GPII 1986 Insegnamenti - Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Il Natale diventi per noi la vera Epifania di Dio



1. "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo" (Ep 1,3), preghiamo oggi con le parole della Lettera agli Efesini.

Sia benedetto, perché / "ci ha benedetti con ogni benedizione / spirituale nei cieli, in Cristo. / In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo... / predestinandoci a essere suoi figli adottivi / per opera di Gesù Cristo" (Ep 1,3-5).


2. Riuniti per la preghiera dell'"Angelus", desideriamo meditare ancora una volta il mistero gioioso del Natale.

Questo è l'eterno mistero in Dio: l'eterno generare. Il Padre e il Verbo: il Figlio della stessa sostanza del Padre. Il Padre e il Figlio uniti nello Spirito Santo.

Questo è il mistero di Betlemme, nella storia dell'umanità: la nascita del Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo dalla Vergine. "La Vergine si chiamava Maria" (Lc 1,27).

Questo è, inoltre, il mistero interiore dell'uomo: Dio nasce quale Uomo, affinché l'uomo possa nascere, mediante la grazia, come "figlio adottivo" di Dio.

Il tempo di Natale ci avvicina a questo triplice mistero: questo triplice, nascere, che costituisce il centro stesso della Buona Novella e insieme della nostra esistenza cristiana.


3. Ci uniamo alla Madre di Dio nella contemplazione di queste "grandi opere di Dio" (cfr. Ac 2,11).

E preghiamo: perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, ci dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui (cfr. Ep 1,17).

Preghiamo: perché Egli illumini gli occhi della nostra mente per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati, affinché vediamo quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi (cfr. Ep 1,18).

E' indispensabile che questi occhi della nostra mente siano illuminati affinché il Natale diventi per noi la vera Epifania di Dio.

Così come lo fu per i pastori, per i Magi dell'oriente, per Simeone e Anna, per Giovanni Battista, per gli Apostoli: il tesoro di gloria racchiuso nella sua eredità fra i santi!

Data: 1986-01-05 Domenica 5 Gennaio 1986




Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

I Magi ci sono di esempio per la ricerca della verità



1. "Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo" (Mt 2,2).

Sono le parole, con cui i Magi, giunti da oriente a Gerusalemme, chiedono informazioni sul "re dei Giudei che è nato"; sono le parole che anche noi ripetiamo oggi, nella solennità dell'Epifania del Signore, della manifestazione, cioè, di Gesù come Messia, Figlio di Dio e Salvatore, ai popoli che vivevano nelle tenebre del paganesimo.

Desideriamo esprimere sincero compiacimento per il fatto che tale festività, così cara alla pietà del popolo cristiano, sia stata ripristinata in Italia, dando così ai fedeli la possibilità di celebrarla in maniera ancor più piena e serena nei suoi autentici contenuti religiosi e liturgici.

I Magi, rappresentanti dei popoli pagani, sono di esempio per la nostra ricerca di Dio: essi infatti ne colgono la silenziosa presenza nei segni della creazione; per trovare la Verità, che avevano soltanto intravista, si incamminano per un viaggio carico di incognite e di rischi; il loro itinerario si conclude in una scoperta e in un atto di profonda adorazione, rivolto al Bambino Gesù, che essi vedono insieme con sua Madre. Gli offrono i loro tesori, ricevendo in cambio il dono inestimabile della fede e della gioia cristiana.

I Magi ci siano di guida perché il nostro quotidiano cammino abbia sempre come meta e come traguardo Gesù, eterno Figlio di Dio, e, nel tempo, Figlio di Maria.


2. Questo pomeriggio, nella Basilica di San Pietro procedero alla Ordinazione episcopale di sette nuovi Vescovi, provenienti da varie parti del mondo. E' un importante e significativo avvenimento ecclesiale.

Chiedo a tutti voi, presenti in questa piazza, e a tutti coloro che mi ascoltano, di unirsi alla mia intensa preghiera per gli Ordinandi e per le Chiese e le particolari missioni, che saranno affidate alle loro cure e sollecitudini pastorali.

Data: 1986-01-06 Lunedi 6 Gennaio 1986




Omelia per l'ordinazione di sette nuovi vescovi nella Basilica Vaticana - Città del Vaticano (Roma)

Anche in voi si realizza il mistero dell'Epifania. Guidate nella fede i vostri fratelli e sorelle



1. "Per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero" (Ep 3,3).

La Chiesa si richiama a queste parole dell'Apostolo nella Lettera agli Efesini, per mettere in evidenza il significato dell'odierna solennità.

Questa, infatti, fin dai tempi più remoti, si chiama "Epifania".

Vogliamo venerare oggi la Grazia di Dio, che conduce gli uomini alla fede. Nella fede è "fatto conoscere" all'uomo il Mistero. All'uomo esso viene, in un certo senso, interiormente "mostrato"; così come, un giorno, è stato "mostrato" a Saulo di Tarso sulla strada di Damasco. Per questo egli è diventato un particolare testimone della conversione alla fede, come egli stesso attesta nella II Lettura odierna: "Penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio a me affidato a vostro beneficio" (Ep 3,2).

L'Apostolo rende testimonianza alla grazia dell'Epifania. E la Chiesa si richiama alle sue parole, perché in questa testimonianza possano ritrovarsi tutti coloro che mediante la fede "sono chiamati in Cristo Gesù... ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo" (Ep 3,6).

L'Apostolo sottolinea che qui si tratta dei "Gentili", cioè di coloro che sono venuti alla fede ed alla Chiesa dal di fuori del popolo di Israele.


2. I Magi, che vengono dall'Oriente, sono il primo annuncio profetico di tutti costoro. Nelle loro persone la Chiesa manifesta l'universalità della sua missione:. di quella missione che ha ricevuto da Cristo, nato a Betlemme, Crocifisso e Risorto.

I Magi dall'Oriente per primi hanno seguito la rivelazione. Per primi si sono avvicinati al mistero di quella eredità, che Dio ha offerto agli uomini in Gesù Cristo, nell'Incarnazione del suo Eterno Figlio.

Si sono avvicinati a questo mistero che "è stato rivelato per mezzo dello Spirito", prima ancora che fosse rivelato agli apostoli, prima che venisse fatto conoscere il Vangelo quale via che conduce alla fede. In loro ormai trova la sua espressione una "pre-evangelizzazione": quell'ampia e molteplice preparazione delle anime che è opera anch'essa dello Spirito Santo.

Tale è il significato simbolico di quella stella, che i Magi hanno seguito verso Gerusalemme.


3. Nel giorno dell'Epifania la liturgia della Chiesa ci conduce verso Gerusalemme.

Si concentra su di essa, su quella Gerusalemme che è diventata "la città di un grande re", anche se incapace di rendersi consapevole che quel re è già nato, che è già in mezzo al suo popolo eletto, al Popolo dell'Alleanza.

Tuttavia, la Gerusalemme dell'Epifania non è soltanto la Gerusalemme di Erode. E', in pari tempo, la Gerusalemme dei Profeti.

Vi sono in essa le testimonianze di coloro che, sotto l'influsso dello Spirito Santo, hanno preannunziato da secoli il mistero.

Vi è la testimonianza di Michea sulla natività del re messianico a Betlemme.

Vi è soprattutto la testimonianza di Isaia. Una veramente singolare testimonianza dell'Epifania: "Alzati, rivestiti di luce (Gerusalemme), perché viene / la tua luce, / la gloria del Signore brilla sopra di te. / Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, / nebbia fitta avvolge le nazioni: / ma su di te risplende il Signore / la sua gloria appare su di te" (Is 60,1-2).

E' davvero difficile trovare parole che meglio di queste rendano la realtà dell'Epifania; ed è difficile trovare parole che meglio di queste rendano testimonianza su ciò che significa la venuta dei Magi; quale inizio si adombra nel loro accesso al mistero dell'incarnazione del Verbo. Il profeta dice, rivolgendosi sempre a Gerusalemme: "Cammineranno i popoli alla tua luce, / i re allo splendore del tuo sorgere. / Alza gli occhi intorno e guarda: / tutti costoro si sono radunati, vengono a te. / I tuoi figli vengono da lontano; / le tue figlie sono portate in braccio" (Is 60,3-5).


4. Si. Da lontano. Da qualsiasi luogo. Isaia, profeta dell'Antica Alleanza, è veramente il "quinto evangelista". Veramente nelle sue parole già risuona l'invito di Cristo: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni..." (Mt 28,19). Tutti, infatti, "sono partecipi della promessa per mezzo del Vangelo". Tutti "sono chiamati a partecipare alla stessa eredità, e a formare lo stesso corpo..." (cfr. Ep 3,6).

Gerusalemme diventa simbolo della chiamata universale alla fede, alla Grazia.


5. Cari fratelli, che nel giorno dell'Epifania ricevete l'ordinazione episcopale nella Basilica di San Pietro, apritevi profondamente all'eloquente significato della solennità odierna.

Anche in voi si realizza il mistero dell'Epifania. Si realizza in modo particolare.

Voi siete gli eredi di coloro che, seguendo la luce della stella, hanno riconosciuto la Nuova Alleanza di Dio con l'umanità, compiuta in Cristo nato dalla Vergine Maria. In Cristo Crocifisso e Risorto.

Unitevi al loro corteo. Portate, come i Magi, i doni: le "risorse delle nazioni" a cui appartenete, le risorse presenti nelle loro culture e tradizioni, nelle loro esperienze: nelle loro gioie e nelle loro sofferenze.

E' in virtù di questi doni che si "allarga il cuore" di Gerusalemme, il cuore della Chiesa che è Corpo di Cristo.

E al tempo stesso, proseguendo in questo corteo, voi stessi - in virtù della consacrazione episcopale - dovete guidare nella fede i vostri fratelli e sorelle. Dovete condurre a Cristo i nuovi discepoli.

La consacrazione episcopale mediante l'imposizione delle mani apostoliche è un grande giorno per la nostra vita, cari fratelli.

Come Vescovo di Roma e Successore di San Pietro vi saluto, quasi sulla soglia della Gerusalemme messianica, insieme con tutti coloro che qui si sono riuniti e vi auguro "che andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Jn 15,16). Tutti chiediamo per voi la luce e la potenza dello Spirito Santo, contenute nell'eredità dell'Epifania di Dio.

Data: 1986-01-06 Lunedi 6 Gennaio 1986




Per la XXIII Giornata per le vocazioni: Essere comunità vive, oranti e missionarie - 6 janv. 1986



Venerati fratelli nell'episcopato, carissimi fratelli e sorelle di tutto il mondo! E' per me motivo di profonda gioia e di grande speranza rivolgere a tutto il popolo di Dio uno speciale messaggio per la XXIII Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che verrà celebrata, come di consueto, nella IV domenica di Pasqua, dedicata al Buon Pastore. E' questa un'occasione privilegiata per renderci consapevoli della nostra responsabilità di collaborare, mediante la preghiera perseverante e l'azione concorde, alla promozione delle vocazioni sacerdotali, diaconali, religiose maschili e femminili, consacrate negli istituti secolari, missionarie.

A vent'anni dal Concilio


1. Sul tema delle vocazioni il Concilio Vaticano II ci ha offerto un ricchissimo patrimonio dottrinale, spirituale, pastorale. In sintonia con la sua approfondita visione della Chiesa ha affermato solennemente che il dovere di dare incremento alle vocazioni "appartiene a tutta la comunità cristiana" (OT 2). A vent'anni di distanza la Chiesa si sente chiamata a verificare la fedeltà a questa grande idea-madre del Concilio in vista di un ulteriore impegno.

Al riguardo si avverte senza dubbio una generale crescita del senso di responsabilità all'interno delle varie comunità. Nonostante i problemi, le sfide, le difficoltà dell'ultimo ventennio, crescono continuamente i giovani che ascoltano gli appelli del Signore e in ogni parte del mondo si fanno sempre più tangibili i segni di ripresa, che preannunciano una nuova primavera delle vocazioni.

Tutto ciò riempie noi tutti di grande conforto e non cessiamo di ringraziare Dio per la risposta alla preghiera della Chiesa. Tuttavia i frutti voluti dal Concilio, anche se abbondanti, non sono giunti a completa maturazione.

Molto si è fatto, ma moltissimo resta da fare. Per questa circostanza è mio desiderio far convergere l'attenzione del popolo di Dio particolarmente sui compiti specifici delle comunità parrocchiali, dalle quali il Concilio si attende, insieme all'apporto della famiglia, il "massimo contributo" per l'incremento delle vocazioni.

La comunità parrocchiale rivela la presenza di Cristo che chiama


2. Il mio pensiero affettuoso si rivolge perciò a tutte e singole le comunità parrocchiali del mondo: piccole o grandi, situate in grandi centri urbani o disperse nei luoghi più difficili, esse "rappresentano in un certo modo la Chiesa stabilita su tutta la terra" (SC 42).

E' noto che il Concilio ha confermato la formula parrocchiale come espressione normale e primaria, anche se non esclusiva, della cura pastorale delle anime (cfr. AA 10). Pertanto la cura delle vocazioni non può essere considerata un'attività marginale, ma deve inserirsi pienamente nella vita e nelle attività della comunità. Tale impegno è reso ancor più impellente a motivo delle crescenti necessità del tempo presente.

Il pensiero corre immediatamente alle tante comunità parrocchiali, che i vescovi sono costretti a lasciare senza pastori, tanto che è sempre attuale il lamento del Signore: "La messe è abbondante ma gli operai sono pochi!" (Mt 9,37).

La Chiesa ha immenso bisogno di sacerdoti. E' questa una delle urgenze più gravi che interpellano le comunità cristiane. Gesù non ha voluto una Chiesa senza sacerdoti. Se mancano i sacerdoti, manca Gesù nel mondo, manca la sua Eucaristia, manca il suo perdono. Per la propria missione la Chiesa ha anche immenso bisogno della molteplicità delle altre vocazioni consacrate.

Il popolo cristiano non può accettare con passività e indifferenza il declino delle vocazioni. Le vocazioni sono il futuro della Chiesa. Una comunità povera di vocazioni impoverisce tutta la Chiesa; al contrario una comunità ricca di vocazioni è una ricchezza per tutta la Chiesa.

Particolari responsabilità dei pastori


3. La comunità parrocchiale non è una realtà astratta, ma è costituita da tutti i componenti: laici, persone consacrate, diaconi, presbiteri; essa è il luogo naturale delle famiglie, delle autentiche comunità di base, dei vari movimenti, gruppi e associazioni. Nessuno può stare assente da un compito così importante.

Sono da incoraggiare tutte le iniziative, promosse in diversi paesi, con lo scopo di coinvolgere nel problema le parrocchie, quali le commissioni o centri parrocchiali per le vocazioni, specifiche attività catechetiche, gruppi vocazionali e simili. Tuttavia se il popolo di Dio è chiamato a collaborare alla crescita delle vocazioni, ciò non sminuisce la specifica responsabilità di coloro che svolgono particolari ministeri: i parroci e i loro collaboratori nella cura d'anime, uniti al vescovo, sono i continuatori autentici della missione di Gesù, buon pastore, che offre la vita per le sue pecore, le conosce e "le chiama ciascuna per nome" (Jn 10,4). Tutti dobbiamo sentirci riconoscenti verso questi infaticabili operai del Vangelo, che testimoniano la paternità di Dio per ogni uomo.

Il Concilio riconosce il valore insostituibile del servizio dei presbiteri e afferma espressamente che la cura delle vocazioni è una "funzione che fa parte della stessa missione sacerdotale" (PO 11).

Grazie all'esempio e alla parola di tanti suoi ministri, Cristo ha bussato al cuore di molti giovani e meno giovani, ottenendo nel corso della storia risposte generose di apostoli e di santi. I sacerdoti hanno avuto sempre un ruolo importante per le vocazioni.

Irradiate perciò il vostro sacerdozio, carissimi confratelli nel presbiterato, perché non manchino mai i continuatori del ministero che vi è stato affidato. Siate maestri di preghiera e non trascurate il prezioso servizio della direzione spirituale per aiutare i chiamati a discernere la volontà di Dio nei loro riguardi. Conto molto su di voi per una crescente fioritura di vocazioni! Non dimenticate che il frutto migliore del vostro apostolato e la gioia più grande della vostra vita saranno le vocazioni consacrate, che Dio susciterà mediante la vostra fervente azione pastorale.

Le condizioni per un'efficace fecondità vocazionale


4. Mi rivolgo ora a voi, carissimi fratelli e sorelle, per presentarvi alcune mete essenziali e alcuni punti fondamentali, mediante i quali la vostra comunità potrà diventare valido strumento delle chiamate di Dio.

- Siate una comunità viva! E' un punto ribadito con vigore dal Concilio: una comunità promuove le vocazioni "anzitutto con una vita perfettamente cristiana" (OT 2). Non mi stanchero di ripetere, come ho fatto in varie occasioni, che le vocazioni sono il segno irrefutabile della vitalità di una comunità ecclesiale. Chi infatti può negare che la fecondità sia una delle caratteristiche più manifeste dell'essere vivente? Una comunità senza vocazioni è come una famiglia senza figli. In tal caso non temiamo che la nostra comunità abbia poco amore per il Signore e per la sua Chiesa? - Siate una comunità orante! Bisogna convincersi che le vocazioni sono il dono inestimabile di Dio a una comunità in preghiera. Il Signore Gesù ci ha dato l'esempio quando ha chiamato gli apostoli (cfr. Lc 6,12) e ha comandato espressamente di pregare "il Padrone della messe che mandi operai per la sua messe" (Mt 9,38). Per questo scopo dobbiamo pregare tutti, dobbiamo pregare sempre e alla preghiera dobbiamo unire la collaborazione operosa. L'Eucaristia, fonte, centro e culmine della vita cristiana, sia il centro vitale della comunità che prega per le vocazioni. Gli infermi e tutti i sofferenti nel corpo e nello spirito sappiano che la loro preghiera, unita alla croce di Cristo, è la forza più potente di apostolato vocazionale. - Siate una comunità che chiama! Spesso e in ogni parte del mondo i giovani mi rivolgono domande sulla vocazione, sul sacerdozio, sulla vita consacrata. Ciò è indice di grande interesse per il problema, ma denota pure il bisogno di evangelizzazione e di catechesi specifica. Nessuno per colpa nostra ignori ciò che deve sapere per realizzare il piano di Dio. Non è sufficiente un annuncio generico della vocazione perché sorgano vocazioni consacrate. Data la loro originalità, queste chiamate esigono un appello esplicito e personale. E' il metodo usato da Gesù. Nella mia lettera apostolica "Ai giovani e alle giovani del mondo", in occasione dell'Anno internazionale della gioventù, ho cercato di mettere in rilievo questo punto. Il colloquio di Cristo con i giovani si conclude con l'esplicito invito alla sua sequela: da una vita secondo i comandamenti all'aspirazione a un "qualcosa di più", mediante il servizio sacerdotale o la vita consacrata. Vi esorto perciò a rendere attuali per il mondo d'oggi gli appelli del Salvatore, passando da una pastorale d'attesa a una pastorale di proposta. Questo vale non solo per i sacerdoti in cura d'anime, per le persone consacrate e per i responsabili delle vocazioni a ogni livello; ma ha valore anche per i genitori, i catechisti e gli altri educatori della fede. Ogni comunità ha questa certezza: il Signore non cessa di chiamare! Ma ha anche un'altra certezza: egli vuole avere bisogno di noi per far giungere le sue chiamate.

- Siate una comunità missionaria! In una Chiesa tutta missionaria, ogni comunità coinvolge le sue forze per annunciare Cristo anzitutto nell'ambito della propria realtà locale, pur senza chiudersi solo su se stessa e i propri confini.

L'amore di Dio non si arresta alle frontiere del proprio territorio, ma le valica per raggiungere i fratelli di altre comunità lontane. Il Vangelo di Gesù deve conquistare il mondo! Di fronte alle gravi necessità dell'uomo d'oggi, davanti alle pressanti richieste di poter disporre di altri missionari, molti giovani avvertiranno la chiamata di Dio a lasciare il proprio paese per recarsi dove più urgenti sono le necessità. Non mancherà chi risponderà generosamente come il profeta Isaia: "Eccomi, Signore, manda me!" (Is 6,8).

Preghiera


5. A conclusione di queste riflessioni, nella fiducia che la prossima Giornata mondiale costituisca un'occasione favorevole perché ogni comunità cresca nella fede e nell'impegno vocazionale, invito tutti a unirsi in questa preghiera: O Gesù, buon pastore, suscita in tutte le comunità parrocchiali sacerdoti e diaconi, religiosi e religiose, laici consacrati e missionari, secondo le necessità del mondo intero, che tu ami e vuoi salvare.

Ti affidiamo in particolare la nostra comunità; crea in noi il clima spirituale dei primi cristiani, perché possiamo essere un cenacolo di preghiera in amorosa accoglienza dello Spirito Santo e dei suoi doni.

Assisti i nostri pastori e tutte le persone consacrate. Guida i passi di coloro che hanno accolto generosamente la tua chiamata e si preparano agli ordini sacri o alla professione dei consigli evangelici.

Volgi il tuo sguardo d'amore verso tanti giovani ben disposti e chiamali alla tua sequela. Aiutali a comprendere che solo in te possono realizzare pienamente se stessi. Nell'affidare questi grandi interessi del tuo Cuore alla potente intercessione di Maria, madre e modello di tutte le vocazioni, ti supplichiamo di sostenere la nostra fede nella certezza che il Padre esaudirà ciò che tu stesso hai comandato di chiedere. Amen.Con questi voti ben volentieri vi imparto la propiziatrice benedizione apostolica.

Data: 1986-01-06 Lunedi 6 Gennaio 1986




A vari gruppi - Città del Vaticano (Roma)

In occasione di ordinazioni episcopali


[A pellegrini statunitensi:] "Pace a tutti voi che siete in Cristo" (1P 9,14).

Con queste parole dell'apostolo Pietro, estendo un benvenuto di gioia al nuovo vescovo e ai rappresentanti del clero, religiosi e laici dell'arcidiocesi di Seattle, guidate dall'arcivescovo Hunthausen. Saluto inoltre tutti gli altri che circondano il nuovo vescovo, la sua famiglia, i suoi amici da Pittsburg che gli offrono la loro solidarietà e lo sostengono con le preghiere.

Ciò che oggi noi celebriamo è il mistero dell'episcopato, quella grande realtà di umile servizio pastorale rappresentato nel nome e dall'autorità di Gesù Cristo dai vescovi della Chiesa di ogni generazione. Cristo chiama lei vescovo Wuerl; a questo speciale servizio e la Chiesa manda lei incontro a questa parte del popolo santo di Dio a collaborare con l'arcivescovo per il bene del gregge.

La sua vita e la sua identità come vescovo sarà riempita dall'attività evangelizzatrice del proclamare Gesù Cristo e la vita che egli offre al mondo. La priorità del vostro mistero sarà nelle parole proprie di Cristo: "Devo annunciare la buona novella del regno di Dio perché questo è ciò per cui sono mandato" (Lc 4,43). Il Signore l'ha preparata a questo ministero apostolico e l'assisterà con la sua grazia. La Chiesa conosce la sua carità e il suo zelo e le sue attività sacerdotali. Richiamo la sua devota collaborazione con il cardinal Wright e il suo servizio alla Santa Sede così come il suo lavoro zelante a beneficio dei seminari degli Stati Uniti. E ora con fiducia in Cristo il Dio pastore continui a lavorare generosamente per i cristiani di Seattle.

Insieme all'arcivescovo Hunthausen e l'intera comunità ecclesiale, possa trovare energia, gioia e sostegno nell'unità con il Vescovo di Roma e con l'intero collegio dei vescovi. Le assicuro il mio affetto in Cristo Gesù nostro Signore.

[Ai fedeli della Thailandia:] Cari amici, l'intera Chiesa in Thailandia gioisce per l'ordinazione all'episcopato del suo figlio e fratello John Bosco Manat Chuabsamai che è stato scelto come vescovo di Ratchaburi. Sono felice di salutare voi che siete qui a Roma per questo evento gioioso. Desidero esprimere attraverso voi la mia spirituale vicinanza a tutto il popolo della vostra amata patria.

Ho un chiaro ricordo della mia visita breve ma significativa in Thailandia nel maggio del 1984. In quell'occasione fui il destinatario delle squisite cortesie e ospitalità del popolo Thai. Ho avuto modo di apprezzare di prima mano le particolari provocazioni del pregare col Vangelo e vivere la vita cristiana al centro della vostra vita culturale e nazionale. Siate assicurati dalle mie preghiere per tutto il popolo di Dio in Thailandia perché possiate continuare a testimoniare Cristo.

Prego specialmente perché il Signore benedica le Chiese locali con vocazioni sacerdotali, una preghiera che il nuovo vescovo di Ratchaburi che si è occupato molto nella preparazione dei candidati al sacerdozio si unisce a me nell'offerta al nostro amato e misericordioso Dio. A ciascuno di voi imparto la mia benedizione apostolica che estendo alle vostre famiglie e ai vostri cari in Thailandia.

Data: 1986-01-07 Martedi 7 Gennaio 1986




Al Corpo diplomatico - Città del Vaticano (Roma)

Strategia globale della pace


Eccellenze, signore, signori.


1. Il vostro decano, sua eccellenza il signor Joseph Amichia, si è fatto interprete dei vostri sentimenti deferenti e dei vostri auguri all'inizio del nuovo anno. E lo ha fatto con il tono caloroso, la libertà di spirito, la precisione e la profondità che noi gli riconosciamo e che apprezziamo. Io lo ringrazio vivamente di questo indirizzo che fa onore al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede: al di là di un omaggio generoso alla chiesa e di un'attenta osservazione dei problemi che sorgono nel mondo, esso costituisce una testimonianza di ciò che voi potete percepire dell'azione della Santa Sede o delle sue intenzioni. Sono lieto di salutare ciascun ambasciatore qui presente, prima di incontrarli personalmente alla fine di questa udienza. Auguro un particolare benvenuto a coloro che si trovano per la prima volta in questa assemblea, avendo assunto il loro incarico nel corso di quest'anno. Alcuni paesi hanno inaugurato o inaugureranno fra breve la loro prima missione diplomatica presso la Santa Sede: Santa-Lucia, il Nepal, lo Zimbabwe, il Liechtenstein.Saluto cordialmente le consorti dei capi missione, così come i membri delle ambasciate e le loro famiglie. E invio i miei auguri a ognuno dei paesi che voi rappresentate.


2. La pace! L'Organizzazione delle Nazioni Unite ha scelto questo tema per questo anno 1986. La Santa Sede se ne rallegra ed è pronta a dare il suo contributo. Essa si augura che alla scelta di questo tema non seguano soltanto discussioni teoriche, o slogan lanciati qua e là. Ma spera che l'umanità progredisca veramente - a livello dei governanti, delle molteplici istanze responsabili, dell'opinione pubblica dei popoli, e direi soprattutto delle coscienze - nel desiderio di pace, nelle iniziative concrete di pace e, più profondamente, in una cultura della pace, in un'educazione alla pace. Oggi, prendendo come testimoni i rappresentanti qualificati di tante nazioni del mondo, vorrei incentrare la mia riflessione sulla necessità di allargare l'orizzonte della nostra ricerca della pace. Desidero incoraggiare i popoli ad aprirsi ai problemi degli altri, a prendere maggiore coscienza della loro interdipendenza e a vegliare su una solidarietà senza frontiere. Dicevo nel messaggio per la giornata della pace di questo 1° gennaio: "Tutte le nazioni del mondo possono realizzare pienamente i loro connessi destini solo se, insieme, perseguono la pace come valore universale".

Si, la promozione della pace, di una pace giusta e durevole, comporta esigenze di universalità almeno nei tre punti che orienteranno l'andamento di questa allocuzione. I veri uomini di pace considerano che la pace debba essere ricercata per tutti e per ciascuno dei membri dell'unica famiglia umana, e non vogliono rassegnarsi ai conflitti locali. Ancor più, la pace richiede la coscienza di una responsabilità comune e di una collaborazione solidale sempre più estesa, a livello regionale, continentale, del mondo nel suo insieme, al di là dei blocchi o degli egoismi collettivi. Infine, la pace deve fondarsi dovunque sulla giustizia e il rispetto dei diritti dell'uomo che si impone a tutti.


3. Il carattere globale della pace non vuole dire che si cerca solo di evitare i conflitti generalizzati. Dal 1945, se non ci sono state guerre mondiali, si sono potuti contare più di 130 conflitti locali, che hanno fatto più di 30 milioni di morti o di feriti, hanno causato danni enormi, distrutto alcuni paesi e che, in ogni modo, lasciano conseguenze gravi nelle coscienze, soprattutto delle nuove generazioni. Chi oserebbe rassegnarvisi? La pace, precisamente, riguarda tutti i paesi, tutti i gruppi umani; se la guerra colpisce questa o quella parte della famiglia umana, essa ferisce l'intera famiglia che non può rassegnarsi, con indifferenza, a un massacro fratricida. La famiglia umana è unica. Certo, oggi, con i mezzi di comunicazione sociale, tutti sono informati e possono provare compassione. Ma, al di là di una simpatia lontana, ogni dramma di guerra deve suscitare, unitamente a una preghiera per la pace, il desiderio di prestare assistenza, di proporre buoni uffici per placare la passione, spesso cieca, per dare avvio a soluzioni negoziate e, nel frattempo, la volontà di contribuire a soccorrere le vittime. Questo ruolo spetta principalmente all'Organizzazione delle Nazioni Unite, ma l'ONU stessa non ha autorità se non attraverso l'adesione e il sostegno attivo dei suoi membri. E' qui che si può misurare fino a che punto è necessario che tutti i paesi prendano a cuore la mancanza di pace di cui soffre questo o quel popolo.


4. Mi sia permesso di soffermarmi qui su vari paesi o regioni che vivono oggi conflitti o deplorevoli tensioni, che il vostro decano ha già ricordato altrove.

Noi pensiamo sempre al caro popolo libanese. Nuovi segni e recenti tentativi sottolineano il suo desiderio e la sua volontà di pace. Formulo con voi l'augurio che tale desiderio possa trovare la sua realizzazione senza tardare ancora, con l'apporto di tutti coloro che compongono la società libanese - garantendo l'onore, i diritti e le tradizioni specifiche degli uni e degli altri -, e con l'appoggio leale degli amici del Libano.

Consideriamo anche con tristezza il perdurare dei combattimenti mortali e disastrosi tra Iran e Iraq, sperando sempre che le parti trovino la via ragionevole per una giusta pace.

Riguardo al popolo afgano, ognuno sa in quali condizioni esso viva da sei anni, come del resto le Nazioni Unite lo hanno sottolineato a più riprese. Noi seguiamo con attenzione gli attuali tentativi che mirano a risolvere con giustizia il problema nella sua complessità. Possa questa speranza ancora fragile non essere delusa! La situazione della Cambogia, che è stata così drammatica, rimane penosa e difficile. La comunità internazionale è a buon diritto preoccupata di promuovere una soluzione che permetta al popolo cambogiano una vera indipendenza degna delle sue tradizioni culturali.

L'Africa del Sud continua a essere afflitta da sanguinosi conflitti razziali e lotte tribali. Il vostro decano ha insistito a ragione su questa calamità. La soluzione del problema dell'apartheid e l'instaurazione di un dialogo concreto tra le autorità di governo e i rappresentanti delle legittime aspirazioni popolari sono i mezzi indispensabili per ristabilire la giustizia e la concordia, eliminando la paura che provoca, oggi, tanti irrigidimenti. Bisogna allo stesso tempo evitare che i conflitti interni siano sfruttati da altri a discapito della giustizia e della pace. La comunità internazionale può e deve esercitare la sua influenza ai diversi livelli con i mezzi garantiti dal diritto, in senso costruttivo.

La situazione in Uganda, malgrado l'accordo siglato tra il governo e i rappresentanti dell'opposizione, è ancora caratterizzata da una profonda insicurezza. Rinnovo con tutto il cuore il mio appello del 22 dicembre scorso per la pace del popolo ugandese.

Il Ciad è ancora lontano dall'aver trovato una soluzione accettabile al problema cruciale dell'unità e dell'indipendenza nazionale. Malgrado i tentativi di mediazione, il perdurare dei conflitti interni, con ingerenze esterne, fa si che le popolazioni vivano un'interminabile sanguinosa tragedia, mentre l'insufficienza dello sviluppo economico e sociale li mantiene nella miseria.

Chi potrebbe disinteressarsi della sorte delle popolazioni etiopiche per le quali la guerra interna e gli esodi hanno accentuato il dramma fin troppo conosciuto della siccità, della fame e della mancanza di cure? A tutti questi drammi, si è aggiunto, il giorno di natale, il conflitto tra il Burkina Faso e il Mali, per questioni di confine; non si è verificato senza fare ben presto vittime e gravi danni. Noi vogliamo sperare che il cessate il fuoco concordato si prolunghi e che questi due paesi trovino un terreno di intesa per consacrare le loro energie e le loro scarse risorse al benessere dei loro popoli.

In America centrale, le prospettive di pacificazione rimangono ancora molto incerte. Le parti in conflitto non si sono impegnate - o non intendono impegnarsi - in una opzione effettiva per il dialogo come mezzo atto a determinare la soluzione dei problemi esistenti, sia a causa di una cattiva comprensione delle esigenze che comporta una vera democrazia, sia a ragione dell'intervento delle forze e delle potenze straniere nella realtà di questi paesi.

In alcuni paesi del continente latino-americano, assistiamo a un crudele aumento della guerriglia, che colpisce indiscriminatamente le istituzioni e le persone. Un tale ricorso alla violenza, come anche la tattica che consiste nel colpire alla cieca per uccidere, per impressionare e per instaurare la paura, meritano la condanna più ferma.

Si potrebbero senza dubbio citare altri esempi di conflitti, di guerriglie, di tensioni. Ricordandoli, non ho voluto evidentemente accentuare gli aspetti oscuri della situazione internazionale né alimentare ulteriori timori, né aggravare il peso delle prove umilianti di paesi che mi sono tutti cari, ma al contrario mostrare la mia sollecitudine per i loro popoli, manifestare comprensione e incoraggiamento per gli sforzi positivi dei loro governi, convinto che esiste dovunque una speranza di pace da cogliere e che ad un certo internazionalismo della violenza e della guerriglia, si deve opporre un internazionalismo di volontà di pace.

Precisamente - e questa è la seconda parte della mia riflessione - la pace è un valore senza frontiere, perché non può essere stabilita in modo giusto e durevole se non in una cooperazione estesa alla regione, al continente, all'insieme delle nazioni.


5. L'estensione della cooperazione non significa che siano trascurabili le diverse iniziative di pace che sono prese da alcune personalità, da alcune istanze, da alcuni governi, né che si debba aspettare un consenso globale di tutte le parti interessate per gettare le basi della pace. Al contrario, la soluzione di situazioni apparentemente inestricabili, di conflitti o di tensioni latenti proviene spesso da iniziative personali coraggiose, audaci, profetiche, che spezzano il ciclo sterile della violenza e dell'odio e che rinnovano realmente la problematica, dando avvio al dialogo e al negoziato in uno spirito di comprensione e rispettano l'onore di ogni parte. Le persone che operano in questo modo meriterebbero di essere chiamate, nel senso evangelico del termine "artefici di pace". L'originalità della loro azione non nasce da una posizione di forza, ma da una concezione umana realista della pace; essa può essere ispirata dall'amore, come diceva il Mahatma Gandhi.

Tuttavia la pace resterebbe purtroppo fragile e precaria se non fosse ricercata con tutti gli appartenenti della regione, tenendo conto dei diritti e dei doveri di ciascuno; se gli altri popoli della terra non si sentissero interessati e non si preoccupassero di incoraggiare e consolidare questa pace; se grandi potenze continuassero a interferire e anche ad opporsi ad una giusta pace, seguendo i propri interessi.

Così, la pace assume una dimensione universale, non soltanto perché esistono diverse sfere di interdipendenza tra i popoli, sul piano politico ed economico, ma anche in virtù di una considerazione più alta e più vasta dell'uguale dignità e dei destini comuni dei popoli che compongono l'unica famiglia umana. Si comprende difficilmente come la maggior parte delle situazioni di cui abbiamo parlato potranno trovare una giusta soluzione solo nei rapporti bilaterali o con accordi conclusi unicamente tra coloro che sono direttamente interessati dal conflitto. E allora è grande il rischio di giungere a situazioni di stallo o ad ingiustizie. Al contrario, un'intesa più vasta, la mediazione disinteressata o l'accordo di altre potenze possono offrire migliori garanzie.


6. La solidarietà estesa di cui abbiamo parlato prende corpo anche a livello dell'insieme dei paesi che hanno molti punti in comune per vicinanza geografica, l'affinità delle culture, la convergenza degli interessi, la condivisione delle responsabilità riguardo a realtà umane e fisiche di una dimensione più vasta degli stati e delle nazioni. La solidarietà continentale è oggi una tappa necessaria della solidarietà universale.

E' questo il caso, tra gli altri, del continente latino-americano. A Santo Domingo, il 12 ottobre 1984, quando ho inaugurato insieme ai miei fratelli del CELAM la novena di anni di preparazione per il quinto centenario dell'evangelizzazione, ho invitato i paesi interessati a riconoscersi nell'unità di una grande famiglia latino-americana, libera e prospera, fondata su un comune substrato culturale e religioso. Essi possono infatti poggiare su un dinamismo naturale segnato dal Vangelo per superare insieme le ingiustizie e gli egoismi di alcuni privilegiati, per eliminare la seduzione delle ideologie e rifiutare le vie della violenza, per evitare le rivalità tra le nazioni e le interferenze delle potenze straniere, per progredire nel rispetto dell'identità dei gruppi etnici e nella ricerca del bene di tutti.

Allo stesso modo, come dicevo alle autorità civili del Camerun e ai membri del corpo diplomatico, a Yaoundé, lo scorso 12 agosto, il continente africano deve essere rispettato e aiutato per il raggiungimento di un certo numero di obiettivi comuni ai quali il vostro decano ha dedicato una speciale attenzione: la vera indipendenza, una autonomia economica ben compresa, l'eliminazione delle guerriglie fratricide e il superamento delle rivalità etniche e regionaliste, la lotta contro la siccità e la fame, il rispetto dell'uomo, qualunque sia la sua razza, lo sviluppo dei valori umani e spirituali che sono propri delle nazioni africane. Ai vescovi europei riuniti in simposio, lo scorso 11 ottobre, ho avuto occasione di riparlare delle radici comuni del loro continente nella fede cristiana, della necessità di dissipare la nebbia che l'Europa ha lasciato estendersi sulle certezze metafisiche o sui riferimenti etici che avevano costituito la sua forza, al fine di continuare a dare al mondo la testimonianza dei valori che costituiscono il meglio della sua eredità. E' questo un servizio che richiede una sicura unità, un'effettiva solidarietà, tanto più difficili da realizzare in quanto la storia ha accentuato il carattere particolare di ogni cultura e di ogni tradizione. Non ci si può che rallegrare nel veder progredire questa solidarietà. Nell'Europa occidentale, la comunità economica comprende ormai 12 paesi che, su questo terreno, si impegnano ad aprire le loro frontiere. A Bruxelles, il 20 maggio scorso, nella sede delle istituzioni delle Comunità europee, ho elogiato i fondatori per non essersi rassegnati al frazionamento dell'Europa occidentale. Ma resta la grande frattura che separa i popoli dell'est e dell'ovest. Qualunque siano gli avvenimenti storici, politici o ideologici che l'hanno causata - in gran parte indipendentemente dalla volontà delle popolazioni -, essa rimane "inaccettabile per la coscienza nutrita da ideali umani e cristiani che hanno presieduto alla formazione del continente", come ho detto ai vescovi europei. Speriamo sempre che la continuazione del processo di Helsinki, che prevede quest'anno un'importante riunione a Vienna, permetterà di sviluppare soprattutto lo spirito di solidarietà reciproca, la comunicazione libera e feconda delle idee e delle persone e la cooperazione tra gli stati. Sul piano delle comunità cristiane, intendiamo conservare e sviluppare i nostri legami fraterni tra oriente e occidente, sulla scia dei santi Benedetto, Cirillo e Metodio.

Il nostro sguardo si estende evidentemente anche al grande continente asiatico, dove la diversità è senza dubbio più accentuata e le situazioni più complesse, poiché si tratta di paesi molto vasti, con antiche tradizioni molto caratteristiche, con alta densità di popolazione. I problemi umani che questi paesi devono risolvere sono ugualmente immensi e la chiesa guarda ai loro sforzi con simpatia. Ho avuto occasione di esprimerlo visitando il Giappone e fermandomi in Thailandia. E mi rallegro di essere ben presto accolto in India. Penso infine al grande mondo dell'Oceania, dove quest'anno visitero l'Australia e la Nuova Zelanda. Si, ogni continente ha i suoi problemi, il suo destino e le sue responsabilità di fronte a se stesso e all'insieme della famiglia umana. La pace mondiale presume che la coesione sia mantenuta da ciascuno di questi livelli, rispettando così la personalità di ogni popolo e la sua partecipazione responsabile. In questo senso, formulo i miei auguri affinché le associazioni politiche regionali o continentali sostengano questo processo di cooperazione e di pace. Penso soprattutto all'Organizzazione degli stati americani (OAS) e all'Organizzazione dell'unità africana (OUA).


7. La frattura di cui ho parlato tra l'est e l'ovest dell'Europa va molto al di là di questo continente. Sul piano dei sistemi politici, economici e ideologici, essa ha segnato profondamente i nostri ultimi quarant'anni e continua a polarizzare l'attenzione sui due blocchi, con le minacce di guerra e la corsa rovinosa e pericolosa verso la crescita abnorme degli armamenti. Una speranza nasce ogniqualvolta la tensione si allenta, il dialogo riprende, la fiducia si manifesta, si decide un processo di disarmo generale, equilibrato e controllato (cfr. il mio messaggio all'ONU, 14 ottobre 1985). L'incontro di Ginevra del novembre scorso tra i più alti rappresentanti degli Stati Uniti d'America e dell'Unione Sovietica ha costituito un passo interessante sul cammino obbligato del dialogo. Gli scambi reciproci di auguri agli stessi popoli in questo inizio d'anno portano una certa nota di umanità e di apertura. Ma queste nuove relazioni non porteranno la pace se - al di là dei gesti simbolici - non traducono una reale volontà di disarmo, senza allo stesso tempo continuare a coprire situazioni di ingiustizia. Come ha ben detto il vostro decano, il mondo attende con impazienza i frutti di questi incontri. In ogni caso, la nostra storia contemporanea non dovrebbe rimanere bloccata sulla polarizzazione est-ovest. Un certo numero di paesi - e a volte di grandi paesi - lo ha dimostrato scegliendo, anche se in misura diversa, e secondo modalità alquanto diverse, la via del non-allineamento. Posizione difficile, che non impedisce opportuni riavvicinamenti e anche accordi, e che non deve trascinare la solidarietà sui problemi umani essenziali, ma che può anche manifestare un modo di servire la pace nella prospettiva di superare l'opposizione dei blocchi.

E soprattutto, come non mi stanco di affermare, i rapporti nord-sud dovrebbero molto preoccupare tutti gli appartenenti alla famiglia umana, siano essi dell'est o dell'ovest. Si tratta qui di far fronte insieme, non più a una concorrenza sfrenata nella corsa agli armamenti, ma ai bisogni essenziali di un'immensa porzione dell'umanità. E' questo ciò che intendo quando, nel mio messaggio del 1° gennaio, parlo della pace come di "un valore senza frontiere nord-sud, est-ovest".


8. Il sottosviluppo è infatti una minaccia sempre crescente per la pace mondiale.

E' qui che deve manifestarsi sempre più la solidarietà tra tutte le nazioni.

Certo, nessun paese è risparmiato oggi da una qualche crisi economica, che porta con sé la piaga sociale della disoccupazione. Ma occorre guardare in faccia i bisogni primari dei paesi che attualmente non possono far fronte ai problemi quotidiani della nutrizione e della salute dei loro figli; è necessario comprendere le loro difficoltà per meglio educare i giovani in vista dell'avvenire, per meglio organizzare le loro strutture economiche e sociali nel rispetto dei valori autentici delle loro tradizioni. Sforzi di cooperazione, bilaterale o multilaterale, si susseguono; istanze internazionali cercano di far progredire i rapporti nord-sud nel quadro dell'UNCTAD o della Convenzione di Lomé, tanto è vero che si manifesta sempre più la necessità di un nuovo ordine economico internazionale in cui l'uomo sia veramente l'unità di misura dell'economia, come auspicavo nell'enciclica "Laborem Exercens". Ma le riforme non sono forse troppo lente o troppo timide per ridurre l'abisso socio-economico che si va creando? A tale proposito, il problema dell'indebitamento globale del terzo mondo e dei rapporti di dipendenza che esso crea, preoccupa tutti gli uomini di buona volontà, come ha opportunamente sottolineato sua eccellenza il signor Amichia. Al di là degli aspetti economici e monetari, è divenuto un problema di cooperazione e di etica economica. Bisogna a ogni costo uscire dalle situazioni inestricabili e dalle pressioni umilianti. Qui, come altrove, la giustizia e l'interesse di ognuno esigono che a livello mondiale la situazione sia esaminata nella sua globalità e in tutte le sue dimensioni (cfr. Messaggio all'ONU del 14 ottobre 1985).


9. La pace non è solo il frutto di una composizione amichevole, di una negoziazione, di una cooperazione solidale sempre più vasta. Più profondamente ancora, essa è un valore universale, perché deve poggiare ovunque sulla giustizia e il rispetto identico dei diritti dell'uomo che spettano a ciascuno. Le due esigenze vanno di pari passo: "iustitia et pax". E, come ricordava Pio XII: "Opus iustitiae pax: la pace è il frutto della giustizia".

Ogni ingiustizia mette la pace in pericolo. Essa è una causa o un fattore potenziale di conflitto. Ciò si verifica all'interno di un paese, quando una "élite" di privilegiati dalla fortuna o dal potere sfrutta gli altri cittadini. E si verifica tra paesi quando, in forme nuove e sottili, ha luogo lo sfruttamento socio-economico di un paese da parte di un altro, e ancora quando un paese impone a un altro il suo sistema politico.

Ma l'uomo non vive di solo pane. E' grave attentare alla dignità dell'uomo, ai suoi diritti fondamentali, alla sua libertà di opinione politica, alla sua inalienabile libertà di coscienza, alla sua possibilità di esprimere la propria fede nel rispetto delle altre convinzioni. Gli esodi forzati e massicci delle popolazioni, le limitazioni poste alle possibilità di aiuti disinteressati, le torture, le carcerazioni e le esecuzioni sommarie senza le garanzie della giustizia, le restrizioni arbitrarie imposte per motivi di razzismo o di apartheid, i soprusi e le persecuzioni religiose - anche quelle perpetrate in segreto - sono altrettanti inammissibili attentati agli imperativi etici che si impongono a ogni coscienza per garantire la dignità dell'uomo e assicurare la vera pace tra gli uomini. Simili diritti non devono essere determinati, concessi o limitati da uno stato. Essi trascendono ogni potere. Certo, i diritti della persona umana sono inseparabili dal suo dovere di rispettare gli altrui diritti e di cooperare al bene comune. Ma la violazione dei diritti fondamentali non può mai divenire un mezzo per fini politici. Un regime che soffochi tali diritti non può pretendere di fare opera di pace; una distensione che intendesse coprire tali abusi, non è una vera distensione. E' necessario che l'uomo possa essere sicuro dell'uomo, la nazione sicura della nazione (cfr. Omelia del 1 gennaio 1986). Vi è oggi nel mondo una folla di detenuti unicamente per motivi di coscienza. E' auspicabile che un documento giuridico internazionale delle Nazioni Unite ponga rimedio e simili abusi.


10. Tra gli ostacoli alla pace che ho appena ricordato, ve n'è uno al quale il nostro attuale mondo è dolorosamente sensibilizzato e che genera un clima di insicurezza: il terrorismo all'interno dei paesi e il terrorismo internazionale.

Ci troviamo di fronte a temibili organizzazioni di persone che non esitano a uccidere un gran numero di innocenti e ciò spesso in paesi che sono estranei, non implicati nei loro problemi, per seminare il panico e attirare l'attenzione sulla loro causa. La nostra riprovazione non può essere che assoluta e unanime.

Altrettanto bisogna dire di quei procedimenti barbari di sequestro di ostaggi con l'esercizio del ricatto. Si tratta di crimini contro l'umanità. Certo, esistono situazioni di fatto alle quali da troppo tempo si nega una giusta soluzione; vi sono dunque sentimenti di frustrazione, di odio e tentazioni di vendetta cui dobbiamo prestare molta attenzione. Ma la razionalità - o meglio il comportamento passionale - viene completamente deviato quando si utilizzano strumenti di ingiustizia e il massacro di innocenti per perorare una causa; quando, per di più, ad essi ci si prepara e ci si addestra con sangue freddo e con la complicità di certi movimenti e il sostegno di alcuni poteri dello stato. L'ONU non potrebbe tollerare che stati membri si affranchino dai principi e dalle regole contenute nella sua Carta accettando di compromettersi con il terrorismo. Il comandamento "non uccidere" è in primo luogo un principio fondamentale, immutabile, della religione: coloro che onorano Dio devono essere in prima fila tra quelli che lottano contro ogni forma di terrorismo, come formulavo nella preghiera che chiudeva il mio discorso ai giovani musulmani a Casablanca: "O Dio, non permettere che invocando il tuo nome, arriviamo a giustificare i disordini umani" (19 agosto 1985).

Le rappresaglie che colpiscono anch'esse indistintamente degli innocenti e che prolungano la spirale della violenza, meritano allo stesso modo la nostra riprovazione; esse rappresentano soluzioni illusorie e impediscono di isolare moralmente i terroristi. Il terrorismo sporadico che suscita a giusto titolo l'orrore nelle coscienze oneste (cfr. Angelus del 29 dicembre 1985), non dovrebbe far dimenticare un'altra forma di terrorismo sistematico, quasi istituzionalizzato, che poggia su tutto un sistema di polizia segreta e annienta la libertà e i diritti elementari di milioni di persone "colpevoli" di non allineare il loro pensiero all'ideologia dominante, e generalmente incapaci di attirare l'attenzione e il sostegno dell'opinione pubblica internazionale.

Il dialogo e il negoziato sono in ultima analisi l'arma dei forti, come ricordava il vostro decano. Inoltre, portando avanti un'azione concertata e decisa per mettere il terrorismo al bando dell'umanità, occorre attraverso il negoziato cercare, prima che sia troppo tardi, di far scomparire, per quanto possibile, ciò che impedisce di rendere giustizia alle legittime aspirazioni dei popoli. In particolare, non è forse qui il nodo dell'ingiustizia che deve essere sciolto per arrivare a una soluzione giusta ed equa di tutta la questione medio-orientale? Si continuano a costruire ipotesi di negoziato, ma non si giunge mai al punto decisivo di riconoscere veramente i diritti di tutti i popoli interessati.

Rivolgendo il mio messaggio alle Nazioni Unite, il 14 ottobre scorso affermavo: "La vostra organizzazione è, per la sua natura e per la sua vocazione, il forum mondiale in cui i problemi devono essere esaminati alla luce della verità e della giustizia, rinunciando ai gretti egoismi e alle minacce di ricorso alla forza". Signori ambasciatori, le vostre nobili missioni, convergono verso questo obiettivo: malgrado il carattere generalmente bilaterale delle relazioni che è vostro compito intrattenere, esse vi richiedono la stessa apertura all'universale, alla verità e alla giustizia.


11. Nel concludere questo discorso sulle esigenze universali della pace, ho forse bisogno di precisare ulteriormente il contributo che la chiesa vuole dare alla pace adempiendo alla sua missione specifica, alla sua missione spirituale? Questa avvalora gli imperativi etici dei quali abbiamo parlato, che garantiscono al massimo grado l'adempimento dei compiti umanitari e politici. Voi siete qui, presso la Santa Sede, per seguire costantemente il suo discorso e le sue iniziative. Certo, nella storia, il contributo di taluni cristiani, di talune "nazioni cristiane" alla pace non è sempre stato all'altezza del messaggio del quale essi erano portatori. La visione universale è stata talvolta limitata dagli interessi e dagli egoismi particolari. Ma il messaggio cristiano presentato dalla chiesa non ha cessato di portare una luce e una forza per fondare una giusta pace.

Consentitemi di ricordare alcuni documenti dottrinali che costituiscono pietre miliari fondamentali sul cammino della pace. Nel corso degli ultimi decenni, la chiesa, forte della propria esperienza e animata dalla sua sollecitudine per l'uomo, ha dato un insegnamento che è una vera "pedagogia della pace". Dopo i grandi messaggi di Pio XII che apriva, in un mondo devastato dalla guerra, le prospettive di una solida edificazione della pace, Giovanni XXIII nell'enciclica "Pacem in Terris" (indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà) fondava la coesistenza pacifica degli uomini sul posto centrale occupato dall'uomo nell'ordine voluto da Dio, vale a dire sulla sua dignità di persona. I diritti e i doveri della persona corrispondono ai diritti e ai doveri della comunità.

"A tutti gli uomini di buona volontà - scriveva Giovanni XXIII - incombe un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall'altra la comunità mondiale".

Paolo VI, in particolare nell'enciclica "Populorum Progressio", sviluppo l'analisi già iniziata dal suo predecessore sui disordini che regnano nel mondo perché sono violate la verità, la giustizia, l'amore e la libertà. Egli attiro l'attenzione su quelle situazioni che, impedendo o facendo arenare la promozione integrale dell'uomo e lo sviluppo solidale dei popoli, mantengono l'umanità in uno stato di divisione e di conflitto. Paolo VI ha presentato lo sviluppo delle persone e dei popoli come "il nuovo nome della pace".

Nella stessa prospettiva, il concilio Vaticano II, nella costituzione pastorale "Gaudium et Spes" affermava (GS 78): "La pace non è la semplice assenza della guerra né può ridursi al solo rendere stabile l'equilibrio delle forze contrastanti, né è effetto di una dispotica dominazione"...; essa è "opera della giustizia" e, in quanto tale, "non è stata mai stabilmente raggiunta, ma è da costruirsi continuamente". Da parte mia, nell'enciclica "Redemptor Hominis", ho posto in risalto la grandezza, la dignità, il valore che sono propri alla persona umana. L'uomo è "la via della chiesa, via della quotidiana sua vita ed esperienza, della sua missione e fatica". E' per questo che la chiesa è attenta alla "situazione dell'uomo" e a tutto ciò che si oppone allo sforzo tendente a rendere "la vita umana sempre più umana".


12. E, nella pratica, la chiesa - vale a dire la Santa Sede e le chiese locali in comunione con essa - si impegna di buon grado per incoraggiare tutti i veri dialoghi di pace, tutte le forme di sincero negoziato, di leale cooperazione. Essa vuole operare per far cessare le passioni che accecano, per superare le frontiere, per dissolvere gli odi, per riavvicinare gli uomini; per soccorrerli e portare loro la speranza, nel cuore stesso delle loro prove nei conflitti che essa non può impedire. Affidando di recente al cardinale Etchegaray la missione di visitare i prigionieri iracheni in Iran, quindi i prigionieri iraniani in Iraq, ho voluto a nome di tutta la chiesa, esprimere questa sollecitudine per le vittime della guerra. Ho voluto inoltre testimoniare che la Santa Sede non abbandona mai la speranza che si trovi una soluzione politica che inauguri finalmente un'èra di pace. La chiesa vuole altresi continuare a prestare la sua voce ai poveri, agli emarginati che fanno le spese delle guerre, alle vittime della tortura, agli esiliati. Al di sopra di tutto, essa vuole educare le coscienze all'apertura agli altri, al rispetto dell'altro, a una tolleranza che va di pari passo con la ricerca della verità, alla solidarietà (cfr. discorso a Casablanca, 19 agosto '85). Essa sa del resto che la radice del male, del ripiegamento su se stessi, dell'irrigidimento, della violenza, dell'odio risiede nel cuore dell'uomo; per guarirlo, essa propone i rimedi salvifici di Cristo.

In questo anno in cui, ce lo auguriamo, tutti i popoli dedicheranno la loro attenzione e i loro sforzi al tema della pace scelto dall'ONU, la chiesa ha da proporre un contributo particolare. Essa vuole invitare gli uomini, i suoi figli cattolici, ma anche tutti i cristiani e tutti i credenti che lo vorranno, a un grande movimento di preghiera per la pace. Questa solidarietà nella preghiera all'Altissimo che implica una supplica fiduciosa, sacrificio e impegno della coscienza, sarà di grande efficacia per ottenere da Dio il dono inestimabile della pace.


13. Eccellenze, signore e signori, vi ringrazio dell'attenzione e della benevolenza che dedicate e dedicherete all'opera di pace della Santa Sede. Vi garantisco l'attenzione e la benevolenza della Santa Sede per tutti gli sforzi di pace dei vostri governi.

Tutti ci auguriamo che ovunque imperversano ancora guerra, guerriglia e minacce o situazioni di ingiustizia si dia finalmente inizio a processi di pace, a beneficio delle popolazioni interessate. Vorremmo che una solida speranza sia data alle popolazioni umiliate, a quelle che vivono nella propria terra e a quelle che sono private o cacciate dalla loro terra. E auspichiamo che sfocino nel modo migliore - con le necessarie garanzie - i tentavi di pace che vanno delineandosi in diversi punti della terra all'alba del nuovo anno.

Ma è anche a ciascuno di voi, alle vostre famiglie che porgo i miei auguri di pace. Li ho già presentati al Signore nella preghiera. Imploro le sue benedizioni, la sua protezione su ciascuno di voi. pace sulla terra agli uomini che Dio ama, agli uomini di buona volontà!

Data: 1986-01-11 Sabato 11 Gennaio 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)