GPII 1986 Insegnamenti - Alla prima stazione quaresimale - Santa Sabina (Roma)

Alla prima stazione quaresimale - Santa Sabina (Roma)

L'uomo non può realizzarsi se non convertendosi a Dio



1. "Ritornate a me". così dice Dio per mezzo del profeta. Il profeta è voce di Dio, parla in suo nome. così dice, nell'odierna liturgia, il profeta Gioele. così dice la Chiesa. Essa pronunzia le parole di Dio stesso: "Ritornate a me con tutto il cuore" (Jl 2,12). Dio parla in prima persona. Il primo giorno della Quaresima Dio incomincia a parlare in prima persona. Sempre fa così. Ogni anno. Anche quest'anno. E perciò la Quaresima si chiama "tempo forte". Questo è il tempo in cui - più che in ogni altro tempo - parla Dio stesso. Lui stesso chiama. Lui stesso entra nella storia dell'uomo. Lui stesso bussa al cuore degli uomini.

"Il Signore si mostra geloso per la sua terra" (cfr. Jl 2,18). Questo è un amore geloso per l'uomo. Dio che dice: "ritornate a me", conosce l'uomo nell'intimità stessa più profonda del suo essere. Egli sa che l'uomo non può realizzarsi, se non "rivolgendosi", "convertendosi" soltanto a lui. E perciò quest'amore è "geloso". La santa gelosia dell'amore di Dio costituisce il clima della Quaresima. Dal Mercoledi delle ceneri fino al triduo sacro. Tempo forte.


2. A che cosa è chiamato l'uomo? Convertirsi a Dio vuol dire, prima di tutto, entrare in se stessi. Non c'è conversione al di fuori di questo rivolgersi verso il proprio intimo. Al cuore, alla coscienza.

Entra nella tua camera e chiudi la porta (cfr. Mt 6,6). Non può esserci la conversione a Dio nella distrazione. E' necessario il raccoglimento, la concentrazione. L'uomo deve ritrovare il suo "io" più profondo. E, nello stesso tempo, l'"io" superiore. Perché "più profondo"? Perché "superiore"? Perché questo corrisponde alla verità sull'uomo. Riguardo alle creature del mondo visibile che lo circondano, l'uomo è collocato "più in alto". E' chiamato a soggiogarle. Deve dominare la terra. Questo è il primo comandamento, che egli ha ricevuto dal Creatore. Nello stesso tempo, riguardo a tutte queste creature, l'uomo è più "in profondità". Con le radici del suo spirito egli giunge là dove esse non giungono. Si diversifica da esse nella misura fondamentale del suo essere. E perciò non può aspettarsi di ricevere da parte loro una realizzazione. L'uomo non realizzerà se stesso mediante l'intero mondo visibile, neppure se, dominandolo, spingesse sempre più avanti il grado del suo molteplice sviluppo e progresso. "Qual vantaggio infatti avrà l'uomo, se guadagnerà il mondo intero"? (Mt 16,26).


3. Non realizzerà se stesso...

Ecco la prima parola della Quaresima, la parola del Mercoledi delle ceneri, la parola forte: "Ricordati che sei polvere, e in polvere tornerai".

Allora, come ti realizzerai? Come deve l'uomo realizzare se stesso mediante il mondo, se questo mondo inserisce nell'uomo la legge della distruzione? La legge della morte? La inserisce in modo irreversibile. Con necessità. Non può non inserirla. Occorre che l'uomo entri nella sua "piccola stanza" interiore.

Occorre che li viva fino in fondo la verità circa la sua definitiva "impossibilità di realizzazione" nelle dimensioni del mondo. Nelle dimensioni della creazione.

Si, possono esserci certe "realizzazioni" parziali, immediate, fugaci... ma, in ultima analisi, non definitive. "In polvere tornerai". Occorre che l'uomo ascolti con l'udito più profondo del suo essere, di questo essere che pur porta in sé il "germe dell'immortalità".


4. In quel momento può comprendere perché Dio chiama: "ritornate a me"! Per te, uomo, non esiste realizzazione al di fuori di me! Non c'è, per noi uomini, realizzazione al di fuori di lui. Al di fuori di Dio. Proprio questo significa "convertitevi" e questo significa "credete al Vangelo", e continuate ad annunziarlo.

Che cosa infatti è questo Vangelo? E' il messaggio messianico. E' la verità sull'"amore geloso" di Dio nei riguardi dell'uomo. Quest'amore non esito a sacrificare il Figlio. Non esito a trattare da peccato in nostro favore colui che non aveva conosciuto peccato, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui - per mezzo di lui! - la giustizia di Dio (cfr. 2Co 5,21).

Così infinitamente "geloso" è questo amore. così, in modo divino.


5. La Chiesa parla a nome di Dio. Oggi il suo linguaggio è particolarmente radicale. Ciò vuol dire; "giunge alle radici". E' necessario un tale linguaggio all'inizio della Quaresima, affinché possiamo professare insieme col salmista: "Nella tua grande bontà cancella il mio peccato. / Riconosco la mia colpa, / il mio peccato mi sta sempre dinanzi. / Contro di te, contro te solo ho peccato... / Crea in me, o Dio, un cuore puro" (Ps 50,3 Ps 50,5-6 Ps 50,13 Ps 50,12).

Quaresima. Il tempo di Dio che parla. Il tempo di Dio che crea di nuovo.





Il tempo della redenzione.

Data: 1986-02-12 Mercoledi 12 Febbraio 1986




Al Congresso sullo sterminio per fame - Città del Vaticano (Roma)

Sensibilità per la fame, ma non altrettanta per l'aborto


Signor presidente, signore e signori.


1. Vi accolgo e vi saluto con piacere. Prima di iniziare i lavori del vostro secondo Congresso internazionale sui temi dello sterminio per fame e miseria e l'affermazione del diritto alla vita e del diritto alla libertà, voi mi fate l'onore della vostra visita. Ve ne sono molto riconoscente. Tra i partecipanti di questa assemblea altamente rappresentativa, ai quali io rivolgero personalmente il mio saluto alla fine di questa udienza, ringrazio particolarmente il vostro portavoce per le calorose parole che mi ha rivolto.

Sono ancor più sensibile ora che vedo nella vostra pratica un omaggio all'opera della Santa Sede e di tutta la Chiesa cattolica per la promozione della vita umana.


2. La Chiesa non può non guardare con occhio benevolo ogni iniziativa che concorra a informare e a formare l'opinione pubblica, facendo prendere coscienza della responsabilità comune di fronte al problema del sottosviluppo e della fame del mondo in modo da avere una certa influenza presso gli stati e le organizzazioni internazionali al fine di suscitare da parte loro un impegno più efficace e più coordinato nella lotta contro questi flagelli dell'umanità. Il vostro Congresso offre un'occasione particolare di incontro tra personalità eminenti del mondo intero, rappresentanti i diversi settori della politica, della vita internazionale, della scienza e dell'economia. Grazie al confronto delle vostre diverse esperienze, volete così elaborare delle proposte determinanti in modo più preciso, degli obiettivi e dei mezzi di azione suscettibile a favorire lo sviluppo integrale di ogni essere umano e di tutto il popolo.


3. L'ampiezza e l'urgenza dei problemi richiedono infatti che siano attuate senza indugio misure realiste che permettano di affrontare concretamente e in modo responsabile la situazione terribile e pressante della sotto-alimentazione e della mortalità per fame. Tali situazioni non possono essere sormontate da iniziative sporadiche ma da un'azione progressiva e costante realizzata in ciascun paese e tendente al loro auto-sviluppo nel quadro della corresponsabilità di tutte le nazioni del mondo.

Scelte simili presuppongono che ci si metta, come fate voi, nella prospettiva di valori morali, particolarmente il diritto alla vita, il diritto alle libertà fondamentali, alla crescita e alla promozione integrale di ogni persona umana; e di conseguenza, il diritto di ciascuno dei membri della comunità umana e il diritto di ogni popolo di disporre dei mezzi necessari per una vita degna dell'uomo.

Ciascuna nazione può considerare come un'esigenza primordiale di disporre di tutte le condizioni essenziali che permettono un processo globale di crescita, ripartite equamente in modo da garantire la vita, la libertà la compiutezza di tutti i membri della comunità nazionale.

Quando si vuole lottare in modo concreto contro la miseria e la fame, non ci si può dunque limitare a distribuire al momento opportuno gli aiuti necessari, né a preparare delle misure tendenti ad aumentare in modo adeguato la produzione. E' necessario un impegno organico e di lungo respiro che interessi profondamente i rapporti tra i paesi il cui grado di sviluppo è diverso. Si tratta di rettificare proprio nei loro fondamenti le situazioni di squilibrio che esistono in modo più acuto in certe zone del mondo tra popolazioni e risorse.

Infine diciamo che si deve agire sulle cause, identificate nella loro diversità, secondo il loro genere e la loro ampiezza.


4. E' importante mettere in risalto, come si fa molto giustamente nel vostro Congresso, l'apporto che viene dall'esperienza di uomini di governo o di persone impegnate nelle attività di organizzazioni internazionali sia a livello mondiale che regionale. Un tale contributo sembra indispensabile, anzitutto per avere una documentazione con degli elementi precisi, sulle situazioni e le risorse; e anche per essere in grado di preparare dei progetti e dei programmi validi. E' necessario infatti che su un piano internazionale e a livello di decisioni governative, si giunga a delle opzioni operative precise, rispondenti a dei bisogni effettivi e tenendo conto delle possibilità concrete di realizzazione. I contributi che provengono da iniziative di solidarietà, numerose e generose sembrano intensificarsi ma allo stesso tempo le diverse iniziative devono essere coordinate e rese più efficaci poiché bisogna evitare ogni dubbio impiego o dispersione e bisogna anche armonizzare con gli orientamenti e le scelte di una vera politica di cooperazione allo sviluppo.


5. In definitiva la questione è proprio questa: permettere che tutti i Paesi si sentano interessati in modo responsabile ed effettivo, i più prosperi devono prendere coscienza del loro dovere di contribuire al progresso dei Paesi meno provvisti, in misura proporzionata alle loro più grandi possibilità.

Tenendo conto delle esigenze della libertà e della dignità di ogni popolo. Un'autentica cooperazione allo sviluppo si realizza concretamente con dei programmi stabiliti in accordo con i Paesi beneficiari, secondo i modelli corrispondenti alla loro cultura, e messi in opera nel rispetto dei ritmi e delle possibilità locali, in modo da ottenere, nella misura del possibile, la collaborazione attiva della popolazione locale.

Si tratta, in poche parole, di lavorare insieme per il bene effettivo delle popolazioni che si trovano in condizioni di sottosviluppo, cercando di far convergere le iniziative pubbliche e private, nazionali e internazionali, tutte animate da uno spirito di sincera solidarietà. Si tratta di superare gli interessi egoisti delle persone o dei gruppi e imprese particolari, come altrove le preoccupazioni nazionali interessate che si nascondono talvolta dietro le iniziative dei governi, specialmente nelle operazioni bilaterali.


6. Bisogna infine ricordare che un simile rinnovamento dell'orientamento della politica interna e internazionale suppone un profondo rinnovamento delle coscienze, sia su un piano generale, a livello dell'opinione pubblica, sia in modo speciale, presso i responsabili chiamati a prendere le decisioni effettive e a metterle in pratica. E' necessario modificare le mentalità e i comportamenti che contraddicono i criteri di giustizia nella solidarietà verso il prossimo. Urge superare l'insediamento in una vita facile di sovrabbondanza; le abitudini di consumi superflui o anche pericolosi; gli sprechi nelle imprese di carattere generale e di prestigio effimero.

Bisogna passare oltre le cause di tensione interne e internazionali, la logica perversa delle divisioni, la volontà di potenza che si traducono in altre attività dispendiose di armamenti, poiché tutto ciò compromette il processo di sviluppo di alcuni Paesi, talvolta appena iniziato, e condiziona in modo negativo il sostegno dei Paesi più avanzati. Lavorare infine con coraggio e lucidità per instaurare un nuovo ordine economico internazionale.


7. Ma il profondo cambiamento che ho appena evocato rimarrà sterile se non si fonda su un rispetto plenario, un rispetto convinto della dignità dell'uomo, di ogni uomo.

Precisamente nel programma dei vostri lavori, avete stabilito uno stretto legame contro la miseria e contro la fame e l'affermazione del diritto alla vita e del diritto alla libertà. Nel corso del mio recente viaggio pastorale in India incontrando a Madras i responsabili delle religioni tradizionali ho espresso la stessa convinzione: "L'abolizione di condizioni di vita inumane è un'autentica vittoria spirituale perché dà all'uomo libertà e dignità".

La promozione della dignità e della libertà dell'uomo che sono dei valori nettamente evangelici, è una dimensione essenziale della dimensione della Chiesa. L'uomo è infatti "la prima strada, è la strada fondamentale della Chiesa, strada tracciata dal Cristo stesso" (RH 14). E' per questo che la Chiesa non si limita alla proclamazione astratta di tali valori, ma essa si preoccupa di raggiungere l'uomo nella realtà concreta dei suoi bisogni e delle sue sofferenze, delle sue angosce e delle sue speranze.

Così essa non cessa di difendere con tutte le sue forze la vita umana che viene da Dio. Permettetemi di far notare, con pena, che di fronte a una sensibilità molto viva e quasi sacrosanta nei riguardi degli attentati alla vita che sono il fatto della fame, della guerra, del terrorismo, non si trova una sensibilità simile nei confronti dell'attentato costituito dall'aborto, che tuttavia falcia innumerevoli vite innocenti.

Richiamando, poi che il Cristo si è identificato con chi soffre la fame, la sete, la nudità e ogni specie di privazione, la Chiesa si preoccupa di tutti gli uomini che si battono nella miseria e nel sottosviluppo. Là essa stessa si trova in prima linea, mostra ad ogni uomo di buona volontà l'urgenza di lottare contro tali condizioni inumane, in un impegno di giustizia che è il frutto dell'amore fraterno. La Chiesa non può impedirsi di essere preoccupata da un'altra fame: "la fame di libertà" di uomini e popoli oppressi da ragioni politiche, ideologiche e razziali. La libertà è propria dell'uomo in quanto figlio di Dio; è un bene che appartiene all'intimità inviolabile della persona e che non può essere calpestata senza che la persona non sia in un certo senso messa a morte.

Tale è il contributo specifico della missione spirituale e religiosa della Chiesa: essa è decisa a offrirlo a tutti coloro che operano, a diversi livelli di competenza e di iniziativa, per le grandi cause dell'uomo che costituiscono l'oggetto del vostro Congresso.

E' con questo spirito che desidero assicurarvi del mio interesse, i miei incoraggiamenti, i miei voti cordiali per i vostri lavori. E invoco sulle vostre persone e sulle imprese di solidarietà umana le benedizioni dell'Altissimo.

Data: 1986-02-13 Giovedi 13 Febbraio 1986




Per la Campagna della fraternità - Città del Vaticano (Roma)

Cristo accanto al povero per la Quaresima brasiliana


Miei amati fratelli e sorelle in Gesù Cristo, cari Brasiliani.


1. Promossa dai signori vescovi, sta per iniziare un'altra Campagna della fraternità in questo diletto Paese. In questa Quaresima, tempo di conversione e penitenza, essa ha per obiettivo la preparazione alla Pasqua: il passaggio del Signore. E' una chiamata a un maggior impegno a vivere come figli di Dio e tutti fratelli in Cristo: è un appello alla salvezza e all'aiuto fraterno, affinché tutti abbiano la vita, diventino liberi nell'adesione alla verità e seguano il cammino della purificazione dal peccato e della liberazione dal male che porta con sé, sul piano personale, sociale e strutturale. E' un appello a tutti noi che camminiamo verso "il nuovo cielo e la nuova terra in questa terra di Dio, terra di fratelli".

E' questo il tema della Campagna che oggi ho la gioia di inaugurare. E' un programma-invito, sul quale le persone e le comunità della Chiesa in Brasile dovranno riflettere e pregare. Ma interpella anche tutti gli uomini di buona volontà, affinché prenda coscienza e si realizzi nell'immenso suolo brasiliano il disegno divino che lo vuole sempre più "terra di Dio terra di fratelli".


2. Pasqua è "passaggio del Signore". Celebrare la Pasqua è evocare l'esperienza del popolo eletto, quando fu liberato dalla schiavitù dell'Egitto e Dio gli fece dono della "terra promessa", dopo essere stato purificato; ma Pasqua, per noi, è soprattutto rivivere il mistero pasquale di Cristo, non solo come fatto storico, ma come realtà che si perpetua, rende presente la sua morte e risurrezione, nella liturgia e al centro della vita e del pellegrinaggio ecclesiale, comunitario e personale dei cristiani.

Per animare questo cammino, oggi ricordo solamente due immagini della pedagogia divina: la prima tracciata da Cristo, illustra la storia di un uomo ricco che "tutti i giorni banchettava lautamente", mentre "giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi" di quello che "cadeva" dalla sua mensa, il povero Lazzaro (Luca 16,19-31); l'altra immagine, più sintetica, è quella della profezia di Geremia: "i bambini chiedevano il pane, e non c'era chi lo spezzasse loro" (Lm 4,4). In entrambe vi è la denuncia del peccato: l'amore di sé spinto al punto di disprezzare Dio, nel fratello povero, nell'idolatria.


3. "Terra di Dio, terra di fratelli" vuol dire: riconoscere Dio come Signore, Legislatore e Giudice; accogliere Cristo e riconoscere che egli, in occasione della sua Pasqua nella terra degli uomini li proclamo "tutti fratelli" (Mt 23,8).

E Cristo continua a passare, nelle zone indigene, rurali e urbane del Brasile, invitando tutti a condividere la sua Pasqua, identificandosi con: il fratello senza terra e senza lavoro, che grida per la mancanza di senso della propria sofferta esistenza; il fratello senza casa, che dorme sul ciglio delle strade, gridando per il freddo della mancanza di un focolare, del disamore e della mancanza di calore umano; il fratello analfabeta, "senza voce, senza parte", che grida la sua condanna alla sottoccupazione e che mendica la propria partecipazione; il fratello malato o colui che vive dietro le sbarre della prigione che implora: non voglio essere un emarginato; il fratello assetato, poiché vi è stato il flagello della siccità, ad aumentare la sua sete di giustizia, amore e fraternità; il fratello affamato, che mostra tutta la sua fame di pane e fame di Dio.

Tutti questi lasciano intravedere il volto di Cristo. Per tutti questi è necessario che la "terra di Dio" diventi sempre più "terra di fratelli".

Aiutiamoli! E' questo il cammino della fraternità, verso la Pasqua liturgica e la Pasqua eterna, dove Cristo ci aspetta, per dirci: "...lo avete fatto a me...

Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo" (Mt 25,34).

Affinché vi prepariate a questa accoglienza di Cristo, vi benedico nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen!

Data: 1986-02-14 Venerdi 14 Febbraio 1986




Ai vescovi Caldei dell'Iraq in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Pregare per una giusta soluzione del dramma della guerra


Cari confratelli nell'episcopato.


1. E' con gioia che vi ricevo oggi, nello stesso spirito di comunione fraterna che abbiamo conosciuto cinque anni orsono, quando siete venuti in visita "ad limina Apostolorum" per la prima volta. Eravate allora guidati da sua beatitudine Paul II Cheikho, al quale rivolgo un saluto, fraterno e affettuoso.

Nell'accogliervi, il mio pensiero va spontaneamente all'apostolo Tommaso che, secondo una tradizione ormai quasi bimillenaria, ando a portare il messaggio evangelico in Mesopotamia, poi in India, il grande Paese in cui mi sono appena recato in viaggio pastorale, e "usque ad fines Sinarum". E' sorprendente come questo apostolo, che chiese a Gesù una testimonianza diretta e tangibile della sua risurrezione sia andato a portare la fede più lontano di tutti gli altri apostoli.

Il nostro incontro, che risponde a un'esigenza del diritto, costituisce un momento veramente privilegiato di comunione ecclesiale per voi, venuti "a vedere Pietro" e per me, chiamato a "confermare i miei fratelli".

Le diocesi caldee sono spesso caratterizzate dal piccolo numero dei loro fedeli, e non usufruiscono generalmente se non del ministero di un clero ridotto, ad eccezione della diocesi patriarcale di Bagdad, ove si trova una forte concentrazione di fedeli assistiti da numerosi sacerdoti.


2. Cinque anni fa, ho invitato la Chiesa caldea a progredire nella riforma liturgica per meglio vivere i misteri del Signore e per stimolare i fedeli ad apprezzare meglio le cose di Dio. E' un compito affidato in primo luogo a voi, pastori della Chiesa; ma essa ha una grande importanza per il bene dei vostri zelanti sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, vostri collaboratori in tutta l'opera di evangelizzazione. Rinnovo questo invito a proseguire attivamente l'opera di riforma liturgica nello spirito del Concilio ecumenico e secondo le direttive della Congregazione per le Chiese Orientali.

Condivido la vostra preoccupazione per la formazione dei seminaristi. E' con rammarico che ho appreso la notizia della chiusura dell'illustre seminario "Saint-Jean" di Mossoul. Ciò vi impegna ancora di più, venerati fratelli, a suscitare vocazioni e a seguire con attenzione i candidati. Che il Signore conceda alla vostra Chiesa una fioritura di vocazioni ecclesiastiche! Un altro grande compito si presenta a voi come un dovere: la riforma degli istituti religiosi maschili e femminili. Il Concilio Vaticano II e la Santa Sede hanno fornito delle indicazioni molto utili riguardo al necessario "aggiornamento" delle famiglie religiose e alla revisione dei loro statuti.

Auspico vivamente che questo lavoro sia compiuto, allo scopo di dare alla vita monastica e religiosa un nuovo slancio per una testimonianza più viva e più profonda della perfezione evangelica.

Segnalo inoltre la necessità di gestire con diligenza l'amministrazione della giustizia nel foro ecclesiastico. I fedeli hanno il diritto di chiedere questo servizio, e la Chiesa caldea non manca di sacerdoti ben preparati a questo compito. La formazione di tutti i cristiani non è meno urgente, in particolare la catechesi delle famiglie, considerate a giusto titolo Chiese domestiche. E' in esse che la persona si realizza pienamente; è in esse che nascono e maturano le vocazioni religiose. La famiglia resta il luogo privilegiato della felicità delle persone, lo spazio vitale in cui crescono armoniosamente i figli. Restate fedeli alle tradizioni sane delle vostre famiglie, le cui qualità di unità e di fedeltà sono ben note a tutti. Il senso della solidarietà e dell'ospitalità onora il vostro nobile Paese. Vorrei invitarvi, in particolare, a prendere le disposizioni necessarie per incontrarvi regolarmente, allo scopo di scambiare tra di voi - e anche con gli altri vescovi cattolici del Paese - le vostre esperienze pastorali, di accordarvi sui problemi della vita ecclesiale sul piano nazionale e sul piano internazionale.

L'insegnamento del Concilio Vaticano II ve lo chiede, ed è il desiderio della Chiesa: realizzerete meglio la vostra solidarietà con un lavoro concertato, una riflessione approfondita, un'esperienza spirituale, stimolata dal dialogo.


3. Allo stesso modo vi incoraggio a intensificare i vostri rapporti fraterni con tutti i vostri compatrioti: lo esigono lo spirito cristiano di carità e la situazione della vostra nazione. Non posso dimenticare le prove che tutti gli abitanti della vostra regione vivono attualmente, le conseguenze dolorose della guerra, le sofferenze che questa porta con sé. Di recente, ho chiesto al card.

Etchegaray di andare a portare, soprattutto ai prigionieri, un messaggio di speranza e di pace. So che lo avete accolto calorosamente.

Con voi, continuo a pregare perché il dramma attuale trovi infine una soluzione giusta ed equa, perché cessi questo conflitto disastroso per tutti, perché l'Altissimo disponga gli spiriti e i cuori alla pace, a cui i popoli aspirano. Cari confratelli nell'episcopato, ho ricordato soltanto le preoccupazioni pastorali che sono per voi affanni quotidiani: affanni che noi condividiamo, ispirati da quella che san Paolo definisce "sollicitudo omnium Ecclesiarum". Che il Signore sostenga la vostra azione pastorale in questo tempo di prova che si prolunga; e che Cristo redentore conceda a tutti la grazia della riconciliazione e della pace! Il piccolo gregge cristiano affidato alla vostra saggezza e alla vostra responsabilità sia fermento di concordia e di fraternità.

Che il Signore vi dia la sua luce e la sua forza in abbondanza! Che la Vergine Maria, Madre di Dio e nostra Madre prepari le vostre anime! Vogliate trasmettere il mio saluto affettuoso a sua beatitudine Paul II Cheikho, che ho avuto la gioia di incontrare nel corso dei lavori del Sinodo straordinario dei vescovi. Esprimete alle autorità del vostro Paese i miei deferenti voti di pace e di fraternità. Vorrei salutare tutti i fedeli della Chiesa caldea. Date il mio particolare incoraggiamento ai vostri sacerdoti, religiosi e religiose.

A tutti imparto la mia benedizione apostolica.

Data: 1986-02-14 Venerdi 14 Febbraio 1986




A pellegrini di Salerno - Città del Vaticano (Roma)

Chiamati ad essere testimoni vivi e coerenti


Carissimi fratelli e sorelle di Salerno!


1. La vostra gradita presenza richiama alla mia mente quello splendido pomeriggio del 26 maggio dell'anno scorso, solennità di Pentecoste, durante il quale ho avuto la gioia di visitare la vostra Città e di constatare di persona la vitalità della vostra Chiesa locale, radicata a Salerno fin dall'antichità.

In quella festosa occasione ho avuto la gioia di incontrarmi con il vostro venerato pastore monsignor Guerino Grimaldi, a cui oggi rinnovo il mio grato apprezzamento per la sua instancabile opera di animazione evangelica in quella eletta porzione del popolo di Dio, e che ringrazio per le parole rivoltemi.

Esprimo il mio saluto anche alle autorità e personalità qui presenti, le quali, nella mia venuta a Salerno, si resero disponibili per facilitarne la visita pastorale; estendo egualmente il mio affettuoso benvenuto a tutti i gruppi qualificati della vostra comunità diocesana: al clero, ai religiosi e alle religiose, agli allievi del seminario, al laicato cattolico, specialmente ai giovani che vollero dimostrarmi con tanto entusiasmo e con tanto calore il loro affetto e attaccamento spirituale. Ad essi voglio ripetere quanto ebbi a dire al termine del mio incontro con loro: "Sappiate essere all'altezza della fiducia che la Chiesa ripone in voi. Il futuro è vostro, ma voi siete di Cristo. Non dimenticatelo!".


2. Il mio pellegrinaggio, avvenuto nel clima spirituale delle celebrazioni del nono centenario dalla morte del mio grande predecessore Gregorio VII, mi procuro anche la consolazione di venerare le spoglie mortali dell'apostolo ed evangelista san Matteo, che riposano nella cripta della vostra magnifica cattedrale, monumento davvero insigne, centro religioso e artistico della vostra Città.

So che la figura dell'evangelista san Matteo ha ispirato attraverso i secoli la spiritualità del popolo salernitano, incentrata sull'amore al Cristo e alla sua Chiesa. Nel suo Vangelo, che è il primo nel canone del Nuovo Testamento, il titolo più significativo del Cristo è quello di "Figlio di Dio", non quello di un qualsiasi profeta o di un liberatore politico. Dopo la tempesta sedata i discepoli si prostrano davanti a lui, proclamando: "Tu sei veramente il Figlio di Dio" (Mt 14,33): egualmente, nella regione presso Cesarea di Filippo, Pietro confessa solennemente: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).

Questa stessa professione di fede ritorna nell'interrogatorio davanti al sommo sacerdote Caifa: "Ti scongiuro, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio" (Mt 26,63), e Gesù non esita a confermare tale affermazione. Questa origine divina dà autorità assoluta alla sua parola e sicurezza alla nostra fede.

Anche riguardo all'identità della Chiesa, san Matteo ha accenti significativi. Essa ha come capo visibile Pietro: "A te daro le chiavi de regno dei cieli" (Mt 16,19); come codice di vita, il discorso della montagna (Mt 5-7); come respiro, la preghiera: "Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli..." (Mt 6,9-13); come nutrimento, l'Eucaristia: "Prendete e mangiate; questo è il mio corpo" (Mt 26,26); come segno distintivo, l'amore vicendevole: "Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori" (Mt 5,44); come garanzia, l'indefettibilità: "Le porte degli inferi non prevarranno" (Mt 16,18).


3. Con questi chiari riferimenti san Matteo ci indica su quali solide basi poggiamo la nostra fede nel Cristo e la nostra adesione alla Chiesa, da lui fondata per la nostra salvezza. A questo Cristo, in questa Chiesa anche voi, cari fratelli e sorelle di Salerno, siete chiamati, sull'esempio di san Matteo, a dare una testimonianza viva e coerente. Anche a voi è stata affidata la missione di evangelizzare e di far amare il Cristo agli uomini e alle donne del nostro tempo.

Anche su di voi grava la responsabilità di proclamare, in un momento in cui sembra eclissarsi il senso del sacro, la fedeltà a Dio e la necessità di vivere secondo le esigenze salvifiche della buona novella.

L'impegno per rendere ragione di questa speranza e per costruire un mondo più giusto e più a misura dell'uomo, redento dal sangue di Cristo, deve segnare il cammino ecclesiale anche della vostra comunità diocesana. Amate la vostra bella Chiesa salernitana; essa è il luogo dove si attua il mistero della vostra salvezza; stringetevi attorno al vostro arcivescovo, il quale, come successore degli apostoli e principio visibile di unità, ha il compito di tener desta la vostra fede, spezzando con voi l'Eucaristia, che fa di voi un unico corpo, il corpo mistico di Cristo.

Da questa realtà soprannaturale deriva per ciascuno di voi l'impegno, anzi l'imperativo di condividere questa ricchezza con tutti i fratelli vicini e lontani, vivendo nell'esperienza quotidiana come membra di un solo corpo: gli uni per gli altri. Nella Chiesa tutti sono chiamati a portare il proprio contributo per rafforzare questa comunione. Tutti possono donare e insieme ricevere; tutti contano: nessuno deve sentirsi escluso. A ognuno infatti è stata data la potenza dello Spirito: ai piccoli, agli anziani, ai malati, agli emarginati, a tutti.

Anzi, chi sta nell'ultimo posto, se vive con fede e amore, vale più di ogni altro.

Questo significa vivere la realtà del corpo mistico, in cui Cristo esercita quella funzione vitale e unificatrice che il capo compie nel corpo vivente.


4. Vivete così la Cristologia e l'Ecclesiologia, di cui san Matteo è l'ispirato testimone nel suo Vangelo. Come lui ha fatto conoscere in modo mirabile il Cristo e la Chiesa, così anche voi siate araldi e testimoni attendibili del Cristo e della Chiesa presso gli uomini e le donne di questa generazione, che si avvia al terzo millennio dell'era cristiana. Fate vostra quella stupenda pagina, riportata dal solo Vangelo di san Matteo, nella quale sono messi in evidenza i profondi legami di amore, di edificazione e di correzione fraterna che devono stabilirsi tra tutti coloro i quali, in virtù del Battesimo, sono entrati a far parte della comunità dei redenti: "Se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo alla Chiesa... dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (cfr. Mt 18,15-16 Mt 18,20). Ecco come opera il Cristo, presente nella sua Chiesa fino alla consumazione dei secoli. Tale presenza è legata pero al coadunarsi nel suo nome, esige che il fedele sia animato da quella fede in lui che congiunge vitalmente alla sua persona.

Ritornando alle vostre case e ai vostri luoghi di lavoro, portate questo messaggio di fede e di speranza ai vostri familiari, colleghi e amici; dite loro che il Papa li ricorda nella preghiera e benedice tutti nel nome del Signore.

Data: 1986-02-15 Sabato 15 Febbraio 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Alla prima stazione quaresimale - Santa Sabina (Roma)