GPII 1985 Insegnamenti - Al Congresso mondiale sulla pastorale dell'emigrazione - Città del Vaticano (Roma)

Al Congresso mondiale sulla pastorale dell'emigrazione - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Chiesa testimone e promotrice dell'integrazione dei migranti

Signor cardinale, cari fratelli e sorelle.


1. Il Papa si deve dedicare ad accogliere al meglio, nella sua casa, coloro che si preoccupano così bene dell'accoglienza degli stranieri, dei migranti! Il vostro Congresso mondiale della pastorale dell'emigrazione vuole approfondire, nel corso delle sue giornate di studio, non soltanto i problemi dell'accoglienza, ma anche quelli dell'integrazione dell'emigrante. Mi auguro che i vostri scambi fraterni, le vostre analisi lucide delle situazioni, le vostre riflessioni evangeliche, i vostri orientamenti teorici e pratici costituiscano uno stimolo efficace per tutti coloro che, preti, religiosi e laici, contribuiscono a questa integrazione nella Chiesa e nella società. Voi lo sapete, per la mia carica io sono molto preoccupato di fare in modo che ciascuno si ponga come parte integrante nell'unità della Chiesa, rispettoso della diversità. Sono allora felice di esprimervi i miei incoraggiamenti e di ricordare alcuni aspetti che potranno portare una luce supplementare sulla complessità dei vostri lavori.


2. Voi avete voluto sviluppare l'idea che l'integrazione ecclesiale degli emigrati è l'esercizio di un diritto fondamentale che tocca la libertà e la dignità della persona. Lo dicevo io stesso nell'enciclica "Laborem Exercens" (LE 23): "L'uomo ha il diritto di lasciare il suo Paese d'origine per diversi motivi - come anche di ritornarvi - e di cercare migliori condizioni di vita in un altro Paese". Questa esperienza non può essere positiva se l'emigrato - a causa del suo lavoro - non beneficia di un'integrazione economica, sociale, ecclesiale, che gli permetta degne condizioni di vita e di progresso, sempre nel rispetto della sua personalità, delle sue radici. Tutto il problema sta dunque nel sapere come si può esercitare questo "diritto".


3. Ma prima di continuare, attiro la vostra attenzione sugli aspetti della questione, affinché tutto sia considerato da un punto di vista giusto, equilibrato, realista. In sé, una tale emigrazione costituisce spesso un dramma; è una prova, si potrebbe anche dire, sotto certi punti di vista un male, un male necessario. E' vero per la persona che emigra, per la sua famiglia, che si appresta ad attraversare una fase difficile, con tutti i rischi dello sradicamento; è vero per il suo Paese d'origine, privato d'un soggetto che arricchiva la sua vita, la sua cultura, il suo progresso. Si sarebbe tentati di augurarsi che gli emigrati possano ritornare liberamente nella loro patria.

A maggior ragione, se si tratta di rifugiati che hanno dovuto subire l'esilio per sfuggire alla paura, alla guerra, all'ingiustizia, all'oppressione ideologica, la soluzione migliore - come ho già avuto occasione di dire - è, al di là dei lodevoli e necessari sforzi di integrazione, il rimpatrio volontario con delle garanzie di sicurezza (cfr. discorso a Yaoundé, 12 agosto 1985, n. 12; e discorso al Corpo diplomatico, 15 gennaio 1983, n. 6). Non si può dunque considerare a priori ogni emigrazione come un fatto positivo, da ricercare e da promuovere.

Un'altra nota generale è che, in questo campo come in altri, non si può parlare di "diritto", per l'emigrante come per il Paese di accoglienza, senza parlare di "doveri", di doveri reciproci. E se il Paese di accoglienza deve comprendere il dovere di aiutare gli emigrati a vivere - soprattutto se si tratta di accordare loro il diritto d'asilo, che è un diritto stretto -, può esso fare appello alla solidarietà degli altri Paesi, per non essere il solo a sopportare dei carichi che oltrepassino le sue forze e mettano in pericolo il bene dei suoi cittadini che è il primo suo dovere. Ma poiché queste considerazioni sono poste al fine di tenere un discorso responsabile, resta il fatto che l'emigrazione, soprattutto per ragioni di lavoro, è un fenomeno in continua espansione nelle nostre società moderne; un fenomeno destinato senz'altro a crescere poiché la ricerca di un lavoro o di migliori condizioni di vita comporta una necessaria mobilità. Nello stesso tempo si assiste alla permanenza del fenomeno dei migranti: la maggior parte di loro, soprattutto quelli della seconda generazione, vuole restare nel Paese in cui finalmente ha trovato una sicurezza di vita maggiore che nel proprio Paese di origine. Ciò implica che essi possano inserirsi e integrarsi al meglio. Ed è questo l'oggetto dei vostri lavori.

Inoltre si può trarre un bene da questa prova dell'emigrazione: l'avanzata verso una società culturalmente più ricca nella sua diversità e, speriamolo, più aperta nelle relazioni fraterne. Sembra infatti che, nei Paesi tecnicamente avanzati, si vada verso società plurietniche, multiculturali. In questo senso l'emigrazione può essere essa stessa una possibilità di progresso. Ma a quali condizioni? 4. Voi affrontate precisamente le difficoltà dell'integrazione, gli ostacoli che essa incontra, le tentazioni che appaiono da una parte e dall'altra. Poiché se bisogna evitare che i migranti vivano totalmente a spese degli altri, che formino un mondo a parte, bisogna anche evitare che siano costretti a lasciarsi "assimilare", assorbire, al punto di diluirsi nella società circostante, rinunciare alla loro ricchezza originale, alla loro identità. Occorre fare di tutto affinché essi partecipino, con la loro eredità, al bene comune culturale, spirituale, umano dell'insieme nazionale al quale essi si aggregano. Ciò suppone apertura, rispetto reciproco, dialogo, partecipazione, scambio di tutte le parti.

Coloro che li accolgono, devono essere molto attenti, non solo ai bisogni, ma anche alla personalità dei migranti; devono comprendere le esigenze della condivisione e del rispetto, bandendo qualsiasi spirito di sufficienza, d'orgoglio, d'egoismo, ricordandosi che i beni hanno destinazione universale, che tutti i lavoratori e le loro famiglie hanno diritto alle stesse garanzie delle leggi. Questo spirito di equità è tanto più necessario quando il rifiuto dello straniero è una forte tentazione nel caso il Paese conosca una crisi industriale grave, che comporta disoccupazione, soprattutto se un'ideologia razzista cerca di legittimare questo movimento istintivo di protezione.

Coloro che arrivano, da parte loro, devono superare innumerevoli disagi, tra cui spesso quello della lingua e del decalogo culturale, della precarietà delle condizioni di vita, delle misure amministrative. Essi non devono quindi cedere alla tentazione di un ripiegamento su se stessi, della vita in "ghetto", in un complesso di isolamento o di inferiorità. Essi devono testimoniare in modo pacifico la fedeltà alle loro origini, e particolarmente la fedeltà alla loro fede.


5. In tutto ciò la Chiesa ha un ruolo educativo capitale da svolgere presso il popolo, i responsabili e le istanze della società: illuminare l'opinione pubblica e stimolare le coscienze. Ma essa deve essere testimone della qualità dell'integrazione che pratica nel suo seno. Non è essa il "sacramento dell'unità", che accoglie nell'unità la diversità dei cattolici, testimoniando la riconciliazione che il Cristo ha ottenuto con la sua croce? Le comunità cristiane dovrebbero vivere, meglio degli altri gruppi sociali, questa dinamica dell'unità fraterna e del rispetto delle differenze. Grazie allo Spirito Santo, esse devono lavorare all'edificazione incessante di un popolo di fratelli, che parlino il linguaggio dell'amore per essere fermento della costruzione dell'unità umana, della civiltà dell'amore.

Che i pastori vi si impegnino. Che essi chiamino ed educhino costantemente al dialogo, lottando contro il peso delle mentalità e delle abitudini contrarie a questa legge dell'accoglienza del "fratello straniero".

Certamente, la Chiesa ha previsto delle tappe e dei collegamenti di questa integrazione ecclesiale: parrocchie, elemosine, "missiones cum cura animarum".

Questi collegamenti sono sovente necessari, occorre tuttavia che essi evitino di fermarsi su se stessi e di nuocere agli scambi indispensabili. Ma anche che, in nome dell'unità non si affrettino delle evoluzioni che potrebbero chiedere del tempo: ciò significherebbe privarsi di patrimoni che devono arricchire e fecondare un modo comune d'essere, l'arte del "vivere insieme".


6. Quanto ai migranti per i quali non ci può essere ancora direttamente questione di integrazione ecclesiale, che la Chiesa, madre ed educatrice, ricordi a tutti il loro diritto di voler restare nelle nuove condizioni di esistenza, nella solidarietà con gli altri, di non essere ridotti a un semplice ruolo di strumenti di produzione, di partecipare alla vita sociale del Paese e anche a certe istanze della vita politica. C'è molto da fare affinché i migranti beneficino di uno statuto che dia loro il diritto di vivere la loro originalità nella solidarietà nazionale. Ciò è più complesso e più difficile che una semplice misura di "naturalizzazione".


7. Su tutti questi punti, la Chiesa si farà la voce dei senza-voce, il buon samaritano attento alle situazioni difficili, che non si accontenta di gesti paternalistici, ma che aiuta i migranti a prendersi carico di loro stessi. Essa sarà l'immagine e il lievito di una comunità di fratelli.

E' vostro onore parteciparvi a titolo speciale, per coinvolgere i vostri fratelli e le vostre sorelle, le comunità cristiane in una presa di coscienza e in un'azione che risponda all'istanza di Gesù: "Io ero straniero e voi mi avete accolto" (Mt 25,35). Mi auguro che voi non vi accontentiate di rilevare gli ostacoli o le cose che bisogna fare, ma che, umili e coscienti dell'ampiezza del vostro compito, sappiate mettere in luce i magnifici sforzi che sono già stati tentati o realizzati in simili situazioni, in modo da incoraggiarli. Non è forse il modo migliore per stimolare l'integrazione desiderata? Imploro su di voi e su tutti coloro che rappresentate la grazia della luce e della forza dello Spirito Santo e, di tutto cuore, vi benedico.

Data: 1985-10-17 Data estesa: Giovedi 17 Ottobre 1985





Alla Congregazione per il culto divino - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Formazione liturgica dei fedeli e adattamento alle culture

Cari fratelli, membri della Congregazione per il culto divino.


1. La vostra riunione consacra il rinnovamento di questa Congregazione. In effetti, ridiventata distinta da quella incaricata della disciplina dei sacramenti il 5 aprile 1984, essa vi ha invitati a tenere la sua prima assemblea plenaria nella linea dell'importante colloquio dell'ottobre 1984 che riuniva i presidenti e i segretari delle Commissioni nazionali di liturgia. La vostra presente sessione ha luogo nella luce del XX anniversario del Concilio Vaticano II, di cui il culmine sarà il Sinodo straordinario del mese prossimo. Di tutti questi incontri fraterni che spingono ad un lavoro comune di rinnovamento, ispirati dallo Spirito Santo per il bene della Chiesa, cari amici, mi rallegro con voi e rendo grazie a Dio.

Non ho l'intenzione di aggiungere un grande discorso ai vostri personali studi su numerosi soggetti liturgici. Vorrei semplicemente attirare la vostra attenzione su due punti che si delineano nei vostri resoconti dei lavori e che affido alla vostra sollecitudine pastorale così come alla vostra preghiera.


2. Io penso innanzitutto all'importanza capitale di una solida formazione liturgica. Essa si impone a tutti i livelli, se vogliamo che le decisioni del Concilio siano fedelmente e intelligentemente applicate nella pratica quotidiana.

La liturgia! Tutti parlano, scrivono, discutono di essa. La si legge, la si commenta, la si critica. Ma chi ne conosce veramente i principi e le norme di applicazione? La costituzione "Sacrosanctum Concilium" (SC 10) descriveva la liturgia come "fonte" e "apice" della vita della Chiesa: cosa si fa perché questa definizione sublime passi nella realtà? Certo, occorre essere giusti. Io so quanti sforzi si sviluppano da vent'anni in tutti i Paesi, in tutte le famiglie religiose, affinché il culto del popolo di Dio sia celebrato con una partecipazione veramente "piena, attiva e comunitaria", secondo il voto del Concilio (SC 21). Progressi evidenti sono stati compiuti su molti piani, tanto presso i pastori quanto presso i fedeli. Ma bisogna ben notare che, mescolati a questi progressi, si osservano talvolta spiacevoli errori, che devono essere corretti: per esempio uno stile troppo personale, omissioni o aggiunte illecite, riti inventati fuori dalle norme stabilite, attitudini che non favoriscono il senso del sacro, la bellezza, il raccoglimento. Queste debolezze le tratteremo tutte, devono essere riprese, poiché causano un ritardo e una deviazione molto dannose alla vita di preghiera nella Chiesa.

Ora, il primo compito è quello di assicurare una formazione solida ai pastori, che la comunicheranno ai fedeli. E questo a tutti i livelli e con tutti i mezzi: insegnamento nei collegi, nei seminari e negli istituti superiori di liturgia, azioni diverse dei centri nazionali, sessioni di pastorale liturgica, gruppi di studio, équipes liturgiche, riviste liturgiche. Vi chiedo dunque di incoraggiare e di promuovere efficacemente tutti questi organismi e queste iniziative al servizio di una liturgia meglio compresa e meglio applicata, in modo che le norme qui redatte con cura portino frutto nella Chiesa intera.


3. Un secondo punto importante nelle deliberazioni della vostra sessione plenaria - sul quale tutti i rapporti del colloquio dell'ottobre 1984 avevano insistito - è quello dell'adattamento della liturgia alle differenti culture. E' sufficiente viaggiare nei diversi continenti per vedere l'urgenza del problema e la sua necessità.

L'adattamento delle lingue è stato rapido anche se talvolta difficile da realizzare. L'adattamento dei riti lo ha seguito, più delicato, ma ugualmente necessario. In effetti la maggior parte dei Paesi, soprattutto fuori dall'Europa, sono di fronte al difficile problema dell'inculturazione. Su questo piano, si fa un lavoro importante ma si deve essere attenti alla legittimità dei diversi adattamenti. Molti sono necessari o semplicemente utili. Certi sembrano tuttavia inutili o pericolosi, soprattutto se hanno l'impronta delle credenze di paese o superstiziose. Vale a dire che l'adattamento necessario deve innanzitutto salvaguardare l'unità sostanziale della liturgia romana, e dunque deve essere il frutto di un'alta competenza e di solidi studi in liturgia, teologia, diritto, storia, sociologia, nelle lingue delle differenti etnie. L'adattamento deve tener conto del fatto che, nella liturgia, soprattutto nella liturgia sacramentale, c'è una parte immutabile di cui la Chiesa è guardiana e una parte non immutabile che essa ha il potere - e talvolta anche il dovere - di adattare alle culture dei nuovi popoli evangelizzati (cfr. SC 21). In questo caso si richiede una seria formazione e un lavoro più lungo e più delicato quale il passaggio da una lingua all'altra. I pastori e gli esperti devono impegnarsi a ciò assiduamente, in unità con i dicasteri romani.

In conclusione, affido tutto ciò al vostro zelo, alla vostra prudenza, alla vostra preghiera. Conosco la competenza di coloro che lavorano alla Congregazione di cui voi siete membri, e so che voi li aiuterete il meglio possibile portando loro i vostri consigli e il frutto della vostra esperienza. Dal mese di ottobre dell'anno scorso questo dicastero, con i suoi consulenti, aveva lavorato molto e la vostra assemblea plenaria ha potuto trarre dei soggetti importanti come l'adattamento della liturgia di cui noi parliamo, le assemblee domenicali in assenza di prete, il ruolo delle donne nella liturgia. Voi avete potuto anche portare un'attenzione speciale a certe forme di pietà del popolo di Dio: messe in onore della Vergine Maria, culto dei santi. Per tutto questo lavoro, che richiede una grande cura, siete ringraziati, rallegrati, incoraggiati.

Che Dio vi benedica, cari fratelli, voi che siete chiamati a servirlo in questo campo privilegiato del culto divino! Che la sua grazia ispiri il vostro lavoro nel corso di questa nuova tappa della riforma liturgica, "affinché la vostra azione trovi la sua fonte in lui e riceva in lui il suo compimento" (orazione delle Lodi, lunedi I "per annum")!

Data: 1985-10-17 Data estesa: Giovedi 17 Ottobre 1985





Ai vescovi filippini del Luzon in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Maggiore unità della Chiesa migliore diffusione del Vangelo

Mio caro cardinale Sin e fratelli vescovi.

Vi saluto, pastori della regione di Luzon, con caldi sentimenti di fraterna stima che esprimo nelle parole di san Paolo: "Grazia e pace a voi da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo" (Rm 1,7).

Durante questi giorni della vostra visita "ad limina" avete rappresentato la realtà delle vostre Chiese locali davanti alla tomba di san Pietro, la "roccia" sulla quale nostro Signore Gesù Cristo costrui la sua Chiesa come il sacramento di salvezza per tutte le nazioni fino al giorno del suo ritorno. così l'unità organica e salda delle Chiese locali con la Chiesa universale è resa manifesta in un modo particolarmente eloquente e vitale.

Prego perché voi torniate nelle vostre diocesi rafforzati dall'esperienza di comunione universale che è la Chiesa, e perché voi condividiate quella visione universale con i vostri preti, uomini e donne religiosi, e con i credenti, vostri fratelli e sorelle nella fede. Sebbene ognuno di voi abbia una responsabilità particolare per quella parte del popolo di Dio affidata al suo quotidiano amore, voi tutti, insieme ai vostri fratelli vescovi, da un capo all'altro del mondo formate un'unica fraternità nella quale i pesi di uno sono i pesi di tutti in una comunione di amore e di rapporto pastorale per l'intera chiesa di Dio.


1. L'intera Chiesa celebrerà presto il Sinodo straordinario che segna il ventesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II. Io ho convocato questo Sinodo con l'intenzione di risvegliare il senso autentico delle opere spirituali e pastorali di questo prezioso momento di vita ecclesiale. Recentemente ho detto ai pellegrini radunati in piazza San Pietro che "una tale iniziativa ha lo scopo di stimolare tutti i membri del popolo di Dio a una coscienza approfondita degli insegnamenti del Concilio e a un'applicazione sempre più fedele dei principi e delle direttive che hanno avuto origine da quella solenne assemblea" (Angelus, 29 settembre 1985).

Difficilmente avviene che un aspetto della vita della Chiesa non venga toccato dal Concilio e per il quale non offra motivazioni dottrinali e pastorali in grado di produrre un nuovo impeto di santità e di vitalità nella vita dell'intero corpo della Chiesa. E' estremamente importante che noi tutti condividiamo la convinzione che il Concilio rappresento un momento straordinario nell'opera della grazia di Dio nella Chiesa e che quel momento fu decisivo per la realtà della presenza della Chiesa nel mondo d'oggi e nel futuro.

E' vero che non tutte le energie potenziali che il Concilio ha favorito si sono realizzate per il beneficio della Chiesa e del mondo. Ma perché il Concilio fu "una specie di pietra miliare... nei quasi duemila anni di storia della Chiesa e... nella storia religiosa e culturale del mondo", noi "vicari e ambasciatori di Cristo" (LG 27) non dobbiamo cessare di riflettere sui suoi contenuti, né dobbiamo fallire nel realizzare la nostra onerosa responsabilità davanti a Cristo, davanti alla Chiesa e al mondo, per il suo pieno compimento.

Insieme a voi ringrazio il nostro padre celeste per i benefici che la Chiesa nelle Filippine ha raccolto dagli insegnamenti del Concilio e dagli intuiti e impulsi pastorali che, come conseguenza, lo Spirito Santo - che "vivifica istituzioni ecclesiali come una specie di anima" (AGD 4) - ha portato tra la vostra gente.


2. In merito a questo, ricordo che una delle grandi linee di rinnovamento ecclesiale che emerse dal Concilio è stata la migliore definizione del ruolo dei laici nella vita della Chiesa e nella missione. Insieme ai loro pastori, i laici sono responsabili nel loro proprio diritto per il ministero di salvezza della Chiesa, "ognuno secondo la grazia ricevuta" (1P 4,10).

I vescovi delle Filippine riconoscono, pieni di gratitudine, i progressi che sono stati fatti in questo campo. I fedeli sono, generalmente parlando, più coscienti del loro ruolo specifico all'interno della comunità di fede ed eseguono i loro diversi servizi e ministeri con gioia e generosa dedizione. Voi e i vostri preti vi rendete conto che questa non è solo una necessità organizzativa e funzionale. Piuttosto, come risultato della loro configurazione battesimale con Cristo, i laici hanno - secondo le parole del Codice di diritto canonico (CIC 211) - "il dovere e il diritto di lavorare così che il divino messaggio di salvezza possa progressivamente raggiungere l'intera umanità in ogni età e in ogni Paese". C'è una freschezza e un vigore nelle vite cristiane di molti dei vostri fedeli come risultato di una più ampia "scoperta" della parola di Dio nella Bibbia. Forse molto più di prima gruppi e individui trovano nelle Scritture il nutrimento per le loro preghiere e un supporto per i loro sforzi quotidiani per vivere in santità e giustizia davanti a Dio e il loro prossimo.

Anche la comparsa di "comunità cristiane di base" nelle vostre Chiese locali, in molti casi e senza riferirsi a certe deficienze, ha contribuito a dare maggior senso alla comunione spirituale e alla solidarietà umana. Come pastori rallegratevi di questi fattori di rinnovamento e sperate che questi e altri aspetti positivi di vita di Chiesa nelle Filippine contribuiscano al consolidamento di una vera cultura cristiana capace di impregnare la vita della nazione con principi evangelici di condotta e politica pubblica.

Nello stesso tempo siete chiamati a fare ogni sforzo per fronteggiare il pericolo di frammentazione che un'interpretazione troppo personale della parola rivelata o un eccessivo interesse per problemi specifici locali, visti nella luce di ideologie non ispirate dal Vangelo, possono causare nelle vostre Chiese locali.

Come successori degli apostoli nel Collegio dei vescovi, abbiamo il fondamentale obbligo di difendere e rafforzare l'unità dell'unica Chiesa di Cristo. Tale unità non può essere realizzata ad ogni livello, se non attraverso i vincoli della fede professata, dei sacramenti, del governo pastorale e della comunione (cfr. LG 14). La preghiera di Cristo "che essi possano essere una cosa sola" (Jn 17,22) è veramente applicabile alla Chiesa universale. E' anche volere di Cristo la realizzazione particolare di quella Chiesa che è la diocesi e, nei loro propri modi, la parrocchia e altri gruppi regionali e locali che costituiscono la ricchezza della presenza della Chiesa in ogni ambito.


3. In alcune delle vostre dichiarazioni e lettere pastorali che voi, vescovi delle Filippine, avete pubblicato sugli aspetti della situazione attuale del vostro Paese, non avete mancato di sottolineare la grave crisi dei valori morali che colpisce alcuni settori della popolazione. Certamente voi non trascurate la reale e profonda bontà che caratterizza oggi la vostra gente - per quanto riguarda le condizioni di vita, i servizi sanitari, i programmi educativi, l'occupazione - e che è chiaramente manifestata nel loro amore per la giustizia, nel loro rispetto per la dignità e i diritti degli altri, nel loro attaccamento alla verità e nel loro senso di fratellanza e solidarietà specialmente verso i poveri e i bisognosi.

In qualità di pastori siete preoccupati per certi dissesti nella moralità pubblica e privata. Questo è indubbiamente un problema sul quale voi riflettete e pregate.

In questo contesto vorrei riferirmi a un punto di particolare interesse.

La cellula fondamentale della società e della Chiesa, la famiglia, è particolarmente influenzata dalle condizioni economiche, sociali, morali della società. Una sfida, che la Chiesa e l'umanità intera devono fronteggiare, è quella di difendere la famiglia contro quelle forze che indeboliscono progressivamente la sua stabilità e la sua efficacia nel servire la vita e l'amore.

Nel vostro Paese siete chiamati a chiarificare le linee dottrinali e pastorali del servizio della Chiesa a favore del matrimonio e della vita familiare. Ciò che l'esortazione apostolica "Familiaris Consortio" (FC 3) afferma in generale ha particolare significato nelle circostanze in cui si trovano le Filippine: "In un momento storico nel quale la famiglia è oggetto di numerose forze che cercano di distruggerla e in qualche modo di deformarla... la Chiesa si accorge in modo più urgente e incalzante della sua missione di proclamare il piano di Dio in favore del matrimonio e della famiglia, garantendo la loro piena vitalità e sviluppo umano e cristiano".

La società intera e quindi i cristiani singolarmente e collettivamente responsabili cittadini del loro Paese, e ancor di più se detengono pubblici incarichi, hanno il grave dovere di lavorare per la soluzione dei numerosi mali che assalgono la famiglia e le condizioni di lavoro, e l'assistenza ai poveri e ai più poveri. In questo campo la Chiesa come comunità di fede ha un ruolo specifico.

Il suo compito è di "evangelizzare" il matrimonio e la vita della famiglia, di proclamare il piano di Dio e aiutare i fedeli a condividere nel mistero della grazia di Dio l'amore, che è il cuore del matrimonio e della vita della famiglia.

In relazione al matrimonio, il Codice di diritto canonico sottolinea il bisogno per le giovani coppie di essere adeguatamente preparate a ricevere questo sacramento, e il bisogno di una celebrazione liturgica fruttuosa del matrimonio stesso (cfr. CIC 1063-1064). Un'abbondante letteratura e numerosi programmi di formazione per preti e catechisti mostrano che questa è veramente una priorità pastorale.

Forze che nel passato hanno operato contro la stabilità dello vita familiare sono oggi mescolate a fattori come per esempio l'alta percentuale di disoccupazione soprattutto tra i giovani, e dal fatto che centinaia di filippini sono costretti a cercare lavoro all'estero. La vostra gente fa inoltre esperienza dell'influenza di una cultura che è caratterizzata da un individualismo esagerato e da una mentalità consumistica che conduce a un'intolleranza pratica-materialistica verso valori etici e religiosi. Infatti, uno dei problemi frequentemente menzionati durante queste visite "ad limina" è stato quello della vasta e crescente ignoranza religiosa che conduce all'indifferenza e all'infiacchimento della risposta morale.

Nel difendere i valori del matrimonio e della vita della famiglia voi salvaguardate l'identità culturale del popolo filippino che è particolarmente caratterizzato da un amore speciale nei confronti dei bambini e dalla posizione e dal ruolo delle donne nella vita privata e pubblica. Sfortunatamente la dignità tradizionale delle donne è oggi spesso contraddetta dalle forme di sfruttamento che, oltre a degradare le loro vittime, minacciano il tessuto della vita sociale con la loro agevole penetrazione.

Come "mater et magistra", madre e maestra dei fedeli, la Chiesa nelle Filippine affronta questi problemi con un senso di urgenza e con la convinzione che la sua gente è assetata della parola di Dio e della voce unita dei suoi pastori. Forse senza rendersi conto, la vostra gente ripete nel suo cuore le parole di Pietro di fronte a Cristo: "Da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna" (Jn 6,68). Per questa ragione ho vivo interesse nel vostro progetto di "Bibbia per ogni famiglia".

Nelle vostre parrocchie e istituzioni educative, nei programmi di educazione per adulti, nei movimenti di vita spirituale e apostolica, nelle comunità cristiane di base che hanno una chiara identità ecclesiale, voi avete l'ossatura per una dinamica ed effettiva presentazione del messaggio di Cristo.

Tra i preti, i religiosi e i laici voi trovate eccellenti collaboratori nel compito di evangelizzazione e catechesi, nel quale la visione cristiana del matrimonio è un essenziale elemento.

Io posso solo incoraggiarvi nei vostri sforzi per illuminare le coscienze dei fedeli e dei capi della nazione di fronte ai pericoli inerenti a certe tendenze. Rispetto a ciò parlaste eloquentemente circa il rispetto della vita nella vostra lettera pastorale del 1984.




4. Due considerazioni finali sono chiuse nel mio cuore. La prima è il mio desiderio di esprimere il mio apprezzamento dello spirito e dell'aperta e generosa ospitalità con la quale avete accolto un grande numero di profughi dall'Asia sudorientale. Come principale nazione cattolica dell'Asia, voi non avete mancato nel dare un chiaro esempio di amore umano ed evangelico verso questi fratelli e sorelle che portano nei loro corpi la testimonianza di molte sofferenze e pene, che sono vittime di una tragedia umana ben conosciuta. In questo voi avete mostrato ancora una volta il vostro senso di fratellanza con gran parte della gente del continente asiatico.

Né posso dimenticare il magnifico contributo dato all'evangelizzazione dell'Asia da "Radio Veritas" servizio oltreoceano. Nel divulgare il Vangelo cristiano in varie lingue essa raggiunge popoli e culture assetati di questo messaggio e diventa uno stimolo di autentici valori umani e uno strumento di salvezza in Cristo nostro Signore.

Capisco che non mancano difficoltà di ogni genere, e sono grato a tutti quelli che, secondo la responsabilità di ognuno, sostengono l'utilizzazione valida ed effettiva di questo mezzo di evangelizzazione. Essi possono essere sicuri del mio apprezzamento personale e della gratitudine di coloro che nell'intimità delle loro case sono in grado di ricevere la luce del Vangelo. così è in particolare là dove "Radio Veritas" è l'unica voce della Chiesa che può essere ascoltata.


5. Miei fratelli vescovi, vi assicuro che tutte le vostre iniziative pastorali sono riflesse nella mia preghiera e nelle intenzioni del ministero apostolico che il Signore, per sua intenzione, ha affidato a me. Mio grande desiderio è di essere con voi e di confermarvi come testimoni viventi di Gesù Cristo. Il Concilio ci ricorda: "Nei vescovi... il nostro Signore Gesù Cristo, altissimo supremo sacerdote, è presente in mezzo a coloro che credono" (LG 21). Possa egli, che è la nostra forza, sostenervi in questa sublime ma difficile missione. E possa Maria, Madre della Chiesa, essere con voi per continuare l'opera di redenzione di suo Figlio!

Data: 1985-10-17 Data estesa: Giovedi 17 Ottobre 1985





Il saluto all'isola - Decimomannu (Cagliari)

Titolo: Partecipe delle vostre sofferenze e preoccupazioni

Signor ministro, signor presidente della Regione, signor presidente del Consiglio regionale, cari fratelli nell'episcopato, cari fratelli e sorelle della Sardegna!


1. Grande è la mia gioia per questo incontro. Sono venuto nella vostra luminosa e splendida terra di Sardegna mosso da quell'amore di pastore, che la grazia di Dio ha posto e alimenta nel mio cuore. Il Signore che - come dice il profeta Ezechiele (34,35-36) - conduce le sue pecore al pascolo e le fa riposare, va in cerca di quelle smarrite, fascia quelle ferite, e ha cura delle forti, pascendole con giustizia, mi ha concesso di venire tra voi per confortare la vostra fede e rinsaldare la vostra comunione. Ed io intendo con le mie parole e con la mia presenza testimoniarvi l'amore di Dio, che in Cristo suo unico figlio ci ha donato un vero fratello, un perenne amico, il quale si pone instancabilmente accanto a chi crede e spera, ama e soffre, lavora e gioisce.

Esprimo innanzitutto la mia riconoscenza a lei, monsignor Francesco Spanedda, che, in qualità di presidente della Conferenza episcopale sarda, ha interpretato i sentimenti della Chiesa che è in quest'isola. Sono parimenti grato al presidente della Giunta regionale e al presidente del Consiglio regionale per le cordiali parole di benvenuto che mi hanno rivolto a nome della nobile, semplice ed ospitale gente di Sardegna. Mi è gradito, poi, rivolgermi a lei, signor ministro, che ringrazio per il cortese indirizzo rivoltomi a nome anche del presidente della Repubblica italiana e del governo e, con lei, saluto tutte le autorità civili e militari, incoraggiandole nel loro impegno per la promozione del bene comune e per la soluzione dei problemi che travagliano la Sardegna.

Nel momento in cui mi è dato di iniziare la visita in quest'isola, ricevete voi tutti, carissimi fratelli e sorelle della Sardegna, il saluto che volentieri vi rivolgo, mentre rendo grazie a Dio per questo incontro. A voi tutti, cari figli e figlie di quest'isola, nobile e forte, laboriosa e fiera, va il mio affettuoso pensiero, che vuole essere partecipe delle vostre sofferenze e delle vostre gioie; delle vostre preoccupazioni e delle vostre attese.


2. Desidero testimoniarvi innanzitutto la mia stima per il vostro naturale e profondo spirito religioso, che ha avuto come frutto significativo il succedersi, nel tempo, di martiri e di santi, e ha anche oggi, come frutto della fede cristiana accolta e vissuta, il prosperare di comunità di uomini e donne solidali, generosi, laboriosi e ricchi di pietà. Ed è proprio in questo vostro fondarvi, come singoli e come comunità, sui valori propri del Vangelo che saranno sempre più vinti i condizionamenti dovuti al fatto di abitare in un'isola la cui storia è stata frequentemente un susseguirsi di prove e di sofferenze.

Come può vivere con un respiro ampio chi abita in un luogo ricco si di una cultura tipica in cui si sono amalgamate le civiltà venute lungo i secoli dall'esterno, ma tuttavia relativamente ristretto? Come è possibile dilatare i confini della vostra terra e, soprattutto, quelli del vostro cuore? Tenendo presente, in primo luogo, che le barriere vere della vita non sono i limiti geografici, segnati dai monti o dal mare, né sono le fatiche del cuore angustiato dai dolori, ma l'egoismo e il calcolo, che spingono ad affermare gli interessi personali fino a danneggiare il prossimo e a rifiutare una corretta socialità, guidata da giuste leggi. In secondo luogo, non cedendo all'inclinazione dell'odio e della vendetta, ma dissolvendo tali impulsi negativi nella carità di Dio, sorgente vitale di ogni virtù e forza immensa e infinita per le opere dell'uomo.


3. L'amore è sollecito e senza confini. In una terra come la vostra, dove ha gran parte la cultura agro-pastorale, è più facilmente comprensibile che altrove la descrizione del Buon Pastore, con la quale Gesù ha manifestato la sua tenerezza verso chiunque è provato dalla debolezza o dal bisogno. Con immagini e termini vibranti di sentimento egli ha mostrato di essere profondamente buono, pieno di compassione per l'uomo che ha deviato, e lieto di perdonarlo.

L'esempio di Cristo impegna ogni credente a chinarsi verso qualsiasi fratello - soprattutto se debole o abbandonato - con la stessa cura con cui il pastore della parabola ha ricercato la pecora smarrita. Vale per ciascuno la parola di san Paolo: "Rivestitevi, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; portando gli uni i pesi degli altri e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi" (Col 3,12-13).


4. L'amore è offerta: l'offerta di se stessi a Dio, che per primo ha preso l'iniziativa di venire incontro all'uomo e di colmare la sua solitudine, e offerta di se stessi al prossimo, nel quale la fede fa cogliere il riverbero del mistero dell'essere di Dio Trinità, "societas dilectionis" (S. Aug., "De Trinitate", 4,9), a immagine e somiglianza del quale siamo fatti. Per questo la nostra vita, che partecipa dell'amore infinito, deve necessariamente svolgersi percorrendo la stessa strada misteriosa di Dio che si è donato all'uomo e continua ad essergli accanto.

Che il Signore doni a tutti di vivere della carità, di farla abitare in questa nobile e umanissima terra, che tante prove di eroica vita cristiana ha saputo offrire nel corso dei secoli.

La Vergine santa, che voi onorate sotto il titolo di Nostra Signora di Bonaria, ispiri sempre i vostri pensieri e le vostre azioni, vi conceda la sua fede ardente e incrollabile. Riconoscerete così, in tutte le circostanze della vita, la pacificante presenza di Dio, come l'ha colta lei stessa nella consuetudine quotidiana con Gesù, nella semplice vita di Nazaret, fatta di lavoro e di dialogo, di fatica e di preghiera. Maria santissima protegga la Sardegna anche nel suo vigoroso sforzo di ripresa economica, di progresso sociale e di lavoro per tutti nella concordia e nella pace.

E' l'augurio che nasce da nn cuore che in questi tre giorni vuole incontrarsi col cuore di tutti gli abitanti della Sardegna per dire una parola di conforto e di incoraggiamento, che si radica nelle certezze di quella fede che è iscritta nelle tradizioni secolari di questa terra, circondata dal mare.

Voglio ancora riferirmi alla persona del signor presidente della Repubblica, che è vostro conterraneo. Ieri mi ha assicurato, telefonandomi, che durante questa mia visita pastorale avrebbe cercato di essere particolarmente vicino a tutti noi. Ringrazio il signor presidente, ringrazio tutti i sardi. Che il Signore benedica questa visita di tre giorni e tutti noi, visitatori e visitati.

Data: 1985-10-18 Data estesa: Venerdi 18 Ottobre 1985






GPII 1985 Insegnamenti - Al Congresso mondiale sulla pastorale dell'emigrazione - Città del Vaticano (Roma)