GPII 1986 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Nel Cuore di Gesù Cristo il Padre si è compiaciuto



1. Cuore di Gesù, nel quale il Padre si è compiaciuto. Pregando così, particolarmente ora, nel mese di giugno, meditiamo su quel compiacimento eterno che il Padre ha nel Figlio: Dio in Dio, Luce nella Luce. Tale compiacimento significa pure Amore: questo Amore al quale tutto ciò che esiste deve la sua vita: senza di esso, senza Amore, e senza il Verbo-Figlio, "niente è stato fatto di tutto ciò che esiste" (Jn 1,3). Questo compiacimento del Padre ha trovato la sua manifestazione nell'opera della creazione, in particolare in quella dell'uomo, quando Dio "vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa buona... era cosa molto buona" (Gn 1,31).

Non è dunque il Cuore di Gesù quel "punto" in cui pure l'uomo può ritrovare piena fiducia in tutto ciò che è creato? Vede i valori, vede l'ordine e la bellezza del mondo. Vede il senso della vita.


2. Cuore di Gesù, nel quale il Padre si è compiaciuto. Ci rechiamo alla riva del Giordano. Ci rechiamo al monte Tabor. In entrambi gli avvenimenti descritti dagli evangelisti si sente la voce del Dio invisibile, ed è la voce del Padre: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo" (Mt 17,5).

L'eterno compiacimento del Padre accompagna il Figlio, quando egli si è fatto uomo, quando ha accolto la missione messianica da svolgere nel mondo, quando diceva che il suo cibo era compiere la volontà del Padre. Alla fine Cristo ha compiuto questa volontà facendosi obbediente fino alla morte di croce, e allora quell'eterno compiacimento del Padre nel Figlio, che appartiene all'intimo mistero del Dio-Trino, è diventato parte della storia dell'uomo. Infatti il Figlio stesso si è fatto uomo, e in quanto tale ha avuto un cuore d'uomo, con il quale ha amato e ha risposto all'amore. Prima di tutto all'amore del Padre. E perciò su questo cuore, sul Cuore di Gesù, si è concentrato il compiacimento del Padre. E' il compiacimento salvifico. Infatti il Padre abbraccia con esso - nel cuore del Suo Figlio - tutti coloro per i quali questo Figlio è diventato uomo, Tutti coloro per i quali ha il cuore. Tutti coloro per i quali è morto e risorto. Nel Cuore di Gesù l'uomo e il mondo ritrovano il compiacimento del Padre. Questo è il cuore del nostro Redentore. E' il cuore del Redentore del mondo.


3. Nella nostra preghiera dell'Angelus Domini uniamoci a Maria. Uniamoci a lei, dalla quale il Figlio di Dio ha preso un cuore umano. Preghiamo che lei ci avvicini ad esso. Preghiamo affinché lei, nel cuore del Figlio, avvicini all'uomo e al mondo il compiacimento del Padre, l'Amore del Padre, la Misericordia di Dio.

Ricordo della Chiesa di Corea Oggi, ricordando le recenti visite "ad limina", rivolgo un pensiero cordiale all'Episcopato di Corea che con piacere accolsi l'autunno scorso. La Chiesa in Corea, fecondata dal sangue dei suoi martiri, che ebbi la gioia di dichiarare santi durante il mio pellegrinaggio in quella terra nel maggio 1984, dà prova di una vivace crescita. Dobbiamo renderne grazie a Dio, implorando che quei nostri fratelli perseverino nell'aperta testimonianza della loro fede, particolarmente nella vita della famiglia, nel mondo dei giovani, negli ambienti del lavoro, e nel dialogo con le culture, portando così il lievito dei valori evangelici nella dinamica di sviluppo dell'intera società. La Nazione coreana conosce infatti un notevole progresso, ma deve confrontarsi anche con complessi problemi. Preghiamo perché i cristiani diano il loro originale contributo di sapienza e di amore evangelico e perché il Signore ispiri tutti i coreani a ricercare il bene comune nella giustizia e nella libertà e ad assicurare, in ogni circostanza, il rispetto dell'uomo e dei suoi diritti fondamentali.

Data: 1986-06-22 Domenica 22 Giugno 1986




Nella Cappella Urbano VIII - Città del Vaticano (Roma)

Imposizione del Sacro Pallio al Patriarca di Antiochia


Beatitudine.


1. Vorrei innanzitutto darle il benvenuto in questa casa mentre viene "ad limina Apostolorum", per la prima volta dopo la sua elezione alla Sede patriarcale di Antiochia dei maroniti. Desidero anche salutare fraternamente i prelati che la accompagnano: mons. Ibraim Hélou, caro e venerato arcivescovo di Saida, i monsignori Khalil Abinader e Josef Béchara, rispettivamente arcivescovo di Beirut e di Cipro, e i vescovi del patriarcato e tutti i membri della delegazione. Ma attraverso voi qui presenti, i miei pensieri si rivolgono spontaneamente verso tutti i maroniti del Libano e della diaspora ai quali voglio dire con l'apostolo: "Ringrazio il mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera" (Ph 1,3-4). Come non evocare in questa circostanza i meriti che la vostra Chiesa ha acquisito nel corso dei secoli? Basti ricordare la fermezza della sua fede cattolica, l'intrepidezza della sua testimonianza, la sua fedeltà a questa Sede romana e anche l'irraggiamento della sua cultura in dialogo con l'Oriente e l'Occidente.

Se il mio ruolo, in qualità di successore di Pietro, è di "confermare i miei fratelli nella fede", sono particolarmente felice di accogliere questa mattina il nuovo patriarca dei maroniti al quale avro la gioia di conferire tra qualche minuto il pallio, segno della sua autorità metropolitana e dei suoi legami particolari con la Sede apostolica di Roma.


2. Lei è appena stato chiamato, Beatitudine, a una grande responsabilità. Lei succede a venerati patriarchi che, proprio come oggi in circostanze travagliate, hanno avuto a cuore di guidare il loro gregge e di affermarlo nella fede, nella speranza e nella carità. Lei prende la fiaccola dalle mani del degno cardinal Antoine-Pierre Khoraiche, che vorrà salutare molto cordialmente da parte mia, per essere a sua volta testimone, guida e luce della sua comunità. "Pater et caput" OE 9) della sua Chiesa, ormai spetta a lei assicurare l'animazione spirituale, l'orientamento pastorale, la coordinazione delle diverse attività e la disciplina. So con quale devozione e con quale speranza il clero, i religiosi, i fedeli, e anche le altre comunità cristiane del Libano, guardano verso sua Beatitudine. Sono convinto che ella avrà a cuore di non deludere una tale attesa. Il patriarcato di Bkerké resta infatti un punto di riferimento, i maroniti lo considerano un po' come la loro casa. Auspico quindi che si offrano al patriarca e alla comunità tutti quei servizi che sono loro necessari. Ho fiducia che sua Beatitudine saprà suscitare la buona volontà e mettere in opera le strutture necessarie per affrontare i bisogni dei maroniti sia del Libano che dell'estero.


3. In questo compito esigente, il patriarca non è solo. Deve poter beneficiare dell'appoggio e della collaborazione dei suoi confratelli nell'episcopato, che gli sono ancor più assicurati da una Chiesa sinodale. Inoltre il capo della Chiesa maronita può contare sull'adesione senza difetto di sacerdoti zelanti, religiosi e religiose presenti in tutti i settori dell'attività pastorale, e infine di questi fedeli maroniti che hanno sempre dimostrato il loro indefettibile attaccamento verso la loro Chiesa e verso i loro pastori. La recente beatificazione di suor Rafqa ci ha ricordato che il Libano, prima di essere un luogo di scontri, è una terra di contemplazione in cui fioriscono frutti di santità. So che ci sono, in questa montagna libanese, donne e uomini di cui non si parlerà mai, ma che giorno dopo giorno assicurano senza stancarsi la presenza e l'irraggiamento del Vangelo di Gesù Cristo. Si renda grazie a Dio!


4. Beatitudine, è questo capitale spirituale che il Signore le chiede di gestire, da servitore fedele e accorto. La prego di aiutare con tutti i pastori della comunità, a far riscoprire a tutti i maroniti che essi formano una "Chiesa": assemblea convocata da Cristo e riunita attorno a lui nella verità, nella carità e nell'umiltà. Le divisioni imposte dalla guerra, le separazioni dovute alla politica partigiana, l'inquietudine dei giovani e la lassezza degli adulti sono sfide che la Chiesa maronita deve rilevare, grazie a degli ordinamenti pastorali precisi, mobilitando la buona volontà che, fortunatamente, non manca. Una catechesi adeguata, la formazione curata del clero e delle famiglie religiose, l'attenzione alle necessità sociali e a tutte le nuove povertà generate dalla guerra, penso ai rifugiati, sono tra le preoccupazioni che richiedono non solo l'attenzione del cuore ma anche una volontà reale di compromettersi in modo che le cose cambino.


5. Ciò è necessario per la credibilità della Chiesa maronita, ma anche per il conforto delle altre famiglie spirituali, cristiane e non cristiane, dal Paese.

Nella storia, infatti, la Chiesa maronita ha avuto un ruolo di "Chiesa di sostegno". Essa non può vivere ripiegata su se stessa; deve condividere con le altre Chiese la preoccupazione del Vangelo per provocare le "conversioni" necessarie a fare che tutti coloro che si ritengono di Gesù Cristo e del suo messaggio siano, come dice la costituzione conciliare "Gaudium et Spes" (GS 43-44), "in ogni circostanza nel cuore stesso della comunità umana, i testimoni del Cristo". così sarà mantenuto e consolidato un Libano pluralista, aperto agli apporti di civiltà differenti e capace di armonizzarle conservando la sua originalità. Penso certamente a quelle relazioni quotidiane tra cristiani e musulmani che da secoli hanno forgiato il volto del Libano e che gli uomini appassionati di pace attraverso il mondo vorrebbero rivedere sereno e pacificato.

Appartiene ai cristiani in particolare, come dicevo nel mio Messaggio a tutti i Libanesi del 1° maggio 1984, assumere questo "mistero profetico del dialogo e della riconciliazione che ha la sua origine nel cuore di Cristo".


6. Sono queste intenzioni che affido nella preghiera al Signore chiedendogli di dare a ogni cristiano il coraggio di credere che ha ragione di testimoniare il Vangelo nel Libano di oggi. Lo supplico ancora per l'avvento di questa pace così desiderata: che sia dato a questo paese devastato da tanta violenza di ritrovare delle condizioni di esistenza normali che gli permettano di ridiventare un esempio di convivenza, di dinamismo e di intelligenza! Beatitudine, e cari fratelli nell'episcopato, i miei voti ferventi accompagnino voi che il Signore ha posto a capo del gregge. Vi affido, con tutti i vostri fedeli e vostri compatrioti, alla materna protezione di Nostra Signora di Harissa, e vi benedico di cuore.

Data: 1986-06-23 Lunedi 23 Giugno 1986









Al pellegrinaggio di Lettoni - Città del Vaticano (Roma)

Promuovere l'unità dei cristiani: vostra speciale vocazione


Cari fratelli e sorelle!


1. Esprimo il mio cordiale benvenuto qui in Vaticano a tutti voi, giunti a Roma da ogni parte del mondo per celebrare il grande giubileo della "Rinascita della Lettonia in Cristo". Saluto, anzitutto, quali guide del vostro gruppo l'arcivescovo Arnold Lusis, della Chiesa luterana, e mons. Casimiro Rucs, rappresentante dei Lettoni cattolici all'estero. Sono presente, con lo spirito, anche nelle altre parti del mondo, dove i vostri compatrioti celebrano questo giubileo; in Lettonia, anzitutto, e in tutti gli altri luoghi della diaspora.

Noi siamo qui riuniti in una semplice, ma significativa cornice di preghiera ecumenica; noi ci rivolgiamo cioè a Dio, fonte di unità e di vita. Gli rendiamo anzitutto grazie per quell'evento fondamentale nella storia del vostro popolo che è l'ottavo centenario della consacrazione episcopale di Meinardo. In esso la prima evangelizzazione della Lettonia trova la sua più significativa espressione e al suo nome rimane legata in maniera determinante.

Là dove la parola di Dio - sia pure in mezzo a ostacoli di ogni genere - penetra nella profondità della coscienza di un popolo, e da questa è accolta, determina per sempre la consapevolezza che questo popolo ha di se stesso e della sua storia. Nell'ascolto della parola di Dio il popolo riconosce la sua vera identità; è cioè consapevole della sua scelta dall'eternità da parte di Dio e riconosce di essere da lui amato in Cristo al presente e per l'avvenire.

Il ricordo dell'inizio della fede cristiana nel vostro popolo è anzitutto la memoria di questa novità assoluta; e ciò apre da sé una via verso una comunione che non ammette confini. San Paolo era consapevole di questa buona nuova, che espresse in una maniera incomparabile nella Lettera ai Galati (Ga 3,27-28): "Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più Giudeo né Greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù".


2. L'identità che la fede in Cristo porta con sé come dono si incarna sempre in una peculiare cultura e risplende nell'intimo di essa; le parole della lingua umana divengono strumento di un dialogo con Dio che in Cristo ha avuto inizio e al quale tutti sono chiamati a partecipare. Io ho avuto più volte l'occasione di affermare questa connessione, riferendomi anche alle mie personali esperienze. L'uomo può sentire e comprendere le parole che sono determinanti per la sua vita solo nel contesto della cultura del suo popolo particolare. L'intimo legame con questa cultura significa affidamento al mistero della propria umanità insieme con la ferma volontà di rimanere fedele a questo mistero: questo è, altresi, un comportamento che onora e nobilita gli uomini. perciò io esprimo l'augurio che la vostra lingua e la vostra cultura siano accettate e incrementate ulteriormente sia nelle famiglie che nelle scuole e che, anche grazie a ciò, venga salvaguardata la vita religiosa nelle numerose parrocchie all'estero che appartengono alle comunità lettoni.


3. La storia cristiana della Lettonia, a motivo delle sue origini, è legata profondamente alla storia della Chiesa occidentale e quindi anche con gli avvenimenti che hanno formato la Chiesa occidentale: sappiamo quanto la Riforma abbia profondamente influenzato la Lettonia. La cerimonia ecumenica di oggi è un incontro di cuori che manifesta il fatto che una nuova comprensione è andata maturando nel corso degli anni, sotto la guida dello Spirito Santo. I figli e le figlie del vescovo Meinardo accolgono con gioia l'unità ricevuta nel Battesimo e che ha sigillato l'accettazione della fede dei loro antenati, una fede che si rinnova a ogni generazione. E nel dono di questa unità, oggi, insieme alla Chiesa tutta, essi vedono la promessa e il pegno di quella pienezza di comunione che Dio desidera per i propri discepoli. Le nuove relazioni ecumeniche che si stanno creando tra i cristiani e che, passo dopo passo e in sintonia col dinamismo naturale della comunione, tendono alla tanto auspicata pienezza, aprono la strada a forme di collaborazione sempre nuove. Oggi, tuttavia, il mio pensiero si rivolge innanzitutto alla preoccupazione che tutti noi condividiamo: che il nome di Cristo non venga cancellato dai cuori delle nuove generazioni, che in tutto il mondo sono minacciate da ideologie atee e atteggiamenti materialistici. La vostra storia vi ha collegati strettamente al destino e alle speranze della cristianità occidentale; ma la posizione geografica stessa della Lettonia, confinante come è con Paesi che hanno avvertito l'influenza della cristianità orientale, non suggerisce forse una vocazione ecumenica particolare, donata dallo Spirito Santo, a promuovere l'unione dell'Est cristiano e dell'Ovest cristiano?


4. Uno dei tratti caratteristici della vostra cultura è un ricco patrimonio di canti popolari, i daina, nei quali l'anima del vostro popolo ha trovato un'espressione musicale che avvolge tutta la vita in un inno di lode: "Ovunque sono, canto, perché questo piace a Dio", come dicono le parole di uno di questi daina. Il canto piace effettivamente a Dio, dato che nel canto la vocazione umana a rendere lode trova la sua espressione. L'autentico canto, nella gioia o nel dolore, è sempre vicino alla preghiera. E in particolare nei momenti critici della vita si ha bisogno di sentire la musica che scaturisce dalle profondità dello spirito umano e porta pace e armonia. Affido a Maria, Stella del Mare, lei che "semper suam custodit Livoniam", l'ardente desiderio sia vostro che mio, che questo canto colmo di fede non cessi mai nella terra della Lettonia.

Data: 1986-06-26 Giovedi 26 Giugno 1986




Omelia per gli 800 anni dell'evangelizzazione in Lettonia - Città del Vaticano (Roma)

Essere fedeli testimoni della nobile tradizione di fede



1. "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni..." (Mt 28,19).

Le solenni parole con cui Cristo, in procinto di tornare al Padre, invia gli apostoli nel mondo, risuonano oggi in questa nostra assemblea liturgica con accenti di singolare attualità. Noi siamo infatti qui raccolti presso la tomba dell'apostolo Pietro per celebrare gli 800 anni dell'evangelizzazione di quella nobile e antica nazione europea che è la Lettonia. Fu precisamente in obbedienza al comando di Cristo di "andare e ammaestrare le nazioni" che il canonico Meinardo si spinse verso le vostre terre otto secoli or sono, per portarvi la buona novella e impiantarvi la Chiesa. Carissimi fratelli e sorelle, nel ricordo di quell'evento decisivo, che tanta importanza ha avuto nelle successive vicende della vostra nazione, voi siete qui convenuti da tante parti del mondo. Ciascuno di voi, infatti, anche se lontano dalla patria, continua a sentire profondo nel cuore il legame con la storia dei propri antenati e, ad essi riandando col pensiero, sente crescere in sé la fierezza di appartenere a un popolo, che da tanti secoli e con così ammirabile coraggio vive l'impegno della testimonianza cristiana. Saluto con gioia voi qui presenti a questo rito solenne, e, portandomi col pensiero ai vostri connazionali residenti in patria, saluto le Chiese di Riga e di Liepafa col loro amministratore apostolico, il venerato fratello cardinale Julijans Vaivods, a cui invio un affettuoso augurio di serena prosperità nel Signore. Il mio saluto si estende ai rappresentanti degli episcopati europei, che hanno voluto prendere parte a questa celebrazione per manifestare i sentimenti di fraterna solidarietà delle Chiese del continente verso questa loro sorella dell'Europa cristiana. Un particolare pensiero mi è caro rivolgere anche ai lettoni appartenenti ad altre Confessioni cristiane che qui si sono dati convegno per celebrare questa ricorrenza tanto importante per la loro terra d'origine.

L'auspicio che mi sgorga spontaneo dal cuore è che la comune riflessione sulle prime origini dell'evangelizzazione in Lettonia abbia a recare ulteriore impulso all'impegno ecumenico, accelerando il cammino verso il recupero della piena comunione nella fede e nella carità.


2. Nel corso del XII secolo giungeva alle popolazioni residenti presso le foci del fiume Duna la parola del Vangelo. Giungeva ad opera di Meinardo, un sacerdote proveniente dalla Canonica regolare di Segeberg nella Vagria, oggi Holstein. Egli era stato preceduto da altri missionari, della cui azione apostolica sono restate chiare tracce storiche. Ma la missione di Meinardo, che le cronache ecclesiastiche e antichi libri liturgici qualificano come beato e santo, ebbe efficacia ben più profonda. Animato dall'"amore del fuoco divino" ("Heinrici Chronicon Livoniae", 1,1), egli si valse di cooperatori e si inquadro nelle istituzioni ecclesiastiche, ricevendo l'ordinazione episcopale dal metropolita di Brema-Amburgo (1186) e la conferma dal Papa Clemente III (1188). Egli si era avviato verso la vostra terra mosso dallo Spirito di Dio, che voleva attuare per suo mezzo il proprio piano di salvezza. Si era avviato senza secondi fini, non avendo alcuna brama di personale vantaggio ma desiderando soltanto di annunziare il Vangelo, come esplicitamente sottolinea l'antico cronista Enrico. Proprio per questo egli non chiese nulla ai propri ascoltatori: diede loro invece del suo, prodigandosi per i bisognosi, curando gli ammalati, edificando chiese e insegnando ai lettoni di allora a meglio provvedere anche alle proprie necessità materiali. Sull'esempio dell'apostolo Paolo, anche Meinardo predico gratuitamente il Vangelo, senza usare del diritto conferitogli dal Vangelo. Suo unico desiderio, infatti, era di "farsi servo di tutti per guadagnarne il maggior numero" (1Co 9,18 1Co 9,19). Riandando, sulla scorta dei documenti storici, alle difficili condizioni in cui vivevano le popolazioni d'allora, come non restare colpiti dal racconto delle traversie affrontate, insieme con i compagni, da questo missionario generoso, che sapeva farsi "debole con i deboli per guadagnare i deboli" (1Co 9,22), perché convinto che la predicazione non era per lui un "vanto", ma soltanto un "dovere"? Meinardo sta davanti a noi come un esempio di vero apostolo di Cristo, nel cui animo urge l'assillo dell'annuncio del Vangelo: "Andate e ammaestrate tutte le Nazioni..."! Una sorta di pungolo implacabile. Il pungolo dell'amore per Cristo, sentito ormai come l'unica, vera ragione della propria vita. Solo in una simile prospettiva di amore senza riserve possono capirsi parole come quelle che abbiamo ascoltato poc'anzi dalle labbra di san Paolo, ma che ben possiamo immaginare anche su quelle dell'apostolo della vostra terra: "Guai a me se non predicassi il Vangelo!" (1Co 9,16).


3. A distanza di otto secoli noi possiamo ricostruire solo approssimativamente l'ambiente socio-culturale nel quale Meinardo e i suoi compagni si mossero. Dalle cronache dell'epoca, tuttavia, alcuni dati emergono con sufficiente chiarezza: la diffidenza, da una parte, di quelle popolazioni verso i nuovi venuti e la loro istintiva resistenza alla predicazione del Vangelo; la straordinaria capacità, dall'altra, di Meinardo di saper fare breccia in quel muro di ostilità mediante l'attenta valorizzazione di ogni aspetto positivo dei loro costumi. Lo incoraggiava in ciò la parola del Papa Clemente III il quale, in una lettera del 10 aprile 1190, raccomandava ai missionari recatisi in Lettonia di accattivarsi la simpatia degli ascoltatori "conformandosi ad essi in alcune cose". La direttiva, in fondo, non faceva che ricalcare la linea d'azione già seguita dall'apostolo Paolo, il quale, nel rivolgersi agli abitanti di Atene, prendeva spunto da un aspetto apprezzabile del loro costume: la loro religiosità, testimoniata dai numerosi idoli venerati nella città: "Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi... Quel che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio" (Ac 17,22-23). Meinardo seppe sintonizzarsi con la mentalità dei suoi interlocutori, presentando l'annuncio di un linguaggio adatto e con applicazioni aderenti ai loro problemi, così da facilitare la loro comprensione e il loro assenso. Possiamo pensare che anch'egli, come l'apostolo Paolo, sia partito dall'esperienza delle bellezze della natura - e quali affascinanti spettacoli offre la natura nella vostra terra, carissimi figli della Lettonia! - portando poi gli uditori alla scoperta del vero Dio "che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra". In particolare, egli insegno loro a confidare nella sovrana e amorevole provvidenza di Dio che non ha bisogno di nulla, "essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro a ogni cosa". Li avvio inoltre all'esperienza del dialogo con lui nella preghiera perché Dio "non è lontano da ciascuno di noi", giacché noi "in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (Ac 17,24-28).


4. Carissimi, grazie alla dedizione missionaria di Meinardo il seme della parola di Dio ha messo radici in Lettonia otto secoli or sono: da allora innumerevoli vicende si sono susseguite sul suolo della vostra patria; giornate belle si sono alternate a giornate tristi; a volte venti e tempeste si sono abbattuti sull'albero germogliato da quel seme traendone frutti preziosi di sofferenza e di martirio. Penso, in particolare, ai numerosi, indimenticabili confessori della fede, che nella vostra terra hanno offerto la loro vita a causa del vangelo. La loro coraggiosa testimonianza è preziosissima davanti al Signore ed è sorgente di forza per la presente generazione cristiana. così l'albero ha resistito e resiste, e anche oggi continua a svettare verso il cielo, ricco di nuovi fiori e di nuovi frutti. Con profonda gioia io rendo grazie per questo, insieme con voi, a Dio Padre e Figlio e Spirito Santo; alla santissima Trinità nel cui nome i vostri antenati 800 anni orsono furono battezzati, iniziando un cammino di fede che le generazioni successive avrebbero continuato. Quel cammino prosegue anche oggi, pur fra le difficoltà dell'ora presente. E' necessario mantener viva la fiamma della fede, che il vescovo Meinardo accese con la sua predicazione, affinché il patrimonio di valori religiosi, accumulato nei secoli, non vada perduto. Esso infatti è entrato a far parte integrante della cultura nazionale: approfondirlo e consolidarlo significa ravvivare la cultura stessa di cui vive la nazione. Mi rallegro perciò che la celebrazione della storica ricorrenza sia stata preparata in Lettonia con opportune catechesi, volte a risvegliare nei cristiani la fede eventualmente sopita e ad accenderne, al tempo stesso, la fiamma negli animi di coloro che non hanno ancora avuto la gioia di scoprire in Cristo il loro redentore. Nell'incoraggiare tale impegno di rinnovata evangelizzazione, desidero confortare voi qui presenti e i fedeli dell'amata Lettonia a perseverare nell'adesione a Cristo, confidando nella vittoriosa forza della sua grazia. Aprano essi i loro cuori alle rassicuranti parole del Maestro divino: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo!" (Mt 28,20). "Tutti i giorni": non solo quelli lieti, ma anche quelli difficili.

Nessun giorno, nessun tempo e sottratto all'onnipotente presenza del Risorto.

Cristo è con la Chiesa, con i suoi discepoli e seguaci "fino alla fine del mondo".

In ogni situazione, per quanto complessa essa sia, la Chiesa, se resta vigile nella fede accanto al suo Signore, può sentire da lui, come gli apostoli turbati dalla prospettiva dell'imminente passione, la parola della fiducia e della speranza: "Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo" (Jn 16,33).


5. Si, amati fedeli della Lettonia, Cristo ha vinto il mondo! Restate dunque saldi nell'adesione al suo nome, al di fuori del quale non è data salvezza agli uomini sotto il cielo (cfr Ac 4,12). Voi siete eredi di una nobilissima tradizione.

Siatene degni testimoni al cospetto della presente generazione. Voi, fratelli nell'episcopato, così vicini al mio cuore, anche se fisicamente lontani. Voi che sotto la guida del vostro cardinale, venerando per età e per meriti, provvedete a pascere con quotidiana fatica il gregge a voi affidato dallo Spirito. Voi, sacerdoti, che in profonda comunione col vostro popolo, vi impegnate ad ammaestrarlo con la parola e con l'esempio. Voi custodite nelle vostre mani il tesoro prezioso del Corpo e del Sangue di Cristo, che è alimento di vita eterna per quanti sulle strade della terra sono in cammino verso la patria del cielo. Voi, anime consacrate nella professione dei consigli evangelici, che vivendo nel mondo con la testimonianza della vostra vita ne costituite lo spirituale fermento. Voi, sposi cristiani, che nel santuario domestico della famiglia alimentate la fiamma dell'amore, al cui calore crescono i figli, da voi apprendendo quei valori umani ed evangelici, che hanno fatto grande la patria.

Voi, giovani, che introdurrete la Lettonia nel prossimo millennio. Nella nobiltà dei vostri sentimenti e nella coerenza delle vostre azioni sta la grandezza della Nazione. Nella purezza della vostra fede e nella generosità della vostra testimonianza sta il futuro della Chiesa. Voi tutti, fratelli e sorelle lettoni che, in patria o in altre contrade del mondo, continuate a credere, lottare e sperare in spirituale sintonia con i vostri avi! L'immensa schiera di quanti vi hanno preceduto nella fede durante questi 800 anni vi guarda dal cielo. Che la loro intercessione vi sostenga nelle quotidiane scelte, a cui il Vangelo vi chiama! Vi sostenga, in particolare, l'intercessione di Colei che i vostri antenati hanno voluto come speciale protettrice e patrona. Volga la Vergine santissima il suo sguardo a quella che da secoli si gloria di chiamarsi "la terra di Maria". Spiritualmente unito a voi, mi inginocchio anch'io nel santuario di Aglona - ove nel prossimo agosto è prevista una particolare celebrazione del centenario - memore delle appassionate parole dei vostri padri: "Sic, sic maris stella suam semper custodit Lyvoniam; sic, sic mundi domina terrarumque omnium imperatrix specialem suam terram semper defendit" ("Heinrici Chronicon Livoniae", XXV,2). A lei con voi grido: Vergine Santa, Madre di Cristo e Madre nostra Maria, guarda a questa Chiesa di Lettonia che nei secoli ti è restata amorosamente devota e fedele, guarda ad essa e proteggila in mezzo a tutte le difficoltà che ne ostacolano il cammino. Conservala salda nella fede, coraggiosa nella speranza, ardente nella carità e fa' che, stretta intorno ai suoi pastori, sappia avanzare sicura sulle strade del mondo verso l'incontro definitivo col Figlio tuo e Signore nostro Gesù Cristo, che col Padre e con lo Spirito Santo vive e regna nei secoli.

Amen!

Data: 1986-06-26 Giovedi 26 Giugno 1986




Ad un convegno di Nova Spes" - Città del Vaticano (Roma)

Un umanesimo integrale come risposta alle esigenze dell'uomo


Signori cardinali, confratelli nell'episcopato, egregi signori e signore!


1. Sono ben lieto di accogliervi per questa speciale udienza in occasione del convegno promosso dalla Fondazione internazionale "Nova Spes". Saluto il signor cardinale Franz König, arcivescovo emerito di Vienna, presidente-fondatore di Nova Spes; e saluto, altresi, il signor cardinale Paul Poupard, presidente del Comitato esecutivo del Pontificio Consiglio per la cultura. Saluto poi, ad uno ad uno, tutti i presenti, manifestando il mio compiacimento per questa iniziativa, voluta in concomitanza con l'Anno Internazionale della pace.


2. Mi compiaccio, altresi, per i nobili obiettivi che la vostra attività culturale si propone: essa intende promuovere lo sviluppo umano qualitativo, mediante la realizzazione dei fondamentali valori della persona, considerata nella sua intrinseca unità. n questa prospettiva deve essere letto anche il tema del presente raduno: "L'alleanza operativa tra religione, scienza, comunicazione, economia". Il problema è oggi particolarmente sentito: i menzionati quattro poli della vita sociale si presentano infatti come non comunicanti tra loro, sicché il primo a soffrire della loro frattura è l'uomo stesso, il quale ne trae un profondo senso di crisi e di frustrazione.


3. "Nova Spes" vuole farsi interprete della necessità di superare questa situazione di frantumazione culturale mediante un'alleanza operativa tra le quattro forze che animano la personalità umana: il credere, il conoscere, il fare, il comunicare. Ciascuna di esse è stata in qualche modo unilateralmente assolutizzata nella cultura moderna. Da qualche tempo, tuttavia, si avvertono diffusi sintomi di un crescente atteggiamento critico nei confronti di questo stato di cose. Gli spiriti più illuminati si vanno orientando verso ipotesi di nuove e originarie composizioni tra tali forze, in vista di un umanesimo plenario, capace di venir incontro in modo più soddisfacente alle fondamentali esigenze della persona. così, per quanto concerne il credere, la Chiesa non ha la pretesa di offrire risposte a tutti i problemi che assillano l'uomo; essa è tuttavia lieta di offrire la sua collaborazione perché l'uomo sia aiutato a risolvere i suoi problemi nella luce della Rivelazione. Ugualmente, non è estraneo all'odierna autocomprensione della scienza il bisogno acuto di una formazione metafisica. La scienza da sola non è in grado di rendere ragione a se stessa. Le due grandi conquiste moderne dell'informazione e della comunicazione sono andate assumendo sempre più l'aspetto di un bene strumentale, che il potere utilizza per i suoi scopi. La libertà dell'uomo richiede con urgenza che l'accesso all'informazione sia reso universale e che la comunicazione si attui nel rispetto della verità e del dialogo. Anche le strategie economiche incontrano ogni giorno la necessità di compiere scelte destinate a incidere sul futuro degli uomini. Tali scelte comportano interrogativi, ai quali una scienza e un'informazione che si pongano come eticamente neutrali non sono in grado di rispondere. Giustamente perciò il vostro movimento vuole promuovere un nuovo metodo di approccio ai problemi del singolo e della società: quell'alleanza, appunto, che sola consente di unificare la persona umana tra le sue varie manifestazioni operative portandola a rintracciare nel suo essere e a formulare in visione armonica le ragioni capaci di guidarne l'esistenza verso una sua piena realizzazione.


4. Si tratta, in altre parole, di contribuire a costruire un "umanesimo della globalità", che sappia rispondere in modo congruo alle esigenze dell'umanità contemporanea. Oggi, infatti, non esistono più problemi locali, ma problemi universali vissuti localmente. Sarebbe illusorio pretendere di trovare ad essi una soluzione circoscritta entro ristretti confini geografici, o limitata a un aspetto soltanto della loro complessa realtà. E' necessario tentarne un approccio che si avvalga dell'apporto degli specialisti dei quattro campi sopra menzionati, coordinandone gli sforzi al di là dei confini geografici e politici delle nazioni alle quali essi appartengono. In questa linea, voi proponete un "incontro umano" tra i leaders religiosi, come persone che trascendono le divisioni politiche e sociali; gli scienziati, come comunità internazionale del sapere; gli esponenti dell'espressione artistica e dell'informazione, come grande forza della comunicazione; gli operatori e programmatori economici, come espressione delle forze impegnate all'attuazione di un autentico progresso in prospettiva mondiale.

Avete anche previsto strumenti concreti per la traduzione in atto di questo programma e siete attivamente impegnati ad avviarne il concreto funzionamento.


5. Senza entrare nel merito dei vostri progetti, mi piace qui ancora una volta sottolineare il valore dell'intuizione centrale, a cui si ispira la vostra azione: la necessità di un'alleanza operativa tra le varie espressioni dell'umano, per un più deciso cammino sulla strada del vero progresso. L'intuizione è valida e la parola "alleanza" la esprime convenientemente. Auspico che la proposta di "Nova Spes" possa aiutare l'uomo contemporaneo a ricostruire un clima spirituale adatto per ritrovare se stesso e riscoprire, all'interno di sé, la fondamentale condizione del valore primario della persona, insieme con le ragioni morali che guidano la dinamica delle sue libere scelte. Saranno, in tal modo, superate anche le tentazioni che assillano il nostro mondo e che si risolvono, solitamente, nell'indifferentismo religioso, nel passivo assorbimento del progresso tecnico, o in un certo tipo di secolarizzazione e di laicismo che impediscono alla fede di divenire forma di vita, paralizzando la testimonianza e mettendo in dubbio le certezze rivelate. Prego il Signore perché i vostri progetti abbiano positivi sviluppi. Con questi voti, ben volentieri, imparto a tutti voi, con l'augurio di un felice esito dell'incontro, la mia benedizione.

Data: 1986-06-27 Venerdi 27 Giugno 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)