GPII 1986 Insegnamenti - Lettera ai vescovi filippini - Città del Vaticano (Roma)

Lettera ai vescovi filippini - Città del Vaticano (Roma)

Al servizio della verità e della giustizia


L'imminente Assemblea plenaria mi offre la gradita opportunità di rivolgermi ancora una volta a voi, cari confratelli nell'episcopato, per manifestarvi il mio più vivo affetto per voi e per le comunità affidate al vostro ministero pastorale e per condividere con voi alcune riflessioni, rispondendo così all'auspicio espressomi dal cardinale Ricardo Vidal. A lui rivolgo un saluto particolare, perché è stato chiamato a ricoprire l'incarico di presidente della Conferenza episcopale in un momento difficile per la storia del Paese e per la Chiesa che condivide pienamente la gioia e le speranze, le preoccupazioni e le difficoltà dei suoi abitanti. Cristo nostra salvezza In questo momento di transizione, contrassegnato da gravi e complessi problemi di diversa natura, desidero rivolgere una parola di incoraggiamento a tutti voi, e - nell'esercizio della missione affidata dal Signore Gesù a Pietro e ai suoi successori di confermare i suoi fratelli nella fede - vi invito a riporre tutta la vostra fiducia in Cristo, che è la nostra forza e la nostra salvezza.

Gli avvenimenti politici che nei mesi scorsi hanno profondamente modificato la vita pubblica delle Filippine sono stati oggetto della mia attenzione e anzi preoccupazione, come ho avuto occasione di esprimere pubblicamente a questo riguardo, invitando i nostri fratelli nella fede di altri paesi a unirsi in preghiera con il popolo filippino. E' grazie alla divina protezione e al profondo spirito cristiano del vostro popolo - ben noto per la sua cordiale, accogliente e pacifica apertura a tutti - che durante le gravi tensioni non vi è stato ricorso alla violenza, come si era temuto. Una seria e attenta guida morale Da allora è trascorso solo poco tempo, ed esistono numerosi e impellenti problemi sociali, economici e politici che attendono una risposta concreta ed effettiva. Capisco dunque la vostra inquietudine e il desiderio, come pastori, di esprimere più esplicitamente la vostra comunione con il popolo a voi affidato, e di offrirgli una seria e attenta guida morale. La Chiesa nelle Filippine non può dimenticare che una vasta fascia della popolazione si trova a vivere in condizioni economiche e sociali che sono estremamente difficili e talvolta intollerabili, e chiede una vita più umana, più in armonia con la dignità di figli di Dio. L'amore preferenziale per i poveri, che già in passato non ha mancato di ispirare il vostro ministero pastorale, deve diventare una delle principali linee di azione di questo ministero, nel contesto della solidarietà con tutti gli esseri umani e la loro storia. Questo servizio di amore e di fedeltà all'uomo deve tuttavia essere in conformità con la natura della missione della Chiesa, che non è di ordine temporale, ma di ordine spirituale, non di ordine sociale, politico o economico, ma religioso (cfr GS 42). Ciò significa, dunque, che la Chiesa è chiamata non a prendere posizioni di carattere politico o a prendere parte in conflitti tra fazioni, ma a offrire alla società il contributo esperto che le è proprio, come pure la luce spirituale e la forza che possono contribuire alla costruzione e al consolidamento della comunità umana. Questo servizio all'uomo richiederà un intenso sforzo evangelico, che è la proclamazione della salvezza divina, in ogni contesto in cui la gente vive e lavora. Esso deve essere dunque fedele a una proclamazione integrale del Vangelo che deve diffondere la sua luce sulle realtà terrene, in modo tale che l'uomo possa essere aiutato a liberarsi da tutto ciò che lo opprime e lo aliena, così che egli possa essere reso capace di incamminarsi verso la sua piena autorealizzazione, sia terrena che trascendente.

Servizio disinteressato al bene comune Nel momento presente, quando il paese sembra più che mai richiedere il contributo di un servizio disinteressato al bene comune e un esempio di grande integrità morale e virtù sociali, i vostri sforzi devono cercare di garantire la necessaria formazione delle coscienze dei fedeli a tutti i livelli di responsabilità nella società. In questo modo vi sarà possibile promuovere la preparazione dei laici ad assumere le loro responsabilità, come cristiani e come cittadini, nella costruzione politica e nell'organizzazione della vita sociale. Lo stesso Concilio Vaticano II ha affermato chiaramente che "l'impegno di informare dello spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della comunità in cui uno vive, è compito e obbligo dei laici così che non può mai essere debitamente assolto dagli altri" (AA 13). Non vi è dubbio che si tratta di una questione che richiede il supporto della guida spirituale dei vescovi e dei sacerdoti. In questo ministero di insegnamento e di guida, al servizio della verità e della giustizia, nessun pastore può dimenticare che anch'egli è chiamato ad essere uno strumento di riconciliazione e di comunione. Superare ogni divisione A voi che siete consacrati ad avere cura dell'intero gregge, senza esclusioni di sorta, è affidata la promozione di una riconciliazione nazionale effettiva e concreta. Voi avete la missione non di provocare o di accentuare le divisioni, ma di contribuire a superare urgentemente e con decisione quelle che si sono create o che almeno sono sorte tra la popolazione nel corso degli ultimi avvenimenti. Anche questa attività pacificatrice produrrà, tuttavia, i risultati desiderati solo nella misura in cui essa è basata su di una intensa attività evangelizzatrice. La proclamazione della buona novella che deve essere portata avanti - naturalmente nel contesto concreto della vita del popolo e come risposta ai suoi problemi più gravi - produrrà una profonda unità che non è intaccata dalle diverse opzioni politiche o socio-economiche. Fraternità umana e soprannaturale Ogni filippino si sentirà, dunque, in un riscoperto senso di solidarietà - conseguenza concreta della fraternità umana e soprannaturale - coinvolto con i fratelli nella fede e con tutti gli uomini di buona volontà nella soluzione delle difficoltà del paese. La prospettiva dell'unità e l'accresciuta solidarietà comprendono la sollecitudine per l'attuale stesura della nuova costituzione.

Confido che tutti coloro ai quali è stato affidato questo compito daranno il loro esperto contributo e saranno vivamente consapevoli della dignità dell'uomo e delle sue più profonde aspirazioni. Conscio della sensibilità del popolo filippino verso tutto ciò che riguarda la vita religiosa e della vostra attenzione in questo particolare settore, sono certo che la nuova Magna Charta riconferma in maniera adeguata il diritto di tutti i cittadini alla libertà religiosa e garantirà la libertà della Chiesa a svolgere la sua missione, anche nell'ambito dell'insegnamento e dell'assistenza. Al termine di questa lettera, desidero ripetervi che sto seguendo con costante attenzione e profondo affetto il vostro difficile ministero. Accompagno i lavori della vostra Assemblea plenaria con la mia preghiera e imparto la mia speciale benedizione apostolica, che vorrei estendere a tutte le comunità diocesane. Cordialmente vi affido alla materna protezione di Maria, Madre della Chiesa. Dal Vaticano, 28 giugno 1986.

Data: 1986-06-28 Sabato 28 Giugno 1986




Omelia per i Santi Pietro e Paolo - Città del Vaticano (Roma)

Testimoni per la Chiesa che Dio ci ha liberato da ogni timore



1. Da ogni timore il Signore mi ha liberato (cfr Ps 33,5). Nella solennità liturgica dei santi apostoli Pietro e Paolo, la Chiesa canta il Salmo 33. E' un fervido invito all'adorazione di Dio, alla proclamazione gioiosa della sua gloria tra gli uomini. "Benediro il Signore in ogni tempo, / sulla mia bocca sempre la sua lode. / Io mi glorio del Signore, / ascoltino gli umili e si rallegrino". E' come se entrambi i santi apostoli volessero, con queste stesse parole, tramandare alla Chiesa che è in Roma e in tutto il mondo il loro ultimo messaggio. Il messaggio collegato col giorno della loro morte di martiri, che proprio l'odierna festività ricorda e rinnova, ogni anno, nella memoria della Chiesa e del mondo. Al centro stesso di questo messaggio si trovano le parole che rendono testimonianza alla potenza del Signore, dello Spirito del Signore, il quale supera ogni debolezza umana. "Ho cercato il Signore e mi ha risposto, / e da ogni timore mi ha liberato".


2. Si. Il Signore mi ha liberato da ogni timore. Nel contesto delle letture della presente liturgia queste parole ci inducono a pensare soprattutto a quel timore mortale, che visse Pietro, e insieme con lui l'intera Chiesa a Gerusalemme, quando l'apostolo fu messo in prigione da Erode Agrippa I "con il proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo Pasqua" (Ac 12,4). Questo fu senza dubbio uno dei momenti critici all'inizio stesso della vita della Chiesa apostolica. Tanto più che, già prima, Erode "aveva fatto uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni" (Ac 12,2). Momento di grande prova per Pietro e per la piccola comunità cristiana a Gerusalemme! Non era pertanto strano che, mentre Pietro era tenuto in prigione e la custodia era stata particolarmente rafforzata, una preghiera salisse incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui (cfr. Ac 12,4-5). E la preghiera della Chiesa venne esaudita. Pietro condotto miracolosamente fuori della prigione, dove era custodito da quattro picchetti di soldati, in un certo senso fece sue le parole del salmista: "Da ogni timore il Signore mi ha liberato".


3. Giudicando in base allo svolgersi degli avvenimenti registrato nel Vangelo, Simon Pietro non fu un uomo pusillanime, anzi dimostro una certa veemenza, come quando estrasse la spada per difendere il suo Maestro nel Getsemani. Tuttavia ebbe anche momenti di abbattimento, come ne sono testimonianza la notte nel Getsemani e l'arresto di Gesù, quando Pietro lo rinnego. Non fu presente durante la "via crucis" né sul Calvario. Senza dubbio gli avvenimenti del Venerdi santo provocarono avvilimento e paura nel cuore degli apostoli e di Pietro. Paura di ciò che già aveva avuto luogo e di ciò che sarebbe potuto avvenire in seguito. E' difficile descrivere lo stato d'animo in cui hanno vissuto gli apostoli e Pietro dopo la crocifissione di Cristo. E' certo che il giorno della risurrezione ha portato un cambiamento radicale: il Signore li ha veramente liberati da ogni timore, rivelandosi ad essi già la sera stessa nel cenacolo.

La paura, che a motivo delle terribili prove dei giorni passati si innesto nel cuore di Pietro, non era riuscita tuttavia a distruggere in lui l'amore verso Cristo. Il Signore lo aveva liberato da ogni timore, mediante l'amore. Sappiamo tuttavia che Pietro non era più così sicuro, come prima, del suo amore per il Redentore. Alla domanda: "Mi ami?", rispose richiamandosi a ciò che Cristo stesso sapeva sul suo cuore (cfr Jn 21,17). Eppure Cristo conosceva anche i suoi abbattimenti, il suo triplice rinnegamento.


4. Continuando a seguire il corso degli avvenimenti scritti nel seguito degli Atti degli apostoli, possiamo constatare che la liberazione definitiva dal timore è avvenuta il giorno della Pentecoste. Lo si rileva dal comportamento di tutti gli apostoli, ascoltando le parole di Pietro rivolte in quel luogo agli abitanti di Gerusalemme: "Da ogni timore il Signore mi ha liberato". Esiste un nesso organico tra tale giorno e quello della morte di martirio che ebbe luogo qui a Roma. Durante tale periodo Pietro appare come uomo liberato da ogni timore per la potenza di Dio: per la potenza dello Spirito Santo.

Questa potenza di Dio ha plasmato la missione apostolica di Pietro annunziata tempo prima e a lui conferita da Cristo con le parole: "Tu sei Pietro e su questa pietra edifichero la mia Chiesa" (Mt 16,18). Questa potenza divina ha trasformato quell'uomo. Gli ha consentito di superare debolezze e paure. Il Signore l'ha liberato da ogni timore e lo ha confermato in quella particolare diaconia di carità che è il pascere il suo gregge. Il mio pensiero si rivolge con particolare sentimento ai cari fratelli nell'episcopato che riceveranno - come è ormai consuetudine - il pallio in questa solennità. Tale insegna liturgica, oltre che espressione della giurisdizione, indica anche un vincolo speciale col successore di Pietro e vi invita a un maggior impegno nell'amore a Cristo e al prossimo. Carissimi fratelli, vi saluto cordialmente e vi incoraggio nel vostro ministero di condurre l'uomo a Cristo, custodendo, in voi e nelle persone a voi affidate, quella santità di vita, che viene dalla sua grazia, e comunicando a tutti la sua verità e il suo amore. Un saluto speciale porgo al nuovo patriarca di Antiochia dei Maroniti, sua beatitudine Nasrallah Pierre Sfeir, giunto a Roma con una delegazione di arcivescovi e vescovi, quasi ripercorrendo le orme di Pietro e portando nel cuore le sofferenze e le speranze di tutto il Libano. In questa celebrazione sono lieto inoltre di salutare con affetto la delegazione inviata dal patriarca di Costantinopoli Dimitrios I e presieduta da sua eminenza il metropolita Crisostomos di Mira. La tradizionale visita dei rappresentanti del Patriarcato ecumenico per la solennità dei santi Pietro e Paolo è significativo momento del cammino verso il ristabilimento della pienezza della comunione fra Chiese sorelle.


5. Volgiamo ora la nostra attenzione alla figura dell'apostolo Paolo, il quale, come Pietro, fu trasformato dalla potenza divina, ma in un altro modo. Senza dubbio Saulo di Tarso è stato una personalità umana diversa da quella del pescatore di Galilea: egli prima fu un nemico accanito del "nome di Cristo", e poi divenne il suo apostolo più fervoroso. n modo diverso sperimento su se stesso la potenza del Signore. In modo diverso - completamente diverso - partecipo alla stessa esperienza pasquale, che prima avevano vissuto Pietro e gli apostoli. i potrebbe dire che la Pasqua venne a Saulo insieme alla Pentecoste e lo trasformo immediatamente in Paolo. E allora provo uno spavento più grande, ma questo fu uno spavento "liberante". Forse conosciamo meno quei tratti della personalità di Paolo, che ci permetterebbero di determinare la sua maturazione dal timore al coraggio, come nel caso di Pietro. Nondimeno anche lui dà una testimonianza simile a quella di Pietro: "Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza... così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà..." (2Tm 4,17-18). La sorgente della forza spirituale dell'apostolo dei Gentili, la sorgente del suo grande vigore è il Signore: è Cristo crocifisso e risorto, che opera mediante lo Spirito di verità. In molti luoghi e circostanze Paolo di Tarso ne dà una trasparente testimonianza.


6. L'odierna solennità rinnova nella memoria della Chiesa la storia spirituale di entrambi gli apostoli: di Pietro e di Paolo. Rende presente la testimonianza, che hanno dato a Cristo fino alla morte per martirio qui a Roma, al tempo di Nerone.

Nella loro morte si sono realizzate fino in fondo le parole del salmista: "Ho cercato il Signore e mi ha risposto, e da ogni timore mi ha liberato".

Il salmista sottolinea, al tempo stesso, che questa liberazione salvifica, che è insieme una splendida vittoria sulla debolezza umana, viene partecipata ai "poveri", a "coloro che temono Dio", ai "poveri in spirito" che pongono la loro fiducia in Dio, e da lui cercano la forza per la vittoria. In questa vittoria, in cui l'uomo dà testimonianza alla potenza di Dio, contemporaneamente Dio stesso, lo stesso Spirito Santo dà testimonianza all'uomo.

L'uomo diventa un vivo segno della vittoriosa potenza ai Dio. In questo modo il messaggio dei santi apostoli Pietro e Paolo parla alla Chiesa anche ai nostri giorni. Infatti la Chiesa, le singole persone, le comunità, sia i laici che i pastori, sono costantemente soggette alla prova: a diverse prove. In vari modi si cerca di "intimorire" la Chiesa e i suoi seguaci. Si può parlare di "una geografia dell'intimidazione" della Chiesa e degli uomini credenti anche nel nostro tempo. Si può anche parlare di diversi meccanismi di intimidazione, che parzialmente rassomigliano a quelli di allora e in parte sono diversi, più perfezionati, più raffinati. La testimonianza dei santi apostoli Pietro e Paolo in un certo senso ripete a tutti e ovunque, con la stessa semplicità e umiltà, ma anche con la stessa fermezza come ai giorni di Nerone: "Ho cercato il Signore e mi ha risposto, / e da ogni timore mi ha liberato" (Ps 33,5).

Data: 1986-06-29 Domenica 29 Giugno 1986




Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

O Roma, nel tuo nome si è consolidata la verità dell'amore



1. "O Roma felix". La liturgia odierna proclama il martirio degli apostoli Pietro e Paolo. E mediante la memoria di questa morte, celebra oggi la loro vita. La morte infatti non è soltanto il termine della vita, ma è anche il suo compimento nei limiti del tempo, nei limiti della storia. E' come l'ultimo sigillo impresso su tutta l'esistenza terrena dell'uomo. così dunque la morte degli apostoli Pietro e Paolo proclama in pari tempo la storia della loro vita. Questa vita - la vita di ognuno di loro - è stata tanto straordinaria per il rapporto con Cristo, che li chiamo alla sua sequela.

Chiamo Simone, figlio di Giona, che fu pescatore in Galilea, e gli diede il nome di Pietro, cioè "pietra". Chiamo pure Saulo di Tarso, che fu persecutore dei cristiani, e fece di lui l'apostolo delle genti, "strumento eletto" (Ac 9,15).

La vita di tutti e due è così straordinaria per la potenza dello Spirito Santo, che ha permesso loro di dare testimonianza a Cristo crocifisso e risorto: "Egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza" (Jn 15,26-27). La morte che l'uno e l'altro hanno subito a Roma ai tempi di Nerone fu l'ultima parola di questa testimonianza. Decise della sua definitiva pienezza.

Proprio per questa morte come martiri la loro vita permane in modo particolare nella memoria della Chiesa. Essa permane soprattutto in Dio che "non è il Dio dei morti ma dei viventi" (Mt 22,32); in Dio in cui "tutto vive".


2. "O Roma felix". Se la liturgia odierna parla in questo modo di Roma, lo fa proprio a motivo della morte degli apostoli. Sei felice, Roma, perché hai preparato la morte che consolida la testimonianza della vita. Ecco, sei diventata una nuova platea "delle grandi cose di Dio" ("magnalia Dei"). Da te, capitale dei Cesari, si è recato Simon Pietro, povero pescatore della Galilea, guidato dalla mano invisibile del Signore della storia. A te è venuto, in seguito, anche Paolo, infaticabile apostolo di questo Cristo, che è lo Sposo della Chiesa. Un poeta (Norwid) ha notato che la parola "Roma" letta in senso inverso forma la parola "Amor". O Roma, antica capitale del mondo. Ti sei dimostrata crudele verso molte generazioni di cristiani. Hai fatto morire martiri i primi apostoli di Cristo. E, tuttavia, nel tuo nome si è consolidata la verità sull'amore, che è più grande di tutte le crudeltà, torture e persecuzioni, più grande della morte. perciò la liturgia parla di te "O Roma felix". E noi oggi ci rallegriamo della tua elezione da parte del Signore della storia e dello Sposo della Chiesa. Inoltre tutti noi, radunati presso la tomba dei santi apostoli di Cristo, Pietro e Paolo, preghiamo "perché non venga meno la tua fede" (Lc 22,28).

Convertiti! Convertiti sempre! E una volta convertita, conferma i tuoi fratelli. Invito a pregare per il prossimo viaggio in Colombia Carissimi fratelli e sorelle, affido alle vostre preghiere il viaggio pastorale in Colombia, che iniziero martedi prossimo. Esso mi porterà tra le care comunità cristiane di quella nobile Nazione e, sulla via del ritorno, tra i fedeli dell'isola di Santa Lucia. La visita, che s'inserisce nel contesto generale della preparazione del quinto centenario della prima evangelizzazione del Continente latinoamericano, ha, come i precedenti viaggi, finalità eminentemente religiose. Vuol essere adempimento del compito proprio del successore di Pietro di confermare i fratelli nell'adesione a Cristo. Intendo quindi pregare con quei fedeli, esprimere i miei sentimenti di stima per le loro tradizioni culturali e religiose, e i miei voti per una vitalità ecclesiale sempre più coerente e impegnata. Voglia il Signore, auspice la Vergine santissima, tanto venerata dai Colombiani nel Santuario di Nostra Signora di Chiquinquira, assistermi in questo viaggio e renderlo fecondo di frutti spirituali. So che sono presenti in questa piazza alcuni giornalisti colombiani. Li saluto tutti con affetto e saro loro grato se vorranno farsi eco presso i loro concittadini della profonda gioia con cui mi preparo agli incontri che avro in Colombia. Sono presenti anche alcuni Lettoni, che sono venuti a Roma nei giorni scorsi per la celebrazione degli 800 anni del cristianesimo nella loro nazione.

Rinnovo ad essi il mio saluto e il mio augurio.

Data: 1986-06-29 Domenica 29 Giugno 1986




Ai padri Lazzaristi - Città del Vaticano (Roma)

San Vincenzo de Paoli, genio della carità


Caro padre responsabile generale della Congregazione della Missione, cari padri Lazzaristi.


1. Che il Signore sia benedetto! E' lui che ci ha fatto la grazia di questo incontro, per un miglior servizio della Chiesa. Rivolgiamo anche i nostri spiriti e i nostri cuori verso san Vincenzo de Paoli, uomo di azione e di preghiera, di organizzazione e di immaginazione, di comando e di umiltà, uomo di altri tempi e di oggi. Questo contadino delle Lande, divento per grazia di Dio un genio della carità, ci aiuti tutti a rimettere le mani all'aratro senza più guardare indietro, per la sola aratura che ci compete: l'annuncio della buona novella ai poveri! Questa preghiera non mi fa dimenticare di ringraziare il Padre Richard McCullen per il buon lavoro del suo generalato e di offrire i miei auguri oranti al Padre che è appena stato eletto responsabile generale, perché compia al meglio la missione che la divina Provvidenza gli riserva in questo periodo esigente per le società di vita apostolica. E a tutti voi che siete stati delegati dalle vostre quarantotto province, esprimo un voto ardente: fate l'impossibile per comunicare ai quattromila membri della Congregazione il soffio rinnovatore di questa XXXVII assemblea capitolare!


2. Prendendo conoscenza della sintesi delle risposte al questionario destinato a preparare questo incontro romano, ho notato la fortissima percentuale di partecipazione delle province. Ciò che mi ha ugualmente colpito è la volontà unanime di avanzare insieme in tre direzioni principali l'impegno più deciso al servizio degli ultimi, il rilancio della vita comunitaria e la necessità di rivedere la formazione per la missione. Senza interferire nello svolgimento dei vostri lavori, mi spetta incoraggiarvi nel nome di Cristo e della Chiesa. A proposito del primo obiettivo, siete completamente nello spirito del vostro fondatore che scriveva: "Siamo i preti dei poveri. Dio ci ha scelti per loro. E' li il nostro capitale, tutto il resto è accessorio". Cito ancora questa frase di effetto, proprio nel suo stile: "Bisogna andare al povero, come si va al fuoco".

La vostra volontà di ricentrare sul servizio prioritario dei poveri è anche in consonanza con la costituzione "Gaudium et Spes". Dalle prime righe leggiamo che la Chiesa vuole essere presente al centro degli uomini che penano e che soffrono. E' insomma la spiritualità che Vincenzo non ha cessato di approfondire e di comunicare ai suoi discepoli: l'adorazione e l'imitazione del Verbo Incarnato, "il missionario del Padre, mandato ai poveri". Dal XVII secolo le forme di povertà sono cambiate. Ma potremmo dire che non sono regredite. L'avvento della scienza, delle sue applicazioni, lo sviluppo industriale, la crescita spesso incoerente del mondo urbano hanno generato nuovi poveri, che soffrono come e senza dubbio più delle popolazioni rurali e cittadine dei secoli passati. Senza monopolizzare la carità e l'azione sociale, Vincenzo smoveva cielo e terra per andare in soccorso dei poveri d'oggi e per evangelizzarli. Cari padri e fratelli della Missione cercate più che mai, con audacia e competenza, le cause della povertà e incoraggiate soluzioni a breve e a lungo termine, soluzioni concrete, mobili, facili. così facendo coopererete alla credibilità del Vangelo e della Chiesa. Ma senza più aspettare vivete vicino i poveri e fate in modo che non siamo mai privati della buona novella di Gesù Cristo.


3. La volontà, di rilanciare la vita comunitaria sorta da tutti gli orizzonti della Congregazione ha fermato la mia attenzione. Voi sapete come san Vincenzo scriveva e parlava con veemenza evangelica a proposito dello sgretolamento e dell'egoismo di alcune comunità. Soprattutto cercava di ardere il cuore dei suoi confratelli della Missione supplicandoli di andare alla fonte stessa della vita comunitaria, per sapere le profondità del mistero della Trinità. Che direbbe oggi che le nuove comunità che sorgono ovunque sono il segno di bisogno comunitario caloroso in una società spesso anonima e fredda? Le vostre Costituzioni (capitolo II) spiegano perfettamente lo spirito e le vie della vita comune tanto insegnata dal vostro Padre. Spetta ad ogni comunità stabilire bene il suo progetto. Ed è compito di ogni membro farlo riuscire. Vi incoraggio vivamente a riservare un tempo forte ogni settimana o ogni quindici giorni per approfondire il mistero della preghiera, per assimilare gli scritti così vivi del vostro fondatore, per giudicare serenamente le vostre attività apostoliche, per revisionare precisamente il cammino della vostra vita fraterna. E se parlate di corresponsabilità comunitaria, che sia bene intesa! I membri di una comunità non possono ridurre il responsabile a sottoscrivere tutte le loro proposte. Devono aiutarlo a mantenere la rotta sulle esigenze vincenziane, con pazienza. Che i vostri ospiti, che gli abitanti vicini alle vostre residenze, siano testimoni, oso aggiungere sconvolti, della vostra povertà e della vostra gioia, della vostra comprensione dei problemi di questo tempo e del vostro ardore apostolico! Gli scambi tra comunità e tra province, forse meglio organizzati, vivifichino tutta la Congregazione della Missione!


4. Infine vi porto i miei migliori incoraggiamenti per un'accentuazione e un rinnovamento della formazione per la Missione. Senza alcun dubbio se san Vincenzo vivesse oggi, manterrebbe contro venti e maree l'intimità con Dio, il senso di Dio. Darebbe una grande eco ai testi conciliari invitando i preti a radicare l'unità della loro vita e della loro azione nella carità pastorale di Cristo, l'unico pastore. E sul piano preciso della formazione avrebbe saputo emanare il Decreto sulla formazione dei preti. Non insisterei su un'evidenza a saper le mutazioni attuali e future della società. Pensiamo solamente alle Missioni popolari di cui san Vincenzo, come san Giovanni Eudes, furono dei promotori notevoli. Che linguaggio e che metodi impiegherebbero oggi? I tentativi intrapresi nel corso degli ultimi vent'anni, in Occidente, si sono urtati spesso con dei cambiamenti socio-culturali considerevoli. Ecco perché sostengo senza riserva i progetti che studiate per dare ai futuri sacerdoti e ai futuri fratelli della Congregazione della Missione una formazione spirituale, dottrinale e pastorale profonda, solida e adeguata ai bisogni del nostro tempo. La vostra preoccupazione di formare coloro che formeranno è anch'essa fondamentale. Spetta a voi vedere se l'inserimento episodico dei vostri giovani candidati al sacerdozio in una buona équipe sacerdotale e pastorale non contribuirebbe a maturarli e a fortificarli. Infine tocca a voi decidere la messa in opera di centri regionali o di un centro internazionale di studi vincenziani, questo progetto può evidentemente contribuire al rinnovo nell'unità. D'altronde il motto dato a questa XXXVII assemblea non riveste tutta la vostra fatica presente e i vostri sforzi a venire: "Unum corpus et unus spiritus in Christo"? Cari figli di san Vincenzo, la Chiesa di questo tempo conta molto su di voi! Non sarà delusa! E' con questa speranza che invoco sulla Congregazione della Missione, sui responsabili e su tutti i suoi membri le più abbondanti benedizioni divine e la protezione materna di Maria Immacolata, Nostra Signora della Medaglia miracolosa.

Data: 1986-06-30 Lunedi 30 Giugno 1986




A giovani studiosi di Astronomia - Città del Vaticano (Roma)

La pace è essenziale per il progresso della scienza


Cari Amici.


1. Sono lieto di salutare i partecipanti alla scuola estiva della Specola Vaticana di Astronomia e Astrofisica che si incontrano a Castel Gandolfo. Venite da Paesi e terre molto diverse. Venite come studenti, come allievi e futuri studiosi. Avete accolto l'invito della Specola Vaticana per studiare alcuni aspetti della moderna astrofisica e cosmologia. Questa è la prima volta, tra le iniziative della Specola Vaticana, che la Santa Sede ha invitato giovani studenti a una scuola, alla quale seguirà un corso di lezioni su alcuni dei più importanti argomenti della moderna astrofisica in una eminente facoltà. Sono felice di sostenere questa scuola e di seguire le orme del mio predecessore Leone XIII, il fondatore della Specola Vaticana, il quale desiderava che tutti sapessero che lontana dall'essere in opposizione all'autentica ricerca scientifica, la Chiesa desidera sostenerla con ogni mezzo disponibile.


2. Le radici storiche di questi lavori della Chiesa possono essere tracciate fino alla scuola episcopale che risale all'inizio dell'èra post-romana in Europa. In quelle scuole strettamente legate ai luoghi di lavoro dei primi cristiani, giovani studiosi come voi, trovavano il tempo, la sicurezza e l'aspirazione necessarie per riuscire nello studio. Per mezzo della loro dedizione alle arti liberali che includevano l'astronomia, essi pervenivano ad amare e rispettare le cose della mente e dello spirito, nelle loro ricerche intellettuali diedero l'avvio alle prime grandi università come Parigi, Bologna, Oxford, Padova e Salamanca.


3. In questo corso di osservazione astronomica e astrofisica, vi viene data un'introduzione alla ricerca scientifica nelle meraviglie dell'universo di Dio, e fate ciò in un Osservatorio che ha una ricca storia nella ricerca e nell'osservazione che si estende dal lavoro dei padri Clavius, Secchi, Denza, Lai e Hagen fino ai giorni nostri. E' giusto che la Specola Vaticana che ha una così lunga tradizione di ricerca vi offra questa opportunità. Spero che alcuni di voi siano in una posizione tale da sviluppare la chiamata ad essere ricercatori scientifici e che un giorno possiate raggiungere i livelli di quanti cercano di esaminare, controllare, classificare e spiegare agli altri le interazioni tra la materia e l'energia su vaste distanze e negli anni. Siete veramente fortunati e so che siete grati, come lo sono io, a coloro che vi forniscono queste meravigliose opportunità. Dovremmo ringraziare particolarmente padre McCarthy, preside della scuola e gli ospiti della facoltà che hanno volontariamente prestato i loro servizi per questa degna impresa. Vi chiedo solo di condividere le buone cose che ricevete. Ogni giorno della vostra scuola cercate di trovare il tempo per riflettere sul fatto che la pace è essenziale al vero progresso della scienza. Siate uomini e donne di pace e lasciate che la pace delle vostre menti e dei vostri cuori diventi la pace riflessa nelle vostre vite e nel lavoro quotidiano. Spero che ciò sia tra le lezioni che porterete via da questa scuola. "Deum Creatorem venite adoremus". Venite adoriamo Dio Creatore. Vi benedico tutti.

Data: 1986-06-30 Lunedi 30 Giugno 1986




Messaggio prima del Pellegrinaggio - Città del Vaticano (Roma)

In Colombia per ravvivare la nuova evangelizzazione


Signori cardinali, cari confratelli nell'episcopato, amatissimi fratelli e sorelle della Colombia. In prossimità del giorno tanto desiderato, nel quale avro la gioia di dare inizio alla mia visita pastorale alla vostra nobile Nazione, desidero inviare a tutti voi da Roma, centro della cattolicità, il mio affettuoso saluto; "Grazia a voi e pace da parte di Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (Ga 1,3).

Il quarto centenario della commemorazione della venerata immagine della Vergine dal Rosario di Chiquinquira rappresenta l'occasione propizia perché il Papa prenda nuovamente il pastorale di pellegrino dell'evangelizzazione per andare incontro ai figli e alle figlie di un Paese dalle profonde radici cristiane e di una Patria dagli elevati valori storici, morali e culturali che fanno onore a tutto il continente latinoamericano Ringrazio cordialmente fin d'ora le autorità e l'episcopato della Colombia per il gradito invito che mi fecero a suo tempo. Con la grazia di Dio, spero di poter arrivare nel vostro amato Paese il 1° luglio prossimo per condividere con voi delle giornate in cui, obbedendo alla volontà del Signore, il successore di Pietro confermi i suoi fratelli nella fede (cfr Lc 22,32), renda più viva la vostra carità e dia impulso alla "nuova evangelizzazione", diffondendo parole di pace e di speranza che orientino il cammino degli uomini verso i "nuovi cieli" e una "terra nuova" (cfr 2P 3,13). Durante i giorni in cui saro tra voi, avro occasione di visitare una parte importante della estesa geografia colombiana. Andro al santuario nazionale della Vergine di Chiquinquira e visitero Bogota, Tumaco, Popayan, Cali, Chinchina, Medellin, Armero, Bucaramanga, Cartagena e Barranquilla. Mi dispiace molto non poter andare di persona in altre città e luoghi in cui, come dimostrazione di devozione filiale al pastore della Chiesa universale, hanno richiesto la mia presenza; desidero, naturalmente, esprimere la mia riconoscenza alle autorità ecclesiastiche e civili e agli amati fedeli per i loro inviti. Effettuero questa visita apostolica tenendo nel cuore tutti i colombiani. Il mio viaggio sarà un pellegrinaggio mariano al santuario della Vergine patrona della Colombia, e un pellegrinaggio evangelizzatore al santuario di ciascun uomo, al santuario di tutto il popolo di Dio. E' mio desiderio incontrarmi e dialogare con i rappresentanti dei diversi settori della società e con genti di tutte le regioni, dalla Guajira all'Amazzonia, dalle coste del Pacifico alle pianure orientali. Sono compiaciuto nel vedere l'ansia generosa e l'entusiasmo ardente con cui, sotto la guida dei vostri pastori, vi state preparando affinché questo incontro con il Papa produca abbondanti frutti spirituali e vi infonda fortezza cristiana per superare le prove del momento presente. Desidero esprimere a tutti, autorità e cittadini, clero e fedeli in generale, il mio sincero ringraziamento per la generosa collaborazione che stanno prestando e per le fervide preghiere, affinché le giornate ormai vicine della mia visita risultino intense celebrazioni di fede che diano vita a una più profonda comunione ecclesiale e che rafforzino i vincoli di fraternità e la volontà di pacifica convivenza tra tutti gli amati figli colombiani, senza distinzione di origine o condizione sociale. In questo anno mariano nazionale, raccomando a Nostra Signora di Chiquinquira il mio pellegrinaggio apostolico sui sentieri della Colombia e, mentre elevo la mia preghiera all'Altissimo perché infonda un vivo desiderio di riconciliazione, di amore fraterno e di pace autentica nel cuore di tutti, vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Data: 1986-06-29 Domenica 29 Giugno 1986




All'aeroporto "El Dorado" - Bogota (Colombia)

Vengo per condividere la vostra fede, gli affanni e speranze


Signor presidente, amati confratelli nell'episcopato, autorità, cari fratelli e sorelle.


GPII 1986 Insegnamenti - Lettera ai vescovi filippini - Città del Vaticano (Roma)