GPII 1986 Insegnamenti - Alle Suore Maestre di santa Dorotea - Città del Vaticano (Roma)

Alle Suore Maestre di santa Dorotea - Città del Vaticano (Roma)

Carità, amore e misericordia per il nostro mondo diviso


Carissime Suore Maestre di santa Dorotea, cari pellegrini, cari malati!


1. Grande è la vostra gioia nel celebrare i 150 anni di fondazione della Congregazione! Avete voluto solennizzare maggiormente la commemorazione con un numeroso pellegrinaggio a Roma e con questa speciale udienza: così anch'io posso partecipare alla vostra letizia, animata dalla vostra profonda fede. Esprimo il mio vivo compiacimento per tale iniziativa e a tutti porgo il mio cordiale saluto nel Signore! In modo particolare desidero salutare la superiora generale, madre Gianna Rosa Sterbini, le sue collaboratrici, le autorità civili e religiose, che hanno voluto presenziare all'incontro, e le giovani suore che domani emetteranno la loro professione perpetua presso la Tomba di san Pietro. Portate il mio saluto benedicente anche a tutte le vostre consorelle, sparse in Italia e in tutti i continenti, assicurando loro che anche per la vostra Congregazione e per le vocazioni rivolgo la mia costante preghiera al Signore.


2. E' trascorso un secolo e mezzo da quel giorno, 11 dicembre 1836, quando il cappellano della parrocchia di San Pietro in Vicenza, don Giovanni Antonio Farina, giovane professore nel seminario della città, dava inizio con appena tre giovani all'Istituto religioso che sarebbe poi stato chiamato "Congregazione delle Suore Maestre di santa Dorotea, figlie dei Sacri Cuori". Quel sacerdote diventerà poi vescovo di Treviso e avrà il dono di ordinare sacerdote nel settembre 1858 Giuseppe Sarto, che sarà poi Papa Pio X e santo; quel piccolo seme gettato nel solco della Chiesa e della Storia crescerà in un grande albero, ricco di frutti, dilatandosi nei cinque continenti e raggiungendo attualmente il numero di oltre duemila religiose. Quanto bene spirituale e materiale si è potuto compiere in questo periodo, in cui la Congregazione si è dedicata - secondo la volontà del fondatore - specialmente alla cura dei malati negli ospedali, degli anziani, degli emarginati, delle bambine che esigono particolari cure, dei sofferenti! Il venerato fondatore volle imprimere nelle sue religiose uno spirito semplice, ma fermo e solido, esigendo una vita interiore intensa e pura, nel totale servizio del prossimo, portando in ogni luogo l'amore di Gesù e di Maria.

Con questo sguardo rivolto al passato, alle opere che avete compiuto e allo spirito iniziale che avete mantenuto, penso che possiate essere liete e serene: in mezzo alle contrastate vicende di questo lungo periodo di tempo, avete seguito sempre le direttive a voi date dal fondatore.

Ringraziamo insieme il Signore che vi ha sempre custodite e ispirate, e prendete da questa data la risoluzione di perseverare con fervore nel cammino del vostro impegno di donazione a Dio e al prossimo, testimoniando la vostra fede ed esercitando la carità di Cristo, fiduciose di suscitare in molte altre giovani l'anelito a seguirvi, per venire incontro alle tante necessità della società moderna.


3. L'incontro con voi religiose e con tante persone giovani e adulte, porge l'occasione per riflettere brevemente sulle qualità che il venerabile fondatore desidero nelle sue figlie spirituali e che valgono per tutti. Volendo che si realizzasse pienamente il comando evangelico dell'amore, egli diceva: "In voi brilli sempre l'allegrezza e la mansuetudine, così vi fate simili a quel divino Esemplare, che con il volto sempre sereno predicava: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore"".

La prima qualità è dunque quella di essere simili a Cristo nella bontà, nella carità, nell'umiltà. Non dobbiamo certo giudicare e condannare i tempi; dobbiamo anzi amare il nostro tempo, proprio perché ha bisogno di amore autentico.

Il cristiano sa che deve amare, perdonare, sopportare, essere mite e misericordioso. Tale fu santa Maria Bertilla Boscardin, suora della vostra Congregazione, che umile e semplice, proprio nella carità eroica verso i malati dell'ospedale di Treviso, verso gli epidemici, verso i feriti della prima guerra mondiale, raggiunse i vertici della perfezione cristiana. Giustamente Pio XII (9 giugno 1952), di venerata memoria, nel discorso tenuto dopo la beatificazione, affermava che il segreto della sua santità era racchiuso tutto nel piccolo catechismo, da lei tanto amato e sempre portato con sé, come guida e ispirazione.

"Quel minuscolo libro - così diceva il Papa - ha per sé maggior valore che un'ampia enciclopedia; esso contiene le verità che si debbono credere, i doveri che si hanno da adempiere, i mezzi per la propria santificazione. Che cosa vi è di più importante sulla terra? Esso è il libro della sapienza, l'arte del ben vivere, la pace dell'anima, la sicurezza nella prova. Ci insegna come piacere a Dio". Nel mondo in cui predomina, purtroppo, lo spirito di divisione, di discordia e di prepotenza, il cristiano porti sempre lo spirito di carità, di amore, di misericordia, che nasce dalla Verità conosciuta e amata. Sentite sempre il fascino della Verità per poter gustare sempre la bellezza della carità! La seconda qualità del cristiano deve essere quella della gioia.

Certamente non è l'allegria mondana e soddisfatta, che talvolta suona persino offesa per tanti che soffrono; è invece una gioia misteriosa, che nasce dalla fede e dall'impegno della carità; una gioia qualche volta difficile, a motivo delle situazioni inquiete e forse anche drammatiche in cui si deve vivere, e tuttavia sempre presente, perché il cristiano si abbandona alla provvidenza; una gioia interiore, legata strettamente alla promessa del Divin Maestro e che si esprime con la generosità, con la gentilezza, con il sorriso, con il sacrificio, con la pazienza. Questa è l'allegrezza di cui parlava e che voleva il vostro fondatore e questa è pure la caratteristica che io auspico per tutti voi, nella vostra vita familiare, sociale, religiosa, anche se talvolta la sofferenza ci fa gemere, il dolore pesa come una croce terribile, e le contrarietà ci amareggiano. Come san Paolo ognuno deve dire: "Tutto posso in colui che mi dà forza" (Ph 4,13).


4. "Dio e anime, vita interiore e apostolato, amore di Dio e amore del prossimo: sono i cardini incrollabili su cui poggia la storia di tutti i santi e che proclamano al mondo il fascino irresistibile del loro esempio". così diceva Papa Giovanni XXIII (11 maggio 1961) nell'omelia per la canonizzazione di suor Maria Bertilla Boscardin.Queste stesse parole affido a voi, Suore Maestre di santa Dorotea, e a voi pellegrini. L'ideale della santità vi stimoli, vi accompagni sempre, vi dia forza nei momenti della difficoltà. Si legge nella biografia della santa che, sempre assidua e diligente nei suoi servizi presso i malati, sembrava che avesse Qualcuno che la illuminava e la guidava, suggerendole ciò che era necessario fare e come doveva comportarsi. Quel "Qualcuno" - ben lo sappiamo - era il Cristo Signore, da lei tanto amato e irradiato! E' il mio augurio finale e il mio auspicio per l'avvenire della vostra Congregazione: il Signore vi accompagni una per una! Il Signore traspaia dalla vostra condotta e dalla vostra gioia! Con l'aiuto della Vergine santissima, vostra madre e vostra celeste ispiratrice! Ve lo auguro con la mia benedizione apostolica, che ora vi imparto di gran cuore, ed estendo con affetto alle consorelle e a tutte le persone care.

Data: 1986-04-17 Giovedi 17 Aprile 1986




Ad un pellegrinaggio francese - Città del Vaticano (Roma)

La libertà cristiana è consenso alla verità


Signor cardinale, signor arcivescovo di Reims, signore e signori.

La vostra visita è per me motivo di gioia ecclesiale. Al di là della mia persona, sono sicuro che il vostro passo è una testimonianza dell'attaccamento alla Chiesa di Cristo affidata all'apostolo Pietro e ai suoi primi amici del collegio apostolico e per la quale Paolo, "prescelto per annunciare il Vangelo di Dio" (Rm 1,1) si è consumato interamente (cfr 2Co 12,15) andando fino al martirio subito in questo quartiere di Roma, allora "extra Urbem", ora chiamato "Tre Fontane". Avete dunque ritrovato le tracce dei viaggi apostolici dell'apostolo Paolo, almeno in parte, e di alcune delle comunità cristiane fondate da lui e dai suoi cooperatori. Le vostre guide secondo le loro competenze vi hanno dato il meglio di se stesse. Mi congratulo con loro. E voi cari pellegrini avete ricevuto molto. Questa crociera sulle orme di san Paolo continuerà a illuminare la vostra esistenza.

Permettetemi di sottolineare brevemente un solo aspetto del ricchissimo insegnamento paolino: la conquista della vera libertà cristiana in una società appassionata dall'indipendenza di pensiero di azione, specialmente il mondo ellenico con il quale l'apostolo ha spesso trattato. La nostra epoca segnata da una secolarizzazione dai volti molteplici, non è senza analogia con il tempo di san Paolo. Ora domani voi ritroverete i vostri rispettivi ambienti di vita. Se essi comportano sicuramente degli elementi di valore sul piano umano e religioso, essi sono anche imbevuti di correnti d'idee e costumi senza riferimento a delle norme obiettive e fondate. Questi ambienti hanno già beneficiato della chiarezza e del vigore della vostra testimonianza. Essi attendono ancor più dei segni concreti della vostra libertà cristiana.

La libertà cristiana, secondo san Paolo specialmente nelle sue Lettere ai Corinzi, è innanzitutto consenso alla verità. Questo punto di appoggio è indispensabile perché essa diventi fedeltà vivente, creatrice, all'amore di Dio, in vista del compimento delle nostre persone sempre "in divenire", in vista della qualifica delle nostre relazioni con le persone che ci stanno intorno abitualmente od occasionalmente. I cristiani, lungi dall'essere in situazioni di libertà alienata, sono liberati dal Battesimo e dagli altri sacramenti e diventano liberi nel corso del loro itinerario terrestre. Attraverso il quotidiano, di fronte a degli avvenimenti previsti o imprevisti essi devono decidere senza sosta della loro attitudine umana e religiosa. Questo è quanto l'apostolo pensa parlando dei cristiani che sperimentano tutte le cose, facendo atto di discernimento, provando se stessi. Questa regola d'oro paolina permette precisamente di vivere la fedeltà a Dio, a se stessi e agli altri. Se si possono distinguere questi tre slanci cristiani, non si possono separare. La loro triplice unione è come un'epifania dell'autenticità del progetto libero responsabile - globalmente o nel particolare - adottato dai cristiani. Libertà magnifica e difficile! Noi siamo umanamente limitati e religiosamente troppo poco spirituali. Per questo il ricorso a Dio è vitale. E' anche la ragione di un'appartenenza necessaria e perseverante a una comunità di fratelli e sorelle nella fede, sotto l'impulso e l'autorità - che è un servizio - di responsabili. Il mio augurio profondo che corrisponde alle vostre aspirazioni, è che voi siate, ciascuno nel vostro stile e secondo la vostra grazia, uomini e donne liberi, della libertà cristiana così ben rappresentata dall'apostolo Paolo e che molti ignorano o rifiutano. Per aiutarvi ad essere la luce e il sole evangelici, là dove la divina provvidenza vi dona di vivere, vi benedico di cuore.

Data: 1986-04-18 Venerdi 18 Aprile 1986




Ai vescovi umbri in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Urge la rievangelizzazione del popolo di Dio


Carissimi fratelli nell'episcopato!


1. Sono sinceramente lieto di potermi incontrare con tutti voi, vescovi della Regione Umbra, che in questi giorni siete venuti a Roma in visita "ad limina". Ho avuto la gioia di poter parlare e dialogare nelle private udienze con ciascuno di voi, e oggi, insieme, cerchiamo di fare quasi una sintesi delle prospettive e dei problemi che interessano in particolare la vostra sollecitudine di pastori delle Chiese particolari dell'Umbria.

Non posso non ricordare in questa circostanza le mie visite nella vostra Regione: il pellegrinaggio del 5 novembre 1978 ad Assisi alla tomba di san Francesco, patrono d'Italia, per chiedergli protezione e intercessione sul mio incipiente ministero pontificale; il pellegrinaggio del 23 marzo 1980 a Norcia, per il XV centenario della morte di san Benedetto; e poi, il 19 marzo 1981 a Terni e il 22 novembre nel medesimo anno a Collevalenza e Todi; e infine, il 12 marzo 1982, di nuovo ad Assisi per il mio incontro con tutto l'episcopato Italiano riunito in assemblea generale.

I ricordi di queste mie visite, gli incontri avuti con voi, con le autorità civili, con i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i giovani, i malati, i fedeli tutti, sono ancora vivi nella mia memoria e mi riportano la testimonianza della profonda e antica fede cristiana, che caratterizza le manifestazioni storiche, politiche, artistiche, culturali e sociali della vostra stupenda regione, che ha dato alla Chiesa e al mondo eccezionali figure di santi e sante, quali - per citare soltanto quelle più note - san Benedetto e santa Scolastica di Norcia e san Francesco, santa Chiara d'Assisi e santa Rita da Cascia.


2. Dai nostri incontri recenti e dalle vostre relazioni si nota al presente una certa ripresa della religiosità popolare: feste, tradizioni, devozione ai santi e soprattutto alla Madonna, pellegrinaggi ai numerosi Santuari della Regione. La pratica sacramentale è quasi unanime per quanto riguarda il Battesimo e la Cresima; elevatissima quella del matrimonio religioso; elevata quella dell'Eucaristia, mentre si avverte una minore consistenza per il sacramento della Riconciliazione.

Il popolo umbro sente fortemente i valori umani fondamentali, quali il rispetto degli altri, l'aiuto scambievole, il senso della giustizia, la cordialità, l'ospitalità. Voi stessi siete consapevoli, cari confratelli, che è necessario tuttavia sviluppare e approfondire una fede sempre più cosciente in Gesù Cristo e una più esigente coerenza al messaggio evangelico; perché, una religiosità fondata esclusivamente o principalmente su basi semplicemente "culturali" si trova esposta ai vari pericoli che provengono dai modelli di vita inficiati di consumismo e materialismo, che sono propagandati e diffusi da agenzie culturali e politiche, e in particolare dagli strumenti della comunicazione sociale. C'è pertanto il rischio - non solo astratto - che molti fedeli restino invischiati nella indifferenza religiosa o si adattino all'incoerenza in campo morale.

In questo contesto, voi avete sottolineato, con una certa preoccupazione, l'aumento delle separazioni legali, dei divorzi, degli aborti, della criminalità minorile, del triste fenomeno della tossicodipendenza specie fra i giovani. Vengono talvolta disattesi i doveri sociali, come testimoniano l'emarginazione degli anziani e la disoccupazione dei giovani, quest'ultima superiore in Umbria alla media nazionale. Da questo rapido quadro, risulta l'esigenza e l'urgenza di una rievangelizzazione del popolo di Dio, attraverso una continua, permanente, capillare catechesi, capace di coinvolgere non solo i bambini, ma anche gli adolescenti, i giovani, gli adulti. Dalle vostre conversazioni e relazioni ho notato con vivo compiacimento la diffusione di esperienze incoraggianti: la preparazione dei genitori e dei figli ai sacramenti dell'iniziazione cristiana, la preparazione dei fidanzati al matrimonio; gli itinerari di fede per gruppi di famiglie; periodi di catechesi intensiva; missioni popolari. Desidero esprimere il mio apprezzamento e incoraggiamento per tali iniziative, che intendono sensibilizzare e responsabilizzare i fedeli, sia personalmente sia comunitariamente. Né vanno dimenticati quei movimenti, associazioni, aggregazioni che tendono a una seria e solida formazione cristiana, specialmente attraverso il contatto assiduo, il religioso ascolto, lo studio metodico della parola di Dio. Meritano plauso le scuole diocesane di formazione teologica, e soprattutto l'Istituto Teologico di Assisi, sorto per volontà della vostra Conferenza episcopale regionale e delle principali famiglie religiose: tali iniziative cercano di rispondere con competenza e impegno alle esigenze di tanti fedeli, desiderosi di ricevere una istruzione teologica scientificamente qualificata.


3. In questa circostanza rivolgo un pensiero affettuoso a tutto il clero dell'Umbria, il quale non solo nel passato, ma ancor oggi, mostra molto impegno nella vita spirituale, altrettanto zelo per le anime, ed è profondamente legato ai fedeli. Carissimi sacerdoti dell'Umbria, i vostri vescovi mi hanno parlato di voi con grande stima, rispetto e gratitudine. Gli stessi sentimenti vi esprimo io in questa occasione privilegiata del mio incontro con i vostri pastori. La mia vuole essere una parola di compiacimento e di incoraggiamento.

Talvolta i sacerdoti hanno bisogno di coraggio e di spirito di iniziativa; possono soffrire di un certo smarrimento; faticano ad essere attenti ai "segni dei tempi", sentono il peso dei mutamenti. Occorre evitare nell'attività pastorale sia l'immobilismo tradizionalista, sia l'improvvisazione occasionale episodica, risvegliando in tutti la necessità e l'adesione a un impegno progettuale che abbia precisi obiettivi, metodi, programmi, verifiche; e questo non solo a livello parrocchiale, ma anche diocesano e regionale. Occorre abituarsi a collaborare e a condividere con altri la fatica pastorale; rimuovere la mentalità individualistica e particolaristica, che ostacola la piena collaborazione ai vari livelli enunciati; collaborazione tanto più urgente in un contesto così frammentario come quello umbro. Occorre portare avanti con pazienza, ma anche con lucidità, la riforma delle parrocchie, secondo i criteri del Direttorio pastorale per i vescovi "Ecclesiae Imago", in modo che le Comunità parrocchiali abbiano una sufficiente consistenza numerica di fedeli, per esprimere una partecipazione viva e articolata alle varie attività della Chiesa.

La figura, il compito, il ministero del sacerdote richiamano il problema delle vocazioni: la diminuzione numerica e l'invecchiamento medio del clero diocesano, dei religiosi e delle religiose delle vostre diocesi destano una comprensibile preoccupazione. Un particolare studio e un'attenta azione devono essere rivolti alla pastorale vocazionale: è necessario intensificare la preghiera, perché le vocazioni sono anzitutto un dono di Dio; sensibilizzare i vari gruppi giovanili; interpellare personalmente coloro che presentano germi di vocazione. Non dubito che l'esempio di Benedetto da Norcia, di Francesco d'Assisi, di Scolastica e di Chiara, come pure quello di tanti zelanti sacerdoti, religiosi e religiose, che per secoli hanno illuminato e fecondato spiritualmente la terra umbra, spingerà tanti giovani e tante giovani a seguirli, impegnandosi ad essere nel mondo testimoni dell'infinito amore di Dio, riamato con cuore indiviso.


4. Il mio pensiero si rivolge anche ai fratelli del laicato dell'Umbria, uomini e donne che in numero sempre crescente chiedono di partecipare sempre più intensamente e pienamente alla vita della Chiesa, nella catechesi, nella liturgia, nel servizio della carità, nei consigli pastorali ed economici. Essi sono aperti e disponibili a dare il loro contributo di tempo, di energie, di dedizione, di entusiasmo perché il modello di parrocchia non sia soltanto luogo di servizio di culto e di incontri occasionali, ma sia soprattutto esperienza concreta nel nome di Cristo, con un dinamismo missionario e con forza di testimonianza evangelica.

Sarà cura di voi vescovi e dei sacerdoti far consolidare e sviluppare sempre più tale presenza responsabile dei laici all'interno della Chiesa, e stimolare anche una presenza cristiana più incisiva nella vita sociale, politica e culturale della Regione.


5. Un'attenzione particolare voglio rivolgere in questo nostro incontro alla testimonianza dei religiosi e delle religiose, che vivono e operano non solo in Umbria ma in tutta l'Italia. La vita religiosa costituisce infatti una grande "realtà ecclesiale", che ogni vescovo, nella sua sollecitudine pastorale, deve promuovere, valorizzare e difendere. Il carisma della vita religiosa, e quello specifico dei singoli istituti, è un dono dello Spirito alla Chiesa per la sua vita e il suo ministero (cfr LG 43). Nella vostra Regione, la cui storia e spiritualità sono state profondamente segnate dal movimento francescano, sono presenti 542 religiosi in 105 comunità, e 1.665 religiose in 215 comunità. Se poi consideriamo le statistiche per tutta l'Italia, abbiamo circa 27.000 religiosi e 141.000 religiose, di cui 10.000 contemplative.

Agli uni e alle altre reputo doveroso rivolgere il mio riconoscente saluto e i miei sentimenti di apprezzamento, anche a nome di tutta la Chiesa, perché essi, con una dedizione instancabile, svolgono un prezioso lavoro negli svariati campi dell'assistenza (ospedali, carceri, case per anziani, visite a domicilio), della scuola, dell'editoria, della formazione spirituale e culturale, in particolare nelle case di accoglienza, in quelle per studenti e per studentesse, nel campo dell'apostolato di massa, come le missioni popolari e la predicazione.

Ai fratelli e alle sorelle che hanno consacrato la loro vita al Signore, il Concilio Vaticano II ha dedicato un importante documento, il decreto "Perfectae Caritatis"; il mio predecessore Paolo VI il 29 giugno 1971 indirizzo l'esortazione apostolica "Evangelica Testificatio"; io stesso, in occasione dell'Anno giubilare della Redenzione, il 26 marzo 1984, ho rivolto l'esortazione apostolica "Redemptionis Donum". Dimensione fondamentale della vita religiosa è quella contemplativa, che si esprime "nell'ascolto e nella meditazione della parola di Dio; nella comunione della vita divina che ci viene trasmessa nei sacramenti e in modo speciale nell'Eucaristia; nella preghiera liturgica e personale; nel costante desiderio e ricerca di Dio e della sua volontà negli eventi e nelle persone; nella partecipazione cosciente alla sua missione salvifica; nel dono di sé agli altri per l'avvento del Regno.

Non descriveremo mai abbastanza gli incalcolabili benefici di carattere spirituale, e anche sociale, che il Paese ha ricevuto e continua a ricevere dalla presenza di religiosi e di religiose, che dalla fedeltà allo spirito e al carisma dei propri fondatori e fondatrici, alle loro intenzioni evangeliche, all'esempio della loro santità, hanno saputo attingere il dinamismo proprio delle loro famiglie religiose. Tale fedeltà è come la pietra di paragone dell'autenticità della vita religiosa: "Non dimentichiamolo - ha scritto Paolo VI -: ogni istituzione umana è insidiata dalla sclerosi e minacciata dal formalismo. La regolarità esteriore non basterebbe, di per se stessa, a garantire il valore di una vita e l'intima sua coerenza. Pertanto è necessario ravvivare incessantemente le forme esteriori con questo slancio interiore, senza il quale esse si trasformerebbero ben presto in un carico eccessivo" ("Evangelica Testificatio", 12).

I pastori della Chiesa e tutta la comunità ecclesiale, ben consapevoli del particolare significato della vita religiosa e dei carismi propri di ciascun Istituto, avranno cura di aiutare i religiosi e le religiose, specialmente mediante la preghiera, a crescere nella vita interiore, nella pratica dei consigli evangelici e nella fraternità.


6. La dimensione contemplativa porta all'esigenza della "comunione": comunione anzitutto con Dio, la quale si esprime nella meditazione continua, nell'orazione fervente, nella pratica sacramentale. Comunione con i confratelli e le consorelle della stessa casa e del medesimo Istituto, in una concreta e fattiva carità vicendevole e spirito di servizio; comunione con la Chiesa, la quale riconferma la sua grande fiducia in coloro che hanno scelto uno stato di vita che è un dono speciale di Dio.

E' pertanto auspicabile che i religiosi e le religiose si aprano ancor più a una mentalità di Chiesa, inserendosi nelle comunità diocesane e parrocchiali, pur mantenendo la specificità e originalità del proprio carisma.

Ricordo la raccomandazione contenuta nel documento emanato nel 1978 congiuntamente dalla Congregazione per i religiosi e gli Istituti secolari e da quella per i vescovi: "Si cerchi di suscitare tra il clero diocesano e le comunità dei religiosi rinnovati vincoli di fraternità e di collaborazione. Si dia perciò grande importanza a tutti quei mezzi, anche se semplici né propriamente formali, che giovino ad accrescere la mutua fiducia, la solidarietà apostolica e la fraterna concordia. Ciò servirà davvero non solo a irrobustire una genuina coscienza della Chiesa particolare, bensi anche a stimolare ognuno a rammentare il desiderio di cooperare, nonché ad amare la comunità umana ed ecclesiale, nella cui vita si trova inserito, quasi come patria della propria vocazione" ("Mutuae Relationes", 37). Un sempre migliore inserimento della vita religiosa nella pastorale della Chiesa locale non sarà senza abbondanti frutti di bene. Da un rinnovato spirito missionario dei religiosi e delle religiose la Chiesa attende in particolare anche una vigorosa ripresa in alcuni settori della pastorale: nel mondo del lavoro, della gioventù, della scuola; l'attenzione agli emarginati e ai nuovi tipi di "povertà" contemporanea, e la pastorale degli strumenti della comunicazione sociale.

Carissimi fratelli nell'episcopato! A conclusione di questo nostro incontro, reputo doveroso rinnovare a ciascuno di voi i sentimenti della mia gratitudine per il vostro servizio ecclesiale che con tanta dedizione svolgete nelle diocesi della vostra Regione, e anche per il contributo di idee e suggerimenti che mi avete offerto, nelle udienze private e nelle relazioni presentate, per la conoscenza obiettiva dei problemi che dovete affrontare giorno per giorno.

Sul vostro ministero invoco da Cristo sommo ed eterno sacerdote, per intercessione di Maria santissima Madre della Chiesa, l'abbondanza dei favori e dei conforti celesti e vi imparto di cuore l'apostolica benedizione, che estendo ai sacerdoti, ai religiosi alle religiose e ai fedeli dell'Umbria.

Data: 1986-04-19Sabato 19 Aprile 1986




Agli ammalati di Varese - Città del Vaticano (Roma)

La vostra sofferenza per la pace in un momento così cruciale


Carissimi amici dell'Unitalsi Varesina


1. Grazie per questa presenza, che dimostra la vostra fede, la vostra affezione e la vostra buona volontà. Saluto il vescovo mons. Bernardo Citterio, vicario episcopale della diocesi di Milano per la zona e la città di Varese; e insieme con lui desidero salutare il presidente e assistente ecclesiastico della vostra Associazione. In particolare il mio saluto va alle bambine del piccolo Cottolengo di Varese, e ai malati qui presenti. A tutti voi, che nella sofferenza ci ricordate continuamente l'immagine di Cristo crocifisso e ci insegnate ad esprimere la profonda esigenza del Vangelo di dedicarci ai fratelli con disponibilità, con amore, con disinteresse e dedizione, va il mio saluto cordiale, affettuoso, benedicente. E un saluto ancora al valido e numeroso gruppo delle dame e dei barellieri, dei medici, dei sacerdoti, dei familiari e degli accompagnatori associati all'organizzazione per il trasporto degli ammalati ai santuari.


2. Dedicarsi agli ammalati, specialmente per venire incontro al loro desiderio di pietà e di vita religiosa, mediante la pratica del pellegrinaggio, è una testimonianza preziosa di servizio evangelico. Essa comporta, voi ne siete esperti, accoglienza, disponibilità, rispetto di chi soffre, della sua personalità e della sua libertà, anche nel contesto difficile dei limiti fisici o psicologici; ma l'assistenza invita soprattutto a una sincera e premurosa attenzione alle ricchezze spirituali dell'infermo, non di rado nascoste o sopite dentro i confini della sofferenza.

Io mi compiaccio con tutti voi per la vostra dedizione generosa, per lo spirito di servizio con cui vi dedicate all'organizzazione dell'assistenza, per lo schietto e cordiale clima di amicizia che riuscite a stabilire con i malati pellegrini.


3. Voi siete venuti per ricordarmi anche altri incontri, specialmente quelli del pellegrinaggio che ho compiuto nella vostra terra ai luoghi di san Carlo e al Sacro Monte. Abbiamo invocato insieme - certamente alcuni di voi lo ricordano bene - la Madonna in quel luogo privilegiato per la pietà mariana e l'abbiamo invocata con le parole stesse di san Carlo, chiedendo di poter, "infiammati dalla carità, essere luminosi, risplendendo davanti agli uomini... ardere di amore celeste... elevare in alto i nostri cuori; avere il gusto delle cose di lassù". Quella preghiera era arricchita dall'offerta delle vostre pene fisiche e spirituali e dalla vostra grande devozione verso la Vergine. Vi sosteneva, come vi sostiene ora, la speranza e la fiducia che la Madre di Dio vi è vicina con grande affetto e pietà.

E' quel momento di preghiera che io desidero oggi rivivere con voi, invitandovi a unirvi nell'invocazione alla Madonna per ottenere il dono di questa speranza: "E poi, o Maria, chiediamo al tuo esempio e alla tua intercessione la speranza. Speranza nostra, salve! Anche di speranza abbiamo bisogno, e quanta! Tu sei, Maria, immagine e inizio della Chiesa; risplendi ora innanzi al popolo di Dio quale segno di certa speranza e consolazione".


4. L'intercessione della Vergine continui a proteggere tutti voi, conforti il vostro spirito, vi sostenga nelle fatiche, nelle pene, nell'impegno profondo della carità che vi anima. L'offerta della vostra sofferenza può contribuire alla pace del mondo e io vi chiedo di farvi interpreti, nella vostra preghiera, delle gravi preoccupazioni per la pace che ci assillano in questo momento. Io vi chiedo di unirvi alla mia invocazione al Dio della pace e della giustizia perché dia ai responsabili delle sorti delle Nazioni la saggezza e la magnanimità necessarie, in un momento così cruciale, per conoscere e percorrere le vie di una giusta intesa fra i popoli.

Su tutti voi, infermi e accompagnatori, sulle persone che sono care al vostro cuore, su tutti gli ammalati che si associano al vostro movimento, sulle vostre famiglie, scenda confortatrice e propiziatrice la mia benedizione apostolica.

Data: 1986-04-19 Sabato 19 Aprile 1986




Ai maratoneti laziali - Città del Vaticano (Roma)

Siete sempre una primavera che porta speranza


Carissimi maratoneti. Sono lieto di salutarvi e di esprimervi tutta la mia simpatia mentre, radunati qui in Piazza san Pietro, vi accingete a dare inizio alla maratona di primavera organizzata, come già negli anni scorsi, dall'Associazione genitori delle scuole cattoliche. Saluto le autorità presenti: il ministro dei Trasporti, il sindaco e il provveditore agli Studi. Estendo il mio saluto anche a tutti i giovani che partecipano contemporaneamente ad analoghe marce a Torino, Pescara, Taranto e in altre città d'Italia.

Questa vostra manifestazione sportiva mi allieta non solo perché siete ragazze e ragazzi pieni di vita, di energie e di entusiasmo, ma anche perché nelle vostre scuole ricevete una qualificata formazione culturale e spirituale, ispirata ai grandi ideali cristiani. Per questo mi compiaccio vivamente con voi studenti, con i vostri genitori e con gli insegnanti, che prendono parte a questa bella iniziativa.

Vi seguo col pensiero mentre attraverserete le vie e i quartieri di Roma e vi esprimo l'auspicio di essere sempre in ottima forma come atleti e come studenti, che sanno prendere le cose sul serio, mantenere la parola data e crescere coerentemente con i sani principi. In questo modo, non solo darete soddisfazione ai vostri genitori e insegnanti, ma sperimenterete voi stessi la gioia di vedere, anno dopo anno, il pieno realizzarsi delle vostre giuste aspirazioni, per fare dono alla società di una giovinezza forte e volitiva, che non scende a compromessi.

Siete la primavera della natura, e nello stesso tempo siete la primavera di questa città. Siete sempre una primavera che porta una speranza. Dovete portare questa speranza in questa città, in questo Paese, al mondo intero. A tutti imparto la mia benedizione.

Data: 1986-04-20 Domenica 20 Aprile 1986




Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)

Lo Spirito Santo dono alla Chiesa



GPII 1986 Insegnamenti - Alle Suore Maestre di santa Dorotea - Città del Vaticano (Roma)