GPII 1986 Insegnamenti - Omelia alla concelebrazione - Ars (Francia)

Omelia alla concelebrazione - Ars (Francia)

I battezzati, pietre vive del tempio spirituale



1. "Gesù percorreva tutte le città e i villaggi" (Mt 9,35). E' così che Gesù svolgeva la sua missione di Messia in Terra Santa, senza andare al di là delle frontiere del paese. E' ciò che continua ad avvenire, quando i discepoli di Gesù portano il Vangelo "fino alle estremità della terra". Il Salvatore ha detto loro: "Io sono con voi" (Mt 28,20). Là dove essi annunciano il Vangelo, anch'egli è presente. Talvolta questa presenza - la presenza salvifica di Cristo - viene avvertita in modo particolare. E allora, sul grande mappamondo dell'evangelizzazione, una città o un villaggio acquistano un fulgore particolare.

E' proprio quello che è avvenuto in questo villaggio di Ars il secolo scorso, negli anni in cui il curato Giovanni-Maria Vianney adempiva qui il servizio sacerdotale. A poco a poco tutta la Francia, e anche gli altri paesi, le altre parti del mondo, sono arrivati a conoscere il curato d'Ars. La gente veniva da dovunque per avvicinarlo, per ascoltarlo parlare dell'amore di Dio, per essere guariti e liberati dal peccato. Dopo la sua morte, il suo esempio ha acquisito nuovo splendore. Pio XI l'ha dichiarato santo patrono dei curati del mondo intero.

E oggi vi sono qui rappresentanti dei sacerdoti di numerosi paesi. Si, attraverso questo sacerdote, è Cristo che è divenuto particolarmente presente in questo lembo di Francia.


2. Giovanni-Maria Vianney è venuto ad Ars per esercitarvi il "santo sacerdozio", per "offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo" (1P 2,5). Egli stesso offriva questi sacrifici. Offriva ogni giorno, e con quale fervore, il sacrificio di Cristo. "Tutte le buone opere insieme non equivalgono al sacrificio della Messa, perché... la santa Messa è l'opera di Dio" ("Giovanni-Maria Vianney, curato d'Ars, il suo pensiero, il suo cuore", ed. Abate Bernard Nodet, Le Puy 1958, p. 107; in seguito: Nodet). Invitava i fedeli a unirvi la loro vita "come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio" (Rm 12,1). Si offriva egli stesso: "Un sacerdote fa dunque bene a offrirsi in sacrificio ogni mattina" (Nodet, 107). Offriva tutta la sua vita, costantemente unita a Dio nella preghiera, divorato dal servizio spirituale ai suoi fedeli, segretamente segnato dalle penitenze personali accettate per la loro conversione e la propria salvezza.

Ha cercato di imitare Cristo fino ai limiti delle umane possibilità. Ed è divenuto non solo sacerdote, ma vittima, offerta, come Gesù. Sapeva e proclamava con chiarezza che Gesù Cristo è "la pietra viva" e che tutti gli uomini - attraverso di lui, con lui e in lui - dovevano anch'essi divenire "pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale" (1P 2,5).

In Francia, cari fratelli e sorelle, avete numerosissime chiese, templi splendidi nei quali il genio degli artisti ha cercato, a partire dalle pietre inerti, di formare in un certo senso uno spazio esterno per la presenza di Dio.

Giovanni-Maria Vianney è sbocciato beneficiando di tutta la splendida tradizione di questi templi. Egli stesso si prodigava ad abbellire la sua piccola chiesa, secondo il gusto della sua epoca, in modo da onorare Dio e favorire la preghiera del suo popolo. Tuttavia sapeva che nessuno spazio esterno può essere questa "costruzione" di cui parla san Pietro nella sua prima lettera, perché nessuno di essi è di per sé un "tempio spirituale". Il tempio spirituale deve essere costruito con le "pietre vive" del sacerdozio santo, comune a tutti i credenti battezzati. E la radice di questo sacerdozio è unica; esso ha una sola fonte: Gesù Cristo.


3. Gesù Cristo! Giovanni-Maria Vianney è venuto ad Ars per annunciare ai suoi parrocchiani questa verità fondamentale della nostra fede: Gesù Cristo, la pietra angolare, scelta da Dio, affinché su di essa si innalzi il tempio della salvezza eterna di tutta l'umanità, il tempio che riunisce "tutto il popolo dei redenti" (Preghiera eucaristica III), il popolo dei salvati. E questo tempio è contemporaneamente quello della gloria di Dio che l'uomo è chiamato a contemplare, alla quale parteciperà, secondo le magnifiche parole di sant'Ireneo di Lione: "Lo splendore di Dio dà la vita; avranno dunque parte alla vita coloro che vedono Dio... La gloria di Dio è l'uomo vivente, e la vita dell'uomo è la visione di Dio" ("Adversus haereses", IV, 20,5-7). Questa fede faceva dire al curato d'Ars: "Il nostro amore sarà la misura della gloria che avremo in paradiso. L'amore di Dio riempirà e inonderà tutto... Noi lo vedremo...

Gesù è tutto per noi... Tutti insieme non formate che un solo corpo con Gesù Cristo" (Nodet, 245-249). E' vero che questa pietra angolare - Gesù Cristo - è stata scartata dagli uomini, scartata sino alla condanna alla morte della croce, sul Golgota; ma dinanzi a Dio egli rimane la pietra "scelta e preziosa". Si legge infatti nella Scrittura: "Ecco io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa e chi crede in essa non resterà confuso" (1P 2,6).


4. Giovanni-Maria Vianney è venuto ad Ars quale uomo che aveva creduto. Aveva creduto con tutta la sua anima e con tutto il suo cuore, con tutta la grazia del suo sacerdozio. Aveva creduto in Cristo come pietra angolare. "Chi crede in essa non resterà confuso". Il curato d'Ars ha portato ai suoi parrocchiani questa certezza fondamentale della fede: la certezza della salvezza che è in Gesù Cristo. "Onore dunque a voi che credete; ma per gli increduli la pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta la pietra angolare, sasso d'inciampo e pietra di scandalo. Vi inciampano perché non credono alla parola" (1P 2,7-8). Ecco che cosa ha insegnato Pietro. Ecco che cosa ha insegnato il curato d'Ars. La parola "salvezza" è quella che torna più spesso sulle labbra di Giovanni-Maria Vianney. Egli non ha mai smesso di avvertire i propri fedeli, specialmente le anime tiepide, indifferenti, peccatrici, incredule, del rischio che correvano per la loro salvezza, rifiutando di seguire la via della fede e dell'amore tracciata dal Salvatore; voleva evitar loro di cadere, di essere smarrite, allontanate dalla Luce e dall'Amore per sempre. Tuttavia aggiungeva: "Questo buon Salvatore è così colmo d'amore che ci cerca dappertutto" (Nodet, 50).

Le parole di Pietro e del curato d'Ars non sono forse un'eco di quelle profetiche che Simeone aveva già pronunciate su Gesù appena nato, quaranta giorni dopo la sua nascita. "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti... segno di contraddizione"? (Lc 2,34).


5. Il curato d'Ars ha avuto la stessa fede in Cristo Gesù che hanno avuto Simeone e l'apostolo Pietro. "In nessun altro c'è salvezza" (Ac 4,12). Forte di questa fede, è venuto qui, mandato dal vescovo per rendere presente ed efficace l'opera della salvezza. I suoi parrocchiani d'allora forse non erano molto familiarizzati con le questioni di fede, il vicario generale l'aveva avvertito: "Non c'è molto amore di Dio in questa parrocchia, voi ne metterete". Ed ecco che a queste genti di Ars - e a tutti coloro che sarebbero venuti a unirsi a loro - egli non esitava ad annunciare, attraverso la sua parola e la sua vita, questo messaggio di Pietro che risuona con tanta forza nell'insegnamento del Concilio Vaticano II: "Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato" (1P 2,9). Si, ecco che cosa siete, cari fratelli e sorelle. Questa è la vostra dignità, questa è la vostra vocazione di laici battezzati e confermati: "perché proclamiate le opere meravigliose di Colui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce" (1P 2,9). Il curato d'Ars ha camminato egli stesso in questa luce. Egli sapeva che era destinata a tutti: tutti sono chiamati a questa "ammirabile luce". Successivamente, il Concilio Vaticano II ha sottolineato questa dignità e questa responsabilità dei battezzati: essi partecipano al sacerdozio di Cristo per l'esercizio del culto spirituale, alla sua funzione profetica per testimoniare, al suo servizio regale. Essi "hanno ricevuto una fede per la giustizia di Dio... Comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione... alla santità "(LG 32). Il curato d'Ars non ha mai cessato di ricordare ai fedeli la loro dignità di esseri amati da Dio, santificati da Cristo, e chiamati a seguirlo.


6. Si, tutti sono chiamati, e costantemente chiamati, a venire alla luce, a uscire dalle tenebre. Talvolta da tenebre molto profonde. Tenebre che oscurano lo spirito, tenebre del peccato. L'oscurità dell'incredulità. Cento anni dopo, il Concilio Vaticano II avrà dinanzi agli occhi la stessa realtà. Esso ricercherà le strade dell'incontro, di dialogo coi non-credenti, coi credenti di altre religioni. E sapendo che, in definitiva, si tratta sempre del "dialogo della salvezza", così come lo ha ben definito il mio predecessore Paolo VI. Il curato d'Ars sapeva bene che ciò che importa è il dialogo della salvezza. E lo faceva costantemente progredire con tutti i mezzi permessigli dalla sua epoca. Lo si potrebbe rimproverare di aver condotto questo dialogo della salvezza in luoghi così semplici, così spogli, che ci commuovono ancora: questa vecchia cattedra di catechismo, questo confessionale che ha occupato in modo instancabile?


7. Ciò che conta è innanzitutto il fatto che si trattava di un vero dialogo della salvezza, di un dialogo straordinariamente fruttuoso che ci lascia, ancor oggi, confusi. I frutti che esso dava erano dovuti a questa "ammirabile luce" che non viene dall'uomo, ma da Dio. Il ministero sacerdotale del perdono è sempre un dono dall'alto; tramite il sacerdote che è stato ordinato a questo ministero, è Cristo che illumina, che guarisce, che perdona. L'anima ardente d'amore del curato d'Ars si prestava meravigliosamente a questa azione di Cristo. I frutti che esso dava erano frutti di misericordia, vale a dire dell'amore misericordioso di Dio, grazie al quale coloro che erano "un tempo esclusi dalla misericordia", tornavano indietro avendo "ottenuto misericordia" (1P 2,10). Tornavano convertiti. Tornavano assolti dai loro peccati. Il curato d'Ars prestava a Cristo queste parole: "Incarichero i miei ministri di annunciare loro che sono sempre pronto a riceverli, che la mia misericordia è infinita" (Nodet, 135). Oh, cari fratelli e sorelle, misurate voi a sufficienza la grazia incredibile che vi è nell'essere assolti dai propri peccati, nel tornare all'amore di Dio, allo stato di amicizia con lui, nel rinascere alla Vita di Dio, nell'essere abitato da lui, nell'essere reintegrato nel popolo di coloro che sono santificati da Dio? Guardate voi la croce sulla quale Cristo ha dato la propria vita per questa redenzione? Desiderate questo perdono, questa rinascita spirituale, che non ci si può dare da soli, e senza i quali la comunione con Dio e con i nostri fratelli non è vera? Vi preparate ad essa seriamente? Andate a chiedere questo sacramento di riconciliazione ai vostri sacerdoti? Lo vivete e lo celebrate degnamente? Grazie all'umile servizio del curato d'Ars, coloro che non erano "affatto il popolo di Dio" divenivano vero "popolo di Dio", tempio fatto di pietre vive, edificato sulla pietra angolare, su Cristo.


8. Edificare la Chiesa! E' ciò che il curato d'Ars ha fatto in questo villaggio.

La conversione, il perdono, preparati dalla sua predicazione rude e semplice, dovevano permettere ai suoi parrocchiani di progredire nella vita di unione con Dio, nel comportamento cristiano, nella testimonianza e nelle responsabilità apostoliche. L'Eucaristia era il culmine del raduno parrocchiale. Egli la celebrava in modo tale che ciascuno prendesse viva coscienza della presenza di Cristo. Invitava alla comunione frequente chi vi si era preparato. Insegnava ai suoi parrocchiani a pregare, ad adorare il santissimo Sacramento. O meglio, essi stessi si sentivano attratti a venire a pregare come lui in questa Chiesa.

Vegliava a che nessun lavoro o impegno impedisse la celebrazione della domenica. Correndo il rischio di opposizioni calunniose, combatteva, nella sua predicazione, i costumi o le abitudini che gli sembravano contrari allo spirito di verità, all'onestà, alla purezza, alla carità secondo il Vangelo, ma favoriva le sane feste popolari. La sua parrocchia acquisi presto un volto nuovo. Egli stesso non mancava di andare a visitare gli ammalati, le famiglie. Si preoccupava specialmente dei poveri, delle orfanelle de "La Providence", dei bambini senza istruzione. Radunava le giovani. Rafforzava i padri e le madri di famiglia nelle loro responsabilità educative. Formava confraternite. Suscitava la cooperazione dei parrocchiani, che, in una certa misura, si facevano carico delle opere. Affiancava a sé dei collaboratori da lui formati. Metteva in opera le missioni popolari. Educava alla preghiera e all'aiuto missionario, all'epoca in cui un altro figlio di questa diocesi, san Pietro Chanel, partiva per l'Oceania e moriva martire a Futuna.

Così il curato d'Ars incoraggiava le varie vocazioni al servizio della Chiesa, coi mezzi, secondo i metodi e seguendo i bisogni del suo tempo. Insieme ai laici, costruiva qui il tempio di Dio, in comunione coi suoi confratelli sacerdoti, il suo vescovo e il Papa. Ma tutti sapevano a che punto il suo insostituibile ministero di sacerdote, adempiuto in nome di Gesù Cristo, con lo Spirito Santo, aveva fatto scattare, animato e nutrito questo progresso.


9. così dunque Cristo si è veramente fermato qui, ad Ars, all'epoca in cui vi era curato Giovanni-Maria Vianney. Si, si è fermato. Egli ha visto "le folle" degli uomini e delle donne del secolo scorso "stanche e sfinite, come pecore senza pastore" (Mt 9,36). Cristo si è fermato qui come il buon pastore. "Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, diceva Giovanni-Maria Vianney, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare a una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina" (Nodet, 104). E in questo luogo Cristo ha detto ai suoi discepoli, come una volta in Palestina, ha detto a tutta la Chiesa che è in Francia, alla Chiesa diffusa su tutta la terra: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!" (Mt 9,37-38).

Oggi, lo dice allo stesso modo, perché i bisogni sono immensi, pressanti. I vescovi, successori degli apostoli, il successore di Pietro, vedono più di altri l'ampiezza della messe, con le promesse di un rinnovamento, e anche la miseria delle anime abbandonate a se stesse, senza operai apostolici. I sacerdoti hanno una viva coscienza di questo bisogno, loro che vedono in molti luoghi sfoltite le loro fila e che aspettano l'impegno di più giovani nel sacerdozio o nella vita religiosa. I laici, i focolari ne sono altrettanto convinti, loro che contano sul ministero del sacerdote per nutrire la loro fede e stimolare la loro vita apostolica. I bambini e i giovani lo sanno bene, loro che hanno bisogno del sacerdote per divenire discepoli di Gesù, e forse condividere la sua gioia di consacrarsi interamente al servizio del Signore, alla sua messe.

E noi tutti, che siamo qui riuniti, dopo aver meditato sulla vita e il servizio di san Giovanni-Maria Vianney, curato d'Ars, questo "operaio" insolito della messe in cui si opera la salvezza degli uomini, eleviamo una supplica fervida verso il Padrone della messe, preghiamo per la Francia, per la Chiesa attraverso il mondo intero: manda operai nella tua Messe! Manda operai!

Data: 1986-10-06 Lunedi 6 Ottobre 1986




Ai Consigli pastorale e presbiterale - Lione (Francia) - La Chiesa dev'essere anche un segno visibile della fede



Fratelli e sorelle carissimi.


1. Vi ringrazio vivamente di questa testimonianza sulla vita apostolica nell'arcidiocesi di Lione. Ne apprezzo sia il contenuto che il tono. Faccio volentieri mie le preoccupazioni del Consiglio pastorale diocesano. Nella mia risposta non voglio dimenticare i rappresentanti del Consiglio presbiterale qui presenti: il card. Decourtray mi ha fatto pervenire un lungo documento riguardante la loro assemblea del maggio scorso, e ho ricevuto anche il testo dell'indirizzo previsto per quest'incontro. Anche altri gruppi di parroci e sacerdoti operanti nelle parrocchie, di responsabili della catechesi, di preti operai, mi hanno confidato le loro preoccupazioni. Ho preso attentamente conoscenza di tutto questo. Non posso riprendere qui tutte le loro domande: riguardo ad alcune di esse, conosce già qual è il mio pensiero, o piuttosto quale è il pensiero che la Santa Sede ha espresso in diverse riprese, per la Chiesa universale, in documenti post-sinodali o in altri documenti quali l'Istruzione sulla libertà cristiana e la Liberazione. Del resto abbiamo riservato questa mattinata per meditare sul ruolo del sacerdote nella Chiesa e sui diversi aspetti della sua vita. Ma credetemi, ho fatto volentieri mie tutte le vostre preoccupazioni di pastori seriamente impegnati nella evangelizzazione, con la testimonianza delle vostre difficoltà. Le conservo nella memoria e nel cuore. E voglio anche esprimere la mia soddisfazione nel sapere che il cardinale arcivescovo di Lione può contare ormai sul Consiglio presbiterale che è finalmente riuscito a costituirsi. Queste istanze della Chiesa locale, volute dal Codice di diritto canonico, sono il luogo in cui potete discutere su tali questioni, in armonia con la Chiesa universale. Affrontero stasera ciò che è comune a tutti voi: laici, religiosi, sacerdoti e vescovi, nel vostro impegno di cristiani.


2. Tutti sanno che i cristiani di Lione non hanno mai mancato di manifestare una vitalità notevole a livello spirituale, pastorale, missionario: rigorosi nella loro analisi delle necessità, inventivi ed esigenti nelle nuove iniziative da prendere per raccogliere le sfide. Molte altre comunità cristiane ne hanno tratto beneficio. E' forse l'ardore dei primi martiri lionesi che risorge nel corso della storia? Senza guardare tanto indietro, penso a Federico Ozanam, che durante il suo soggiorno a Lione lavoro per l'apostolato intellettuale e i circoli di carità; a Pauline Jaricot, chiamata spesso la "Madre delle missioni"; al padre Chevrier, l'apostolo degli operai poveri, dal cui nome non può essere separato quello di mons. Ancel; al padre Couturier, uno dei padri spirituali dell'ecumenismo; al padre Joseph Folliet, promotore di azioni sociali; al padre Joseph Colomb, che diede nuovo impulso alla catechesi; e a tanti altri eminenti teologi come padre Henri de Lubac. "Mi sento in dovere di ricordare in modo particolare il card. Giovanni Villot, vostro ex arcivescovo, che ha posto tutte le sue doti al servizio della Chiesa universale durante e dopo il Concilio, come stretto collaboratore molto stimato di Paolo VI e anche mio, in qualità di segretario di Stato". Non cerco di stimolare il vostro legittimo orgoglio, ma sono convinto che il loro ardore apostolico e il senso di Chiesa possono ispirarci fortemente, anche se il contesto è oggi nuovo e i cristiani sono diventati minoranza in un mondo che si colloca spesso ai margini della fede. Di questo contesto avete sottolineato i caratteri dominanti. Mi sembra che abbiate già fatto un esauriente inventario delle necessità, dei cammini evangelici da seguire, e di un certo numero se non di soluzioni, almeno di mezzi.

Il Consiglio pastorale e il Consiglio presbiterale, anche nel loro difficile apprendistato, sono luoghi idonei per perseguire il discernimento e maturare le decisioni pastorali intorno al vostro arcivescovo. Il diritto canonico lo esige con puntualità (CIC 495 CIC 511). Onde esprimere l'appoggio che vorrei darvi, mi soffermero solo su alcuni punti che avete sollevato, ai quali l'esperienza della Chiesa universale porta utili lumi.


3. Innanzitutto, desidero esprimere il mio apprezzamento per la vostra preoccupazione di laici cristiani e di sacerdoti di essere presenti in tutti gli ambienti dove è in gioco l'evangelizzazione, molto vicini alle realtà umane, sociali, spirituali, quali sono vissute: quelle del mondo operaio, quelle delle persone e delle famiglie tragicamente colpite dalla disoccupazione; quelle degli economisti, dei tecnici e dei dirigenti, quelle degli universitari e degli studenti, così numerosi a Lione, quelle dei bambini e dei giovani, quelle delle popolazioni rurali colpite anch'esse dalla crisi, quelle degli anziani e dell'immenso mondo ospedaliero, quelle di tutti i poveri afflitti da differenti tipi di povertà: poveri di mezzi, di affetti, di fede. Si, l'apostolato presuppone questa presenza quotidiana, umile, di persone animate dalla fede e dall'amore evangelico; quella delle équipes di cristiani: possono essere paragonati a una rete di capillari che porta sangue all'immensità dell'umanità, o al lievito mescolato a tutta la pasta affinché venga edificato il corpo di Cristo.


4. Questo non impedisce, amici carissimi, anzi stimola a costituire gruppi più vasti di cristiani al livello di parrocchie, di movimenti diocesani, di diocesi, perfino di Chiesa universale, senza lasciarsi paralizzare dalla paura di quello che alcuni chiamano volentieri "trionfalismo". Quanto più è disperso, tanto maggiormente il popolo cristiano sente la necessità di celebrare la sua fede, di sperimentare quanto fortemente è condivisa, di pregare insieme e di dare apertamente testimonianza di questa larga coesione che crea la sua gioia e la sua forza. Diventa allora consapevole di ciò che è comune a tutti i battezzati, al di là delle spaccature ambientali e metodologiche. Una delle responsabilità del pastore della diocesi, del Pastore di Roma, è proprio quella di riunire e condurre così il gregge, come Gesù lo ha voluto. In un Paese dove molti tendono a considerare l'atteggiamento di fede come una questione privata, segreta, la Chiesa deve anche essere un segno visibile, come la lampada sul lucerniere. Questa testimonianza non fa pressioni su nessuno: è un appello che rispetta le convinzioni. In un'epoca in cui i mezzi di comunicazione cercano ciò che è significativo per farne partecipe in larga misura alla pubblica opinione, perché dovremmo impedire loro di dare risonanza a questo segno che molti desiderano segretamente come un richiamo della fede o come un'interpellazione? I giovani, lo avrete notato, comprendono meglio di noi questa esigenza. E così succede anche in altre nazioni che ho potuto visitare.


5. Resta tuttavia il fatto che queste assemblee, come la stessa Messa, sono riferimenti alla missione, nella varietà dei bisogni apostolici. I cattolici francesi sono riusciti a moltiplicare le iniziative, a creare numerosi movimenti specializzati, associazioni, per affrontare la diversità delle situazioni sotto un'angolazione particolare. Questo pluralismo permette di perseguire obiettivi precisi, è segno di vitalità, fonte di ricchezza, purché non degeneri in chiusure con il rischio d'ignorarsi gli uni gli altri, di non comprendersi più, di mettersi in contrapposizione. Possano i cristiani, nella fedeltà alla loro fede, evitare i giudizi, i sospetti, le classificazioni in base alle loro sensibilità apostoliche, o talvolta in base alle correnti ideologiche che li ispirano. Avete sottolineato perfettamente questa difficoltà, come anche la necessità di spazi per l'accoglienza, l'incontro, l'ascolto fraterno, la riflessione in comune, la condivisione nella fede, oserei dire, della concertazione. Le convinzioni cristiane, infatti, attingono alla stessa sorgente: "Un solo Dio Padre di tutti, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo corpo, un solo spirito, una sola speranza" (cfr Ep 4,4-6); e gli assi maggiori della missione sono comuni a tutti. Sono rari i settori della vita indipendenti dagli altri. La pastorale familiare, per esempio, riguarda tutti gli ambienti. Questa unità nella carità e nella ricerca della verità, rispettosa delle legittime differenze, non è forse una testimonianza essenziale che i cristiani devono dare al mondo, e proprio a un mondo troppo spesso lacerato, diviso in tendenze che si sclerotizzano oltre ogni limite, che stenta a vivere la vera pace e la vera riconciliazione? "Siano anch'essi una cosa sola... perché il mondo creda che tu mi hai mandato": così pregava Gesù nel solenne momento della sua dipartita (Jn 17,21). E l'apostolo Giovanni nella sua vecchiaia, quando parlava agli asiatici, compatrioti dei vostri primi cristiani lionesi, non aveva più altra consegna se non quella che le riassume tutte: "Amatevi gli uni gli altri".


6. "Con lo Spirito Santo... mi sarete testimoni" (Ac 1,8). Testimonianza: è proprio questa la parola chiave del vostro apostolato. Essere testimoni per qualcuno, al cospetto di persone o di gruppi che vivono forse la nostra stessa fede o che appartengono forse a un'altra confessione religiosa o che sembrano non avere la fede, che comunque vivono secondo altre convinzioni, altri criteri, altri "valori", frutto della loro educazione o di tante altre influenze alle quali sono stati esposti. Per instaurare il dialogo il testimone cristiano deve osservare, ascoltare, cercare di capire, stimare tutto ciò che è stimabile. Il Concilio e Paolo VI hanno invitato i cristiani a uscire dalla propria cerchia per entrare in questo dialogo, indispensabile per avvicinare tra di loro gli uomini che devono lavorare insieme per migliorare le condizioni di vita della città. E' necessario anche per l'evangelizzazione; può perfino stimolare la fede del testimone cristiano che lo accoglie con umiltà. Per restare "dialogo di salvezza", questo dialogo apostolico presuppone evidentemente un'identità cristiana solida; diversamente non sarebbe più testimonianza del Signore e della sua Chiesa. Quanto più ci si trova negli avamposti della missione - e incoraggio coloro che assumono questo rischio - tanto maggiormente occorre vivere personalmente di Cristo, amare la Chiesa, formarsi un giudizio cristiano in tutti i campi morali della vita. così si resterà capaci di scoprire i capisaldi della fede, l'opera dello Spirito Santo negli altri; di vedere nella vita del mondo quello che non è conforme al Vangelo, di distinguere il grano dal loglio, di discernere gli pseudo-valori. Non può esservi disprezzo per le persone come tali ma invece un grande amore, ispirato al desiderio che non siano private della salvezza di Cristo. E la nostra testimonianza - portata con la volontà di servire e con l'umiltà dei nostri vasi d'argilla - deve essere sempre una testimonianza chiara, visibile. Come potrebbe altrimenti un mondo, che vive nell'indifferenza o nella nebbia d'ideologie o di costumi estranei alla fede, discernere la luce che Cristo ha affidato alla sua Chiesa?


7. Vi sarà dunque chiaro perché apprezzo tanto la vostra volontà di un approfondimento continuo, come laici cristiani, a livello teologico, spirituale, pastorale. Vedo volentieri come molti di voi desiderano farsi una reale competenza teologica. "Conoscere Gesù Cristo" - era questo il leitmotiv di padre Chevrier, impegnato nella catechesi dei poveri staccati dalla Chiesa. La scienza teologica non è sufficiente se non è accompagnata da una meditazione della parola di Dio, nella preghiera. Si parla di un "ritorno del religioso": se esso conduce all'incontro autentico del Dio vivente, bisogna rallegrarsene. Le sedute, i corsi, le riunioni dei movimenti, le revisioni di vita, i gruppi di preghiera, i ritiri e soprattutto l'assidua frequentazione dei sacramenti vi permettono di accogliere Gesù Cristo affinché egli agisca in voi, attraverso di voi. L'apostolato non è né un'azione sociale né una forma di propaganda: è innanzitutto un irraggiamento di ciò che si è, di ciò che si vive.


8. Nella Chiesa le vostre attività apostoliche sono molto diverse; ne avete citate un buon numero. Come lo ha fatto il Concilio, mettero al primo posto l'azione che i laici devono condurre nel mondo, nei diversi compiti familiari, professionali e sociali che costituiscono il tessuto della loro esistenza stessa (cfr LG 31). E' qui che operano dal di dentro per la santificazione del mondo, recandovi la testimonianza dello spirito evangelico per contribuire all'elevazione delle persone, e attraverso di esse al rinnovo delle strutture, affinché le realtà temporali siano maggiormente orientate e progrediscano conformemente alla volontà di Dio, per il suo regno. In questa "gestione" delle cose temporali, i sacerdoti e i religiosi sostengono i laici nella vocazione che è loro propria, ma non possono sostituirsi ad essi. Questo apostolato può andare di pari passo con i servizi delle comunità ecclesiali nei quali, grazie a Dio, i laici, uomini e donne, professionisti e volontari, si collocano in sempre maggior numero per una catechesi esigente - rispondente ad un bisogno primordiale dei bambini, dei giovani e degli adulti e che ha tutto il mio incoraggiamento - per seguire i catecumeni, assistere i malati, dare un reciproco aiuto nel settore della carità, per una degna liturgia... l'esperienza, la riflessione nella Chiesa e la decisione dei pastori suggeriranno i tempi e le modalità più opportuni per conferire a tali servitori permanenti una missione o un ministero senza ordinazione. Non è la penuria di sacerdoti che giustifica questa partecipazione più attiva e più numerosa dei laici, pur essendone l'occasione: voi rispondete qui, carissimi amici, alla vostra vocazione di battezzati partecipando alla funzione di Cristo sacerdote, profeta e re (cfR AA 10).

Resta inteso che questa collaborazione al ministero dei sacerdoti e dei diaconi deve essere bene articolata, senza confusione tra le funzioni. Voi avete sollevato questo problema. Quanto più i laici diventano consapevoli delle loro responsabilità nella Chiesa, tanto maggiormente diventano evidenti l'identità specifica e il ruolo insostituibile del sacerdote quale pastore dell'insieme della comunità, testimone dell'autenticità della fede e dispensatore dei Misteri in nome di Cristo capo, "potere" o servizio conferitogli per l'assemblea ma non dall'assemblea. Come dicevo ad Ars, in una situazione come quella odierna, nella quale siamo costretti a organizzare la vita ecclesiale con pochi sacerdoti, stiamo attenti a non considerare questa situazione come normale e tipica del futuro. Non smobilitiamo gli sforzi intrapresi per risvegliare le vocazioni. Alcuni di voi lo hanno ammesso: siamo stati troppo timidi nei riguardi delta chiamata al ministero.

Cerchiamo di guardare più lontano, di tendere verso una situazione nella quale i sacerdoti saranno abbastanza numerosi per sostenere meglio l'apostolato dei laici.


9. Coerente con il Vangelo e con l'intera dottrina della Chiesa, il vostro apostolato assume una particolare urgenza e uno specifico accento di fronte alle sfide del mondo di oggi, che avete messo così bene in luce. Insieme a coloro che non condividono la sua fede, per esempio i musulmani, il cristiano manifesterà - e fu questo il significato del mio incontro a Casablanca - la sua stima per la loro fede autentica nel Dio unico, senza tacere le conseguenze normali di questa fede per il rispetto e l'amore del prossimo, senza tralasciare i diritti e doveri degli uni e degli altri nella società.

Nella grande città segnata dall'anonimato, in un mondo nel quale il tecnicismo conserva solo ciò che è efficiente e quantificabile, il cristiano darà importanza a tutto ciò che mette in valore la persona umana, che ristabilisce relazioni autentiche e calorose, che tesse una vita comunitaria. In una società insaziabile di esperienze e di prodezze tecniche, anche a livello genetico, il cristiano rifletterà e inviterà a riflettere sui gravi problemi etici in gioco, perché l'uomo sia rispettato e resti padrone del suo destino. In un mondo in cui il male morale è scusato e giustificato con il pretesto che serve a certe cause, il cristiano continuerà a chiamare male ciò che è male, senza mai accettare che il fine giustifichi mezzi immorali, terroristici.

In una società la quale, traumatizzata dalla paura, recupera riflessi di aggressività e di razzismo, il cristiano eviterà di pronunciare giudizi globali o parziali, cooperando sempre alla protezione degli innocenti. In un ambiente in cui l'uomo è costretto a lottare per strappare ciò che è conforme alla giustizia sociale e necessario alla sua vita e sopravvivenza, il cristiano condurrà un'azione ferma, ma senza mai cedere alla violenza, all'odio e alla menzogna. Dove il mondo è chiuso, lacerato, teso, il cristiano porterà la sua testimonianza di comprensione, di rispetto, di amore, di pace, come Dio che è nello stesso tempo giustizia e tenerezza. 10. Sono stato lieto, infine, di sentirvi menzionare l'apertura alla Chiesa universale, apertura che è indispensabile a un duplice livello.

Prima di tutto, essa vi permette di comprendere alcune esigenze essenziali della fede, della morale, della disciplina ecclesiastica, sacramentale o altra, le quali, in un contesto ristretto, potrebbero a prima vista sembrare ostacoli alla libertà della missione. In realtà questi problemi sono stati maturati, in sede di Concilio o di Sinodo, dai vescovi del mondo intero con il successore di Pietro, nel senso della tradizione vivente e a fronte dei problemi di oggi. Tutte le Chiese locali, con i loro vescovi e sacerdoti, devono essere in stretta comunione in relazione a questa identità sostanziale, al servizio dell'unità di cui parlava così appropriatamente sant'Ireneo. Una unità che non si confonde con la centralizzazione né con una uniformità in tutte le espressioni legittime della preghiera, della vita e dell'azione apostolica delle comunità (cfr. discorso ai sacerdoti, Einsiedeln, 15 giugno 1984, nn. 2-5). Del resto l'ascolto delle esigenze e delle testimonianze delle giovani Chiese, l'apertura ai paesi del Terzo mondo, sono espressione del dovere di carità universale che si addice ai cattolici. Attraverso questa generosità o questo scambio, la vostra stessa Chiesa acquisterà un nuovo dinamismo. Anche i poveri dividono con i poveri. Nessuna singola Chiesa può vivere ripiegata su se stessa, meno ancora quella che ha conosciuto Pauline Jaricot e tanti missionari. Il prossimo Sinodo dei vescovi sulla vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo darà un nuovo impulso ai vostri sforzi generosi. Amici carissimi, possa Dio sostenervi tutti, possa egli assistere coloro che voi rappresentate in questo Consiglio pastorale e questo Consiglio presbiterale, coloro che operano con voi all'apostolato in questa diocesi di Lione. Cerchiamo di essere buoni strumenti dello Spirito Santo. Raccomando a voi il mio ministero. E vi benedico con tutto il cuore. [Durante l'incontro il Santo Padre ha così proseguito:] Miei cari fratelli e sorelle, vi diro subito, direttamente, le mie reazioni immediate perché sono tra voi come invitato. E' particolarmente importante per me poter conoscere questa Chiesa, una Chiesa speciale, prestigiosa, antica e quindi conoscere la realtà delle Chiese dopo il Vaticano II, la situazione creata dal Vaticano II. E' per me un grande privilegio ed è molto importante potervi ascoltare.

Il vostro cardinale diceva, cito più o meno le sue parole: "Quando fui nominato arcivescovo di Lione, sono andato dal Papa a chiedere i suoi consigli.

Egli mi ha detto: "Ma voi lo sapete meglio di me, ciò che dovete fare a Lione", ed è vero: la vera realtà e la struttura della Chiesa, e soprattutto quella dell'episcopato, è esattamente quella della Chiesa universale e nello stesso tempo esiste e si realizza in molte Chiese particolari. Il Signore ha chiamato dodici apostoli, non solo Pietro, e con questi dodici apostoli egli ha anticipato il duplice carattere della Chiesa, vale a dire il carattere universale; composta da molte Chiese. Dunque qui si tocca il problema del carisma. Se rispondessi al vostro arcivescovo dovrei farlo sottolineando la parola carisma, il "carisma proprio" della Chiesa di Lione. Il Papa ha il carisma nel servizio alla Chiesa universale e quindi indirettamente delle diverse Chiese ma soprattutto in relazione con la Chiesa universale. Se il Papa ha il carisma per servire una Chiesa particolare, è soprattutto quello della Chiesa di Roma. Quel che ho detto è importante perché si comprenda il mio modo di rispondere alle vostre relazioni e sottolineo ancora una volta che tali relazioni sono molto preziose per me. Devo constatare soprattutto che questi due organismi che si presentano questa sera al Vescovo di Roma, al Papa, corrispondono profondamente e sostanzialmente non solo allo spirito ma letteralmente alle decisioni del Vaticano II. Il Vaticano II ha suggerito la creazione di questo consiglio. Il consiglio presbiterale è come un senato, "senatus episcopalis". Consiglio presbiterale, consiglio pastorale come espressione della responsabilità apostolica nei riguardi della pastorale di tutto il popolo di Dio. Questi due organismi esistono e funzionano già da qualche tempo.

Evidentemente bisogna vederlo per giudicarlo secondo i criteri della dottrina del magistero del Vaticano II. Ci sono molti punti in questo magistero del Vaticano II per i quali è necessario avere alcuni punti di riferimento, soprattutto la costituzione "Lumen Gentium" sulla Chiesa come pure la "Gaudium et Spes" e, evidentemente, i diversi decreti, come quello sul laicato, l'"Apostolicam Actuositatem", e anche quello per i sacerdoti, il "Presbyterorum Ordinis" e per i vescovi. Ma, direi, che per giudicare l'attività, soprattutto le attività operanti dei vostri due Consigli bisogna fare riferimento a tutti i documenti del Vaticano II, e vorrei fare qui riferimento all'ultimo Sinodo, quello straordinario tenuto nel mese di dicembre dello scorso anno nel 20° anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II. E dunque, è una cosa fondamentale, sostanziale di cui constato l'esistenza ed esprimo la mia riconoscenza, la mia gratitudine, la mia soddisfazione per ciò che corrisponde al mio carisma e anche al mio ministero di Vescovo di Roma. Che cosa debbo suggerirvi? Se vi è un suggerimento da fare torniamo ai nomi dei vostri organismi, i consigli. Ciò definisce profondamente il carattere di questi organismi comunitari, rappresentativi; i consigli presbiterali naturalmente sono rappresentativi del presbiterio della diocesi di Lione; il consiglio pastorale è rappresentativo della pastoralità e la grande partecipazione dei laici è giustificata dal fatto che il Vaticano II ha ampiamente sottolineato che l'apostolato dei laici è un elemento costitutivo della pastorale della Chiesa, dell'apostolato della Chiesa; noi prepariamo per il prossimo anno un altro Sinodo e, questa volta, un Sinodo ordinario dedicato in special modo al laicato e al loro apostolato nella Chiesa. Vorrei ora toccare un altro aspetto. Si tratta dei Consigli come istituzioni. Il criterio autentico di un consigliere è quello di dare buoni consigli, di avere le qualità, le virtù di un buon consigliere; vale a dire di una persona capace di dare buoni consigli. Ciò presuppone molte circostanze. Lo sappiamo molto bene dall'analisi di san Tommaso soprattutto laddove tratta la virtù della prudenza che costituisce qualcosa di importante per un Consiglio. Si tratta di una prudenza nella dimensione non solo personale o individuale, si tratta di una prudenza e anche di un consiglio nella dimensione sociale ed ecclesiale. Bisogna lavorare, bisogna formarsi a una tale virtù del consiglio o della prudenza. Ma noi sappiamo anche che vi è un dono soprannaturale del consiglio, un dono dello Spirito Santo che aumenta, che approfondisce la nostra virtù di consiglio e di prudenza. Esso rende più disponibili alla mozione soprannaturale, alla mozione dello Spirito Santo; per avere il dono dello Spirito Santo bisogna pregare lo Spirito Santo e creare in noi stessi, nel nostro spirito, una disponibilità a quest'opera dello Spirito Santo che ci illumina con i suoi consigli e ci fa sentire la sua influenza soprannaturale, fatta di buoni consigli, che fa di noi dei buoni consiglieri. Sono elementi che non si trovano in questo discorso. Ho voluto comunicarvi le reazioni che ho avuto mentre ascoltavo i vostri interventi. Mi è sembrato importante suggerirvelo e augurarvelo. Vi auguro dunque di avere questo spirito di buon consiglio, spirito nel senso umano del termine, per ottenere il dono del buon consiglio dallo Spirito Santo per poter adempiere a questa funzione per la quale la Chiesa di Lione vi ha scelto. E' tutto quanto volevo dirvi. Il resto non si può trovare qui. In ogni caso cerco piuttosto di mantenermi sul piano di considerazioni generali e ciò fa parte del mio carisma e della mia missione lasciando al vostro vescovo la sua competenza carismatica che non deriva solo dalla sua funzione ecclesiale ma dal suo carisma e io credo profondamente nel carisma dei vescovi che include anche il Vescovo di Roma e credo nel carisma dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose e credo profondamente nel carisma dei laici, molto diverso, molto ricco. Nella mia vita ho incontrato tanti laici carismatici. E ho incontrato questi carismi a livello della vostra vita, della vita personale, ma soprattutto della vita sociale, familiare, professionale e anche, evidentemente, della vita ecclesiale.

Data: 1986-10-06 Lunedi 6 Ottobre 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Omelia alla concelebrazione - Ars (Francia)