Questa ulteriore sofferenza è offerta a Dio Padre nella fiduciosa speranza che essa si trasformi in luce e in forza per molti dei vostri fratelli.

Ho già approfittato di altre circostanze per inviare dei messaggi al popolo vietnamita e mostrargli così che esso è continuamente presente nel mio cuore. Vorrei poter incontrare e conoscere personalmente ciascuno dei miei figli per dirgli l'amore che provo per lui! Il presente anniversario deve essere motivo di intensa gioia spirituale, vivificata dalla certezza che, secondo la parola del Signore "se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto" (Jn 12,24). Non è quello che la vostra tradizione cattolica trisecolare, suggellata ormai più volte dal sangue dei martiri, dimostra chiaramente, dando così fiducia alle nuove generazioni dei discepoli di Cristo? Se tale è stata la sorte del seme nel terreno della storia, importante sarà pure la fioritura della vostra Chiesa in futuro.

Vi affido tutti, pastori, sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli, a Maria, Madre e Regina del Vietnam, che amate tanto teneramente. Ella saprà sostenervi nella fedeltà a suo figlio Gesù e alla sua Chiesa; saprà guidare le vostre decisioni e ottenere la realizzazione dei vostri desideri più profondi; ella farà sua la vostra preghiera che, nel tempo dell'Avvento ormai imminente, sarà quella della Chiesa universale: "Vieni, Signore Gesù" (Ap 22,20).

E di tutto cuore, vi impartisco la mia affettuosa benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 24 novembre 1985.

Data: 1985-11-24 Data estesa: Domenica 24 Novembre 1985





Omelia apertura Sinodo straordinario dei vescovi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cammineremo insieme con il Concilio

Sia lodato Gesù Cristo!


1. "Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il suo Regno che viene!" (Canto al Vangelo).

Carissimi fratelli e sorelle, oggi, ultima domenica dell'anno liturgico, celebriamo la Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo, Molto ben significativo è perciò il fatto che oggi si inaugura la seconda assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi, che ho convocato in occasione del ventesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II.

Iniziamo l'iter sinodale in questa celebrazione eucaristica con la stessa disponibilità di ascolto verso lo Spirito Santo, con lo stesso amore verso la Chiesa, con la stessa gratitudine verso la divina Provvidenza che furono presenti nei Padri conciliari venti anni fa. Durante le due prossime settimane tutti i Membri del Sinodo, tra i quali vi sono molti che vissero in persona l'eccezionale grazia del Concilio, cammineranno insieme col Concilio per far rivivere il clima spirituale di quel grande avvenimento ecclesiale e per promuovere, alla luce dei fondamentali documenti allora emanati e dell'esperienza maturata nei successivi vent'anni, la piena fioritura dei germi di vita nuova suscitati dallo Spirito Santo nell'Assise ecumenica, per la maggior gloria di Dio e per l'avvento del suo Regno.


2. "Benedetto il suo Regno che viene". L'odierna domenica testimonia che il ciclo liturgico annuale è aperto, nel suo insieme, al mistero del Regno di Dio.

Di questo Regno sentiamo oggi che esiste, che abbraccia tutto il creato: "Saldo è il tuo trono fin dal principio, da sempre tu sei" (Ps 92,2). E, nello stesso tempo, sentiamo di questo Regno che esso viene. Per il profeta Daniele, viene insieme con il figlio dell'uomo. A Lui è stato dato "potere, gloria e regno... il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto" (Da 7,14). E' Regno universale: "tutti i popoli, nazioni e lingue" possono ritrovarsi in esso.


3. Per il profeta Daniele, il Regno di Dio, il regnare di Dio, deve venire insieme col Figlio dell'uomo. Dunque, è già venuto. Il Figlio dell'uomo - Gesù Cristo -, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra è "Colui che ci ama"; è Colui "che ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre" (Ap 1,5-6).

Quindi il Regno di Dio è venuto in Gesù Cristo. E contemporaneamente Gesù Cristo inaugura l'era nuova e definitiva del suo avvento, dell'avvicinarsi di questo Regno. Per questo egli ci ha raccomandato di invocare costantemente: "Padre nostro, che sei nei cieli... venga il tuo regno".

In questa luce si forma il tempo della Chiesa. Secondo questo ritmo è scandito ogni anno liturgico, del quale tutti siamo personalmente partecipi nell'odierna domenica. "Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio, colui che è, che era e che viene" (Ap 1,8).


4. Nella costituzione "Lumen Gentium" il Concilio Vaticano II ha professato la verità sul Regno di Cristo con le seguenti parole: "Cristo, fattosi obbediente fino alla morte e perciò esaltato dal Padre (cfr. Ph 2,8-9), entro nella gloria del suo Regno; a lui sono sottomesse tutte le cose, fino a che egli sottometta al Padre se stesso e tutte le creature, affinché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1Co 15,27-28)" (LG 36).

Gesù Cristo ha proclamato il Regno di Dio; mediante la croce è entrato nella sua gloria, e con la forza della croce e della risurrezione prepara il compimento definitivo di questo Regno quando Dio sarà "tutto in tutti". Più oltre il testo conciliare dice che Cristo crocifisso e risorto ha comunicato questa potestà agli uomini, ai suoi "discepoli, perché anch'essi siano costituiti nella libertà regale". così insegna la costituzione "Lumen Gentium" e in seguito spiega in che cosa consiste questa libertà regale.

Essa consiste nel fatto che i discepoli "con l'abnegazione di sé e la vita santa vincono in se stessi il regno del peccato, anzi, servendo Cristo anche negli altri, con umiltà e pazienza conducono i loro fratelli al Re, servire al quale è regnare" (cfr. Rm 6,12).


5. Dunque si tratta della verità circa la "regalità" dell'uomo. Circa la dignità che egli ha raggiunto in Gesù Cristo.

Il Concilio, che ci ha donato una ricca dottrina ecclesiologica, ha collegato organicamente il suo insegnamento sulla Chiesa con quello sulla vocazione dell'uomo in Cristo. A causa di questa relazione si è potuto anche dire che "l'uomo è la via della Chiesa", proprio per la ragione che la Chiesa segue Cristo, il quale è per tutti gli uomini "la via, la verità e la vita" (Jn 14,6).

Troviamo una particolare conferma di quest'insegnamento nella risposta che Cristo, nel processo davanti a Pilato, dà alla domanda del suo giudice: "Tu sei re?". "Io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce" (Jn 18,37).


6. Il Figlio dell'uomo viene nel mondo per rendere ogni uomo consapevole della sua vocazione alla vita nella verità. Qui sta la sostanziale base della dignità dell'uomo, della sua "regalità".

Perciò il Concilio insegna che Cristo "svela... pienamente l'uomo all'uomo". E svela l'uomo a se stesso mediante la rivelazione del "mistero del Padre e del suo Amore" (GS 22).

Qui ci troviamo al centro di questa realtà il cui nome è: Regno di Dio.

In questo nostro tempo, in cui, da diverse parti, al primato di Dio si contrappone il primato dell'uomo, il Concilio, in modo convincente, rende tutti consapevoli, che il "regno dell'uomo" può trovare la sua giusta dimensione soltanto nel Regno di Dio.

Questa è la sostanza stessa della verità, alla quale Gesù di Nazaret rese testimonianza durante tutta la sua missione, come disse a Pilato, e poi soprattutto mediante la croce e la risurrezione.


7. "Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo" (GS 22). Venendo a noi, agli uomini, "ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre" (Ap 1,6).

Il Concilio ha rinnovato la coscienza della vocazione cristiana. Essa si forma mediante la partecipazione alla missione messianica del Figlio dell'uomo. La Chiesa è, di generazione in generazione, l'erede di questa missione, che ha la sua sorgente nel mistero trinitario di Dio Stesso. Perciò la Chiesa è costantemente in stato di missione ("in statu missionis"). E ogni cristiano rimane nella comunità del Popolo di Dio mediante la partecipazione alla missione di Cristo, Figlio di Dio. Elevato alla dignità di figlio dall'adozione divina in Cristo, egli partecipa al suo triplice "munus": sacerdotale, profetico e regale. In questo modo, mediante Cristo, il Regno del Dio Vivente è veramente "in mezzo a noi" (cfr. Lc 17,21).


8. Possano questi valori della Solennità di Cristo Re diventare ispirazione profonda per i lavori del Sinodo dei vescovi nel corso della sessione straordinaria, che inauguriamo oggi con questa celebrazione.

Saluto con animo grato i signori cardinali qui presenti che hanno partecipato alla recente assemblea plenaria del Collegio; saluto cordialmente tutti i partecipanti al Sinodo e specialmente i patriarchi, gli arcivescovi maggiori ed i metropoliti fuori dei patriarcati delle Chiese di rito orientale, i presidenti delle Conferenze episcopali e i capi dicastero; il mio pensiero si estende inoltre ai superiori religiosi e agli altri membri del Sinodo, come anche agli invitati speciali, chierici e laici, testimoni diretti del Concilio Vaticano II, agli uditori e alle uditrici, che rappresentano le forze vive della Chiesa.

Saluto altresi con intensità d'affetto i fratelli delle altre Chiese, e Comunioni cristiane, che hanno accettato di essere presenti come osservatori-delegati e che, nella speciale occasione di un Sinodo straordinario dedicato al Concilio Vaticano II, ci ricordano i numerosi loro confratelli, che furono presenti a quell'avvenimento, come anche il cammino ecumenico da allora percorso.

Alla fine della santa Messa ascolteremo la testimonianza di questi giovani che sono nati con il Concilio Vaticano II e oggi vogliono testimoniarci la loro piena adesione. La Chiesa continua nello stesso spirito sotto la guida dello Spirito Santo in essi, in questa nuova generazione dei cristiani e in tutte le nuove generazioni del mondo. Invocheremo anche insieme lo Spirito Santo, affinché tutti i fratelli e le sorelle impegnati nel Sinodo possano lavorare "in fide et caritate".


9. Nella costituzione pastorale "Gaudium et Spes" leggiamo: "il Signore Gesù, quando prega il Padre perché tutti siano una cosa sola (Jn 17,21), mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, anzi divini, ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e quella dei figli di Dio nella verità e nella carità" (GS 24).

Cerchiamo durante il Sinodo di entrare proprio in questi "orizzonti". In essi s'unisca a noi tutta la Chiesa. Sono gli orizzonti del Regno che è proclamato dall'odierna Solennità. In questi orizzonti divini si svela la Chiesa così come l'hanno vista i Padri del Concilio Vaticano II in Cristo: "come un sacramento o un segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1).

Christus vincit! Christus regnat! Christus imperat! Amen. Data: 1985-11-24 Data estesa: Domenica 24 Novembre 1985






GPII 1985 Insegnamenti - Al congresso su "Chiesa ed economia" - Città del Vaticano (Roma)