GPII 1986 Insegnamenti - Omelia nella Domenica delle Palme - Città del Vaticano (Roma)

Omelia nella Domenica delle Palme - Città del Vaticano (Roma)

In occasione della Prima Giornata mondiale della gioventù



1. "Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell'alto dei cieli" (Antifona d'ingresso). Proprio oggi sono state proclamate queste parole, cioè nel giorno del quale la Chiesa celebra il ricordo ogni anno, nella Domenica delle Palme. Queste parole sono state pronunciate con entusiasmo dagli uomini che si erano recati a Gerusalemme per la festa di Pasqua, così come anche Gesù vi si era recato per celebrare la sua Pasqua.

Sono state proclamate queste parole particolarmente dai giovani "Pueri Hebraeorum", come dice il testo liturgico. La partecipazione dei giovani all'avvenimento della Domenica delle Palme si è fissata nella tradizione. Ne rende testimonianza anche Roma e specialmente questa Piazza di san Pietro. Tale testimonianza è stata particolarmente significativa negli ultimi due anni: nell'anno del Giubileo della Redenzione e nell'Anno Internazionale della Gioventù.


2. Oggi siete qui di nuovo, cari giovani amici, per iniziare a Roma, in Piazza san Pietro, la tradizione della Giornata della Gioventù, alla cui celebrazione è stata invitata la Chiesa intera. Di tutto cuore vi do il benvenuto, e saluto tutti coloro che sono giunti qui non soltanto da Roma e dall'Italia, ma anche da più lontano. So che sono qui presenti giovani della Spagna, della Francia, della Svizzera, della Jugoslavia, della Germania, dell'Austria e di altri Paesi.

Saluto tutti voi qui presenti. Nello stesso tempo insieme con voi saluto tutti coloro che non sono qui presenti, ma che oggi - o in altro giorno dell'anno, secondo le varie circostanze - manifestano quest'unità che è la Chiesa di Cristo nella comunità dei giovani. Quindi oggi do il mio saluto a tutti coloro che dappertutto - in qualsiasi paese di ciascuno dei cinque continenti - celebrano la Giornata della Gioventù. Il punto di riferimento per questa Giornata rimane, ogni anno, la Domenica delle Palme.

Vi ringrazio che vi siete preparati all'odierna Domenica, qui a Roma, nel raccoglimento e nella preghiera, meditando il mistero pasquale di Cristo, congiunto alla croce e alla risurrezione. Questo mistero rivela nel modo più profondo Dio che è Amore: che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Jn 3,16). Nello stesso tempo questo mistero permette all'uomo di comprendere fino n fondo se stesso: l'uomo, la sua dignità e la sua vocazione, come del resto insegna il Concilio Vaticano II.


3. Oggi, dunque, noi tutti guardiamo a Cristo - questo Cristo, che (secondo il preannunzio dal profeta) viene a Gerusalemme su un puledro d'asino in conformità all'usanza del luogo. Gli apostoli hanno messo i loro mantelli sulla bestia da soma, perché Gesù vi si potesse mettere seduto. E quando egli fu vicino alla discesa del monte degli Ulivi, tutta la folla dei discepoli, esultando, comincio a lodare Dio a gran voce, per i prodigi che avevano veduto (cfr Lc 19,37).

Infatti, nella sua terra natia Gesù era già riuscito a giungere con la buona novella a molta gente, a molti figli e figlie d'Israele, agli anziani, ai giovani, alle donne e ai bambini. E insegnava operando: facendo del bene. Rivelava Dio come Padre. Lo rivelava con l'opera e con la parola. Beneficando tutti, particolarmente i poveri, i sofferenti, preparava nei loro cuori la via per l'accoglimento della parola, perfino quando questa parola era, in un primo tempo, incomprensibile, come per esempio il primo annunzio dell'Eucaristia; perfino quando questa parola era esigente, come sull'indissolubilità del matrimonio. Era tale e tale è rimasta.

Tra le parole pronunziate da Gesù di Nazaret se ne trova anche una indirizzata a un giovane, a un giovane ricco. A questo colloquio ho fatto riferimento nella lettera dell'anno scorso ai giovani e alle giovani. E' un colloquio conciso, contiene poche parole, ma quanto è denso, quanto carico di contenuto, quanto è fondamentale!


4. Oggi, dunque, contempliamo Gesù di Nazaret, che viene a Gerusalemme: il suo arrivo è accompagnato dall'entusiasmo dei pellegrini: "Osanna al figlio di Davide!" (Mt 21,9).

Sappiamo tuttavia che l'entusiasmo verrà fra poco soffocato. Già adesso alcuni farisei tra la folla chiedono a Cristo di vietare ai suoi discepoli di gridare. Quanto è significativa la risposta di Gesù: "Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre" (Lc 19,40).

Contempliamo quindi "colui che viene nel nome del Signore" (Mt 21,9) nella prospettiva della Settimana Santa. "Ecco, noi andiamo a Gerusalemme e... il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno..." (Lc 18,31-33).

Così dunque taceranno le grida della folla della Domenica delle Palme.

Lo stesso Figlio dell'uomo sarà costretto al silenzio della morte. E quando, la vigilia del sabato, lo caleranno giù dalla croce, lo deporranno in un sepolcro, rotoleranno un masso contro l'entrata del sepolcro e sigilleranno la pietra.

Tuttavia dopo tre giorni questa pietra sarà rotolata via. E le donne che verranno alla tomba, la troveranno vuota. Ugualmente gli apostoli. così dunque quella "pietra rotolata via" griderà, quando tutti taceranno. Griderà. Essa proclamerà il mistero pasquale di Gesù Cristo. E da essa attingeranno questo mistero le donne e gli apostoli, che lo porteranno con le loro labbra nelle strade di Gerusalemme, e poi per le vie del mondo d'allora. E così, di generazione in generazione, "grideranno le pietre".


5. Che cosa è il mistero pasquale di Gesù Cristo? Sono gli avvenimenti di questi giorni, particolarmente degli ultimi giorni della Settimana Santa. Questi avvenimenti hanno la loro dimensione umana, come ne rendono testimonianza le descrizioni della Passione del Signore nei Vangeli. Mediante questi avvenimenti il mistero pasquale è collocato nella storia dell'uomo, nella storia dell'umanità.

Tuttavia tali avvenimenti hanno, nello stesso tempo, la loro dimensione divina, e proprio in essa si manifesta il mistero.

Ne scrive concisamente san Paolo: Gesù Cristo "il quale, pur essendo di natura divina, non considero un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spoglio se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini" (Ph 2,6-7). Questa dimensione del mistero divino si chiama Incarnazione: il Figlio della stessa sostanza del Padre si fa uomo, e come tale diventa servo di Dio: servo di Jahvè come dice il Libro di Isaia. Mediante questo servizio del Figlio dell'uomo, la divina economia della salvezza raggiunge il suo apice, la sua pienezza. Ne continua a parlare san Paolo nell'odierna liturgia: "apparso in forma umana, umilio se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Ph 2,7-8). Questa dimensione del mistero divino si chiama redenzione.

L'obbedienza del Figlio dell'uomo, l'obbedienza fino alla morte di croce bilancia in modo sovrabbondante la disubbidienza nei riguardi del Creatore e del Padre contenuta nel peccato dell'uomo sin dall'inizio.

Così dunque il mistero pasquale è la sola realtà divina dell'Incarnazione e della Redenzione, introdotta nella storia dell'umanità.

Introdotta nel cuore stesso e nella coscienza stessa di ciascuno di noi. Ciascuno di noi è presente in questo mistero mediante l'eredità del peccato, che di generazione in generazione conduce alla morte. Ciascuno di noi trova in essa la potenza per la vittoria sul peccato.


6. Il mistero pasquale di Gesù Cristo non si esaurisce nello spogliamento di Cristo. Non lo chiude la grande pietra messa sull'entrata del sepolcro dopo la morte sul Golgota. Il terzo giorno questa pietra verrà rotolata via dalla potenza divina e incomincerà a "gridare": incomincerà a parlare di ciò che san Paolo ancora esprime in queste parole dell'odierna liturgia: "per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" (Ph 2,10-11). Redenzione significa pure esaltazione.

L'esaltazione, la risurrezione di Cristo apre una prospettiva assolutamente nuova nella storia dell'uomo, nell'esistenza umana, sottomessa alla morte a causa dell'eredità del peccato. Al di sopra della morte sta la prospettiva della vita. La morte fa parte delle dimensioni del mondo visibile, la vita è in Dio. Il Dio della vita parla a noi della croce e risurrezione del suo Figlio.

Questa è l'ultima parola della sua rivelazione. L'ultima parola del Vangelo. Proprio questa parola è contenuta nel mistero pasquale di Gesù Cristo.


7. Mediante la croce e la risurrezione, mediante il mistero pasquale, Cristo rivolge a ciascuno di noi la chiamata: "seguimi". L'ha rivolta al giovane del Vangelo sulle vie del suo pellegrinaggio messianico, ma allora la verità su di lui (su Cristo) non era ancora stata rivelata fino in fondo.

Deve rivelarsi fino in fondo in questi giorni. Deve essere completata con la sua passione, morte e risurrezione. Deve diventare risposta agli interrogativi più fondamentali dell'uomo. Deve diventare sfida dell'immortalità.

E proprio in questi giorni, voi giovani siete venuti presso le tombe degli apostoli. Qui, dove Pietro e Paolo, quasi duemila anni fa, resero testimonianza a Cristo, il quale mediante la croce è diventato "il Signore, a gloria di Dio Padre". Abbiamo deciso di celebrare nella Chiesa la Giornata della Gioventù proprio in questa domenica.


8. Veramente non sono rimasti delusi coloro che all'ingresso di Gesù a Gerusalemme hanno gridato: "Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore". Non lo sono rimasti quei giovani, "pueri Hebraeorum". Venerdi sera tutto sembrava testimoniare la vittoria del peccato e della morte, tuttavia dopo tre giorni ha parlato di nuovo la "pietra rotolata via" ("grideranno le pietre"). E non sono rimasti delusi. Tutte le aspettative dell'uomo, carico dell'eredità del peccato, sono state completamente superate. "Dux vitae mortuus / regnat vivus".

E perciò celebriamo questo giorno come la Giornata della Gioventù.

Infatti esso è legato alla speranza che non delude (cfr Rm 5,5). Le generazioni che sempre si rinnovano hanno bisogno di questa speranza. Ne hanno sempre più bisogno. Non sono rimasti delusi coloro che hanno gridato: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore!". Si. Viene. E' entrato nella storia dell'uomo. In Gesù Cristo Dio è entrato in modo definitivo nella storia dell'uomo. Voi giovani dovete incontrarLo per primi. Dovete incontrarLo costantemente.

"La Giornata della Gioventù" significa proprio questo: andare incontro a Dio, che è entrato nella storia dell'uomo mediante il mistero pasquale di Gesù Cristo. Vi è entrato in modo irreversibile.

E vuole incontrare prima voi. Giovani. E a ciascuno vuole dire: "Seguimi", Seguimi. Io sono la Via, la Verità e la Vita.

Data: 1986-03-23 Domenica 23 Marzo 1986




Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Vivere da protagonisti l'anno della preghiera per la pace



1. "Stava presso la croce di Gesù sua madre... Gesù allora, vedendo la madre e li accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo Figlio!" Poi disse al discepolo: "Ecco la tua madre!". E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa" (Jn 19,25-27).

Recitando a mezzogiorno l'Angelus, richiamiamo davanti agli occhi delle nostre anime quell'evento, quel momento, che pure appartiene al mistero pasquale di Gesù Cristo. Il Crocifisso affida a sua Madre il discepolo. E' il discepolo "che Egli (Gesù) amava", così come una volta provo affetto per il giovane del Vangelo, dopo aver posato su di lui lo sguardo" (cfr Mc 10,21). Il discepolo sotto la croce, l'evangelista Giovanni, scrive le parole del testamento di Gesù.

Proprio voi tutti, cari giovani, ragazzi e ragazze, discepoli di Cristo siete stati, insieme con lui, affidati alla Madre del vostro Maestro. Siete stati a lei affidati nell'ora della redenzione del mondo. Occorre dunque che accogliate Maria nelle vostre giovani vite così come l'apostolo Giovanni l'ha accolta "nella sua casa". Che permettiate a lei di esservi Madre. Che apriate dinanzi a lei i vostri cuori e le vostre coscienza. Che lei vi aiuti a trovare sempre Cristo, per "seguirlo" su ogni strada della vostra vita.


2. Un problema desidero poi ricordarvi in occasione di questa comune preghiera dell'Angelus. L'anno 1986, per iniziativa dell'ONU, è l'Anno della pace. Sin dal primo giorno di esso, la Chiesa ha dato rilievo a questa iniziativa, che esprime i timori ma anche le speranze di tutta la famiglia umana. Quindi l'anno in corso è pure l'anno della preghiera per la pace e in questa preghiera desideriamo unirci non solo con tutti i seguaci di Cristo, ma anche con quanti professano le religioni non-cristiane in tutto il mondo. A questo scopo, a tutti i responsabili delle medesime è stato rivolto l'invito, ed è stato prescelto il luogo, Assisi, per una comune preghiera, nel mese di ottobre.

"La pace e i giovani camminano insieme". così annunziava il messaggio per il Capodanno del 1985. Chiedo dunque al Signore che la preghiera per la pace venga in modo particolare partecipata anche da voi, giovani. Cresca in questo modo la grande forza morale nel mondo così minacciata dalla corsa agli armamenti, dall'odio, dal terrorismo, dalla violazione dei diritti umani, specie del diritto alla vita dal momento del concepimento fino alla morte. "Beati gli operatori di pace"...!


3. Mentre ci troviamo alla soglia della Settimana Santa, insieme con Maria presso la croce di Cristo abbracciamo con la nostra preghiera tutti i giovani del mondo intero: la gioventù maschile e femminile. Tutti. Specie coloro che soffrono.

Dio ha esaltato Cristo, nato dalla Vergine Maria, mediante la croce.

Nella croce di Cristo desideriamo ritrovare - insieme con l'apostolo delle genti - la forza di Dio e la sapienza di Dio. Da ciò dipende il futuro dell'uomo e del mondo.

Data: 1986-03-23 Domenica 23 Marzo 1986









Ai pellegrini tedeschi - Città del Vaticano (Roma)

Un saluto e l'augurio pasquale


Vi saluto tutti cordialmente qui alla tomba dell'apostolo Pietro durante questo incontro a metà della settimana pasquale: noi cristiani la chiamiamo anche Settimana Santa: in essa ripercorriamo e ricerchiamo alla mente con solenne commemorazione gli avvenimenti decisivi nella vita del nostro Signore Gesù Cristo.

La sua fedeltà alla missione di salvezza, che Dio gli aveva affidato, e il suo amore per gli uomini, che egli vedeva errare senza guida nella colpa e nella paura, lo avevano spinto a testimoniare la verità della vita senza timore anche là dove incontrava gelosia, rifiuto e odio. così divenne "l'Agnello che toglie i peccati del mondo". Dio Padre rispose a questa fedeltà di vita difendendo Gesù Cristo anche nella morte e chiamandolo alla beatitudine della risurrezione.

Anche voi certamente parteciperete ai solenni riti dei prossimi giorni i quali animano la nostra fede, risvegliano la speranza e rendono più profondo l'amore. In questo modo noi guardiamo a questo Giovedi Santo, nel quale ricordiamo la istituzione della Santa Eucaristia e del Mistero Sacerdotale della Chiesa da parte del Signore; attendiamo il Venerdi Santo, quando possiamo porre tutta la sofferenza e la miseria del mondo sulle spalle del nostro Salvatore: esse sono così forti a causa del suo infinito e profondo amore e della sua salda fedeltà.

Infine attendiamo con gioia il giorno della Santa Pasqua che inizia in mezzo alla notte dei nostri limiti e della nostra cecità e conduce alla raggiante luce della risurrezione, alla vita di Cristo.

Ai preti di tutto il mondo, che domani, Giovedi Santo, festeggeranno la speciale festa della loro chiamata e del loro ministero ho scritto una lettera come segno del legame fraterno: questa lettera descrive in poche righe la figura del santo curato d'Ars. A voi tutti desidererei raccomandare questo compito: amate e rafforzate i vostri preti! Incontrateli come messaggeri di Cristo, vostro Salvatore: a lui siete pienamente consacrati, percorrete il suo cammino di vita, grazie alla sua potenza potete agire. In ciò sta la dignità e il significato dei sacerdoti, ma anche la loro vicinanza alla sofferenza, al disprezzo e alla calunnia, all'odio e alla persecuzione dei potenti, proprio come il loro Signore e maestro ha sofferto. Siate quindi solidali ai vostri preti, dimostrate loro la vostra stima e il vostro amore; soprattutto pero pregate per loro. Maria ha accompagnato suo Figlio nel suo Calvario; ha anche resistito sotto la croce. Con lei possiamo vivere pieni di gioia e di stupore la mattina della risurrezione. Auguro a voi tutti di cuore questa esperienza che dà consolazione.

Portate questa speranza ai vostri figli e ai giovani così che inizino il loro cammino di vita con positiva attesa e con fiducia; portatela ai malati affinché riconoscano nella croce di Cristo il suo infinito amore che comprende anche il loro dolore; portatela alle persone anziane perché riconoscano, pur nell'oscurità che circonda ogni persona alla fine della vita, la luce di Cristo, la sua parola eterna, il nostro fratello e salvatore Gesù Cristo. Egli è per tutti noi via, verità e vita.

Auguro così a voi tutti una Settimana Santa e una Pasqua benedette.

Data: 1986-03-25 Martedi 25 Marzo 1986




Omelia alla messa crismale - Città del Vaticano (Roma)

Un sigillo spirituale impresso nell'anima del sacerdote


Carissimi.


1. "Grazia a voi e pace... da Gesù Cristo, il testimone fedele" (Ap 1,4 Ap 1,5). Gesù Cristo, testimone fedele di Dio invisibile, con la potenza delle sue parole ci interpella dal cenacolo nella liturgia del Giovedi Santo.

Sono le parole della instaurazione della nuova alleanza nel sangue del suo sacrificio. Sono parole che rivelano fino in fondo il mistero di Dio, che è Amore.

Le ore di questo giorno sono di preparazione a quel momento in cui la liturgia serale ancora una volta ci renderà presente l'avvenimento dell'ultima cena. E in pari tempo inizierà il "triduum sacrum": il ciclo santissimo che rende presente quell'Amore, col quale Dio ha amato il mondo: "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amo sino alla fine" (Jn 13,1).


2. Prima che ciò si compia, la Chiesa celebra la liturgia mattutina del Giovedi Santo. E' la liturgia della santa attesa, e insieme - si può dire - la liturgia della "grande preparazione". Essa si chiama "Missa chrismatis". Vi corrisponde la prima lettura tratta dal profeta Isaia, che poi viene ripresa dal vangelo secondo Luca: "Lo spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione" (Lc 4,18 Is 61,1).

A queste parole di Isaia si è richiamato Gesù di Nazaret all'inizio della sua missione messianica. "Unzione" significa l'opera dello Spirito Santo, l'elargizione della sua potenza, il donarsi di Dio stesso mediante la grazia, che è la forza della santità e della santificazione.


3. Proprio oggi questa "unzione" deve compiersi sino alla fine. Gesù di Nazaret si rivela completamente come Messia, cioè Cristo, come "l'Unto e il Mandato".

Il suo Mandato nello Spirito Santo raggiungerà lo zenit nella Eucaristia. Diventerà il sacramento della Chiesa per tutti i tempi. Diventerà in questo sacramento la sorgente dell'unzione e della missione nello Spirito Santo per tutti coloro che accolgono la parola della istituzione di Cristo: la parola e il sacramento. Proprio per questo la Chiesa nella liturgia mattutina del Giovedi Santo benedice gli oli sacri, specie il crisma. Gli oli sono segno della potenza sacramentale, che ha la sua sorgente nel sacrificio di Cristo. Sono le potenze dello Spirito di Verità, dello Spirito Consolatore: il Paraclito. E' una liturgia della preparazione: tutto ciò che deve diventare il frutto del sacrificio salvifico di Cristo, trova in essa la sua espressione e il suo segno.


4. "A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue... a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. (Egli) ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre" (Ap 1,5 Ap 1,6).

Ha fatto, di noi, sacerdoti. Vi sono segni esterni, che compongono l'ordine sacramentale della Chiesa: essi servono la sua missione salvifica in terra. Vi sono pure segni interni. Uno speciale segno interno è impresso nell'anima di ciascuno di noi, miei cari fratelli nel sacerdozio. Quel segno è un sigillo spirituale. E' un carattere incancellabile, mediante il quale lo Spirito Santo consolida per secoli la nostra partecipazione al sacerdozio di Cristo. Una partecipazione particolare: ministeriale e insieme gerarchica perché rimanga in noi la somiglianza a Colui che solo è "sacerdote per sempre, alla maniera di Melchisedek" (He 5,6 He 7,17 Ps 109,4).


5. Proprio noi in modo speciale aspettiamo l'ora dell'ultima cena, in cui, insieme con l'Eucaristia, è stato istituito il sacramento del sacerdozio. Per noi questa liturgia mattutina del Giovedi Santo è pure, in modo particolare, la liturgia della santa attesa, la liturgia della grande preparazione. Desideriamo dunque insieme con tutti i nostri fratelli nel sacerdozio nel mondo intero, rinnovare, nel giorno odierno, i voti e le promesse pronunciati il giorno della nostra ordinazione. Desideriamo rinnovare la grazia del sacramento che ci viene partecipata: che è diventata la nostra vita, la nostra vocazione, il nostro carisma e il nostro ministero nella Chiesa.


6. Grazia a voi e pace da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra.

Ecco, ancora un altro Giovedi Santo. Ecco, ancora un altro "triduum sacrum". Ancora un altro segno dell'inizio del compimento definitivo. Infatti tutto deve compiersi mediante colui che è la pienezza: la pienezza di Dio nella storia del creato che passa; la pienezza di Dio nella storia dell'uomo mortale in terra.

Egli: il primogenito dei morti. Egli: il principe dei re della terra.

Egli: "l'Alfa e l'Omega... Colui che è, che era e che viene" (Ap 1,8). Egli: "Tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il petto" (Ap 1,7).

Ci troviamo alla soglia dei "triduum sacrum". Nel mistero pasquale della morte e della risurrezione è radicato il sacerdozio comune della Chiesa. E' radicato il nostro sacerdozio, ricevuto dagli apostoli. Dono particolare e una grande vocazione! Amen!

Data: 1986-03-27 Giovedi 27 Marzo 1986




Omelia alla santa messa "in cena Domini" - San Giovanni in Laterano (Roma)

L'uomo è capace di accogliere un Dio crocifisso?



1. "Non mi laverai mai i piedi" (Jn 13,8).

Dopo la preparazione di questa mattina in San Pietro, siamo venuti nella Basilica Lateranense "Mater omnium Ecclesiarum". Proprio qui desideriamo vivere questo momento santissimo: l'istituzione del sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, sacramento dal quale nasce incessantemente la Chiesa.

"Mater omnium Ecclesiarum", questa Basilica sembra essere il luogo più adatto per celebrare l'ultima cena; per vivere insieme con Cristo e con gli apostoli l'ora della nascita della Chiesa nel sacramento della morte del divino Sposo: "la nuova alleanza nel mio sangue" (Lc 22,20).


2. L'istituzione del sacramento dell'ultima cena è collegata, mediante un vincolo dai molteplici significati, con la lavanda dei piedi degli apostoli; gesto che anch'io ripetero fra poco, in conformità alle norme liturgiche, lavando i piedi a dodici sacerdoti.

"Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzo da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi verso dell'acqua nel catino e comincio a lavare i piedi dei discepoli" (Jn 13,3-5).

Proprio in quel momento incontro la resistenza di Pietro. L'odierno Vangelo ce lo ricorda. Pietro comincio ad opporsi e la sua resistenza era categorica: "Non mi laverai mai i piedi".

Già una volta Pietro si era opposto così a Cristo. Questo era avvenuto poco dopo aver confessato la fede nel Messia, Figlio di Dio. Era avvenuto quando, dopo quella confessione, Gesù preannuncio la sua passione. Allora Pietro comincio a protestare dicendo: Signore questo non ti accadrà mai (cfr Mt 16,22). Se era il Figlio del Dio vivente, come parlare di passione? Di morte su una croce? Dio è sovrano di ogni cosa. E' Signore del cielo e della terra. Allora, come può essere vinto dagli uomini? Come gli uomini possono infliggergli la morte! In quel momento Cristo rimprovero duramente Pietro. Forse a nessuno ha mai parlato così severamente, come in quella circostanza fece con lui. Questa volta invece Cristo non rimprovera Pietro. Lo ammonisce soltanto delicatamente.

Usa un tono suadente: "Se non ti lavero, non avrai parte con me" (Jn 13,8). E Pietro si arrende al Maestro.


3. Tuttavia, perché Pietro si era opposto prima? Perché si era opposto quando Gesù - dopo Cesarea di Filippo - aveva preannunciato la sua passione e la morte di croce! Forse proprio perché gli era stato dato di conoscere la Divinità di Cristo: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). Gli era stato dato di conoscere il mistero inscrutabile di Dio: tutte le cose che sono tenute nascoste ai potenti e ai sapienti vengono rivelate ai piccoli (cfr Mt 11,25).

Eppure, "nessuno conosce il Figlio se non il Padre..." (Mt 11,27). E' il Padre che ha rivelato a Pietro la Divinità del Figlio. Ma appunto per questo: come può dire lui, il Cristo, il Figlio di Dio, che verrà ucciso, condannato a morte dagli uomini? Dio non è forse il Signore assoluto di tutto quanto esiste? Non è il Signore assoluto della vita? E anche adesso: come può lui, il Figlio del Dio vivente, il Signore, comportarsi da servo? Come può mettersi in ginocchio ai piedi degli apostoli e lavare loro i piedi? Come può inginocchiarsi ai piedi di Pietro! Pietro difende dinanzi a se stesso, difende dinanzi ai Dodici, difende dinanzi a Cristo la sua immagine di Dio; di Dio e del Figlio di Dio. Quanti uomini nel mondo hanno difeso così e difendono la loro immagine di Dio. Quanti popoli quante tradizioni, culture, religioni? Dio e l'Essere perfettissimo, è l'Ente supremo inscrutabile, è il Signore assoluto di ogni cosa... E' impossibile che egli si facesse uomo. Impossibile che volesse servire. Lavare i piedi ai discepoli. Impossibile che potesse morire sulla croce.


4. Questo nuovo contrasto di Pietro con Cristo precede, in quella sera che oggi rievochiamo, il mistero dell'istituzione dell'Eucaristia. Detto semplicemente: questo Dio è Amore.

Come Amore, ha creato il mondo. Come Amore ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza. Come Amore si è fatto il Dio dell'alleanza. Come Amore si è fatto Uomo: ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, affinché l'uomo abbia la vita eterna (cfr Jn 3,16).

Come Amore, vuole andare sulla croce, per redimere i peccati del mondo, per stabilire la nuova ed eterna alleanza "nel suo Sangue". Come Amore, istituisce, in questa sera, l'Eucaristia. L'Amore infatti non intende altro se non il bene che desidera donare. Il bene al quale vuole servire.

Per questo bene, egli, che è l'Onnipotente, è disposto a diventare debole come un condannato consegnato alla morte di croce, è disposto a diventare debole e indifeso come pane: "Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me" (Lc 22,19).


5. L'uomo è capace di accogliere un Dio crocifisso? E' capace di accogliere un Dio Eucaristico? Ecco la domanda contenuta nel cuore del triduo sacro. Nel profondo del mistero pasquale di Gesù Cristo. Nel profondo di quest'ultima cena, la cui memoria celebriamo oggi.

Insieme con la domanda c'è anche la risposta. Il pensiero dell'uomo attento a Dio può camminare per diverse vie e su strade impervie. può perfino volgersi contro Dio, può negare la sua esistenza. Tuttavia Dio - al di sopra di tutto questo - "non può rinnegare se stesso" (2Tm 2,13), non può cessare di essere se stesso. Non può cessare di essere Amore.

Data: 1986-03-27 Giovedi 27 Marzo 1986




Alla Polizia Stradale italiana - Città del Vaticano (Roma)

La Pasqua illumina la vita quotidiana


Cari Ufficiali e Agenti della Polizia Stradale.


1. Vi accolgo anche quest'anno con profonda gioia per l'incontro ormai tradizionale del Sabato Santo, un giorno così significativo per gli spunti che esso ci offre in ordine alla Pasqua di Risurrezione, mistero di speranza e di salvezza. Vi ringrazio di cuore per essere venuti qui a esprimermi i vostri voti augurali, che ricambio ben volentieri con l'auspicio di ogni bene, spirituale e materiale, per voi e per le vostre famiglie.

La circostanza mi offre anche la possibilità di rinnovarvi il mio ringraziamento per la solerte e preziosa opera che voi prestate sia nelle mie visite alle comunità romane, sia a quelle in Italia al fine di assicurare un ordinato e fruttuoso approccio pastorale. Conosco bene con quale spirito di sacrificio e di abnegazione voi vi impegnate nel vostro delicato servizio; né mi sfugge quel senso di professionalità e di fine sensibilità umana che vi distingue nell'assicurare il buon andamento di quelle manifestazioni.


2. Le festività di Pasqua fanno salire dal fondo del cuore tutti quei forti sentimenti che sono propri della fede cristiana. La Pasqua infatti è il mistero di rinnovamento, di vittoria e di risurrezione; è passaggio da una fase all'altra, da una situazione spirituale a un'altra: dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce; è un vedere la nostra realtà interiore e quella che ci circonda con occhi nuovi, con nuovo slancio, con nuova fede e nuova speranza; è una celebrazione che fa riconsiderare e approfondire il fatto originale e straordinario del nostro battesimo, della nostra inserzione nella vita stessa di Cristo morto e risorto, e del nostro aumento, mediante i sacramenti pasquali, di quel principio vitale e soprannaturale che si chiama grazia! In questo modo la Pasqua illumina non solo la vita religiosa, ma anche la vita quotidiana, la vita pratica, propria di chi è immerso nella vicenda dell'esperienza temporale se uno vive in conformità alla novità cristiana, che lo qualifica come membro di Cristo e della Chiesa.


3. Vi auguro che questo incontro così simpatico e familiare contribuisca a dare vigore e speranza al vostro cammino di fede e al vostro operare in seno alla società. Non di rado si devono constatare penosi fenomeni di delinquenza e di violenza. Talora si è tentati dal pessimismo. Ma no! E' una tentazione anche questa che va respinta: la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte ci dà motivo a sperare contro ogni speranza, ci autorizza a ritenere che il bene trionferà finalmente sul male. La Pasqua diventa così anche la festa dell'ottimismo e della gioia. Portate questi valori alle vostre famiglie e siate sempre testimoni di queste verità del Vangelo.

Con la mia benedizione.

Data: 1986-03-29 Sabato 29 Marzo 1986




Omelia della veglia pasquale - Città del Vaticano (Roma)

Cristo ha distrutto alle radici l'eredità del peccato



1. O mors, ero mors tua! In questa notte la Chiesa ritorna sul posto della morte e della sepoltura di Cristo. Il Venerdi Santo, il giorno prima del sabato, è stato tolto il suo corpo dalla croce ed è stato deposto nella tomba. In precedenza il soldato romano aveva trafitto il costato di Gesù con una lancia, per constatare se egli fosse veramente morto. Hanno deposto il suo corpo, in fretta nel sepolcro, perché il giorno della preparazione alla Pasqua stava per terminare.

Oggi la Chiesa viene di nuovo a questo sepolcro e presso la tomba chiusa del Crocifisso celebra la sua veglia pasquale.


2. Il fatto di vegliare implica un tempo di attesa. La Chiesa viene al sepolcro di Cristo con la consapevolezza della morte, che questo sepolcro significa. Viene con la certezza che Gesù di Nazaret è veramente morto! E al tempo stesso rilegge durante questa veglia il Vangelo dell'alba pasquale. Oggi è il Vangelo secondo Luca.

In questo modo la veglia della Chiesa è la veglia pasquale. Nel corso di questa santa Notte - grazie al Cristo crocifisso e deposto nel sepolcro - la morte sarà vinta dalla Morte: mors, ero mors tua.


3. così dice Colui che è la nostra Pasqua.

Pasqua significa "passaggio". E' il passaggio verso la vita attraverso la morte, così come una volta, nell'antica alleanza, Israele è passato verso la vita attraverso la morte dell'agnello pasquale. Tuttavia quello fu soltanto un passaggio verso un'altra vita su questa terra: dalla schiavitù d'Egitto verso la libertà nella terra promessa.

La Pasqua della Chiesa significa il passaggio verso la Vita Eterna che viene da Dio, che è la vita in Dio. Nessuna terra promessa in questo mondo può assicurare una tale libertà, può assicurare una tale vita...


4. Tuttavia la Pasqua di Cristo si è compiuta su questa terra. In questa terra la morte è stata distrutta dalla morte. In questa terra Cristo è stato crocifisso e deposto nel sepolcro e all'alba, "il giorno dopo, il sabato" (cioè la domenica), la tomba si è presentata vuota.


5. La prima causa della morte è il peccato. Tutte le tombe sparse sulla faccia della terra parlano della morte delle successive generazioni umane. Tutte le tombe nel globo terrestre rendono testimonianza al peccato, all'eredità del peccato nell'uomo.

Cristo, nel mistero pasquale - è passato dalla morte alla vita. Ciò vuol dire: ha distrutto alla radice l'eredità del peccato mediante la sua obbedienza fino alla morte. Dunque la Pasqua di Cristo significa anche passaggio attraverso la storia del peccato dell'umanità fin dall'inizio: fin là, dove "per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori" (Rm 5,19).


6. perciò la Chiesa professa: "Fu crocifisso, mori e fu sepolto - discese agli inferi ("descendit ad inferos") - il terzo giorno è risuscitato".

Prima di essere risuscitato, con la sua morte ha toccato il peccato dell'uomo in tutte le generazioni di quanti sono morti. Le ha visitate con la potenza della sua morte: con la potenza redentrice della sua morte. Con la potenza vivificante della sua morte. O mors, ero mors tua!


7. E anche noi che viviamo su questa terra, che oggi partecipiamo alla veglia pasquale, siamo stati "immersi nella sua morte" come scrive san Paolo. La morte di Cristo, la morte redentrice, la morte vivificante ha distrutto l'eredità del peccato che è in ciascuno di noi. Infatti, "siamo stati battezzati in Cristo Gesù" (Rm 6,3). C'è di più: "per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" (Rm 6,4).


8. In questo spirito siamo qui riuniti. In questo spirito partecipiamo alla veglia pasquale insieme con tutta la Chiesa. Insieme con tutti i nostri fratelli e sorelle nella fede, ovunque vegliano in questa Notte santa presso il sepolcro della morte e della risurrezione di Cristo.

E in questo spirito saluto in modo particolarmente cordiale i catecumeni che durante questa liturgia della veglia pasquale riceveranno il Battesimo. Essi sono trentanove e provengono dalla Corea (sono il gruppo più numeroso, 15), dal Vietnam, dal Giappone, dal Cameroun, dalla Tanzania, dallo Zaire, dalla Costa d'Avorio, da Capo Verde, da Hong Kong, da Taiwan, dall'Italia, dagli Stati Uniti, dalla Germania, dalla Francia.

Gioiremo insieme con loro, perché verranno toccati dalla potenza salvifica della morte di Cristo, perché, "sepolti insieme con lui nella morte, come Cristo fu risuscitato dai morti, così anche loro possano camminare in una vita nuova".


9. "Fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre". Per mezzo della gloria del Padre. Infatti il Padre è Dio dei vivi, non dei morti (cfr Mt 22,32).

E' "amante della Vita".

Le donne che all'alba vanno alla tomba, sentiranno queste parole: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato" (Lc 24,5-6). E' risuscitato "per mezzo del Padre". Tutta la gloria del Padre è nel Figlio, che è risuscitato: con la morte egli ha vinto la morte: mors, ero mors tua! Amen!

Data: 1986-03-29 Sabato 29 Marzo 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Omelia nella Domenica delle Palme - Città del Vaticano (Roma)