GPII 1986 Insegnamenti - Ai lavoratori del legno - Città del Vaticano (Roma)

Ai lavoratori del legno - Città del Vaticano (Roma)

Nella "comunità del lavoro" la solidarietà per progredire


Signor presidente, cari amici.

Ringrazio vivamente il vostro presidente per la presentazione appena fatta dell'ideale che ispira la vostra "Centrale Cristiana di lavoratori del legno e dell'edilizia", e delle sue numerose iniziative. Sensibile alla fiducia che manifestate al successore di Pietro, sono felice di ricevervi all'indomani della festa di san Giuseppe lavoratore, che noi abbiamo pregato per tutti i lavoratori d'oggi, per la loro solidarietà, per la dignità della loro vita, sul piano umano e cristiano.

Nel secolo scorso i lavoratori belgi, i quali come molti loro fratelli in Europa, sentivano profondamente il bisogno di ottenere la giustizia sociale per loro e per le loro famiglie, hanno trovato un appoggio considerevole nell'enciclica di Leone XIII. Negli anni che hanno seguito l'enciclica infatti sono nati i due sindacati belgi rappresentanti i lavoratori del legno e della costruzione che si sono fusi trent'anni dopo nella vostra Centrale Cristiana. Voi sapete che Papi successivi non hanno cessato d'incoraggiare la vostra azione sindacale sperando che essa mantenesse la sua originalità cristiana. Ed è proprio ciò che avete saputo realizzare in Belgio. In questa prospettiva cristiana, il vostro impegno sindacale infatti non ha perso il suo vigore, esso vuole essere attento a tutti i diritti e doveri dei lavoratori, a tutto ciò che favorisce migliori condizioni di vita per loro e per le loro famiglie, non soltanto i mezzi materiali per vivere, ma le condizioni di lavoro, l'interesse al lavoro, la partecipazione. In poche parole, la dignità del lavoro di cui ho parlato nell'enciclica "Laborem Exercens" (LE 20). Per ciò che riguarda la difesa dei diritti si tratta proprio di una vera lotta, ma di una lotta nobile e ragionata in vista della giustizia e della solidarietà sociale, come dice la recente "Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione" (n. 77). Non si tratta di fare una lotta di classi, una lotta contro degli altri, perché l'odio tra le classi non è compatibile con i sentimenti cristiani. "Il cristiano preferirà sempre la via di armonizzazione del dialogo". D'altronde, è più realistico promuovere una comunità di lavoro in cui ogni partner sia riconosciuto con la sua responsabilità e in cui si prenda coscienza della convergenza degli interessi degli uni e degli altri. C'è una solidarietà tra tutti i lavoratori del legno e della costruzione, non solo tra i lavoratori, ma tra tutti coloro che partecipano al cammino delle imprese. Non è insieme che bisogna fronteggiare il problema drammatico della disoccupazione? Ciò che tengo anche a sottolineare è la vostra preoccupazione di preparare la formazione dei lavoratori. Non lo fate soltanto in Belgio, ma manifestate la vostra solidarietà ai lavoratori di altri Paesi sostenendo i loro centri di formazione. Bisogna cercare di migliorare insieme la vostra originalità di centro cristiano appoggiandovi sui valori cristiani del lavoro, della solidarietà, della giustizia in riferimento alla dignità che ogni lavoratore ha nel progetto di Dio. So che la Centrale cristiana dei lavoratori del legno e della costruzione conta duecentomila membri. Tramite la vostra delegazione che li rappresenta qui oggi dal Papa voglio dire a tutti loro i miei incoraggiamenti. E su di loro come su ciascuno di voi, sulle vostre famiglie, imparto la benedizione di Dio che illumina e sostiene coloro che cercano di vivere secondo il suo spirito. E di cuore vi benedico.

Data: 1986-05-02 Venerdi 2 Maggio 1986




A pellegrini tedeschi - Città del Vaticano (Roma)

Affidiamo la nostra vita a Maria, Madre di Dio


Cari fratelli e sorelle.

Era vostro desiderio, dopo il pellegrinaggio alla Madonna di Fatima, recarvi in visita anche al successore di Pietro. Do a tutti voi il benvenuto e vi saluto molto cordialmente. Questa vostra visita rievoca in me cari ricordi del mio pellegrinaggio a Fatima nel 1982.

Santuari, immagini sacre, pellegrinaggi, sono per noi la strada che la Chiesa e la devozione popolare ci indicano per approfondire con il loro aiuto la nostra vita spirituale e il nostro legame con Dio e i santi, e per rendere feconda la nostra testimonianza cristiana quotidiana. Fatima è inoltre - come alcuni altri grandi santuari mariani - ancora consacrata grazie alle apparizioni della Madonna che ha scelto questo luogo per suo santuario.

Qui lei è vicina in modo particolare alle necessità e alle preghiere degli uomini e intercede con la sua potente intercessione davanti al trono di Dio per tutti coloro che in questo luogo di gloria si rivolgono a lei devoti e fiduciosi. Nello stesso tempo Maria rivolge a tutti i pellegrini il messaggio di Fatima, il suo insistente invito alla penitenza, alla conversione e alla continua preghiera per la conversione dei peccatori e del mondo, che oggi più che mai hanno bisogno della pietà di Dio e del suo perdono.

Voi, giunti qui da Fatima, avete certo pregato la Madre del Signore per questo. Fate che questo pellegrinaggio non rimanga un avvenimento passeggero che termina con il vostro rientro in Patria. Consideratelo invece un nuovo inizio per la vostra vita religiosa. Continuate personalmente e anche nelle vostre famiglie e comunità la novità che avete incontrato e iniziato a Fatima. Perseverate nella preghiera alla Madre di Dio per la grazia del perdono e della conversione vostra e di tutti gli uomini e i popoli. Fate questo soprattutto ora, in maggio, mese dedicato in modo particolare all'adorazione della Madonna. Praticate e promuovete anche le forme popolari di religiosità dedicate alla Madonna: funzione mariana, rosario e "Angelus", quotidiano.

Cristo stesso ci ha dato sul Golgota sua Madre come nostra madre e ci ha affidati come fratelli e sorelle alle sue cure materne. "Donna, ecco tuo figlio.

Poi disse al giovane: ecco tua madre!" (GV 19,26-27). Più stretto e vivo è il nostro legame con Maria, tanto più lei ci aiuterà nell'imitazione e sequela di duo Figlio.

Il suo appello al perdono e alla conversione è per la nostra salvezza in Gesù Cristo. E' il suo invito materno alla partecipazione viva al mistero della morte e risurrezione di suo Figlio, nostro Salvatore. Per questo le sua parole alle nozze di Cana hanno valore anche per noi. Troverete ciò che vi dice (Jn 2,5).

L'aiuto e la protezione della Madre di Dio vi accompagnino nuovamente alle vostre case. Doni a voi, attraverso questo pellegrinaggio, nuovo coraggio e forza per riconoscere, come veri discepoli, Gesù Cristo nei molteplici compiti e impegni della vita quotidiana in famiglia e al lavoro.

Fate ciò che vi dice - con l'aiuto della sua santa Madre, che è anche nostra madre. Questo chiedo per voi e le vostre famiglie con la mia particolare benedizione apostolica. Sia lodato Gesù Cristo.

Data: 1986-05-03 Sabato 3 Maggio 1986




Ai Congressisti sull'Educazione cattolica - Città del Vaticano (Roma)

Continuità d'insegnamento tra famiglia e scuola cattolica


Amatissimi fratelli e sorelle! E' con grandissimo piacere che vi porgo il mio più cordiale benvenuto a questo significativo incontro che, come momento culmine delle importanti riunioni che vi hanno occupato durante questa settimana nella Città Eterna, ha luogo ora, all'ombra del sepolcro dell'apostolo Pietro, in un giorno e in un mese particolarmente sentito dalla devozione del popolo cristiano. So che provate un profondo affetto per la Vergine Maria, importante lascito della Beata Maria Rosa Molas, fondatrice della Congregazione "Sorelle di Nostra Signora della Consolazione", organizzatrici del Congresso sulla "Vocazione-missione del laico nella scuola cattolica e nella Chiesa del post-concilio". Prima di tutto, voglio ringraziarvi per la visita che mi fate, così come per la vostra affettuosa accoglienza, prova eloquente dell'amore filiale nei confronti della Chiesa di Cristo e del suo Vicario.

La tematica di questo Congresso Internazionale dei genitori degli alunni delle scuole cattoliche di Nostra Signora della Consolazione, che ha riunito rappresentanti di diverse zone d'Italia, come anche dell'Europa e dell'America Latina, vuole essere una chiamata all'ineludibile responsabilità che il cristiano di oggi ha, nell'attuale momento sociale, quando affronta il problema educativo degli uomini e delle donne del prossimo millennio, cioè di coloro che terranno nelle loro mani le briglie del mondo in quell'istante. Di fronte alla sfida che si pone alla Chiesa, voi, come molti altri cristiani, seguendo gli orientamenti del Concilio Vaticano II, vi sforzate in questo nobile compito, umano e spirituale, affinché possano giungere quanto prima, in tutti gli angoli della terra, i necessari benefici dell'educazione e dell'istruzione.

Come ben sapete, la Chiesa di Cristo, fedele alla sua missione docente, non termina di ricordare lungo la sua storia, che i credenti devono sempre mantenere un comportamento individuale e collettivo, pienamente coerente con gli insegnamenti evangelici. Qui, mie care sorelle, si trova la chiave e la grandezza del vostro servizio di educatrici religiose. Qui pure, amatissimi, ha una sua ragion d'essere la vostra missione di genitori cristiani; siete i primi e insostituibili educatori dei vostri figli. Vi spetta il diritto di scegliere liberamente quei centri dove si promuovano autenticamente i valori cristiani, e non dimentichiamo che deve esistere una profonda continuità fra scuola e la famiglia. La Chiesa, nel momento in cui è cosciente dell'importante lavoro che state realizzando per la fedeltà alla causa del Regno, desidera continuare ad offrirvi aiuto, consigli e orientamenti necessari per l'adempimento di una tanto delicata funzione, nel modo migliore possibile. La Chiesa ha bisogno di voi e ha bisogno del vostro lavoro per continuare ad annunciare la validità inalterabile del suo messaggio in un campo fondamentale come quello dell'insegnamento.

Il Papa vede con particolare gradimento lo sforzo che state realizzando per dare ai vostri centri dei principi conformi all'insegnamento del magistero e agli indirizzi pastorali dei responsabili delle Chiese particolari. perciò vi dico insieme all'apostolo: "Tutto quello che fate, fatelo di cuore, come per il Signore... sapendo che riceverete in ricompensa l'eredità dalle mani stesse di Dio. E' Cristo Signore, che voi servite" (Col 3,23-24).

Con questi sentimenti, voglio rinnovare a voi la mia stima e il mio affetto per la delicata missione che portate avanti riguardo alla formazione culturale, umana e spirituale dei giovani, speranza della Chiesa e del mondo.

Assicurandovi il mio ricordo davanti al Signore, imparto a voi, come prova di benevolenza, la mia benedizione apostolica, che estendo con gioia ai vostri cari, così come agli alunni e agli ex alunni dei vostri centri educativi.

Data: 1986-05-03 Sabato 3 Maggio 1986




A studentesse di Melbourne - Città del Vaticano (Roma)

Pregate per il mio prossimo viaggio in Australia


Cari amici dell'Australia. Avete espresso il desiderio di visitare il Vaticano e di vedere il Papa; sono felice che sia stato possibile preparare questo incontro con voi, del Collegio regionale del Sacro Cuore di Melbourne. La vostra visita alla tomba di san Pietro è ancor più ispirata della semplice curiosità di turisti. La vostra presenza qui ha un profondo significato, quello di manifestare la vostra fede in Cristo e la sua Chiesa.

Prego perché quando ritornerete in Australia portiate con voi non solo i preziosi ricordi dei luoghi che avete visitato, ma soprattutto una profonda stima della vostra eredità cristiana. Prego perché vi sentiate incoraggiate a portare concreta testimonianza nella vita quotidiana del vostro credo in Gesù Cristo.

Siete giustamente orgogliose del vostro disco scolastico a sostegno delle Missioni Pontificie. Possiate continuare a servire la Chiesa in questo modo importante, estendendo il vostro amore ai fratelli e alle sorelle che beneficiano delle vostre generose iniziative.

Come potete immaginare, sono ansioso di visitare, nel prossimo novembre, l'Australia. Vi chiedo di pregare per il successo pastorale di questo aspetto del mio ministero apostolico di successore di san Pietro. Tramite voi mando i miei calorosi saluti alle vostre famiglie, a tutto il personale e a tutti gli studenti del Collegio del Sacro Cuore. Possa Dio onnipotente proteggervi e benedirvi.

Data: 1986-05-03 Sabato 3 Maggio 1986




Ai pellegrini Iugoslavi - Città del Vaticano (Roma)

La famiglia che prega unita rimarrà legata per sempre


Sia lodato Gesù e Maria. Cordialmente saluto tutti voi qui presenti pellegrini provenienti dalla Jugoslavia e precisamente da Spalato e Zagabria. Benvenuti a Roma, patria comune di tutti i cristiani! Come tanti vostri antenati durante secoli passati anche voi siete venuti a visitare le tombe dei principi degli apostoli Pietro e Paolo per rinnovare e testimoniare la vostra fede cristiana. Il vostro pellegrinaggio è, nello stesso tempo, l'espressione della cultura plurisecolare del vostro popolo croato che - come per gli altri popoli europei - ha comuni radici proprio nella fede cristiana.

La fede e la cultura sono due realtà che si compenetrano a vicenda. La fede che non diventa cultura è una fede che non è accettata sufficientemente e non è vissuta in modo completo. La fedeltà alla propria cultura è di grande importanza per la vita delle persone singole, delle famiglie e per la salvaguardia dell'identità del popolo. Come mostrano gli esempi storici, la cultura è fonte di grande forza. Di questo ho parlato, in modo particolare, nel mio discorso all'Unesco il 2 giugno 1980 (n. 14).

Approfondite e ulteriormente sviluppate la vostra cultura cristiana, anche con il canto come fa qui ora il coro-ottetto di Spalato, il cui impegno per la Chiesa è ben noto e degno di lode. Il Cristo Signore, che con la sua incarnazione ha accettato la nostra realtà umana ha dato il senso a ogni cultura, sia il centro della vostra vita e delle vostre famiglie. Veneratelo in modo speciale con la preghiera in famiglia. La famiglia che prega unita rimane unita. A voi, alle vostre famiglie e a tutti i vostri connazionali in patria e nel mondo, che conservano la stessa vostra eredità, di cuore imparto la mia benedizione apostolica.

Data: 1986-05-04 Domenica 4 Maggio 1986




Al convegno del movimento parrocchiale - Città del Vaticano (Roma)

Rinnovare il prodigio spirituale, sociale e storico degli inizi


Carissimi fratelli e sorelle.


1. A voi tutti il mio cordiale saluto. Siete giunti da ogni parte del mondo per dar vita al 1° Congresso Internazionale del "Movimento parrocchiale". Siate i benvenuti! Sono lieto di trovarmi con voi. In voi saluto l'intero Movimento dei focolari, di cui il vostro è una diramazione, esprimendo il mio apprezzamento per l'impegno che lo anima nello sforzo di essere sempre più fermento evangelico nella società di oggi. Un particolare pensiero desidero rivolgere alla signorina Chiara Lubich, fondatrice e presidente di questo multiforme Movimento, chiamato Opera di Maria, come pure a tutti coloro che collaborano con esso per la diffusione nel mondo dell'amore di Cristo. Il tema sul quale riflettete in questi giorni è molto importante per la vita pastorale della Chiesa. Voi vi state interrogando sulle condizioni necessarie per costruire "una parrocchia comunità". Ovviamente, questa vostra ricerca suppone che voi siate convinti della validità che tuttora conserva questa espressione antichissima della vita ecclesiale. Eppure non sono mancati in questi anni coloro che hanno posto in questione l'attualità della parrocchia. Ci si è chiesto se essa sia tuttora all'altezza della complessa e pluricentrica realtà delle moderne città, così da poter rispondere alla sfida di un mondo sempre più diversificato.

In particolare si è posto in dubbio che essa disponga ancora di sufficienti mezzi, di sufficiente vitalità, per rendere presente in maniera incisiva la buona novella, per raggiungere sulle vie della loro vita i bambini, i giovani e gli anziani, l'uomo realizzato e l'uomo fallito, l'uomo emarginato, deluso, indifferente.


2. Immane si presenta il compito della Chiesa nel nostro tempo e ad assolverlo non può essere certamente la parrocchia da sola. Eppure anche oggi la parrocchia può vivere una nuova e grande stagione. Spesso smarrito e disorientato, l'uomo contemporaneo cerca la comunione. Avendo non di rado visto frantumarsi o disumanizzarsi il suo contesto sociale, anela a un'esperienza di autentico incontro e di vera comunione. Ebbene, non è questa la vocazione della parrocchia, di essere cioè "una casa di famiglia, fraterna e accogliente" (CTR 67), una fraternità animata dallo spirito d'unità, la famiglia di Dio in un posto concreto (cfr LG 28)? La parrocchia non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio. La parrocchia è in primo luogo una comunità di fedeli. così infatti la definisce il nuovo Codice di diritto canonico (CIC 515 § 1). Ecco il compito della parrocchia, oggi: essere una comunità, riscoprirsi comunità. Cristiani non si è da soli. Essere cristiani significa credere e vivere la propria fede insieme ad altri, essere Chiesa, comunità.


3. Ma come nasce una comunità? Voi lo sapete: una comunità non è una realtà che si possa semplicemente organizzare. Comunità significa comunione. Perché nasca la comunità non basta il sacerdote, anche se, come rappresentante del vescovo, egli svolge un ruolo essenziale. Ci vuole l'impegno di tutti i parrocchiani, il cui contributo è vitale. Il Concilio Vaticano II lo ha sottolineato con forza. Sono contento dunque di vedervi così impegnati, coscienti della chiamata che il Signore vi rivolge a farvi, insieme con i vostri sacerdoti, costruttori di autentiche comunità. Non è certo un'impresa facile. Non si tratta di una comunità solamente umana. La comunità cristiana è realtà umano-divina. La nostra domanda, come nasce una comunità, trova allora una risposta precisa e meravigliosa: non nasce innanzitutto dagli sforzi nostri. E' Cristo stesso a suscitarla. E' l'annuncio della sua buona novella a radunare i fedeli. L'origine e il principio della comunità ecclesiale è la parola di Dio annunciata, ascoltata, meditata e messa poi a contatto con le mille situazioni di ogni giorno, al fine di "applicare la perenne verità alle circostanze concrete della vita" (LG 32-33 LG 26 AA 2-3 PO 2 PO 4).

Non basta infatti ascoltare la Parola, non basta annunziarla, occorre viverla. So che vi riunite nelle vostre comunità parrocchiali in piccoli gruppi nei quali approfondite la parola di Dio, anche mediante lo scambio di esperienze vissute. Questo vi dà modo di scoprire la dimensione comunitaria della buona novella. Ebbene, mettete questa esperienza al servizio dei vostri fratelli e delle vostre sorelle. fatevi costruttori di comunità nelle quali, sull'esempio della prima comunità, vive e agisce la Parola (cfr At 6,7 AT 12,24


4. La comunità cristiana nasce dunque dalla Parola, ma ha per centro e culmine la celebrazione dell'Eucaristia. Mediante l'Eucaristia essa affonda le sue radici nel mistero del Cristo pasquale e, tramite lui, nella comunione stessa delle tre divine Persone. Ecco l'abissale profondità della vita di una comunità cristiana! Ecco il significato delle celebrazioni liturgiche: esse ci manifestano nel cuore della vita di Dio; in esse incontriamo il Cristo che, morto e risorto, vive noi.

Ma ciò che celebriamo deve informare la novità. L'Eucaristia ci rivela il senso delle nostre fatiche, di tutte le difficoltà che incontriamo sul nostro cammino, il senso di ogni dolore. Unito al sacrificio di Cristo, tutto questo può diventare offerta a Dio e fonte di vita. Nulla può fermare il cammino di una comunità che ha imparato a vivere la sua vita come una continua Pasqua: come un morire e risorgere insieme a Cristo (cfr Rm 6,4-8).

Ebbene, non è questo uno dei cardini della spiritualità che vi propone il Movimento dei Focolari: l'amore a Gesù crocifisso e abbandonato? Il vostro impegno pertanto non si fonda su motivazioni puramente umane, su un sentimento passeggero di entusiasmo. In lui, crocifisso e risorto, incontrate la radice vivificante delle vostre comunità e insieme la via per farle ancor maggiormente fiorire. In lui trovate il modo di realizzare il vostro sacerdozio battesimale.


5. La comunità cristiana, dunque, nasce dalla parola e affonda le sue radici nel mistero pasquale. Ma vi è un terzo elemento che fa la comunità: è la carità effusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo (Rm 5,5). Che cosa infatti sarebbe una comunità senza la carità? Che cosa sarebbe se non attuasse quello che il Concilio ha chiamato la "legge" del nuovo popolo di Dio: il precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (cfr LG 9)? Che cosa sarebbe senza la piena comunione col proprio vescovo, con la Chiesa universale? Questa carità pero deve farsi visibile. Essa deve permeare e ordinare tutti gli aspetti della vita della comunità. La comunione spirituale deve farsi comunione di tutta la dimensione umana, deve generare una socialità autenticamente cristiana. E' importante - come ho avuto modo di sottolineare già in altra occasione - "che la parrocchia diventi sempre più un centro di aggregazione umana e cristiana, cioè realizzi una piena dimensione comunitaria" (24 gennaio 1982). Le nostre comunità sono chiamate ad essere un'anticipazione della civiltà dell'amore.

E ciò significa che, sul modello delle prime comunità cristiane, esse devono realizzare strutture sociali concepite all'insegna della fratellanza, uno stile di rapporti informati dallo spirito di pace e del dono reciproco, una solidarietà che risani il corpo sociale, una vita spirituale comunitaria capace di unire l'amore di Dio e l'amore del prossimo.

So che in questo incontro state riflettendo su tutti questi aspetti.

Essi sono necessari per la maturità di una comunità e per l'efficacia della sua testimonianza. Il mondo di oggi, spesso lontano da Dio, guarda più ai fatti che alle parole. Ma è il Cristo stesso ad avviarci su questa strada: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Jn 13,35). La parrocchia è un luogo privilegiato per dare questa testimonianza, ripetendo nel nostro tempo il prodigio delle prime comunità, il prodigio di una vita nuova non solo spirituale ma sociale e storica.


6. La vostra spiritualità è incentrata nell'unità. Con la vostra vita e il vostro impegno volete contribuire alla realizzazione del Testamento di Gesù: "Perché tutti siano uno. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola" (Jn 17,21). Con queste sue parole il Signore Gesù ci ha suggerito - come ha detto il Concilio Vaticano II - "una certa similitudine tra l'unione delle persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità" (GS 24). Ecco il modello ultimo di ogni rapporto, di ogni convivenza umana: la Trinità! Da questo supremo modello scaturiscono innumerevoli implicazioni anche per la parrocchia. La luminosa vocazione infatti della comunità ecclesiale è di sforzarsi di divenire, in un certo senso, una icona della santissima Trinità, "fondendo insieme tutte le differenze umane" (AA 10) nell'unità tra anziani e giovani, donne e uomini, intellettuali e lavoratori, ricchi e poveri.

Compaginate dall'amore secondo questo modello, le vostre parrocchie potranno esercitare un'azione efficace nei confronti delle anime da avvicinare a Cristo.


7. Auspico di cuore, cari fratelli e sorelle, che possiate proseguire nel vostro impegno. Sforzandovi di "assimilare fedelmente la peculiare caratteristica di vita spirituale" propria del vostro Movimento e restando nello stesso tempo saldamente uniti ai vostri sacerdoti e ai vostri vescovi, potrete essere autentico lievito nelle vostre parrocchie; potrete aiutarle a scoprire e a sviluppare sempre più la loro vocazione comunitaria. Non lasciatevi abbattere dalle difficoltà. Siate cemento di unità fra tutti i componenti, gruppi, movimenti e associazioni delle vostre comunità! Maria, Madre della Chiesa, accompagni il vostro cammino e la vostra azione. Nessuno come lei, che ha dato al mondo Gesù, vi può aiutare a far si che nelle vostre parrocchie risplenda il volto di Cristo. Se così sarà, esse realizzeranno sempre più la loro splendida vocazione: essere fra gli uomini la presenza di Cristo (cfr Discorso del 18 febbraio 1979).

Con la mia apostolica benedizione!

Data: 1986-05-04 Domenica 4 Maggio 1986




Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)

Con la venuta dello Spirito Santo inizia il tempo della Chiesa



1. "Ora pero vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne saro andato, ve lo mandero" (Jn 16,5-7). Le parole di Cristo pronunciate alla vigilia della passione e della morte di croce assumono intera pienezza di significato nel momento in cui la Chiesa si prepara alla dipartita di Cristo nel 40° giorno dopo la risurrezione.

Questo giorno è ormai vicino.


2. Ed è vicina quella gioia della quale parla Gesù ai suoi discepoli in quel giorno, nel cenacolo, prima della sua passione: "la vostra afflizione si cambierà in gioia" (Jn 16,20). Sarà la gioia per la nascita della Chiesa. La tristezza per la dipartita di Cristo si cambierà proprio in questa gioia, quando gli apostoli sperimenteranno - nel giorno della Pentecoste - che è in loro la forza dello Spirito di Verità, che consente loro - al di sopra di ogni riguardo umano e dell'intera debolezza umana - di testimoniare il Crocifisso risorto.

Insieme con la venuta dello Spirito Santo si inizierà nella storia dell'umanità il tempo della Chiesa, in cui continua a maturare la pienezza dei tempi, iniziata sulla terra col Cristo, concepito per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine, il cui nome era Maria.


3. E' un grande mistero, quello che è racchiuso nelle parole al cenacolo: "Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore, ma quando me ne saro andato, ve lo mandero" (Jn 16,7). Queste sono parole-chiave. Sono parole che svelano l'economia trinitaria secondo la quale l'inscrutabile Dio - Padre, Figlio e Spirito Santo - opera nel tempo. E' l'economia della Redenzione, cioè del ritorno salvifico dell'uomo a Dio mediante la grazia: il ritorno "al prezzo" della venuta di Dio all'uomo nell'Incarnazione; il ritorno "al prezzo" della dipartita del Figlio Incarnato mediante la morte di croce; il ritorno dell'uomo e del mondo - uscito dalle mani di Dio - alle stesse mani paterne, alla comunione con la Divinità; il ritorno grazie alla figliolanza dell'uomo dell'Eterno Figlio, mediante la Grazia; il ritorno nello Spirito Santo.


4. "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre" (Jn 16,28). "Lascio il mondo", sebbene non mi stacco dal mondo.

Rimango in esso mediante lo Spirito Santo. Rimango in esso mediante la verità del Vangelo. Mediante l'Eucaristia e la Chiesa. Mediante la Parola e i Sacramenti.

Mediante la grazia della figliolanza Divina. Mediante la fede, la speranza e la carità.

"Lascio il mondo" - ma non mi stacco dal mondo. Non mi stacco dall'uomo di tutti i tempi. Lo conduco al Padre! Alla casa del Padre. Nonostante ogni resistenza e obiezione che provengono dal peccato nella storia del mondo, conduco l'uomo al Padre.

La Genitrice di Dio ci precede su questa strada. Uniamoci a lei nella preghiera recitando il "Regina Coeli".

[Dopo la preghiera:] Oggi le Chiese d'Oriente celebrano la Pasqua.

Vorrei invitare voi qui presenti a unirvi alla preghiera e all'augurio fervido che questa celebrazione sia per esse fonte di gioia e di luce. La risurrezione del Signore costituisce l'evento fondamentale dei cristiani. E in questo la nostra fede è comune. Come comune è l'impegno di renderne testimonianza nel nostro tempo.

Il dialogo aperto con le Chiese d'Oriente aiuterà a proseguire nella piena comunione.

Avremmo voluto celebrare insieme, nella stessa data, l'unica Pasqua del Signore. Finora non è stato possibile, speriamo che lo sia in avvenire. Sono lieto tuttavia che nei diversi Paesi dove i cattolici vivono con gli ortodossi, che formano la maggioranza, si siano accordati di celebrare la Pasqua nella stessa data per promuovere l'unità tanto auspicata. A tutti coloro che oggi celebrano la Pasqua, ortodossi e cattolici, rivolgo il mio pensiero, in particolare affetto per coloro che, per qualsiasi ragione, sono nella sofferenza. Penso, con speciale intensità di sentimento, alle popolazioni di Kiev e della Ucraina.

A tutti rivolgo il saluto liturgico: "Christos anésti!" (greco); "Hristos voskrèse!" (slavo); "Cristos a înviat!" (rumeno). Cristo è veramente risorto!

Data: 1986-05-04 Domenica 4 Maggio 1986




Nella Parrocchia di San Felice da Cantalice - Centocelle (Roma)

Il cristiano è tempio del mistero trinitario



1. Il suo tempio è il Signore (cfr Ap 21,22). Nell'odierna domenica il Vangelo di san Giovanni ci conduce al Cenacolo. Congedandosi dagli apostoli - il giorno prima della sua morte sulla croce - Gesù dice: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Jn 14,23). Proprio alcuni momenti prima di essere tradito, il suo cuore divino manifesta per noi i vertici di un amore sconfinato, rivelandoci il mistero dell'inabitazione di Dio in noi: l'uomo è chiamato a divenire "tempio" e "dimora" della santissima Trinità. A quale maggior grado di comunione con Dio potrebbe mai l'uomo aspirare? Qual maggior prova di questa potrebbe mai dare Dio di voler entrare in comunione con l'uomo? Tutta la storia millenaria della mistica cristiana - pur con certe sue sublimi espressioni - non può che parlarci assai imperfettamente di questa ineffabile presenza di Dio nell'intimo dell'uomo.


2. Da questa dimensione del "tempio" (l'intimo dell'uomo, l'anima umana) passiamo, nell'odierna liturgia pasquale, alla dimensione della Chiesa. La lettura degli Atti degli apostoli ci conduce sulle tracce degli inizi della Chiesa. Essa è una comunità che nasce dal mistero pasquale di Cristo, ed è guidata e vivificata dallo Spirito Santo, cosicché l'agire della Chiesa comporta un nesso inscindibile di responsabilità umana e di ispirazione divina: "Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi...", come è detto nella citata lettura (Ac 15,28).

Come l'anima del cristiano è abitata dalla santissima Trinità, così pure la Chiesa, comunità cristiana, è abitata dalla santissima Trinità; e anzi, il cristiano è "tempio" del mistero trinitario, proprio in quanto membro del Corpo mistico di Cristo, in quanto egli è "tralcio" vivo, innestato nella vera "vite" che è Cristo. Già da quaggiù, nonostante le miserie de questa vita, la Chiesa gode di questa intimità con Dio, che è il fondamento della sua infallibilità e indefettibilità.


3. Nello stesso tempo, insieme con questa dimensione "storica" della Chiesa, l'odierna liturgia ci mostra la sua dimensione "mistica": Gerusalemme, la Città santa, "che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio" (Ap 21,10). E' la Chiesa del cielo, è la Chiesa composta dalle anime di coloro che, grazie alla redenzione di Cristo, hanno vinto in se stessi il peccato e la morte e ora godono il premio della vita eterna.

Come san Giovanni evangelista, dobbiamo sempre tenere gli occhi del nostro cuore fissi verso questa Gerusalemme celeste e gloriosa, che e la meta trascendente del nostro cammino e delle nostre fatiche terrene. Sempre dobbiamo contemplare questa "beata visione di pace", che ci incoraggia e ci consola, ed è oggetto della nostra speranza. Lassù ci attendono i fratelli che hanno raggiunto la salvezza. Da lassù essi pregano e intercedono per noi, perché anche noi un giorno possiamo raggiungerli.


4. La Chiesa, nata dalla croce di Cristo e dalla sua risurrezione, è guidata costantemente dallo Spirito Santo, il Consolatore. "Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto" (Jn 14,26).

La Chiesa terrena, la Chiesa di quaggiù, è costantemente guidata dallo Spirito di Gesù risorto a un continuo approfondimento di quella medesima Verità che essa ha ricevuto fin dall'inizio dalle labbra del divino Maestro. Essa, nel corso dei secoli, comprende sempre meglio, grazie alla luce dello Spirito, quelle medesime parole che un giorno Cristo comunico agli apostoli da trasmettere al mondo intero. In tal modo, la Chiesa "storica" si avvicina sempre più a quella piena conoscenza di Gesù-Verità, che è già possesso della Chiesa celeste, la "Gerusalemme di lassù" (Ga 4,26). Lo Spirito "consola" la Chiesa di quaggiù appunto con la visione della Chiesa del paradiso, verso la quale la Chiesa terrena tende con tutte le sue forze, nel desiderio ardente di congiungersi


5. Il Salmo responsoriale ci porta a considerare che la Chiesa, nel suo sviluppo storico, è mandata da Dio a tutte le nazioni fino ai confini della terra... "perché si conosca sulla terra la tua via, fra tutte le genti la tua salvezza" (Ps 66,3).

In questa missione universale di salvezza, la Chiesa è costantemente animata e spinta dallo Spirito del Risorto, e dal desiderio di condurre tutti gli uomini a quella beatitudine della quale già godono i santi del cielo. Costoro peraltro aiutano la Chiesa stessa - mediante le loro preghiere - nello svolgimento della sua missione. Ed essa, dal canto suo, guardando con occhio di fede alla Gerusalemme celeste, trova in ciò la luce e la speranza che le consentono di mostrare con sicurezza al mondo la via della salvezza e della santità.


6. In questo modo la Chiesa nel mondo guida l'uomo - in mezzo alle diverse nazioni della terra - a questo tempio definitivo, che secondo l'Apocalisse di Giovanni si trova nella Gerusalemme eterna. "Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio" (Ap 21,22).

La Gerusalemme celeste - a differenza della Chiesa di quaggiù, che, come dice il Vaticano II, è "sempre bisognosa di purificazione" (LG 8) - è del tutto pura, del tutto santa: è tutta consacrata a Dio. Non vi è pertanto in essa nulla di profano, che debba distinguersi dal sacro. In essa, come dice l'Apocalisse, non vi sono templi, perché in essa tutto è tempio, tutto manifesta splendidamente e indubitabilmente la presenza beatifica della santissima Trinità, la quale, certamente, abita anche nella Chiesa di quaggiù; ma piuttosto sotto le ombre della fede e nell'anelito della speranza, e non quindi con quella chiarezza beatificante che è propria della Chiesa del cielo, soprattutto poi quando avverrà la parusia del Cristo e la gloriosa risurrezione dei morti. E' questa Chiesa, nella sua perfezione finale, che è oggetto della contemplazione di san Giovanni nell'Apocalisse.


7. Dopo questi pensieri, ispirati dalle letture liturgiche dell'odierna domenica, vorrei esprimere la mia gioia per essere in questa parrocchia romana dedicata a san Felice da Cantalice, umile frate dell'Ordine cappuccino. Anche san Felice, come tanti abitanti di questo territorio, era un immigrato: egli venne a Roma da una località del Reatino, confinante con l'Abruzzo e il Molise, regioni dalle quali proviene la maggioranza di coloro che, da alcuni decenni, si sono stabiliti nel territorio di questa parrocchia.

Anche san Felice, come certamente tanti di voi che mi ascoltate, cari fratelli, affronto quella realtà così spesso dura - per molti -, relativa al problema di procurarsi o di procurare, per i propri cari, il pane quotidiano. Egli infatti faceva il "frate cercatore", svolgeva, cioè, quel servizio così umile ma così importante - molto diffuso un tempo tra gli Ordini cosiddetti "mendicanti" - di questuare giorno per giorno il sostentamento per la sua comunità. Una fatica a volte umiliante, ma che, unita alla testimonianza della sua grande bontà e sapienza, gli procacciava la stima e la simpatia di tutti. Egli pertanto fu una splendida figura di uomo di Dio, tutto dedito al bene dei fratelli, con totale disinteresse. Un uomo del lavoro, che non lavorava per se stesso, ma per il bene degli altri. Un esempio sempre attuale, un protettore, cari fratelli, che vi è particolarmente vicino. Siatene molto devoti!


8. Saluto cordialmente tutti i presenti: il cardinale vicario, il vescovo del Settore, mons. Giulio Salimei, il parroco, padre Fedele Jasevoli con i suoi collaboratori appartenenti all'Ordine cappuccino. Saluto poi le religiose residenti nel territorio della parrocchia, i numerosi gruppi parrocchiali, i fanciulli, i giovani, le famiglie, gli anziani, i malati, i lavoratori, tutto il popolo di Dio che vive in questa piccola porzione di Chiesa, piccola, dico, rispetto alla nostra diocesi; ma assai popolosa come parrocchia! Conosco l'impegno da parte di tutti gli operatori pastorali - sacerdoti, religiose e laici - nel servire e nel promuovere questa comunità ecclesiale, soprattutto nel campo della catechesi e della liturgia. Di ciò mi compiaccio vivamente e vi dico: andate avanti su questa strada! Il lavoro da fare è ancora molto.

Occorrerà in modo particolare accentuare l'impegno della testimonianza e della missione, rinsaldare una certa pratica religiosa tradizionale e popolare attingendo maggiormente ai sani orientamenti attuali della spiritualità e della liturgia; occorrerà inoltre uno sforzo più intenso, da parte dei singoli e dei gruppi, per un coordinamento maggiore dell'azione pastorale, che eviti frazionamenti e dispersione d'energia, in modo tale che il lavoro sia più efficace e fecondo.

A tutti voglio rivolgere una parola d'incoraggiamento: a coloro che già svolgono un servizio speciale o si sentono maggiormente impegnati, perché si confermino ulteriormente in questa volontà di lavorare nella vigna del Signore; a coloro che non si sentono partecipi o che forse si sentono ai margini, perché si ricordino che c'è lavoro anche per loro, solo che essi ascoltino attentamente la voce del Signore.


9. Oggi, secondo le parole del Vangelo di Giovanni, il Signore Gesù prepara i discepoli alla sua dipartita dalla terra. Dice: "Vado... se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me" (Jn 14,28). La Chiesa rilegge queste parole, all'avvicinarsi del giorno 40° dopo la risurrezione di Cristo: cioè l'Ascensione. Tuttavia Cristo dice non soltanto "vado", ma dice anche "tornero a voi".

La partenza significa soltanto la conclusione della terrena missione messianica. Tuttavia essa non è una separazione. La missione di Cristo termina con la venuta dello Spirito Santo e con la nascita della Chiesa. Nella Chiesa Cristo - sempre presente e sempre operante nella potenza dello Spirito Consolatore - ci conduce alla Gerusalemme eterna. La missione della Chiesa è quella di condurre l'umanità a questi destini definitivi che ciascun uomo ha in Dio. E' infatti un tempio in cui Dio vuole dimorare.

La dipartita di Cristo non produce dunque turbamento. E' piena di pace.

Il Salvatore dice: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace" (Jn 14,27). Ripetiamo queste parole quotidianamente nella liturgia eucaristica prima della Comunione. E aggiunge: "Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Vado e torno a voi".

Desidero ancora invitarvi a ricordare nella vostra preghiera le Chiese d'Oriente che oggi celebrano la Pasqua. Vi esorto a sentirvi spiritualmente vicini a questi nostri fratelli auspicando che la celebrazione pasquale sia per essi fonte di gioia e di luce. Il mio pensiero va con particolare affetto a coloro che per qualsiasi motivo sono nella sofferenza. Penso, con speciale intensità di sentimento, alle popolazioni di Kiev e dell'Ucraina. Vorrei che quelle popolazioni sentissero spiritualmente vicini tutti noi, tutti i fedeli della parrocchia di San Felice da Cantalice, tutti i cristiani di Roma a motivo delle circostanze di quest'ultimi giorni che tutti bene conosciamo. Sia lodato Gesù Cristo.

Ai vari gruppi parrocchiali Voglio ringraziare il vostro parroco delle buone parole introduttive, voglio ringraziare tutti voi qui presenti, parrocchiani della comunità di San Felice da Cantalice, per la vostra accoglienza così buona, sincera e cordiale.

Siamo veramente sulle orme del patrono della vostra parrocchia, san felice da Cantalice. Felice vuol dire gioioso della grazia di Dio, gioioso della carità, gioioso nonostante tutte le miserie, le debolezze umane, tutte le vicissitudini di questa vita terrestre, gioioso perché immerso in Gesù Cristo, immerso in Dio.

Questa testimonianza ha portato nei suoi tempi e ha lasciato anche l'impronta di tale testimonianza nella vostra parrocchia che è stata dedicata al suo titolo, alla sua santa persona: la parrocchia di San Felice di Cantalice.

Il vostro parroco mi ha parlato dei due beni principali dei quali questa parrocchia si occupa, si occupa continuamente, ma specialmente in questo ultimo periodo: l'uno si chiama pace, l'altro si chiama pane. Tutti e due questi beni sono profondamente legati con la persona e con la missione di Gesù Cristo. Pace: non ha detto Gesù ai suoi apostoli: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come il mondo la dà io la dono a voi"? Ecco Gesù Cristo portatore di pace che a tutti noi dice: "Benedetti i costruttori della pace". Un grande messaggio, messaggio per tutti i secoli, messaggio specifico per il nostro secolo; per questo secolo XX specialmente e per la sua tanto tormentata conclusione, quando ci avviciniamo già al terzo millennio. Pane, ecco i bambini che hanno ricevuto la prima Comunione, la nuova schiera dei cristiani, dei "cristofori" coloro che portano Cristo nei loro cuori e nei loro corpi. Noi tutti siamo "cristofori", portatori di Cristo; dobbiamo essere degni portatori di Cristo come lo era Francesco, il grande patrono di tutti i fratelli francescani, come lo era san felice da Cantalice, patrono della vostra parrocchia.

Auguro a voi carissimi parrocchiani, ai presenti e anche a tutti quelli che abitano questa zona, questo territorio della parrocchia, di essere portatori di pace, portatori di pane, portatori di Cristo. Lo auguro specialmente ai vostri carissimi ammalati che sono così vicini, che ci ricevono con grande entusiasmo, soprattutto col loro sacrificio e con le loro preghiere. Voglio con queste prime parole salutare tutti i presenti, tutti i componenti e membri della vostra comunità, offrendo a tutti insieme con il cardinale vicario e i vescovi presenti - tra loro c'è anche il vescovo vostro ex parroco - una benedizione apostolica.

[Alle religiose:] Vi ringrazio per la vostra accoglienza, per le parole rivoltemi. Gesù vi ha chiamate come lo Sposo divino che chiama a sé le spose umane; le chiama per un amore sponsale, interamente dedicato alla sua persona e alla sua opera! La sua persona divina nel corpo umano, nella realtà umana, e la sua opera di redenzione, di salvezza, della Chiesa. E così Cristo che vi ha chiamate, vi ha anche fatto crescere in questa terra, in questo ambito della parrocchia di San Felice da Cantalice. Qui è il luogo della vostra presenza, della vostra consacrazione, della vostra santificazione, della vostra testimonianza, qui fra queste famiglie, in questa comunità umana, in questo quartiere, tra questi cristiani, forse tutti battezzati ma non tutti praticanti e non tutti consapevoli della grazia che hanno ricevuto nello stesso battesimo. E voi siete qui per mostrare a tutti in modo specifico, in modo eccellente cosa vuol dire questa grazia, questo battesimo. La vostra vocazione cresce dalla consacrazione battesimale di ciascuno di noi; e molti non si rendono conto di cosa vuol dire realmente il battesimo che hanno ricevuto. Voi dovete mostrare in modo sovrabbondante che cosa vuol dire questa consacrazione a Dio, che cresce dal battesimo. E lo dovete dimostrare anche con la vostra umanità, con i vostri ministeri, con i vostri servizi diversi: nella scuola, tra i giovani, tra i malati, fra tante altri che hanno bisogno della vostra testimonianza. Vi ringrazio dunque per tutto quello che fate, vi ringrazio per la vostra preghiera, per i sacrifici con i quali accompagnate e sostenete il mio ministero che è quello del Vescovo di Roma. Vi auguro quella pace soprannaturale di cui ci ha parlato oggi il Vangelo. [Ai bambini della Prima comunione e cresima:] Vi ringrazio per la vostra presenza, per la vostra accoglienza, per le parole rivoltemi da due bambini, un'oratrice che ha parlato un po' meno, ma ha offerto dei fiori e l'altro oratore che ha letto un discorso tutto bellissimo, veramente un oratore qualificato.

Ecco, devo dire che entrato in questo ambiente ho guardato con ammirazione la vostra chiesa; voi avete veramente una bella chiesa; mi piace congratularmi e desidero farlo anche con voi tutti, parrocchiani di San Felice di Cantalice, con i vostri sacerdoti, con il vostro parroco, con il cardinale vicario e con il vescovo Salimei per il bel tempio di questa comunità. Ma ho subito pensato: si, è una bella chiesa dal punto di vista architettonico, come costruzione esterna; sono una chiesa, ciascuno di loro è una chiesa, un tempio, e specialmente quando vedo tanti ragazzi e ragazze vestiti solennemente in bianco che hanno ricevuto la prima Comunione. Dove è la Chiesa? La Chiesa è dentro di loro, nei loro cuori; come diceva san Paolo: "voi siete tempio dello Spirito Santo", siete il tempio di Dio, perché lo Spirito Santo abita in voi, grazie a Cristo che è venuto nei vostri cuori come cibo, come nutrimento, come pane della vita eterna. Voi avete ricevuto Cristo e così siete diventati i "cristofori", i portatori di Cristo. E questo distinguerà sempre i cristiani: essere portatori di Cristo, portatori di Dio, essere la Chiesa. Ecco la Chiesa viva. Mi congratulo con voi innanzitutto per tutte queste chiese vive che sono i parrocchiani di questa parrocchia e soprattutto, che siete voi ragazzi e ragazze della prima Comunione e tanti altri vostri colleghi e colleghe.

Avete cantato anche "Vieni Maria quaggiù". E' questo un canto tanto bello che si canta molto in Italia specialmente ora che siamo agli inizi del mese di maggio, mese dedicato alla Vergine Maria. "Vieni Maria quaggiù, vieni fra noi".

Voi avete così invitato Maria Madre di Cristo a venire nella vostra chiesa, nella vostra parrocchia, l'avete invitata specialmente a venire in queste chiese interne dei cuori dove abita Cristo, vieni Maria! E se Cristo abita in questi cuori giovanili, nei cuori dei ragazzi e delle ragazze di questa parrocchia, vuol dire che c'è un posto per te, perché tu sei Vergine, Madre di Cristo: ecco il tuo Figlio che è venuto ad abitare in questi bambini, in questi ragazzi e ragazze della prima Comunione, in tutti questi giovani, in tutta questa comunità. Vieni Maria. E io vi auguro, carissimi, che la Vergine Madre venga nelle vostre vite, nella vita di ciascuno di voi e che rimanga come madre. Ecco Iddio Padre Eterno ci ha donato il suo Figlio insieme alla madre di questo Figlio, la madre terrestre, la madre Maria umana, perché noi potessimo avere non solamente il Padre celeste invisibile, ma anche una madre visibile, madre visibile del Figlio di Dio invisibile, fatto uomo visibile. così possiamo entrare sempre in questi misteri di Dio in questa realtà di Dio nel modo proprio alla nostra umanità, quella visibilità propria dei divini misteri. Vi auguro che la Madre di Cristo, specialmente in questo mese, e durante tutta la vostra vita abiti nei vostri cuori e sia sempre vicina a ciascuno di voi. Questi sono i miei auguri.

[Ai neocatecumenali:] E' un canto. Un canto che ripete "Maria, beata Maria, hai creduto alla parola del Signore". Questo caratterizza il vostro cammino, il cammino di tutta la comunità neocatecumenale, il cammino di ciascuno di voi perché si tratta di un cammino di fede; di una fede talvolta quasi completamente ritrovata, nella conversione profonda. Qualche volta questa fede è ritrovata di nuovo nel senso del suo approfondimento. E' ritrovata nella sua profondità. La fede infatti ha una profondità stupenda, immensa di cui, noi credenti, non sempre siamo consapevoli. La fede è la partecipazione alla stessa conoscenza di Dio. Dio ci fa conoscere se stesso, la fede ci prepara per la visione di Dio e in sé porta già i "germi" di questa visione di Dio. La fede deve essere sempre ritrovata nel corso della nostra vita. Troppe volte questa dimensione profonda della fede è trascurata dai cristiani; molti non sanno cosa portano dentro di sé, essendo credenti, avendo la fede. Il vostro cammino consiste in questo. O trovare totalmente la fede o ritrovarla nel senso dell'approfondimento di quello che già avete avuto prima. E qui si innesta bene il significato del vostro canto "Maria, beata Maria, tu hai creduto alla Parola del Signore". Non si può immaginare una fede più perfetta della fede di Maria. Questo è il vertice della fede che ogni creatura umana ha avuto in lei. Una fede che si è mostrata subito al momento dell'Annunciazione. Possiamo dire che si tratta di una fede quasi incredibile: ci vuole un paradosso per esprimere la fede di Maria.

Anche Elisabetta ha detto a Maria: "Beata colei che ha creduto alla Parola del Signore". La fede di Maria è certamente esempio della fede che devono avere tutti i credenti, tutti quelli che ritrovano questa fede, che la approfondiscono e specialmente di tutti voi che avete questo cammino della fede come vostro carisma, come compito del vostro essere neocatecumenali. Mi fa sempre piacere incontrare i vostri gruppi perché trovo, insieme ai genitori e agli adulti, tanti bambini. Si dice che i neocatecumenali hanno famiglie numerose, hanno tanti figli: questa è anche una prova della fede, della fede in Dio. Per dare vita all'uomo ci vuole la fede in Dio. Se oggi viviamo questa grande crisi cosiddetta demografica, crisi della famiglia, crisi della paternità, crisi della maternità, è proprio una conseguenza della mancanza della fede in Dio. Non si può migliorare questo problema se non con una profonda fede in Dio. Ci vuole una grande fede in Dio per dare la vita all'uomo.

[Ai giovani:] Essere felice è una cosa connaturale ad ogni creatura razionale, umana, o piuttosto a quella creatura divina che è l'uomo. E' una tendenza profondamente iscritta nella nostra natura. La nostra personalità, il nostro essere umano viene quasi permeato da questo desiderio, da questa tendenza verso l'essere felici. La felicità era anche tema principale delle meditazioni filosofiche, uno dei temi centrali della filosofia greca, la cosiddetta "eudemonia", che vuol dire felicità. La felicità stava al centro dei sistemi filosofici di un Platone e di un Aristotele. E tutto ciò aveva un certo orientamento antropocentrico, benché orientamento verso i valori, i valori supremi: verso il bene, il bello. Un orientamento trascendentale: si sapeva già che la felicità si trova nella dimensione della trascendenza dell'uomo, e si può realizzare solamente in quella dimensione. Questo si sapeva, questo sapevano i greci nella loro grande filosofia, questo si può rintracciare nella grande eredità del pensiero greco.

Ma non sapevano ancora quello che ci ha portato Cristo. Cristo ci ha portato, in questo campo della felicità, cioè di come essere felice, una novità assoluta. Per essere felice non basta solamente la trascendenza anche verso i valori, verso i valori assoluti: verso il vero, verso il bene, verso il bello. Per essere felici si deve essere pronti al dono, si ottiene la felicità donandosi, dandosi. E l'uomo è l'unica creatura - così dice il Concilio Vaticano II - che realizza se stesso nella donazione di se stesso agli altri. La felicità si realizza non nell'orientamento o nella dimensione egocentrica, ma allocentrica: si realizza nell'amore, si realizza anche nel servizio e questa definizione della felicità ci ha portato Cristo soprattutto con il suo esempio. Oggi diversi pensatori, scrittori cristiani, soprattutto teologi e filosofi, vedono sempre di più in Cristo "un uomo per gli altri". Qualche volta fanno difficoltà a riconoscere in Cristo Dio, ma vedono in lui un uomo per gli altri. Questa è la definizione della felicità portata da Cristo, anzi questa definizione viene portata da Cristo Dio, come Dio. Se pensiamo a Cristo uomo, che è Figlio di Dio, è Dio come il Padre, come lo Spirito Santo, cominciamo a capire come divina sia questa caratteristica della felicità. Dio che si dona, che si offre alla sua creatura; ma si offre, si fa dono all'uomo perché anche in se stesso è dono. La natura intima della santissima Trinità è espressa dal dono e questo dono è soprattutto lo Spirito Santo. Una breve meditazione, forse troppo breve, ci sono infatti tanti problemi dentro che abbiamo tralasciato; ma volevo anche con questa breve meditazione, riflessione, dare un'interpretazione al nome di Felice, di san Felice. Poiché voi tutti giovani volete essere certamente felici, forse più degli altri; la giovinezza porta con sé tanti desideri centrati sulla felicità. Allora guardate a Cristo per essere sulla stessa strada, per volere essere felici come lui ci ha insegnato. C'è ancora un'illustrazione che troviamo in questo quadro centrale della Chiesa dove la Madre di Cristo - ecco un tema proprio della gioventù mariana - offre Gesù a san Felice. Lo rende felice con il suo Figlio. E così è sempre Maria, lo dico all'inizio del mese di maggio, che vuole farci felici con lo stesso dono, con il dono del suo figlio. Allora, vi direi, cercate di incontrare Maria e di ricevere questo dono: suo Figlio che è Cristo, di riceverlo nella vostra vita e poi, imparate da lui come essere felici e come fare felici gli altri. Si è felici, si diventa felici, si ritrova la felicità facendo felici gli altri. Questo e il mio augurio per il mese di maggio. Davanti all'immagine della Madre di Cristo vi benedica Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo.

[Ai vari gruppi:] Ogni esperienza deve essere vista nella luce dei principi della fede, del Vangelo, della Chiesa o di una buona ecclesiologia, specialmente di quella buona ecclesiologia contemporanea del Vaticano II. Questo tipo di esperienza allora porta dei frutti abbondanti, come quelli che si esprimono nel Consiglio pastorale. Il Consiglio pastorale non deve consistere soltanto nel "Consiglio" come istituzione, ma deve consistere in tanti consigli, in tanti concreti suggerimenti, iniziative, programmi, conclusioni e poi come attuazioni. Io auguro cordialmente a tutti voi di mantenere vivo questo spirito e di conservare questa vostra efficacia nata dalla vostra esperienza portata avanti nella luce del Vangelo per il bene del vostro quartiere, della vostra comunità, della vostra parrocchia. In uno parola vi auguro tutto il bene nello spirito di san Francesco. Quando sono entrato per la prima volta in questo ambiente sacro, in questo tempio che è la vostra chiesa parrocchiale, ho detto ai ragazzi, i primi che ho incontrato qui: "Avete una chiesa molto bella". Vorrei ripetere la stessa cosa a voi; avete veramente una chiesa bella, veramente bella. Ma la Chiesa non si ha: la Chiesa lo si è. Allora vorrei dire a voi: voi siete questa Chiesa. Non solamente avete questa bella chiesa, ma siete una bella Chiesa. La Chiesa è una realtà divino-umana. Voi siete questa Chiesa grazie a Gesù Cristo. Lui ci ha reso Chiesa, lo ha fatto tramite la sua croce, tramite la sua risurrezione, tramite la missione del suo Santo Spirito. Ci ha fatto Chiesa duemila anni fa; ci ha fatto Chiesa di Roma, Chiesa delle diverse parrocchie, Chiesa di questa parrocchia.

Ecco, siamo la Chiesa. Per essere ancora più Chiesa, voi avete formato diversi gruppi, diverse comunità, che hanno nomi diversi. Questi gruppi, queste piccole comunità servono ad essere ancor più Chiesa, Chiesa di Cristo, Chiesa nata dalla sua croce, Chiesa nata dalla discesa dello Spirito Santo; servono per essere più Chiesa di Roma, per essere più Chiesa di questa parrocchia. Per essere Chiesa in voi, nei vostri cuori, nelle vostre persone, poi per essere ancor più questa Chiesa per gli altri. così si è Chiesa. Chiesa lo si è sempre da Cristo, dallo Spirito Santo nel cuore, nell'intimo, e poi per gli altri. E voi siete questa Chiesa per i vostri vicini, per quelli che abitano nello stesso quartiere, nella stessa parrocchia, per i membri delle vostre famiglie, per quelli che lavorano con voi, per quelli che incontrate accidentalmente in occasioni diverse e che poi passano. Per tutti costoro voi siete la Chiesa.

Con questa breve riflessione volevo farvi capire bene cosa siete; siete la Chiesa. Volevo anche dirvi perché siete la Chiesa e nello stesso tempo volevo augurarvi di essere Chiesa con gioia, di portare frutti: la gioia viene infatti dal portare frutti. Questa gioia ha promesso ai suoi apostoli. L'ha promessa a noi tutti e noi la dobbiamo portare a tutti. Dobbiamo scoprire questa nostra gioia proprio nell'essere Chiesa in Gesù Cristo, nel suo Spirito.

Data: 1986-05-04 Domenica 4 Maggio 1986





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