GPII 1986 Insegnamenti - Alla cittadinanza in Piazza del Comune - Prato (Firenze)

Alla cittadinanza in Piazza del Comune - Prato (Firenze)

Il passato garanzia e scuola per il futuro


Signor rappresentante del Governo, signor sindaco, cari fratelli e sorelle.


1. Sono lieto di essere venuto qui, in Toscana, terra di geni, ricca di straordinarie bellezze di natura e di arte, e di trovarmi in mezzo a voi, cittadini di Prato e dei dintorni. Ringrazio il signor ministro e il signor sindaco per le espressioni che mi hanno rivolte a nome rispettivamente del Governo Italiano e dell'intera cittadinanza pratese. E ringrazio tutti per l'accoglienza riservatami, mentre rivolgo ai presenti e all'intera diocesi il mio affettuoso saluto.

Non è senza significato che, accogliendo il pressante invito del vostro vescovo, mons. Pietro Fiordelli, son venuto qui oggi, 19 marzo, per l'occasione della festività di san Giuseppe, il carpentiere di Nazaret, patrono di quanti vivono col lavoro delle mani e con esso sostengono la loro famiglia. So di trovarmi in una città attiva e operosa che, pur nata alle porte di un centro come Firenze, vanta mille anni di una sua propria storia, e oggi cresciuta al ritmo di un intenso dinamismo economico, sociale e culturale, costituisce uno dei capisaldi più significativi nel contesto produttivo della Nazione.

Mi piace rilevare che, come nel passato la prosperità civile ha camminato qui tra voi parallelamente con la vitalità religiosa, anzi questa è stata radice e ispiratrice di quella, così oggi non mancano volontà decise e forze capaci di valorizzare tale preziosissimo patrimonio, allo scopo di creare una nuova e più alta qualità di vita. Se oggi la zona di Prato si è conquistata uno dei primi posti nel campo del lavoro, e ha saputo realizzare, nel ramo dell'industria tessile, risultati che destano ammirazione, v'è da sperare che essa sappia anche recare un proprio originale contributo alla creazione di un modello superiore di agglomerato urbano e operativo, nel quale la persona umana non sia asservita ai meccanismi della produzione, ma sia trattata per quello che è, come scopo cioè e giustificazione di tutta l'attività economica.

L'augurio sincero e fervido che io vi voglio formulare nella prospettiva del vostro secondo millennio è di costruire, in mezzo alla moderna disarticolata società del benessere e del consumo, un tipo di città a misura umana, nella quale ciascuno possa sentirsi a proprio agio e avere adeguate opportunità di sviluppo personale.


2. Cittadini di Prato, il mio incoraggiamento a proporvi un così nobile e difficile traguardo è fondato sulla constatazione del vostro passato antico e recente. Quella che oggi è per numero di abitanti la quarta città dell'Italia centrale, un'area moderna d'imprenditorialità diffusa e di professionalità elevata, con una rete complessa di associazionismo, di assistenza, di ricreazione, un punto preciso di riferimento di quelle realtà locali, che hanno permesso all'Italia del dopoguerra di uscire dalla fase di civiltà contadina e artigianale per entrare nel circuito del mondo industriale, mille anni fa non era che un borgo. Ma già nel secolo di Dante essa era divenuta comune indipendente, centro di sviluppo agricolo e commerciale, ricco di istituzioni pubbliche e private. Da allora Prato non ha fatto che crescere e oggi appare come simbolo di operosità e di progresso tecnologico.

Questo è stato possibile perché la zona, nel lungo e variato corso dei secoli, non ha perduto di vista una costante, che è anche il segreto della sua crescita: il rapporto col territorio, l'armonia dello sviluppo tra città e campagna. Anzi, attenta a non chiudersi nel cerchio soffocante della materialità economica ha avuto cura di avanzare in vari campi della vita umana. Del suo costante cammino e della varietà di sviluppo sono testimonianza i molti e bellissimi monumenti, dove tutti i secoli hanno impresso, in ogni ramo della grande arte, la loro caratteristica impronta. Vi ha contribuito uno stuolo di uomini famosi, che qui hanno visto la luce o hanno avuto modo di lasciare il segno del loro genio. Fra i tanti nomi mi piace ricordare quello di una donna, nata a Firenze, ma qui vissuta: Caterina de' Ricci, che già in vita chiamavano la "Santa di Prato", e verso la quale accorrevano folle da non poche parti d'Italia.


3. Cari fratelli, la Chiesa, sempre o dovunque vicina all'uomo, lo è stata qui in misura particolare. Il primo nucleo dell'antico borgo nacque attorno alla pieve di Santo Stefano. Città e tempio crebbero insieme. La chiesa, incardinata nel tessuto urbano, fu il centro non solo culturale e religioso, ma anche morale e ideale, la forza unificante di tutti i pratesi. Le date più significative della città si celebravano nel duomo, dove al culto del santo Protomartire si aggiunse quello mariano del "Sacro Cingolo", custodito dalla chiesa e dal comune come eredità di tutti. Piazza della Pieve divenne la piazza del popolo e Prato meta di pellegrinaggi. Fu questa profondità e purezza di fede a generare molte e illustri figure di vescovi e di sacerdoti, a suscitare il moto popolare del 1787 per respingere innovazioni religiose non ortodosse, a rilanciare il gusto della musica sacra, a ispirare associazioni di beneficenza. Il vostro duomo risorto ora a nuovo splendore, sia nella moderna società dell'opulenza e del crescente materialismo l'emblema d'una religiosità riscoperta e coraggiosamente rilanciata.


4. Il passato sia garanzia, incitamento e scuola del futuro, per l'eliminazione degli aspetti negativi tuttora sussistenti, per lo sviluppo della persona umana in ogni direzione, per il rispetto della vita nascente o al tramonto, per l'assicurazione di un lavoro degno alle nuove generazioni. La società di oggi, per crescere, ha bisogno dei valori trascendenti. Ha bisogno di Dio creatore e Padre, di Gesù salvatore dell'uomo. Altrimenti lo sviluppo non si trasforma in civiltà.

Per questo vostro traguardo del futuro, non soltanto tecnologico ma soprattutto umano, la Chiesa, che è madre e maestra, sarà al vostro fianco, come lo fu nel passato. Sia Prato il modello di un nuovo cammino, sul quale invoco la benedizione del Signore.

Data: 1986-03-19 Mercoledi 19 Marzo 1986




Ai lavoratori nel padiglione "Macrolotto" - Prato (Firenze)

L'uomo al centro dell'intera organizzazione del lavoro


Carissimi fratelli e sorelle! Lavoratori e Lavoratrici di Prato! Con gioia veramente grande vi incontro oggi, nella vostra ospitale e operosa città. Vi ringrazio per la vostra calorosa accoglienza: in essa sento vibrare l'animo fervido delle genti toscane. Di cuore vi saluto. Vorrei stringervi la mano ad uno ad uno. Sappiate tuttavia che vi accolgo in un ideale abbraccio, che vuol essere segno di profonda simpatia e di solidale partecipazione ai vostri sentimenti.

Vivissima gratitudine esprimo a voi, cari amici, che, anche a nome dei vostri colleghi, mi avete rivolto cordiali parole di saluto. Le ho ascoltate con molto interesse, fissando il pensiero soprattutto sui motivi di ansietà e di pena che avete manifestato. Voi avete toccato temi importanti, che ritorneranno in questo mio discorso.


1. Intanto lasciatemi dire che ho ravvisato in voi la raffigurazione del "mondo del lavoro" che distingue questa illustre Città, diventata in breve tempo la maggior concentrazione di industria laniera a raggio mondiale. Un "mondo del lavoro" singolarmente composito, nel quale il carattere industriale si affianca e talora si intreccia con quello artigianale, in una simbiosi che avvalora la molteplicità nella unità.

Voi rappresentate pure le varie categorie umane, che hanno rapporto con l'attività lavorativa. In tal modo avete messo a fuoco, fin dall'inizio del nostro incontro, l'ampiezza del concetto di lavoro, comprendente ogni opera che l'uomo compie con l'esercizio sia delle braccia che dell'intelligenza.


2. Desidero affermare fin dall'inizio di questo nostro incontro che il lavoro è, in prima analisi, una vocazione per l'uomo, un segno qualificante della sua natura di essere razionale, dotato di intelletto e di volontà, creato a immagine di Dio e abilitato a dominare le innumerevoli energie della creazione.

Nella risposta che occorre dare a questa vocazione ci è di modello Gesù.

Egli ha lavorato materialmente per trenta anni con san Giuseppe nella modesta attività di carpentiere, tra le pareti della casa di Nazaret. L'odierna solennità di san Giuseppe - che dà occasione alla mia venuta - associa due figure diverse, il Figlio di Dio nato dalla Vergine e il suo padre legale, accomunate nella fatica dell'identico mestiere. Un esercizio trentennale, privo di vicende esteriori, che ha formato in certo modo la trama della crescita del Salvatore in età, sapienza e grazia. Un prolungamento molto significativo dell'impegnativo compito di assoggettare la terra, che Dio affido all'uomo all'alba dei tempi.

La casa di Nazaret è il cuore e, insieme, il vertice del "Vangelo del lavoro". In essa la luce è proiettata, più che sul tipo di lavoro, sulle persone che lo compiono. Diventa così di limpida evidenza il valore religioso del lavoro, e, fuso con quello religioso, il suo valore umano.

La visione cristiana della realtà s'incentra sull'uomo e sulla sua dignità. Per questo voglio qui ribadire che "il primo fondamento del valore del lavoro è l'uomo stesso, il suo soggetto. A ciò si collega subito una conclusione molto importante di natura etica; per quanto sia una verità che l'uomo è chiamato ed è destinato al lavoro, pero prima di tutto il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro... In ultima analisi lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall'uomo - fosse pure il lavoro più "di servizio", più monotono nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante - rimane sempre l'uomo stesso" (LE 6). La priorità dell'uomo è il cardine attorno al quale deve muoversi l'intera organizzazione del lavoro.

Grande cosa è il lavoro, ma l'uomo è incomparabilmente più grande, l'uomo è sacro. E questa sacralità richiede di essere riconosciuta e professata in ogni circostanza, anche nell'ipotesi che il singolo soggetto se ne sia reso indegno. La sacralità umana è inviolabile e irrinunciabile.


3. La sacralità è la radice da cui nascono tutte le prerogative umane; quelle che formano il mistero della personalità individuale; quelle che dell'uomo fanno un membro costitutivo del tessuto sociale. Qualsiasi impresa che voglia avere basi moralmente sane, non può darsi un'impostazione estranea a questo cardine, o divergente da esso o in contrasto con esso.

L'attività imprenditoriale misura il proprio livello di nobiltà e di moralità, spesso anche di efficienza, sull'atteggiamento che riserva all'essere umano. La tecnica, il capitale, il profitto e tutto ciò che concorre al perfezionamento del lavoro, sono da apprezzare e da favorire nei limiti in cui tengono presente che al centro sta l'uomo: è all'uomo che si devono accuratamente subordinare.


4. L'uomo stesso, che presta la propria opera immerso nell'ingranaggio lavorativo, è chiamato a valorizzare la propria dignità. Non poche circostanze sembrano coalizzarsi in una tenace cospirazione, come ha notato efficacemente l'operaia, che ha preso poco fa la parola. Ritmi pesanti, metodi e obiettivi di una produzione chiamata a far fronte alla concorrenza, vari aspetti della meccanizzazione finiscono a volte per sottomettere l'uomo al lavoro. Il lavoratore si vede talora così assorbito dalla macchina da esserne profondamente condizionato. Ha l'impressione di vivere per lavorare, non di lavorare per vivere.

Mi è stato chiesto come ci si debba porre di fronte a tale realtà. Il problema coinvolge aspetti diversi, che riguardano la persona del lavoratore, la sua famiglia, le condizioni stesse nelle quali egli svolge il suo lavoro. Ma ritengo di poter dare una risposta di fondo. La desumo da un'enunciazione molto significativa, che il Concilio Vaticano II ha fatto propria: "L'uomo vale più per quello che è che per quello che ha" (GS 35). E' una massima di somma sapienza.


5. Ognuno deve costantemente cercare in se stesso la verità del proprio essere.

Scoprire nell'intimo ciò che è in rapporto a ciò a cui tende. Riconoscere lealmente i propri limiti e cercare di superarli fin dove è possibile. Individuare le risorse e farle fruttificare. Quanto più cresce la vera consapevolezza di quello che siamo, tanto più acquista valore il senso dei nostri diritti armonizzato con il senso dei nostri doveri.

Essere uomo nell'ampiezza di dimensioni che questo impegno comporta, è il criterio in base al quale occorre giudicare tanto l'agire quanto l'avere. E', in altri termini, il punto di riferimento verso cui devono convergere le attività racchiuse in tutto l'arco dell'esistenza. E' il segreto per ottenere che nessun aspetto torni a danno dell'altro, ma che tutti si integrino vicendevolmente; che gli obblighi - per esempio - inerenti alla vita di fabbrica tornino a incremento della maturazione personale, della vita familiare e del contributo da dare alla comunità. E viceversa.


6. So che molte aziende pratesi sono a conduzione familiare. In questa tipica caratteristica mi piace vedere un segno della stima e dell'attaccamento di cui fate oggetto l'istituto della famiglia, culla degli affetti, nido della vita.

Il dovere di sostenere la famiglia, anche attraverso contributi adeguati alle necessità umane e sociali dei suoi componenti, è una costante del magistero della Chiesa. Da Leone XIII in poi la nozione di "salario", per corrispondere al criterio di giustizia, è stata sempre correlata alla composizione del nucleo familiare. Lo stesso dicasi in altri campi del servizio sociale.

Nell'enciclica "Laborem Exercens" (LE 10 LE 19) ho sottolineato il punto nodale dei rapporti famiglia-lavoro. "La famiglia è, nel medesimo tempo, una comunità resa possibile dal lavoro e la prima interna scuola di lavoro per ogni uomo". E ho indicato come una tappa di particolare urgenza nel nostro tempo "la rivalutazione sociale dei compiti materni, della fatica ad essi unita e del bisogno che i figli hanno di cura, di amore e di affetto per potersi sviluppare come persone responsabili, moralmente e religiosamente mature e psicologicamente equilibrate".


7. La strettissima relazione tra famiglia e lavoro è destinata a mettere in ancor più nitida luce che l'uomo lavora per vivere. La fatica delle membra e della mente è per la vita. Ora, la vita dell'uomo è sacra. La coscienza comune lo ammette. La fede dice che è un grandissimo dono di Dio. Coerenza vuole che il valore della vita sia professato in assoluto, senza intermittenze, dal concepimento nel grembo materno fino al suo spegnersi naturale. Il primo germoglio è sacro quanto l'ultimo respiro. L'uno e l'altro richiedono il sommo del rispetto e della tutela.

Cari lavoratori e lavoratrici di Prato! Voi certamente comprendete che questi delicatissimi temi rientrano nell'ambito di quella dignità dell'uomo, che occorre tutelare anche sotto il profilo della promozione delle condizioni lavorative. Queste infatti devono essere strutturate in modo che sia efficacemente agevolata la vocazione della famiglia e perché a coloro che hanno concluso le loro prestazioni venga garantito un vivere decoroso e sereno.

Su quest'ultimo punto mi è caro far eco al rappresentante dei pensionati e auspicare fervidamente che i loro problemi siano valutati nell'ottica della giustizia e del senso di umanità. La presenza dei pensionati nel contesto della comunità sia considerata fonte e richiamo di saggezza.

L'uomo è sempre la prima ricchezza: dallo stadio iniziale a quello finale. Il grado di civiltà di un popolo si misura sull'atteggiamento da esso assunto verso coloro che personificano le due parabole della vita: quella ascendente e quella discendente.


8. Uno dei drammi del nostro tempo è la disoccupazione, specialmente giovanile. La vostra collega che ha parlato a nome dei disoccupati, mi ha toccato profondamente il cuore. Si, il non poter disporre di un lavoro, particolarmente quando si guarda al domani e tutte le risorse intellettuali e fisiche reclamano costituzionalmente di potersi esercitare, è una prova veramente drammatica. L'inattività forzata è una situazione iniqua. E' una immobilità che tende a paralizzare perfino la speranza. Sogni e ideali rischiano di annientarsi in una morsa avvilente. Il giovane si vede privato della possibilità di formarsi una famiglia, c'è ormai una storia di crisi e di devastazioni psicologiche e morali, che reclama severe riflessioni.

Io ripeto con forza che la disoccupazione "è in ogni caso un male e, quando assume certe dimensioni, può diventare una vera calamità sociale" (LE 8 LE 18). La disoccupazione è "una piaga". La piaga si forma in organismi deboli o malati. Quando una società viene a trovarsi alle prese con tale fenomeno, è obbligata ad interrogarsi sul proprio stato di salute. Occorre allora ricorrere ad accurate verifiche, esaminando ognuna delle articolazioni sociali per valutarne vitalità e rapporti nel quadro economico globale. Sociologia ed economia hanno certo molto da dire in materia, sulla scia delle imponenti trasformazioni tecnologiche, che condizionano il lavoro moderno.

Ma, anche qui, l'uomo è il primo elemento da considerare. L'uomo, il cui apporto è e sarà sempre necessario sulla strada del progresso. Nessun meccanismo, per quanto perfezionato, può sostituire l'intelligenza umana. Ponendo l'accento sul valore uomo diventa subito chiaro che non a lui possono essere addossati con disinvoltura i maggiori costi dell'automazione. La moderna organizzazione del lavoro va invece studiata e messa in atto attraverso piani organici che salvaguardino scrupolosamente il diritto dell'uomo al lavoro. In base a questo criterio, applicato con buona volontà e lungimiranza, possono essere riassorbite le piaghe della disoccupazione.

Il vero "senso dell'umano" deve necessariamente presiedere alla concertazione delle parti, in modo che la società, mediante l'equilibrato svolgimento delle sue varie funzioni, sia in grado di garantire un'adeguata occupazione a tutti i suoi membri. Questo grande obiettivo io mi permetto di riproporre in particolare alle organizzazioni sindacali, il cui insostituibile compito di difesa e promozione dei diritti dei lavoratori non può restringersi semplicemente alla visione di una categoria, ma deve estendersi all'orizzonte dell'uomo.


9. Molti di voi sono immigrati da altre regioni, e qui hanno trovato, con l'ospitale accoglienza, la possibilità di integrarsi liberamente nel tessuto civico e nell'ambiente di lavoro. E' un dato di fatto che merita di essere messo in risalto. Un segno della tendenza che il lavoro va manifestando sempre più anche a livello mondiale, la tendenza cioè a scavalcare ogni frontiera.

Mi ha fatto molto piacere l'attestazione di solidarietà verso i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, che ho ascoltato all'inizio dell'incontro. La dimensione mondiale dei problemi del lavoro preme con un'urgenza non più trascurabile. Essa è una delle prospettive della "Laborem Exercens", in cui è affermata la necessità di una fattiva collaborazione internazionale mediante trattati e accordi. "Anche qui è necessario che il criterio di questi patti diventi sempre più il lavoro umano, inteso come un fondamentale diritto di tutti gli uomini, il lavoro che dà a tutti coloro che lavorano uguali diritti, così che il livello della vita degli uomini del lavoro nelle singole società presenti sempre meno quelle urtanti differenze, che sono ingiuste e atte a provocare anche violente reazioni" (LE 18), Compiti di vasta portata incombono dunque agli Stati.

Anche i lavoratori possono contribuire al grande obiettivo. Lo possono fare mediante le loro rappresentanze in seno a organismi internazionali specializzati in cui hanno voce attiva, quale l'Organizzazione Internazionale del Lavoro. Nell'ambito del proprio Paese ai lavoratori spetta di svolgere un'azione di stimolo dell'opinione pubblica. Questa, a sua volta, nelle società ordinate democraticamente, può contribuire a far si che le politiche migratorie siano concepite, non su pregiudizi del più vario stampo, ma sulla base del diritto dell'uomo a cercare ovunque le fonti del sostentamento proprio e della sua famiglia, nella visione del bene comune della famiglia umana, che postula il superamento degli squilibri tra le nazioni.

Accanto a questa azione di vasto raggio, hanno ragion di essere le "microrealizzazioni" di solidarietà, le quali assumono le forme più diverse nei singoli casi, e assolvono sempre funzioni preziose, 10. Da tutte queste considerazioni emerge che c'è nella vita una decisiva scala di valori. Esaltiamo il lavoro. E' giusto. Esaltiamo l'uomo nel suo rapporto col lavoro. E' ancora più giusto. Ma l'uomo ha bisogno di qualcosa che lo supera. Ha bisogno del pane quotidiano, eppure non vive di solo pane.

L'uomo cerca sempre qualche cosa di più, stimolato dagli impulsi del suo mondo interiore. Innumerevoli sono le ricchezze nascoste nelle zone intime del suo cuore. Il senso della bontà, della bellezza, della generosità. La nostalgia e la speranza. Il fascino del mistero. Il sentimento etico e morale. L'apertura alla giustizia, alla libertà, alla solidarietà. L'uomo diventa, per così dire, tanto più uomo, quanto più riesce a superare se stesso, scavalcando i confini della materia. Ed ecco l'orizzonte dei grandi valori trascendenti, che vanno oltre l'esperienza sensibile e formano il "mondo soprannaturale". Il mio discorso ritorna così al nucleo religioso, al "Vangelo del lavoro".

E' stato detto da un vostro rappresentante che il distacco tra la Chiesa e il mondo del lavoro va sempre più attenuandosi. Sono molto lieto di tale constatazione, e spero che su questa strada si faranno ulteriori progressi.

Il motivo di fondo è che la Chiesa, nell'affiancarsi al lavoratore e nel propugnarne la dignità senza distinzioni di razze, di credo, di nazionalità, di condizione sociale, agisce in virtù della missione conferitale da Cristo.

Cristo è stato e rimane il grande alleato dell'uomo. Per noi uomini e per la nostra salvezza - come professiamo nel simbolo della fede - è disceso dal cielo e si è fatto uno di noi. Chi crede in lui trova ad ogni crocevia decisivo la luce capace di orientarlo. Nel segno di Cristo il lavoro è strada di perfezione umana e di elevazione soprannaturale, veicolo di santità. Esso non perde mai il proprio significato. Nella maturazione del laicato cattolico, che è un frutto del Concilio, si va diffondendo la spiritualità del lavoro, E' una spiritualità che occorre approfondire nella ricerca dei modi più idonei a valorizzare il fermento cristiano, così da trasformare l'individuo e portare nell'ambiente lavorativo l'amore, la fraternità, la pace di Cristo.

Lavoratori e lavoratrici di Prato! Aprite il cuore a Cristo divino Lavoratore. Accettate il suo messaggio evangelico, In esso si trova la parola che è fonte di dignità e di libertà. Nel vostro lavoro spesso duro, monotono, sfibrante, il Cristo vi offre una carica di sempre nuove energie, che fanno scoprire in ogni circostanza le impronte della Provvidenza.

Mondo del lavoro di Prato! Io invoco su di te, su ciascuno dei tuoi componenti, individui e famiglie, particolarmente sulla cara gioventù, ogni grazia celeste, auspice san Giuseppe. E con grande affetto ti abbraccio e ti benedico.

Data: 1986-03-19 Mercoledi 19 Marzo 1986




Recita dell'Angelus - Prato (Firenze)

Giovani, scegliete il bene: il futuro è vostro



1. "L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea chiamata Nazaret, a una Vergine, sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe.

La vergine si chiamava Maria" (Lc 1,26-27). Nel racconto dell'Annunciazione, accanto alla Vergine santissima compare il suo sposo, Giuseppe, il grande santo che proprio oggi veneriamo. Come riesce spontaneo e naturale il ricordo della sua mite figura in quest'ora dell'Angelus dedicata a Maria, e proprio da questo splendido pulpito, che Donatello costrui in onore della Madonna del Sacro Cingolo, particolarmente venerata da voi Pratesi in questa basilica cattedrale!


2. Recitando l'Angelus insieme con voi, cari giovani studenti, il mio pensiero corre ai lunghi anni che Gesù trascorse nel seno della sua famiglia, accanto a Maria e a Giuseppe. Nella giovinezza di Gesù voi trovate la luce che può illuminare il vostro cammino in questi anni di crescita. I Vangeli - è vero - sono molto sobri nel parlarci di questo periodo della vita del Salvatore. Quel poco che essi ci dicono ci offre tuttavia una luce di straordinaria intensità, che ben può guidarvi tra le oscurità, le incertezze è le difficoltà proprie della vostra età.

Cari giovani, guardate a Gesù, nella sua vita nascosta a Nazaret. A Gesù, che è stato giovane come voi, ha fatto sua anche la vostra età, e quindi l'ha inserita nel grande piano della redenzione e della salvezza. Tutto ciò che della nostra condizione umana ha assunto il Verbo divino incarnandosi, acquista, in lui e per mezzo di lui, un valore meraviglioso, un significato salvifico in vista della vita eterna. Il Figlio di Dio ha voluto far suo il nostro cammino umano, la nostra storia, la nostra crescita umana, fisica e spirituale: nel seno della sua famiglia - come ci dice Luca - "Gesù cresceva in sapienza, età e grazia" (Lc 2,52); "cresceva e si fortificava nello spirito" (Lc 1,80). Cresceva nella sua maturazione umana, negli affetti familiari, e nella preparazione alla sua missione. O momenti preziosi della vita del Salvatore! Le grandi missioni a servizio dell'uomo non si improvvisano, ma esigono una lunga preparazione, nel silenzio di una laboriosità tenace e perseverante.

Così è stato per il giovane Gesù. così deve essere anche per voi, cari giovani, se volete preparare un futuro luminoso e sereno, costruttivo e fecondo per voi e per la società di domani. Il vostro avvenire sarà quale lo avrete voluto e lo avrete preparato in questi anni preziosi della vostra giovinezza. Il futuro appartiene a voi nella misura in cui saprete sottrarvi alle tentazioni del male e affermare la vostra personalità aderendo a ciò che è vero, a ciò che è giusto, a ciò che è bene.


3. Accanto a Gesù, voi vedete la dolce figura di Maria, la sua e nostra Madre, voi avvertite la rassicurante presenza di Giuseppe, l'uomo "giusto" (Mt 1,19), che in operoso silenzio provvede alle necessità dell'intera famiglia. Oggi, 19 marzo, è soprattutto su di lui che sosta l'occhio del cuore, per ammirarne le doti di riservatezza e di disponibilità, di laboriosità e di coraggio, che ne circondano la mite figura di un alone di accattivante simpatia. Tutta la tradizione ha visto in san Giuseppe il patrono e il protettore della comunità dei credenti; la sua potente intercessione accompagna e protegge il cammino della Chiesa nel corso della storia. Egli la difende dai pericoli, la sostiene nelle lotte e nelle sofferenze, le indica il cammino, le ottiene conforti e consolazioni.

Abbiate confidenza in questo santo così grande e così umile. Partecipe com'egli è del mistero di Maria e del suo Figlio divino, egli vi guiderà dolcemente e sicuramente alla comprensione di questo mistero di salvezza, e porterà a compimento quanto di più bello - alla luce di Dio - il vostro cuore desidera. San Giuseppe, con l'esempio della sua vita, parla anche a voi, giovani di oggi, e vi invita a testimoniare nel mondo il vostro amore a Cristo, la vostra onestà e coerenza, il vostro impegno per costruire una società più giusta e più umana.

Data: 1986-03-19 Mercoledi 19 Marzo 1986




Alla comunità religiosa della diocesi - Prato (Firenze)

Fede, pazienza e fervore sull'esempio del curato d'Ars


Carissimi sacerdoti, religiosi, religiose e appartenenti ad Istituti secolari!


1. Sono molto lieto di incontrarvi in questa magnifica e storica cattedrale, dedicata a Santo Stefano, autentico capolavoro dell'arte e della pietà di tanti secoli, centro della diocesi; con grande affetto porgo a tutti il mio saluto. Sono profondamente grato al Signore per la possibilità di intrattenermi con voi, per esprimervi la mia stima e il mio affetto.

Voi siete la parte eletta della diocesi: l'Altissimo ha fatto sentire a voi la sua preferenza e vi ha chiamati al sacerdozio, alla vita religiosa o alla consacrazione nel mondo; ha rivolto a voi la sua voce di predilezione, per un più intimo amore con lui, per una più diretta e responsabile partecipazione al suo disegno di salvezza e di santificazione degli uomini. Tutto questo è certamente misterioso, ma è reale e meraviglioso; e voi, pur comprendendo la propria condizione di indegnità e di inadeguatezza, sentite tuttavia giustamente la sublimità arcana e trasformante della vostra vocazione. Non rimane che meditare ogni giorno sulla vostra grandezza, ringraziare il Signore per tale dono immenso e gratuito, vivere in piena coerenza con le esigenze della nobiltà divina a cui siete stati chiamati!


2. Ho preso visione della sintesi delle attività svolte e delle realizzazioni compiute nella vostra diocesi, fin dall'inizio della sua autonomia giuridica avvenuta nel 1954, e con grande gioia esprimo al caro mons. Fiordelli e a voi tutti il mio vivo compiacimento per quanto è stato fatto con grande dedizione ed entusiasmo.

Nelle 79 parrocchie che formano la diocesi i parroci si prodigano con pastorale zelo! Negli ultimi trent'anni sono state erette 16 nuove parrocchie e costruite 24 nuove chiese, mentre nel "piano regolatore" è prevista un'altra decina di chiese parrocchiali per venire incontro alle necessità spirituali della popolazione, assai aumentata. Come ben so, il seminario è efficiente e il problema delle vocazioni sacerdotali è sentito dai fedeli e dai giovani. Molti sono i religiosi e le religiose che portano il loro contributo di preghiera, di esempio e di attività per lo svolgimento del lavoro pastorale. Molti sono pure gli organismi a favore dell'azione sociale, caritativa, formativa, familiare dietro i quali vi è una stupenda compagine di persone che credono, amano, sperano, lavorano, soffrono, si impegnano, si sacrificano, si spendono per il regno di Dio, nel sublime ideale dell'amore a Cristo e della carità verso il prossimo. E perciò il mio compiacimento si fa esortazione per voi, che avete la responsabilità delle anime: continuate a credere fermamente in ciò che siete, in ciò che portate e annunziate! Certamente gli impegni del sacerdozio e della vita consacrata sono esigenti e talvolta anche crocifiggenti! Eppure la comunità ecclesiale prospera ed è dinamica e feconda in proporzione del fervore dei sacerdoti e delle persone consacrate.

Dobbiamo fare nostre le parole che il Divin Maestro disse nella "preghiera sacerdotale" dell'ultima cena: "Per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità" (Jn 17,18).


3. L'avvenimento più importante per la vostra diocesi è ora il Sinodo, che ha per tema "L'identità, la vita e la missione, oggi, della nostra Chiesa diocesana" ed è stato indetto dal vescovo il 26 dicembre 1984. Dopo la "fase preparatoria", il Sinodo è entrato ora nella "fase parrocchiale", per la quale è richiesta caldamente la collaborazione del maggior numero possibile di fedeli delle singole comunità. Ad essa seguiranno la "fase zonale" con il lavoro più intenso e articolato dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici qualificati, eletti dalle parrocchie e dagli altri gruppi ecclesiali, e infine la "fase conclusiva", a livello diocesano, che dovrà mettere in evidenza le necessità della diocesi e indicare le direttive più consone per la realizzazione di una vita cristiana illuminata e coerente.

La struttura del piano di lavori per lo svolgimento graduale e capillare del Sinodo è degna di lode, e il tema programmatico è valido e pertinente. Vi esprimo pertanto il mio compiacimento e il mio apprezzamento per lo sforzo pastorale che state compiendo e che esige tempo, fatica, preoccupazioni e tenacia, e vi esorto a proseguire con grande impegno l'itinerario tracciato, al fine di riportare alla conoscenza e alla pratica della fede cristiano-cattolica tante persone, che purtroppo si sono staccate e vivono nell'indifferenza, e di infervorare ed elevare sempre più quelle che già sono fedeli e ossequienti. Il Sinodo ha questo compito fondamentale: studiare i metodi più atti a evangelizzare la società di oggi, ad annunziarle la fede in Cristo e a stimolarla ad accettare il suo messaggio di amore e di salvezza. Abbiate pertanto voi stessi prima di tutto una fede ferma e illuminata, forte e serena.

Che cosa significa "aver fede" oggi, nell'epoca moderna? Che cosa significa mantenere viva e integra la fede nel mondo attuale, turbato da fenomeni vasti e sconvolgenti come l'agnosticismo dei centri culturali, l'indifferentismo nelle masse e anche la superficialità emotiva nella religione? "Aver fede" oggi significa prima di tutto prendere rinnovata coscienza della verità annunziata da Cristo, e cioè della rivelazione e della redenzione. Indubbiamente vi sono oggi i pericoli sopra accennati, ma la Verità alla fine emerge e trionfa: "Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede!" (1Jn 5,4). "Non praevalebunt!": la storia lo dimostra. Tra le sue onde sempre agitate tutto può cambiare, negli ordinamenti civili e sociali come nelle espressioni della cultura e del costume; ma la Verità non cambia: "finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà della Legge neppure uno iota o un segno, senza che tutto sia compiuto" (Mt 5,17). La parola di Dio è chiara: Cristo è la rivelazione del Padre ed è la via autentica e sicura per giungere alla conoscenza e all'amore di Dio, per realizzare il destino della propria esistenza... La nostra forza e la nostra gioia stanno nella Verità e il nostro ideale sta nell'annunzio e nella testimonianza di essa: "L'amore di Cristo ci spinge" (2Co 1,14).

"Aver fede" oggi significa inoltre "aver pazienza". La pazienza nel lavoro apostolico è sempre stata necessaria, tanto più nei nostri tempi. Pazienza non significa acquiescenza all'errore, tolleranza quietista, connivenza timida e inerte, cedimento all'equivoco e all'ambiguità. Pazienza significa accettazione dei disegni della Provvidenza, che rispetta i tempi e i modi della maturazione dei singoli individui e dei popoli. Aver pazienza significa eliminare le irritazioni, le esasperazioni, le irruenze e anche le frustrazioni, le demoralizzazioni, le stanchezze, per impegnarsi nel compiere la propria missione con instancabile dedizione, nell'umiltà e nel nascondimento, sempre con coerenza e con alacrità. Lo spirito deve essere forte e ben fondato sulla roccia della Verità; e il cuore deve essere sensibile alle esperienze dei "singoli" e della storia.

Ricorrendo quest'anno il secondo centenario della nascita di Giovanni Maria Vianney, il santo curato d'Ars, ho voluto dedicare alla sua persona e al suo insegnamento la Lettera che ho indirizzato a tutti i sacerdoti in occasione del prossimo Giovedi Santo. Tra le virtù cristiane da lui eroicamente esercitate, si evidenzia in modo impressionante proprio quella della pazienza. Pur nella sua austerità personale e nel rigore della sua pastorale, la sua pazienza con tutti, e specialmente con i peccatori, era diventata proverbiale, Preconizzando la specifica attività eucaristica di padre Giuliano Eymard, egli diceva: "Sempre bisogna aver molta pazienza e rassegnazione, quando si vuole compiere la volontà del buon Dio". Tale impegno di serena pazienza è necessario anche in questo speciale periodo del post-Concilio, in cui sta maturando nella Chiesa una nuova realizzazione del messaggio di Cristo, molto più personalizzata e profonda, di cui non conosciamo la portata futura. Attendiamo, guardando all'avvenire, fiduciosi nell'azione di Dio che guida la storia! Infine, "aver fede" oggi significa ancora mantenere il fervore spirituale. Voi, sacerdoti impegnati nel ministero parrocchiale, nella scuola, nel seminario, nella direzione dei vari gruppi laicali; voi, religiosi e religiose, particolarmente consacrati con i tre voti all'amore esclusivo e intimo di Cristo e al servizio della Chiesa; voi, appartenenti agli Istituti secolari con l'impegno di tenere accesa e luminosa nel mondo la lampada della fede e della carità cristiana, avete il grande e delicato incarico di educare le anime alla dottrina, alla pietà e alla disciplina che caratterizzano il seguace del Divin Redentore.

Infatti la Chiesa ha l'unica missione di continuare nel tempo la rivelazione e la redenzione operate da Cristo.

Bisogna perciò possedere in abbondanza il tesoro del fervore interiore, per poter dare agli altri, per poter comunicare la gioia della Verità ed essere strumenti della "grazia". Di qui sgorga l'esortazione ad essere sempre fedeli a un'intensa vita interiore, nutrita soprattutto dalla celebrazione della santa Messa, dalla devozione eucaristica e dalla meditazione quotidiana. Solo mediante l'Eucaristia è possibile mantenere l'innocenza dei fanciulli, la purezza dei giovani, la castità e la fedeltà matrimoniale, la consacrazione sacerdotale e religiosa.

Nel riflettere sulla grande importanza nella Chiesa della vita di donazione a Dio, desidero rivolgere la mia parola anche ai familiari dei sacerdoti e dei religiosi, che sono presenti a quest'incontro. Accogliete anche voi il mio cordiale saluto, unito al ringraziamento per quanto avete compiuto per il bene della Chiesa. Siate sempre santamente fieri che il Signore abbia chiamato qualcuno della vostra famiglia a seguirlo da vicino. Continuate pero ogni giorno ad accompagnarli con la preghiera, affinché il loro impegno di consacrazione sia sempre perseverante e fervoroso. Il Signore continui a benedire le famiglie di codesta Città, donando numerose e sante vocazioni sacerdotali, religiose e missionarie.


4. Carissimi! Rivolgiamo il nostro pensiero a Maria santissima, la nostra celeste Madre, e affidiamo a lei i nostri propositi e il buon esito del Sinodo! San Giuseppe, che oggi celebriamo nella solennità liturgica, e santa Caterina de' Ricci, vostra celeste compatrona, vi aiutino e vi ispirino sempre! A tutti la mia benedizione.

Data: 1986-03-19 Mercoledi 19 Marzo 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Alla cittadinanza in Piazza del Comune - Prato (Firenze)