GPII 1985 Insegnamenti - Ai malati del Piccolo Cottolengo di Paverano (Genova)

Ai malati del Piccolo Cottolengo di Paverano (Genova)

Titolo: "Siatemi vicini spiritualmente nel prossimo sinodo dei vescovi"




1. La gioia di questo incontro, che ho vivamente desiderato, vuole esprimersi prima di tutto attraverso i saluti. Con piena effusione di cuore vi saluto e idealmente abbraccio tutti ad uno ad uno, carissimi fratelli e sorelle, variamente provati dalla malattia e dall'infermità, ospiti dei diciotto distinti reparti che formano il vasto complesso di questa benemerita istituzione, e quanti sono accolti nelle altre quattro sedi di cui si compone il Piccolo Cottolengo di Genova. Nel farmi prossimo a ciascuno di voi, mi inchino commosso dinanzi al vostro dolore e vi invoco dalla bontà del Signore ogni consolazione, in conformità ai bisogni e ai desideri che custodite nell'animo.

Mi è caro parimenti rivolgere il mio cordiale saluto a coloro che si prodigano nella vostra assistenza: medici, infermieri, inservienti, volontari, impiegati, e in modo particolare ai religiosi e alle religiose della "Piccola Opera della divina Provvidenza", che tra queste mura, con apprezzata dedizione, rendono costantemente viva la presenza del loro grande pastore, il beato Luigi Orione.


2. Qui, invero, tutto parla di lui, dell'umile e fervido sacerdote che, nel 1933, fondo e apri personalmente l'Istituto, a conforto dei fratelli più poveri e bisognosi, all'ombra del santuario di Nostra Signora della Guardia, dopo aver trascorso una notte in preghiera dinanzi alla cappella dell'Apparizione.

In questo centro, come negli istituti ad esso collegati, rivive il genio della carità, che in don Orione si tradusse come peculiare carisma nella fiducia della divina Provvidenza. Si respira così un clima di intensa spiritualità; quella spiritualità tanto eloquente che nasce dal dolore accettato nella luce del Cristo crocifisso, e inserita nel misterioso disegno di Dio, il quale, nella sua insondabile grandezza di cuore, tutto conduce a buon fine. Poiché Dio "non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande" (A. Manzoni, "I Promessi Sposi", cap. VIII).

"Nulla è più caro al Signore che la fiducia in Lui. E noi vorremmo avere una fede, un coraggio, una confidenza tanto grande, quanto è grande il cuore di Gesù che ne è il fondamento": così scriveva don Orione da Buenos Aires dando vita al Piccolo Cottolengo nella capitale argentina. E insisteva: "Il Piccolo Cottolengo si regge "in Domino", sulla fede; vive "in Domino", della divina Provvidenza e della vostra generosità; si governa "in Domino", cioè con la carità di Cristo... Tutto dipende dalla divina Provvidenza: chi fa tutto è la divina Provvidenza e la carità di cuori misericordiosi, mossi dal desiderio di fare il bene, come il Vangelo insegna, a quelli che ne hanno più bisogno".

Se il Paverano si è sviluppato fino ad essere oggi il più grande istituto del genere in Liguria, con una popolazione che supera complessivamente il migliaio, dotato di moderne strutture sanitarie, è anche perché Genova ha fatto proprio l'insegnamento e l'esempio di don Orione, e ha efficacemente collaborato con la Provvidenza. Io sono particolarmente lieto di rendere omaggio alla generosità dei genovesi, nella certezza che essa continuerà ad espandersi in una sempre più ampia dilatazione di carità.

Il retaggio spirituale dell'insigne sacerdote, che ho avuto il privilegio di ascrivere nell'albo dei beati, costituisce uno stimolo speciale a che l'assistenza sia sempre scrupolosamente praticata come esercizio di quella sublime carità che è medicina delle anime e alleata al sollievo delle membra sofferenti.


3. In una memorabile conferenza tenuta all'università Cattolica del Sacro Cuore a Milano nel dicembre 1937, don Orione ebbe queste appassionate e ferme espressioni: "Nel più misero degli uomini brilla l'immagine di Dio; siamo apostoli di carità...

Seminiamo a larga mano sui nostri passi opere di carità e di amore; asciughiamo le lacrime di chi piange; sentiamo il grido angoscioso di tanti nostri fratelli che soffrono e anelano a Cristo; andiamo loro incontro da buoni samaritani".

Sono parole di grande attualità. Esse anticipano una delle più profonde dimensioni del Concilio Vaticano II, che Paolo VI condenso sagacemente nella formula: "Per conoscere l'uomo bisogna conoscere Dio". "Se noi ricordiamo - affermo quel mio indimenticabile predecessore - come nel volto di ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo... e se nel volto di Cristo possiamo e dobbiamo ravvisare il volto del Padre celeste... il nostro umanesimo si fa cristianesimo e il nostro cristianesimo si fa teocentrico; tanto che possiamo altresi enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l'uomo" ("Insegnamenti di Paolo VI", III, 1965, p. 731).

Nella densità di questi concetti si profila con chiarezza il valore umano e cristiano di ogni sofferenza, e, d'altra parte, l'obiettivo finale di chi alle umane sofferenze si accosta con lo spirito del samaritano.

Qui con voi, sotto il tetto del vostro dolore, amatissimi ammalati, quelle parole di Paolo VI, che formano una parte cospicua dell'eredità del Concilio, avvicinate agli aneliti di don Orione, assumono nell'anima mia vibrazioni particolari. Vent'anni fa le ascoltai come uno dei padri conciliari.

Oggi vado dispiegando l'impegno di approfondirne l'applicazione come pastore della Chiesa universale. Perciò, mentre addito a voi, nelle angustie della malattia o dell'infermità, le alte mete della fede, vi domando anche di essermi vicini spiritualmente, offrendo le vostre sofferenze come preghiera vissuta, con la particolare intenzione di ottenere dal Signore che il prossimo sinodo straordinario dei vescovi favorisca "l'ulteriore approfondimento e il costante inserimento del Vaticano II nella vita della Chiesa, alla luce delle nuove esigenze", come precisai all'atto dell'indizione il 25 gennaio scorso.

In tale fiducia, rinnovandovi i miei affettuosi sentimenti, imparto di cuore la benedizione apostolica, propiziatrice di ogni desiderato bene.

Data: 1985-09-21 Data estesa: Sabato 21 Settembre 1985





Incontro con i giovani al Palasport - Genova

Titolo: La chiamata di Gesù, un'avventura superiore alle altre

Carissimi!


1. Giunto ormai al centro del mio pellegrinaggio nell'amata e stimata Genova, eccomi all'atteso incontro con voi, giovani, che di questa terra rappresentate l'ultima generazione, nella quale tutte le precedenti in qualche modo si riversano, facendovi confluire un carico eccezionale di storia, di cultura, di genialità, e anche di santità.

Il mio cordiale ringraziamento va ai due giovani che hanno sintetizzato con efficacia i sentimenti che vi animano in questa gioiosa occasione. In questa assemblea possiamo vedere convenuta non una parte soltanto di Genova, poiché voi, in quanto giovani e in nome della vostra condizione di vita, richiamate per così dire Genova tutta. Voi siete Genova, perché della vostra città incarnate la giovinezza della società che qui si muove; delle famiglie che in essa vivono; voi siete la giovinezza della Chiesa che qui, fin dai primi tempi cristiani, è piantata.

Questa città, così intrepida nelle sue iniziative e prosperosa nei suoi commerci, da secoli alla ribalta e attualmente non immune da difficoltà e da tentazioni disgreganti; questa città ha in voi il suo futuro e oggi la sua speranza più cospicua. Per questo ripeto specificamente per voi ciò che scrissi nel marzo scorso a tutti i giovani del mondo (n. 1): "La vostra giovinezza non è solo proprietà vostra, proprietà personale o di una generazione: essa... è un bene speciale di tutti", un bene incalcolabile e irripetibile nella storia della vostra città e per il suo stesso domani.

L'avvenire di Genova converge col vostro e in esso confluisce: il vostro bene e il bene di Genova non sono separabili tra loro. "Da voi dipende il termine di questo millennio e l'inizio del nuovo" per questa città e per questa diocesi.

Fin d'ora siete, pur in formazione, il volto e l'anima della Genova dell'anno 2000.

Saprete essere degni di tanta eredità? Saprete non sciupare nulla di questo patrimonio straordinario, ma anzi confermarlo, mantenerlo, incrementarlo con il vostro apporto? Saprete conservare e sviluppare il profilo interiore e originale, il carattere austero e dinamico, l'indole civilissima e cristiana della vostra città? Io sono certo di si.


2. Stamane avete pregato e cantato in attesa di questo nostro incontro; nelle settimane precedenti siete saliti con fiaccole al Santuario della Madonna del Monte, avete vegliato, meditato e pregato sui testi biblici, e sostato in adorazione dinanzi a Gesù Eucaristia. Avete inteso anche riscoprire il gusto di qualche sacrificio, di qualche digiuno, di qualche gesto di riconciliazione. Avete cercato di incrementare i segni di amore nel vostro ambiente, e tutto perché l'incontro col Papa fosse occasione per comprendere alla radice il dono della giovinezza "da vivere nella Chiesa per la comunità degli uomini". E infatti, la lanterna di sassolini, che ora mi avete donato - riproduzione suggestiva del monumento che è il simbolo della vostra città - documenta l'impegno che avete profuso, e segnala la tensione verso il bene che, portandovi all'incontro col Papa, vi vuole vivi e veri per le migliori sorti di Genova.

Ma il vostro cammino viene da più lontano: parte, per ciascuno di voi, dalla prima fanciullezza e ha preso forma nelle rispettive comunità familiari e parrocchiali. Ognuno di voi è il frutto di un'educazione tuttora saldamente perseguita nelle parrocchie e nelle associazioni e movimenti ecclesiali. Incontri di catechismo, riunioni formative, iniziative spirituali e apostoliche, campi-scuola e convegni: tutte tappe salienti delle vostre storie personali, della storia anche di questa generazione cristiana. Per l'insieme di questa pedagogia, che è stata per voi e tuttora rimane tirocinio a una vera umanità e a una fede autentica, vi invito a ringraziare sentitamente, insieme con me, il Signore.


3. Grazie a questo itinerario educativo, voi avete appreso i comandamenti di Dio e i precetti della Chiesa; siete stati educati a sentire la voce della coscienza, a discernere il bene dal male, a stimare e a scegliere i valori morali, da comprovare mediante la verità delle opere. Non solo. Se siete giunti fino ad oggi, è anche perché avete in qualche modo sperimentato, in prima persona, il tipo di incontro che un giorno capito al giovane ricco di cui parla il Vangelo: "Gesù, fissandolo, lo amo" (Mc 10,21).

Ecco, qui si capisce quanto è importante parlare con gli occhi e guardare negli occhi. Io ho molto meditato questo passo del Vangelo in cui si parla di questo incontro tra Gesù e il giovane, e sono arrivato anche a una conclusione: c'è una conversazione, un dialogo indispensabile che va fatto con gli occhi, guardando l'altro; questo ci insegna Gesù. Imparate anche voi quest'arte.

Non vi è dubbio che almeno una volta, voi giovani cattolici, questo sguardo l'avete incrociato e che l'insieme di tante occasioni formative è valso, quanto meno, a farvi balenare negli occhi e nel cuore "lo sguardo amorevole" di Gesù.

D'altra parte, io non so augurarvi un'esperienza più grande. E vi ripeto l'assicurazione: Gesù "guarda con amore ogni uomo. Il Vangelo lo conferma ad ogni passo. Si può anche dire che in questo "sguardo amorevole" di Cristo sia contenuto quasi il riassunto e la sintesi di tutta la buona novella". Da questo sguardo è suscitata anche in voi "l'aspirazione a qualcosa di più", mediante la quale il giovane viene come portato, per mano dello Spirito Santo, di tappa in tappa, fino a formulare in sé l'interrogativo: che cosa devo fare? Signore, che cosa vuoi da me? "Qual è la tua volontà? Io desidero compierla" ("Lettera ai giovani", 31 marzo 1985, n. 7.9).

Ecco, amici, dove sgorga per ciascuno il cammino della rispettiva vocazione di vita. Applicarsi a scoprirla concretamente, costantemente - lo scrivevo già a tutti i giovani del mondo - è un "lavoro appassionante", un "affascinante impegno interiore", nel quale "si sviluppa e cresce la vostra umanità, mentre la vostra giovane personalità va acquistando la maturità interiore".

Sotto lo sguardo amorevole di Gesù, una vita secondo i comandamenti si apre come un fiore e diviene una vita nella consapevolezza del dono. E se la chiamata di Dio può avvenire su strade diverse, vi sia chiaro tuttavia che si tratta di un'avventura superiore a ogni altra, più profonda e più convincente di tutte le altre.


4. In questa aspirazione "a qualcosa di più", che è implacabile nell'animo giovanile, e per questo benefica e benedetta, io desidero confermarvi. E' Pietro, "roccia" per chiamata divina, come dice anche il canto che è stato composto per questa occasione, che vi esorta a non appiattirvi nella mediocrità, a non assuefarvi ai desideri mondani, a non voler vivere solo a metà, con aspirazioni ridotte o, peggio, atrofizzate. Il Papa è venuto per invitarvi al cammino, alla novità continua da cercare dentro di voi, con la vostra stessa vita. Giovani genovesi, non "lasciatevi vivere", ma prendete nelle vostre mani la vostra vita e vogliate decidere di farne un autentico e personale capolavoro! D'altra parte, voi stessi sapete che non c'è incontro vero che non lascia traccia. Per questo non ci può essere l'incontro con "l'amorevole sguardo" di Gesù senza che la vita, dentro e fuori, non ne rimanga intaccata. Anzi, la prova che avete incrociato lo sguardo del Maestro è proprio il vostro modo di vivere, l'ordine delle vostre scelte, la consequenzialità di esse, in una parola: il vostro comportamento di creature nuove, secondo le "beatitudini" del Vangelo.

So che, al pari dei vostri coetanei che vivono in altre parti d'Italia e del mondo, voi siete molto sensibili al tema della pace. Se n'è avuta eco anche in questo incontro. E io desidero approfittare di questa occasione per farvi una confidenza. Il parlare di pace, da parte del Papa, ai grandi della terra, l'indirizzare a loro messaggi, l'intercedere a favore dei fratelli più sfortunati e più tormentati, tutto questo è destinato a incidere nel futuro se in concomitanza cresce una generazione nuova di persone capaci di pensare in positivo i rapporti tra le persone, i gruppi, le nazioni. E qui voi siete chiamati in causa, perché - come ho detto ai giovani di Azione cattolica - "la sequela di Cristo è sequela di pace, nella pace. Pace nell'accogliere il messaggio del suo amore. Pace nell'accogliere il suo Spirito. Pace nel vivere nella sua grazia, nella sua intimità, mediante i sacramenti e soprattutto l'Eucaristia" (8 maggio 1982). In tal modo, nel vostro piccolo, ma fin d'ora, voi gettate in avanti un'ipoteca di pace e contribuite a cambiare l'aria che ora tutti respiriamo.

Aggiungerei che si deve desiderare che lo possano sentire, che lo possano condividere tutti i giovani del mondo, in qualsiasi parte del mondo, in qualsiasi nazione, in qualsiasi sistema: che lo possano sentire tutti i giovani! Se alcuni, come voi che state qui, avvertono questo ed altri non lo sentono, c'è ancora la speranza che i giovani possano convertire gli altri giovani nonostante tutte le separazioni e le divisioni del nostro mondo contemporaneo? Parimenti, voi soffrite per la disoccupazione che come una vera calamità colpisce in particolare a livello giovanile. Se da una parte vi supplico di non abbattervi, dall'altra desidero unire la mia voce alla vostra per chiedere ai gestori della cosa pubblica e delle imprese di voler considerare in tutta la sua importanza il sacrosanto diritto al lavoro, che non solo dà accesso ai beni materiali dell'esistenza ma forma l'uomo.


5. Lungo questi binari, il vostro impegno per la pace e la giustizia deve canalizzarsi in una dimensione di servizio, di presenza coerente nella realtà civile e sociale, di partecipazione piena di senso, di volontariato anche. Come ho visto stamattina nel Piccolo Cottolengo: c'erano tanti volontari e anche tanti giovani e li vedo anche molte volte a Roma e nelle altre città. Questo è per esprimere il mio apprezzamento per tutta l'opera del volontariato italiana, soprattutto al volontariato dei giovani. Tuttavia, la scelta del servizio non si compie con qualsiasi disposizione interiore, ma attraverso un lavoro di affinamento su voi stessi, sulla vostra personalità, per farne scaturire quegli atteggiamenti che sono inequivocabilmente del cristiano: povertà e castità, semplicità e mitezza, sobrietà e spirito di sacrificio.

La preghiera sia la vostra arma segreta e potente. Per essa vi irrobustite dinanzi alle sfide del vivere quotidiano, e acquisite quel realismo cristiano che è indispensabile per diventare maturi. Ma soprattutto, grazie alla preghiera, voi potete vivere in effettiva e costante comunione con Dio.

Ecco, amici, alcune mete essenziali per il vostro futuro che - lo ripeto - è anche il futuro di Genova, dell'Italia, dell'Europa e del mondo. Esso dipende in gran parte da voi, giacché Dio non vi fa mancare la sua grazia.

Così io vi penso, così vi seguiro. E prego per voi la Vergine della Guardia, che è avvocata dei giovani e patrona specialissima di questa città e della gioventù del mondo, perché vi tenga sotto il suo sguardo e stretti al suo cuore, per consegnarvi a quello del suo figlio Gesù.

A lei, la vergine Maria, madre di Cristo e madre nostra, invito ora a rivolgere il pensiero e il cuore, quando reciteremo insieme la preghiera dell'Angelus.

Ma carissimi, essendo così in spirito davanti a questo santuario benedetto della vostra città, non posso non portarmi col pensiero anche davanti a un santuario da me conosciuto e che mi sta tanto a cuore: il santuario della Madonna Nostra Signora di Guadalupe, che sta in Messico. Vogliamo essere spiritualmente presenti in quella terra, in quella città grandissima, così provata.

Data: 1985-09-22 Data estesa: Domenica 22 Settembre 1985


Recita dell'Angelus dal Palasport - Genova

Titolo: Vicino col pensiero e la preghiera a Messico terremotato

Sono particolarmente vicino col pensiero, col cuore e con la preghiera alle popolazioni del Messico, partecipando intensamente all'immane dolore per il catastrofico terremoto.

Innalzo a Dio la mia preghiera di suffragio per tutti i defunti e prego anche per il conforto dei feriti e di quanti soffrono a causa di questa tragedia: i familiari degli scomparsi, quanti sono rimasti senza casa, o sono colpiti nel campo del lavoro e delle loro attività. Il "Dio di ogni consolazione" avvicini con la sua grazia ogni cuore afflitto in questa terribile ora della comune croce.

Alla Madonna del Santuario di Guadalupe, alla quale i messicani sono tanto devoti - come io stesso ho potuto constatare in occasione della mia visita - affido in questo momento quanti soffrono: essa infonda loro conforto, speranza e, soprattutto, la forza per risollevarsi e ricostruire con fiduciosa costanza quanto è stato distrutto.

Desidero altresi incoraggiare ogni opportuna iniziativa volta a venire incontro alle esigenze di soccorso che con urgenza fanno appello alla solidarietà umana di tutti i popoli e di tutte le nazioni in un momento così tragico. Voglia Iddio donare a ogni cuore umano e ai responsabili delle organizzazioni private e pubbliche lo spirito della carità fraterna, della generosità, del desiderio di soccorrere chi è nella sofferenza, in una grandissima sofferenza.

Tutti benedico di cuore e per tutti prego.

Data: 1985-09-22 Data estesa: Domenica 22 Settembre 1985





Ai seminaristi nel seminario - Genova

Titolo: Amore e fedeltà alla Chiesa dovere di coerenza del cristiano




1. Non poteva mancare, nel quadro degli impegni e degli incontri della mia visita a Genova, una sosta sia pur breve all'interno di questo insigne seminario, che s'intitola al nome del grande e amabile pontefice Benedetto XV, indimenticato mio predecessore nella sede di Pietro durante il primo conflitto mondiale.

Non è forse il seminario - ogni seminario - un luogo privilegiato e determinante per la vita spirituale, religiosa e pastorale dell'intera diocesi? Non è forse tuttora valida, indispensabile, preziosa la sua funzione in ordine alla preparazione al sacerdozio? E che cosa hanno affermato, o riaffermato in proposito, prima il Concilio Vaticano II (cfr. OT 3-7") e poi, sulla sua scia, la Conferenza episcopale italiana? Non si dovrà sempre riguardare il seminario come "cor dioecesis"? Sono queste domande - e le non troppo difficili risposte che vi corrispondono - a rendere particolarmente cordiale e affettuoso il mio saluto, che desidero ora rivolgere comprensivamente a tutte le componenti dell'istituto: dai superiori agli alunni, dai docenti agli ospiti. Saluto, pertanto, il cardinale arcivescovo, che esattamente vent'anni fa eresse questo nuovo edificio e che con esemplare premura lo frequenta puntualmente, almeno una volta alla settimana, per moltiplicare contatti e colloqui in direzione dei giovani. Saluto monsignor rettore e i suoi collaboratori, e con essi i singoli seminaristi, compresi quelli delle diocesi vicine, gli alunni appartenenti alle famiglie religiose, nonché i piccoli convenuti dal seminario minore.


2. Non staro a ricordare le figure di singolare prestigio che hanno tanto onorato il seminario genovese e, quindi, l'intera arcidiocesi e, in generale, la santa Chiesa. E' vero: essendo nuova questa sede, i ricordi del passato dovrebbero essere "ambientati" nell'antica e storica sede di via Porta degli Archi. Ma certo è che lo "spirito" è qui trasmigrato, ed è proprio questo quel che conta! Dicendo spirito, infatti, io designo un tipico stile formativo, che come si rifà alle regole collaudate e costanti della pedagogia cristiana, così si protende verso l'immutabile ideale del sacerdozio cattolico e si apre, al tempo stesso, alle istanze emergenti dalla società moderna, nella quale chi è chiamato al sacerdozio ministeriale dovrà un giorno operare.

Ma come si può individuare o definire, in concreto, siffatto spirito e stile? Ecco, fratelli e figli carissimi, a me sembra che siano almeno tre i principali elementi che lo delineano. In primo luogo, la conformazione a Cristo buon pastore come punto fermo di riferimento nell'insieme del lavoro educativo, in cui hanno parte - com'è ovvio - gli educatori e gli educandi. So bene che Cristo come pastore rappresenta l'asse portante della formazione che qui viene impartita: è lui il "lapis angularis" (cfr. Ep 2,20 1P 2,6) su cui poggia lo sforzo congiunto di tutti voi, maestri e discepoli. Lasciate, dunque, che al riguardo vi esprima il mio vivo compiacimento e incoraggiamento.

Difatti, è da tale impostazione cristocentrica che deriva la più sicura garanzia per acquisire quel senso pastorale, che resta indispensabile per la vita del futuro presbitero. Oggi, anzi, più che in passato esso si rivela necessario per un contatto spiritualmente efficace e proficuo con le diverse categorie di persone, in cui si articola l'odierna società. Oggi ci vogliono sacerdoti, che - ben oltre la sapienza e la scienza umana, ben oltre il corredo delle pur apprezzabili qualità naturali - siano formati o, meglio, si siano formati sulle parole, sugli insegnamenti e sugli esempi di Cristo vivente ed eterno pastore. Si, egli è il buon pastore, e sarà sempre salutare la rilettura del noto capitolo del Vangelo di san Giovanni, in cui così ci si presenta, come restano stimolanti le parabole sul medesimo tema (Mt 18,11-14 Lc 15,1-7 cfr. 1P 2,25), come utile è, altresi, la loro integrazione con le pagine degli antichi profeti d'Israele - soprattutto Geremia ed Ezechiele - più sensibili alla tematica della pastoralità e non di rado severi nelle loro ammonizioni ai pastori (cfr. Ez 34 Jr 10,21 Jr 23,1-6).

Gesù buon pastore, modello assoluto dei pastori, se contemplato e ricopiato con assiduità di impegno e studio di imitazione, coronerà con la sua grazia, che dà luce e vigore, il vostro sforzo comune e vi preparerà "secondo il suo cuore" al futuro ministero.


3. Un secondo elemento dell'educazione al sacerdozio è l'amore alla Chiesa-madre.

C'è rischio - come talvolta avviene - che certe dichiarazioni siano scontate e restino poco più che verbali. Ma così non deve essere! Quando diciamo amore o fedeltà alla Chiesa, è implicita in tale affermazione una profonda convinzione di fede. Per amare e mantenere fedeltà alla Chiesa, occorre riguardarla per quello che effettivamente essa è: sposa di Cristo, acquistata con l'effusione del suo sangue (cfr. Ac 20,23), "creazione stessa di un disegno di amore e come tale obbligata al dovere della fedeltà. La Chiesa è organismo vivo e pulsante, e siamo noi stessi insieme con i nostri fratelli e sorelle a costruirla. Non è realtà distaccata e distinta: tutti vi siamo direttamente, responsabilmente "implicati e coinvolti" in forza di un rapporto personale. Se è così, allora l'amore e la fedeltà si profilano come un dovere di coerenza: ciò che tocca la Chiesa non è né sarà mai materia a noi estranea o indifferente, perché quel che le appartiene appartiene a noi, perché essa è di Cristo, e noi in essa siamo Cristo. Capite bene come, in base a questo caposaldo di fede, la fedeltà e l'amore ecclesiale, che qui sono inculcati, nulla dovranno avere di estrinseco, di formale, di vuoto: sono valori costitutivi dell'ecclesialità! 4. Da ultimo, mi piace rilevare la corrispondenza che l'indirizzo religioso-pedagogico, qui seguito, intende stabilire con le esigenze e le istanze - in parte nuove - della società moderna.

Cari giovani, voi siete, o sarete presto mandati a questa dinamica comunità urbana, a questo ambiente ligure, così ricco di humus culturale, per portare all'una e all'altro Cristo e la salvezza che da lui solo si ottiene. Non sarete sacerdoti in generica missione, ma incaricati di uno specifico settore, in sé ben definito come struttura, come mentalità, come tradizione, con le sue difficoltà e i suoi problemi. Genova e la Liguria, come già nel passato, hanno anche oggi un particolare ruolo da svolgere, e il servizio pastorale del sacerdote deve sapientemente inserirsi nel complesso degli accennati fattori.

Sarà necessario un giusto equilibrio tra antico e nuovo, non già per adagiarsi in una mediocrità incolore, ma per la gelosa custodia del buono e la ricerca intelligente del nuovo ai fini della migliore valorizzazione di ogni elemento. Tutto occorre far crescere con fermento evangelico! Su questi pensieri, che ho voluto raccomandarvi a suggello del lavoro, qui così ben avviato, e a ricordo del gradito incontro di oggi, io invoco la protezione della Vergine Immacolata, vostra speciale patrona, mentre tutti vi benedico nel nome del Signore.

Data: 1985-09-22 Data estesa: Domenica 22 Settembre 1985





All'ospedale pediatrico "G. Gaslini" - Genova

Titolo: "Sono qui per portarvi una carezza e confortarvi"

Cari fratelli e sorelle.


1. In questa mia visita a Genova ho desiderato vivamente che fosse inserito nel programma un incontro con tutte le persone che vivono, soffrono e lavorano in questo ospedale pediatrico "Giannina Gaslini", che non cessa di richiamare alla mente e al cuore di quanti lo frequentano l'inspiegabile mistero del dolore innocente.

Saluto il presidente e i membri del consiglio di amministrazione, come pure tutti i dirigenti, con l'auspicio che questo istituto possa rendere il suo servizio sanitario sempre più rispondente alle esigenze dei tempi. Saluto il personale medico, paramedico e ausiliario; rivolgo uno speciale pensiero alla contessa Germana Gaslini che ha dedicato tutta la sua vita a questa istituzione: saluto i sacerdoti che collaborano con l'arcivescovo, il quale è direttamente il parroco di questo ospedale; saluto gli assistenti sociali, i donatori del sangue e tutti gli appartenenti al gruppo del volontariato incoraggiandoli nel loro impegno: vi esprimo il mio apprezzamento per la vostra opera preziosa in favore dei piccoli, con i quali Gesù volle significativamente identificarsi: "In verità vi dico, ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).


2. Questo istituto, fondato nel 1938 da Gerolamo Gaslini, a ricordo della figlioletta Giannina, strappata agli affetti familiari all'età di undici anni, parla di dolore ed è destinato ad alleviare il dolore. Per questo il generoso fondatore lo volle splendido non solo sotto il profilo delle strutture edilizie e delle attrezzature scientifiche, ma anche per la sua posizione, collocato com'è tra il monte e il mare, e degradante ad anfiteatro verso la luce e il calore del sole mediterraneo. La felice scelta di questo luogo, doveva poi ispirare al fondatore anche il motto che contraddistinse l'ospedale: "Pueris floribusque lumen solis".

Questo ospedale possa veramente restituire ai piccoli degenti il sorriso, la gioia e la luce della speranza. Quanti vi operano, a diverso titolo, sappiano che questo è, si, un luogo di cura, che si avvale di tutte le tecniche e scoperte della scienza, ma è anche un luogo di incontro tra fratelli maggiori e minori. Crescano sempre più il senso del dovere e l'impegno di rendere familiare ed amichevole questo ambiente, in modo che si possano maggiormente esercitare le virtù della bontà, della pazienza, della carità umana e cristiana.


3. Il rispetto per i piccoli, già proclamato dalla sapienza antica - chi non ricorda la nota sentenza "maxima debetur puero reverentia"? (Giovenale, Satira XIV, v. 47) - esige dedizione totale e premure instancabili per venire incontro alle loro necessità e alla loro particolare situazione di bambini ammalati.

Ciascuno sappia portare nel proprio specifico campo di azione lo spirito del buon samaritano, il quale, vedendo un uomo percosso e lasciato moribondo sulla strada: "ne ebbe compassione, gli si fece vicino, gli fascio le ferite, versandovi olio e vino; poi coricatolo sopra il suo giumento, lo porto a una locanda e si prese cura di lui" (Lc 10,33-34).

Cari fratelli e sorelle, portate questa carica umana e spirituale nei contatti che avete sia con i piccoli infermi che attendono da voi, con i loro sguardi significativi, un generoso e qualificato servizio come professionisti e come uomini di buona volontà, sia con i loro genitori, che vivono il dramma angoscioso della malattia nei loro figli.

E a voi, cari bambini ricoverati qui al Gaslini, che cosa devo dire? Vi diro che sono venuto qui apposta per voi: per esprimervi l'affetto che nutro per voi e per portarvi una carezza e un abbraccio, a conforto della vostra presente sofferenza. Vi auguro che presto possiate tornare a casa e vivere felicemente accanto ai vostri genitori e fratelli, e tutti i vostri cari familiari.

A voi, qui presenti, imparto una mia speciale benedizione, che volentieri estendo ai vostri parenti, persone care e amici.

Data: 1985-09-22 Data estesa: Domenica 22 Settembre 1985





Beatificazione di Virginia Centurione Bracelli - Genova

Titolo: Amo i poveri anticipando il senso moderno dell'assistenza




1. "Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti" (Mc 9,35).

Queste parole esigenti e forti del Vangelo, carissimi fratelli e sorelle di Genova, ci permettono di tracciare una sintesi del modello singolare di vita di Virginia Centurione Bracelli, che oggi ho proclamato beata in questa sua città, dove nacque e opero, e dove riposa il suo corpo. Essere servo di tutti è la missione che il Figlio di Dio ha abbracciato, divenendo "servo" sofferente del Padre per la redenzione del mondo.

Gesù illustra con un mirabile gesto il significato che egli vuole dare alla parola "servo": e ai discepoli, preoccupati di conoscere "chi tra loro fosse il più grande", egli insegna che è necessario invece mettersi all'ultimo posto, al servizio dei più piccoli: "Prese un bambino, lo pose in mezzo, e abbracciatolo disse: Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me" (Mc 9,37).

Accogliere un bambino poteva significare, specie a quel tempo, dedicarsi alle persone di minore considerazione; preoccuparsi con profonda stima, con cuore fraterno e con amore, di coloro che il mondo trascura e che la società emargina.

Gesù si rivela così il modello di coloro che servono i più piccini e i più poveri.

Egli si identifica con chi sta all'ultimo livello della società, si cela nel cuore dell'umile, del sofferente, del derelitto, e per questo afferma: "Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me".


2. La vita di Virginia Centurione sembra svolgersi tutta alla luce di questo messaggio: rinunciare ai propri beni, al fine di servire ed accogliere gli umili, i mendicanti, di dedicarsi agli ultimi, alle persone più trascurate dagli uomini.

Rimasta vedova, giovanissima, accolse l'invito del Signore a servirlo per i suoi poveri. "Voglio servire solo te che non puoi morire"; questa era la preghiera di Virginia di fronte al crocifisso. "Voglio che tu mi serva nei miei poveri", fu la risposta del Signore.

Virginia si dedico dapprima alle fanciulle abbandonate della sua città, affinché non divenissero vittime, per la miseria sociale, di miserie morali ancor più umilianti. Al fine di assicurare loro quanto occorreva per una vita dignitosa, le ospito dapprima nella sua casa, e si fece essa stessa, da nobile qual era, mendicante. La passione della carità la condusse pur in mezzo a una società nobile, ricca, gelosa dei propri privilegi, a imitare il Cristo, il quale "da ricco che era si è fatto povero per noi" (cfr. 2Co 8,9). La meditazione del mistero del Calvario le permise di comprendere in modo concreto e fattivo il messaggio della sapienza del libro di Tobia: "Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l'elemosina con la giustizia... meglio è praticare l'elemosina che mettere da parte l'oro" (Tb 12,8).

Fattasi dunque povera per amore di Cristo, vivente nei suoi poveri, Virginia diede vita a un tipo di carità che non si riduceva al semplice soccorso, ma programmava un impegno di vera promozione umana. Volle fare il possibile per assicurare ai mendicanti condizioni sociali accettabili e non prive di futuro.

Anticipo così, genialmente, il senso moderno dell'assistenza, insegnando a mettere a frutto i doni della carità e aiutando, con delicata pedagogia, l'indigente ad uscire dalla triste mentalità indotta dalla miseria, e a divenire responsabile di se stesso.

Ricercare i poveri per questo, anche a domicilio, nel cuore dei quartieri più umili e miserabili della città, fu impegno peculiare che riservo a se stessa quando guido le "Dame" e le "Ausiliarie della misericordia" a prestare il loro servizio ai bisognosi, poiché aveva compreso che la carità di Cristo non attende il misero, ma lo cerca, lo persegue nella sua indigenza, per puro amore.


3. Se ci domandiamo di dove provenissero la forza e il coraggio per una così grande dedizione e per tanto lavoro, troviamo che al centro della sua vita operava la contemplazione del crocifisso; il Gesù del Calvario, sempre presente, amato e invocato specialmente nei momenti più critici della vita sua personale e di quella delle sue fondazioni. Con l'apostolo Paolo Virginia poteva dire: "Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Ga 2,20).

Il Signore sa avvicinare con indicibile amore alla sua croce alcune anime elette valendosi delle contraddizioni degli uomini, delle umiliazioni che scaturiscono dalla miseria morale del mondo. Egli purifica così lo spirito dei suoi santi, li rende capaci di raccogliere il messaggio della croce, farlo proprio, viverlo con intensa generosità. Tale accostarsi alla croce di Cristo è un dono che attinge al misterioso operare della grazia divina e talvolta sconcerta le prospettive di chi pensa in termini terreni. Eppure, in verità, Cristo annuncia sempre la sua misericordia proprio attraverso queste anime, che egli trasforma in testimoni eccelsi di carità, poiché nelle prove seppero "rifugiarsi in lui", e poterono "donare con gioia", come abbiamo cantato nel salmo.


4. Un amore profondo a Cristo e un amore autentico ai poveri e ai bisognosi è il messaggio che Virginia ripete in questa circostanza alla città di Genova, quale essa è oggi, col suo intenso sviluppo, con la febbrile attività del suo porto e delle sue fabbriche, della sua vita operosa, dei suoi commerci. Genova deve essere, come è sempre stata, una città cristiana. Essa è una città che ha sofferto per disastrose calamità, ma che risulta, nella storia, come un simbolo di pace specialmente per la figura di Benedetto XV, Giacomo Della Chiesa, il papa che, durante il primo conflitto mondiale, nel 1917, ebbe il coraggio di richiamare tutti i popoli del mondo all'esigenza di superare le conflittualità tra le nazioni non con la forza delle armi, ma col ricorso alle trattative poggianti sul diritto; il Papa che per primo, già nel 1920, denuncio i pericoli e i disastri della corsa agli armamenti, sottolineando, in una maniera attualissima e chiara anche per i nostri tempi, il disagio che la spesa delle armi induce specialmente tra i popoli più poveri.

Genova, una città dedicata alla Madonna, la Madonna della Guardia, che i genovesi salutano partendo e ritornando dai loro viaggi in mare; proprio città della Madonna, perché Virginia Centurione volle che Maria fosse dichiarata e proclamata Regina di questa città. E' nel nome di Maria, Signora della Guardia, che la vostra comunità fedele, anche dispersa in tutto il mondo, annuncia la sua identità e il suo giusto orgoglio di popolazione laboriosa, intraprendente, instancabile, audace.

Sia questa una città testimone di Cristo nel conflitto delle idee che oggi sfidano i credenti e provocano chi ha la fede a vivere una carità coerente col messaggio annunciato.


5. "Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini" (Mc 9,31). Nel Vangelo odierno Gesù preannuncia ai suoi discepoli la sua passione, li avvia alla comprensione di questo mistero sempre presente nella storia della salvezza. Essi, tuttavia, non comprendono le sue parole. Ma noi, le possiamo capire? Quello che accadde in Galilea, nel colloquio riferitoci dall'evangelista Marco, è un fatto perenne, che sempre si attua. E' il messaggio del Calvario che compare ogni qualvolta si presenta all'uomo il dolore, la povertà, la sofferenza.

Gesù, dunque, mentre preannuncia che egli "sta per essere consegnato", ci insegna una realtà perenne e dolorosa: egli verrà sempre consegnato all'uomo, alla storia degli uomini, alla società, alle culture, all'umanità, alle generazioni sempre nuove, che si interrogano come in una difficile sfida, sul significato della vita e della croce di Cristo.

Nella storia che segue alla morte e alla risurrezione di Cristo si ripropone sempre un incalzante dilemma tra l'appello di Cristo e il fascino del mondo, tra le scelte conseguenti alla fede e quelle legate a una concezione immanentistica della vita. Noi avvertiamo che esiste un difficile confronto tra il bene continuamente annunciato dalla parola di Dio, da Cristo e dai suoi servi e testimoni, e un altro bene apparente, che lotta con il primo, ed è confortato da giustificazioni o da successi di carattere solamente terreno e umano, incarnato com'è nelle istanze della struttura tecnica della vita. Pare che di qui nascano quasi due vie morali, due etiche che divergono, e l'anima cristiana, come quella di ogni uomo onesto, è dilaniata nelle sue difficili scelte.

Ma la parola di Cristo è forse consegnata alla debolezza del cuore degli uomini, ai loro peccati, all'impressionante ondata di minacce morali che crescono nel mondo, o essa è capace di trasformare anche oggi il cuore umano, sostenendone la fragilità e spingendolo a cercare valori autentici fondati sull'essere, sulla libertà, sulla verità? Io sono certo che anche ai nostri giorni, come per il passato, il lievito evangelico può suscitare discepoli di Cristo capaci di compiere sforzi generosi, di tentare vie nuove e impegnative in ogni campo della vita organizzata, per poter donare all'uomo una speranza nuova e certa, fondata sulla fede viva in Gesù crocifisso. Il cristiano deve saper compiere con gioia il suo dovere di servizio all'uomo, convinto che tanto sul piano naturale che in quello divino la crescita del proprio bene esistenziale si realizza e si articola con l'impegno per la crescita del bene altrui.


6. Ma siamo vigilanti e sinceri poiché anche coloro che sono vicini a Cristo possono essere ingannati circa il senso del loro ruolo nel mondo. "Per la via, infatti, avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande" (Mc 9,34), Anche coloro che sono vicini a Cristo possono essere travolti dalla tentazione di un tipo di esistenza che, volendo qualificarsi moderna, si lascia prendere dal furore tecnico e dall'ebbrezza delle sue trasformazioni, finendo per definirsi materialista, laica, estranea ai problemi dello spirito; apparentemente più libera, ma in verità sottomessa alla schiavitù che nasce da una maggiore povertà dell'anima. Non si aiuta l'uomo ad evolvere nella sua condizione di creatura sociale, se poi lo si lascia in condizioni di maggiore povertà per quanto concerne il suo spirito.

In questo senso il cristiano ha il compito, oggi più che mai urgente, di proporre al mondo nuovi modelli di vita per una nuova città costruita nella fraternità dell'amore. Gesù ci invita con l'esempio a una concreta scelta dell'ultimo posto per servire coloro che hanno smarrito nella tormentosa strada della vita il senso della ricchezza che viene da Dio.


7. Unendosi al caro e venerato fratello cardinale Giuseppe Siri, che con saggezza e zelo dal 1946 regge l'arcidiocesi di Genova, voglio affidare a Dio questa città e l'intera arcidiocesi, la sua gente, i suoi sacerdoti, i religiosi e le religiose; voglio affidarli a Maria santissima, patrona e regina di Genova.

Affido alla Madonna le figlie spirituali di Virginia Centurione, quelle della comunità genovese, le suore di Nostra Signora del rifugio di Monte Calvario, che voi chiamate "Brignoline", quelle della comunità di Roma, le figlie del monte Calvario e le fraternità che operano in India, nell'Africa, nell'America Latina.

Affido alla Vergine Maria la loro gioia per questa celebrazione, ma anche il loro spirito di carità, la loro generosa dedizione agli umili e ai poveri, all'educazione della gioventù, all'apostolato.

Lo faccio seguendo una frase di Virginia Centurione Bracelli, che mi pare degna di essere citata perché è segno della sua fiducia in Dio: "Rimettermi - ella diceva - in tutto e per tutto nelle mani di chi mi ha creato, il quale mi aiuterà più di quanto io possa pensare" (cfr. Ufficio delle letture).

Così sia per tutti noi. Amen. Data: 1985-09-22 Data estesa: Domenica 22 Settembre 1985









GPII 1985 Insegnamenti - Ai malati del Piccolo Cottolengo di Paverano (Genova)