GPII 1986 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Castel Gandolfo (Roma)

Recita dell'Angelus - Castel Gandolfo (Roma)

Nel cuore di Gesù la vittoria sul male



1. "Cuore di Gesù, propiziazione per i nostri peccati". Il cuore di Gesù è sorgente di vita, perché per esso si attua la vittoria sulla morte. E' sorgente di santità, perché in esso viene vinto il peccato che è avversario della santità nel cuore dell'uomo. Gesù, che la domenica di risurrezione entra attraverso la porta chiusa, nel cenacolo, dice agli apostoli: "Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi" (Jn 20,23). E ciò dicendo, mostra loro le mani e il costato, in cui sono visibili i segni della crocifissione. Mostra il costato - luogo del cuore trafitto dalla lancia del centurione.


2. così dunque gli apostoli sono stati chiamati a ritornare al cuore, che è propiziazione per i peccati del mondo. E con loro anche noi siamo chiamati.

La potenza della remissione dei peccati, la potenza della vittoria sul male che alberga nel cuore dell'uomo, si racchiude nella passione e nella morte di Cristo redentore. Un segno particolare di questa potenza redentrice è proprio il cuore. La passione di Cristo e la sua morte si sono impossessate di tutto il suo corpo. Si sono compiute mediante tutte le ferite, che egli ha riportato durante la passione. Tuttavia si sono compiute soprattutto nel cuore, poiché il cuore agonizzava nello spegnersi dell'intero corpo. Il cuore si consumava nel ritmo della sofferenza di tutte le ferite.


3. In questa spogliazione il cuore ardeva d'amore. Una fiamma viva di amore ha consumato il cuore di Gesù sulla croce. Questo amore del cuore fu la potenza propiziatrice per i peccati. Esso ha superato - e supera per sempre - tutto il male contenuto nel peccato, tutto l'allontanamento da Dio, tutta la ribellione della libera volontà umana, ogni cattivo uso della libertà creata, che si oppone a Dio e alla sua santità. L'amore che ha consumato il cuore di Gesù - l'amore che ha causato la morte del suo cuore - era ed è una potenza invincibile. Mediante l'amore del cuore divino, la morte ha riportato la vittoria sul peccato. E' divenuta sorgente di vita e di santità.


4. Cristo stesso conosce fino in fondo questo mistero redentore del suo cuore. Ne è il testimone immediato. Quando dice agli apostoli: "Ricevete lo Spirito Santo per la remissione dei peccati", rende testimonianza a quel cuore che è propiziazione per i peccati del mondo. Maria, che sei rifugio dei peccatori, avvicinaci al cuore del tuo Figlio!

Data: 1986-08-17 Domenica 17 Agosto 1986









Recita dell'Angelus - Castel Gandolfo (Roma)

Il cuore di Cristo primogenito di ogni creatura



1. "Cuore di Gesù, ricoperto di obbrobri". Le parole delle litanie del Sacro Cuore ci aiutano a rileggere il Vangelo della Passione di Cristo. Ripassiamo con gli occhi dell'anima attraverso quei momenti e avvenimenti: dalla cattura nel Getsemani al giudizio di Anna e di Caifa, all'incarcerazione notturna, alla sentenza mattutina del sinedrio, al tribunale del governatore romano, al tribunale di Erode galileo, alla flagellazione, all'incoronazione di spine, alla sentenza di crocifissione, alla "via crucis" fino al luogo del Golgota, e, attraverso l'agonia sull'albero dell'ignominia, fino all'ultimo "Tutto è compiuto". Cuore di Gesù, ricoperto di obbrobri.


2. Cuore di Gesù - il cuore umano del Figlio di Dio -: quanto consapevole della dignità di ogni uomo, quanto consapevole della dignità di Dio-Uomo. Cuore del Figlio, che è Primogenito di ogni creatura: quanto consapevole della peculiare dignità dell'anima e del corpo dell'uomo, quanto sensibile per tutto ciò che offende questa dignità: "ricoperto di obbrobri".


3. Ecco le parole di Isaia profeta: "Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio... egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono... non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino della fiamma smorta..." (Is 42,1-3). "Come molti si stupiranno di lui: tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo" (Is 52,14).

"...Uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevano alcuna stima..." (Is 53,3).


4. Cuore di Gesù, ricoperto di obbrobri! Cuore di Gesù ricoperto di obbrobri! Segno di contraddizione... "E anche a te una spada trafiggerà l'anima (Lc 2,34-35).

Data: 1986-08-24 Domenica 24 Agosto 1986




Omelia alla Messa con polacchi - Castel Gandolfo (Roma)

Affido alla Regina di Polonia i problemi attuali della Chiesa



1. Oggi siamo radunati qui a Castel Gandolfo per unirci con tutti pellegrini a Jasna Gora. E' la festa della Madre, Signora di Jasna Gora, e in un certo senso il suo onomastico. Nel giorno dell'onomastico della Madre tutti i suoi figli desiderano stare vicino a lei. Almeno con la memoria e con il cuore. così noi, anche se riuniti qui, ci troviamo a Jasna Gora.


2. Del resto, Castel Gandolfo ha in sé qualcosa di Jasna Gora. Nella cappella centrale c'è il quadro donato a Pio XI dai vescovi polacchi dopo la prima guerra mondiale, nel 1920. E' noto che Pio XI era stato in Polonia in qualità di primo nunzio apostolico dopo la riconquista dell'indipendenza. Non solo Pio XI, ma anche tutti i suoi successori - compreso l'ultimo - hanno celebrato le sante Messe e hanno pregato davanti a questa immagine. così, anche venendo qui, a Castel Gandolfo, si può essere pellegrini a Jasna Gora,


3. Oggi si compiono 30 anni dal significativo avvenimento che ebbe luogo a Jasna Gora, in Polonia nel 1956. Vorrei ricordare che in quell'anno furono rinnovati i Voti del popolo, pronunciati dal re Giovanni Casimiro nel 1656 e quindi 300 anni fa, nella cattedrale di Leopoli. Sappiamo che il carattere di questi Voti fu non solo profondamente religioso ma anche patriottico e sociale. L'episcopato polacco si riferiva a questi Voti negli anni della grande Novena durante i quali la Chiesa polacca fece i preparativi per il millenario del Battesimo. Tutto ciò avveniva sotto la guida del card. Stefan Wyszynski il quale - come ben ricordiamo - il 26 agosto 1956 non era presente a Jasna Gora. Ma poco dopo, alla fine dell'ottobre dello stesso anno 1956, ritorno alla Sede primaziale.


4. Come ho già detto, i Voti di Giovanni Casimiro oltre al contenuto religioso possiedono anche quello patriottico e sociale, costituiscono documento a cui bisogna fare un continuo riferimento. Rinnovati nello stesso spirito dopo 300 anni, cioè nel 1956, essi vengono rinnovati continuamente, anno dopo anno.

Su questo sfondo vorrei ricordare anche i significativi avvenimenti dell'agosto 1980, poiché in essi si manifesta lo stesso profondo legame tra la Chiesa e la vita della Nazione. Ricordiamo che in quei giorni dell'agosto 1980 furono stilati i memorabili accordi a Danzica, a Stettino e infine a Jastrzab in Slesia. In questi accordi si è manifestato lo spirito della Nazione, Nazione millenaria che cerca di risolvere i problemi sociali e morali attraverso il dialogo con i rappresentanti del potere. Tale dialogo dimostra il rispetto della società da parte delle autorità ed è una conferma del riconoscimento della sua autentica soggettività. perciò i vescovi polacchi parlano sistematicamente di tutti i problemi sociali e morali legati alla questione del rispetto dei diritti del popolo e al bisogno di assicurare la soggettività alla società polacca. Per esempio, nel Comunicato del 1-2 maggio scorso leggiamo: "I Pastori della Chiesa hanno dedicato molta attenzione ad alcuni problemi sociali e morali del nostro paese. E' stato sottolineato che senza il pieno rispetto dei diritti della persona umana, dei gruppi sociali e professionali, non si possono risolvere i problemi economici che esistono nella nostra Patria. E' stato indicato, quale l'unica via che porta al risanamento di questa situazione, l'autentico e sincero dialogo sociale".


5. così si ripropone il bisogno dell'attuazione degli accordi siglati nel 1980.

Nello stesso Comunicato i vescovi parlano poi dei diritti e dei doveri dei credenti: "I laici cattolici hanno il diritto e dovere di costruire l'ordine temporale nello spirito evangelico, indipendentemente dalle difficoltà esterne.

Hanno il dovere di testimoniare la fede nella vita pubblica, nell'ambiente di lavoro e nell'attività professionale. Devono reagire con coraggio di fronte alle dimostrazioni del male morale. Guidati nelle loro azioni, dalla coscienza cristiana, devono essere consapevoli della propria dignità e dei propri diritti nella comunità politica; devono manifestare la saggia sollecitudine per il giusto sviluppo della vita sociale" (Comunicato della Conferenza Plenaria dell'Episcopato, 2 maggio 1986).


6. L'Episcopato polacco è ritornato agli stessi problemi durante la conferenza del 28 giugno svoltasi a Gniezno. Ecco un brano del comunicato: "Numerosi gruppi sociali e professionali aspettano che le autorità pubbliche creino e aumentino le possibilità dell'attività legale al di fuori dell'appartenenza ad un partito politico. E' necessario applicare tali soluzioni sociali e legali che non portano alle discriminazioni politiche e che permettono di risolvere definitivamente il problema dei prigionieri politici. Grazie a tali soluzioni si potranno evitare i disordini, i conflitti e le tensioni sociali, e tutti i cittadini sentiranno la parità dei loro diritti nella propria Patria" (Comunicato della Conferenza Plenaria dell'Episcopato, 27 e 28 giugno 1986).


7. Alla fine è stato affrontato il problema dei prigionieri politici, strettamente legato al problema dell'amnistia. Desidero tuttavia sottolineare che la Chiesa ha il dovere di fornire lo aiuto ai prigionieri politici. Penso soprattutto al Comitato primaziale di carità e assistenza, il quale mantiene i contatti con le singole diocesi. Questa assistenza ai prigionieri, soprattutto politici, organizzata dalla Chiesa è espressione indispensabile dell'atteggiamento proclamato nel Vangelo. Cristo ricorda sempre: "Ero carcerato e siete venuti a trovarmi" (Mt 25,36). Sono carcerato. Non possiamo non andarlo a trovare. Le parole di Cristo sono chiare e impegnative.


8. Mi richiamo oggi alle espressioni dell'Episcopato polacco poiché ci troviamo di fronte alla Madre di Jasna Gora, Regina della Polonia e Madre del nostro popolo; ci presentiamo dinanzi a lei insieme a tutti questi problemi. Sono problemi della nostra Patria che comprendono anche le sofferenze dei nostri compatrioti. Ci presentiamo di fronte a lei così come il re Giovanni Casimiro nella cattedrale di Leopoli, al tempo dell'invasione svedese; come l'Episcopato polacco, 30 anni orsono, a Jasna Gora.


9. La vocazione e il compito della Chiesa, e soprattutto dei suoi pastori, consistono nell'annunciare tutto il Vangelo, e quindi anche il suo insegnamento sui diritti dell'uomo e del popolo. Certo, recandoci a Jasna Gora desideriamo portarvi tutto ciò che è polacco e anche tutto ciò che è buono, che è migliore.

Siamo convinti che il bene non manca sulla nostra terra, non manca nei vari settori della vita, della vita sociale e familiare, individuale e personale; che non manca nei cuori dei nostri compatrioti, né in quelli della nuova generazione.

Lo dimostrano anche numerosi pellegrinaggi che nel mese di agosto confluiscono a Jasna Gora da tutte le parti della Polonia. E' certamente solo un'espressione esterna, frammentaria. La conferma di questa verità bisognerebbe cercarla più ampiamente, più profondamente. Uniti con Jasna Gora, qui, a Castel Gandolfo, nell'onomastico di nostra Madre, preghiamo affinché questo bene si accresca, affinché ce ne sia sempre di più, affinché non diminuisca, affinché la Polonia occupi nella grande famiglia dei popoli dell'Europa e del mondo il giusto e meritato posto, affinché in Polonia l'uomo possa vivere la pienezza della vita umana e poiché siamo nella maggior parte battezzati, anche cristiana, affinché in Polonia l'uomo si sviluppi in base a quei diritti fondamentali che Giovanni XXIII ha ricordato e sottolineato nella sua enciclica "Pacem in Terris": il diritto alla verità, il diritto alla libertà, il diritto alla giustizia e all'amore. Preghiamo per tutto questo. Per tutto questo pregano senza dubbio anche i nostri compatrioti a Jasna Gora. Noi, qui, preghiamo insieme a loro. Siamo in un certo senso l'eco della preghiera di Jasna Gora. L'odierna liturgia ci ricorda lo sposalizio di Cana di Galilea, il primo miracolo di Gesù, primo e significativo perché in esso si manifesto la sollecitudine particolare del cuore materno di Maria verso gli sposi, verso i padroni di casa. Gesù trasformo l'acqua nel vino per trarre dalle difficoltà i padroni di casa e gli sposi. Maria, rivolgendosi ai servi che avrebbero obbedito all'ordine di Cristo, disse: "Fate quello che vi dirà" (Jn 2,5). Ce lo ricordiamo continuamente, quando siamo riuniti a Jasna Gora, quando celebriamo la liturgia che parla della Madre di Jasna Gora; ci ricordiamo quell'avvenimento di Cana di Galilea, poiché esso rappresenta, nel suo profondo, un simbolo. Cristo con la sua grazia può cambiare l'uomo, renderlo più generoso, trasformarlo; può sollevare l'uomo e non solo l'uomo ma anche le comunità intere, le famiglie, i popoli.

Desideriamo appoggiarci sulla sua forza salvifica ed è per questo che pellegriniamo a Jasna Gora e che siamo sempre uniti con la Madre della Nazione; desideriamo appoggiarci su questa forza salvifica che è strettamente legata alla dignità dell'uomo ed è al suo servizio. Non vogliamo che la vita sociale sia sottomessa alle cieche leggi della storia, come si suol dire; vogliamo che sia frutto della società degli uomini maturi, coscienti e responsabili: ecco lo scopo del nostro pellegrinaggio, lo scopo della nostra preghiera odierna. Desideriamo che la vita dell'uomo sulla nostra terra diventi sempre più umana, sempre più degna dell'uomo, sia dal punto di vista personale che sociale.

"Proteggi tutto il popolo, affinché possa vivere per la tua gloria, affinché possa crescere...". Siete venuti qui con questa preghiera a cui mi unisco con tutto il cuore perché sono figlio della stessa Nazione, della stessa Patria, venero la stessa Madre di Jasna Gora. Porto nel cuore tutti i problemi dei miei compatrioti e della mia Patria; vorrei servirli meglio che posso. "Proteggi tutto il popolo, affinché possa vivere per la tua gloria, affinché cresca splendido". Amen.

Data: 1986-08-26 Martedi 26 Agosto 1986









Lettera apostolica "Augustinum Hipponensem" - Città del Vaticano (Roma)

Nel XVI Centenario della conversione di sant'Agostino


Agostino di Ippona, da quando appena un anno dopo la morte, fu annoverato dal mio lontano predecessore Celestino I tra i "maestri migliori della chiesa", ha continuato ad essere presente, nella vita della chiesa e nella mente e nella cultura di tutto l'Occidente. Altri pontefici romani poi, per non parlare dei Concili che hanno attinto spesso e in abbondanza ai suoi scritti, ne hanno proposto gli esempi e i documenti di dottrina affinché fossero studiati e imitati.

Leone XIII ne esalto gli insegnamenti filosofici nella "Aeterni Patris"; Pio XI ne riassunse le virtù e il pensiero nell'enciclica "Ad salutem humani generis", dichiarando che, per l'ingegno acutissimo, per la ricchezza e sublimità della dottrina, per la santità della vita e per la difesa della verità cattolica, nessuno o certo pochissimi gli si possono paragonare di quanti sono fioriti dall'inizio del genere umano fino ad oggi; Paolo VI affermo che "in realtà, oltre a rifulgere in lui in grado eminente le qualità dei Padri, si può dire che tutto il pensiero dell'antichità confluisca nella sua opera e da essa derivino correnti di pensiero che pervadono tutta la tradizione dottrinale dei secoli successivi".

Io stesso ho aggiunto la mia voce a quella dei miei predecessori esprimendo il vivo desiderio che "la sua dottrina filosofica, teologica, spirituale sia studiata e diffusa, sicché egli continui... il suo magistero nella chiesa, un magistero, aggiungevo, umile insieme e luminoso che parla soprattutto di Cristo e dell'amore". Ho avuto altresi occasione di raccomandare in modo particolare ai figli spirituali del grande santo di "mantenere vivo e attraente il fascino di sant'Agostino anche nella società moderna", ideale stupendo ed entusiasmante, perché "la conoscenza esatta e affettuosa della sua vita suscita la sete di Dio, il fascino di Cristo, l'amore alla sapienza e alla verità, il bisogno della grazia, della preghiera, della virtù, della carità fraterna, l'anelito dell'eternità beata". Sono lieto pertanto che la felice circostanza del XVI centenario della sua conversione e del suo battesimo mi offra l'opportunità di rievocarne la luminosa figura. Sarà questa rievocazione allo stesso tempo un ringraziamento a Dio per il dono fatto alla chiesa, e per essa all'umanità intera, con quella mirabile conversione; sarà un'occasione propizia per ricordare che il convertito, divenuto vescovo, fu un modello fulgido di pastore, un difensore intrepido della fede ortodossa o, come egli diceva, della "verginità" della fede, un costruttore geniale di quella filosofia che per l'armonia con la fede si può ben chiamare cristiana, un promotore indefesso della perfezione spirituale e religiosa.

I. LA CONVERSIONE

Conosciamo il cammino della sua conversione dalle sue stesse opere, quelle cioè che egli scrisse nella solitudine di Cassiciaco prima del battesimo e soprattutto dalle celebri "Confessioni", un'opera che è insieme autobiografia, filosofia, teologia, mistica e poesia, in cui uomini sitibondi di verità e consapevoli dei propri limiti, hanno ritrovato e ritrovano se stessi. Già a suo tempo l'autore la considerava tra le sue opere più conosciute. "Quale delle mie opere", scrive verso la fine della vita, "poté avere più vasta notorietà e riuscire più dilettevole dei libri delle mie Confessioni?". Questo giudizio la storia non l'ha mai smentito, anzi lo ha confermato ampiamente. Anche oggi le "Confessioni" di sant'Agostino sono molto lette e, ricche qual sono d'introspezione e di passione religiosa, operano in profondità, scuotono e commuovono. E non solo i credenti. Anche chi non ha la fede, ma va cercando una certezza almeno che gli permetta di capire se stesso, le sue aspirazioni profonde, i suoi tormenti, trova vantaggioso leggere quest'opera. La conversione di sant'Agostino, dominata dal bisogno di trovare la verità, ha molto da insegnare agli uomini d'oggi così spesso smarriti di fronte al grande problema della vita.

Si sa che questa conversione ebbe un cammino del tutto singolare, perché non si tratto di una conquista della fede cattolica, ma di una riconquista. Egli l'aveva perduta, convinto, nel perderla, di non abbandonare Cristo, bensi solo la Chiesa. Infatti era stato educato cristianamente da sua madre, la pia e santa Monica. In forza di quest'educazione Agostino resto sempre non solo un credente in Dio, nella provvidenza e nella vita futura, ma anche un credente in Cristo, il cui nome "aveva bevuto", come egli dice, "con il latte materno". Tornato alla fede della Chiesa cattolica, egli dirà di essere tornato alla religione "che mi era stata instillata da bambino e fatta entrare fin nelle midolla". Chi vuol capire la sua evoluzione interiore e un aspetto, forse il più profondo, della sua personalità e del suo pensiero, deve partire da questa constatazione.

Svegliatosi a 19 anni all'amore della sapienza con la lettura dell'"Ortensio" di Cicerone - "Quel libro, devo ammetterlo, muto il mio modo di sentire... e mi fece bramare la sapienza immortale con incredibile ardore di cuore" - amo profondamente e cerco sempre con tutte le fibre dell'anima la verità.

"O Verità, Verità, come già allora e dalle intime fibre del mio cuore sospiravo verso di te!". Nonostante questo amore alla verità, Agostino cadde in gravi errori. Gli studiosi ne cercano le cause e le trovano in tre direzioni: nell'errata impostazione delle relazioni tra la ragione e la fede quasi che si dovesse scegliere tra l'una e l'altra; nel supposto contrasto tra Cristo e la Chiesa con la conseguente persuasione che occorresse abbandonare la Chiesa per aderire più pienamente a Cristo; nel desiderio di liberarsi dalla coscienza del peccato non attraverso la sua remissione per opera della grazia ma attraverso la negazione della responsabilità umana nel peccato stesso. Il primo errore consisteva dunque in un certo spirito razionalista per cui si persuase "di dover seguire non coloro che comandano di credere, ma coloro che insegnano la verità". Con questo spirito lesse le sacre Scritture e si senti respinto dai misteri che esse contengono, misteri che occorre accettare con umile fede. Parlando poi al suo popolo di questo momento della vita egli disse: "Io che vi parlo fui ingannato un tempo, quando da giovane mi avvicinai per la prima volta alle sacre Scritture. Mi avvicinai non con la pietà di chi cerca umilmente, ma con la presunzione di chi vuol discutere... Misero me, che mi credei idoneo al volo, abbandonai il nido e caddi prima di poter volare!". Fu allora che s'imbatté nei manichei, li ascolto, li segui. Ragione principale: la promessa "di mettere da parte la terribile autorità e di condurre a Dio e liberare dagli errori i propri discepoli con la pura e semplice ragione". E tale appunto, si mostrava Agostino, "desideroso di tenere e assorbire la verità autentica e senza veli" con la forza della sola ragione. Accortosi dopo lunghi anni di studi, particolarmente di studi filosofici, di essere stato ingannato, ma, per effetto della propaganda manichea, sempre convinto che nella Chiesa cattolica la verità non ci fosse, cadde in un profondo scoramento e dispero affatto di poter trovare la verità: "gli accademici tennero a lungo il timone della mia nave in mezzo ai flutti". Da questo pericoloso atteggiamento lo sollevo lo stesso amore per la verità che albergava sempre nel suo animo. Si convinse che non è possibile che alla mente umana sia chiusa la via della verità; se non la trova, è perché ignora e disprezza il metodo per cercarla. Confortato da questa convinzione egli disse a se stesso: "Ma no, cerchiamo con maggior diligenza anziché disperare"; continuo quindi a cercare, e questa volta, guidato dalla grazia divina che la madre implorava con preghiere e lacrime, raggiunse il porto. Comprese che ragione e fede sono due forze destinate a cooperare insieme per condurre l'uomo alla conoscenza della verità, che ognuna di esse ha un suo primato: temporale la fede, assoluto la ragione - "per importanza viene prima la ragione, in ordine di tempo l'autorità (della fede)" -. Comprese che la fede per essere sicura richiede un'autorità divina, che questa autorità non è altro che quella di Cristo, sommo maestro - di questo Agostino non aveva mai dubitato -, che l'autorità di Cristo si ritrova nelle sacre Scritture, garantite dall'autorità della Chiesa cattolica. Con l'aiuto dei filosofi platonici si libero dalla concezione materialistica dell'essere che aveva assorbito dal manicheismo: "Ammonito da quegli scritti a tornare in me stesso, entrai nell'intimo del mio cuore sotto la tua guida... Vi entrai e scorsi con l'occhio della mia anima... sopra la mia intelligenza, una luce immutabile". Fu questa luce immutabile che gli apri gli immensi orizzonti dello spirito e di Dio. Capi che intorno alla grave questione del male, che costituiva il suo grande tormento, la prima domanda da porsi non era da dove esso abbia origine, ma che cosa sia, e intui che il male non è una sostanza ma una privazione di bene: "Tutto ciò che esiste è bene, e il male di cui cercavo l'origine, non è una sostanza". Dio dunque, ne concluse, è il creatore di tutte le cose e non esiste nessuna sostanza che non sia stata creata da lui. Capi altresi, riferendosi alla sua esperienza personale - e questa fu la scoperta più decisiva - che il peccato ha origine dalla volontà dell'uomo, una volontà libera e defettibile: "ero io a volere, io a non volere, io, io ero". A questo punto poteva dirsi arrivato, invece non lo era ancora; le insidie di un nuovo errore lo avvolsero. Fu la presunzione di poter arrivare al possesso beatificante della verità con le sole sue forze naturali. Un'esperienza personale fallita lo dissuase. Comprese allora che altro è conoscere la meta, altro arrivarci. Per trovare la forza e la via necessarie, "mi buttai con la massima avidità", scrive egli stesso, "sulla venerabile Scrittura del tuo Spirito, e prima di tutto sull'apostolo Paolo". Nelle lettere di Paolo scoperse Cristo maestro, come sempre lo aveva venerato, ma anche Cristo redentore, Verbo incarnato, unico mediatore tra Dio e gli uomini. Allora gli apparve in tutto il suo splendore "il volto della filosofia": era la filosofia di Paolo che ha per centro Cristo, "potenza e sapienza di Dio" (1Co 1,24), e che ha altri centri: la fede, l'umiltà, la grazia; quella "filosofia" che è insieme sapienza e grazia, per cui diventa possibile non solo conoscere la patria ma anche raggiungerla. Ritrovato Cristo redentore e afferratosi a lui, Agostino era tornato al porto della fede cattolica, alla fede in cui era stato educato da sua madre: "Avevo udito parlare sin da fanciullo della vita eterna, che ci fu promessa mediante l'umiltà del Signore Dio nostro, sceso fino alla nostra superbia".

L'amore per la verità, sostenuto dalla grazia divina, aveva trionfato di tutti gli errori. Sennonché il cammino non era ancora concluso. Nell'animo di Agostino rinasceva un antico proposito, quello di consacrarsi totalmente alla sapienza una volta che l'avesse trovata, di abbandonare cioè, per possederla, ogni terrena speranza. Ora egli non poteva portare più scuse: la verità tanto bramata era ormai certa. Eppure esitava, cercando ragioni per non decidersi a farlo. I vincoli che lo legavano alle speranze terrene erano forti: gli onori, i guadagni, le nozze; specialmente, date le abitudini contratte, le nozze. Non già che gli fosse proibito sposarsi - Agostino questo lo sapeva bene - ma non voleva essere cristiano cattolico se non in questo modo: rinunciando anche all'ideale vagheggiato della famiglia e dedicandosi con "tutta" l'anima all'amore e al possesso della sapienza. A prendere questa decisione, che corrispondeva alle sue aspirazioni più profonde ma contrastava con le abitudini più radicate, lo stimolava l'esempio di Antonio e dei monaci che si andavano diffondendo anche in Occidente, di cui venne fortuitamente a conoscenza. Egli si chiedeva con grande vergogna: "Non potrai fare anche tu ciò che fecero questi giovani, queste donne?". Ne nacque un dramma interiore, profondo e lacerante, che la grazia divina condusse a buon fine. Ecco come Agostino narra a sua madre la serena e forte decisione: "Ci rechiamo da mia madre e le riveliamo la decisione presa: ne gioisce; le raccontiamo lo svolgimento dei fatti: esulta e trionfa. E comincio a benedirti perché puoi fare più di quanto chiediamo e comprendiamo (Ep 3,20). Vedeva che le avevi concesso a mio riguardo molto più di quanto ti aveva chiesto con tutti i suoi gemiti e le sue lacrime pietose. Infatti mi rivolgesti a te così appieno, che non cercavo più né moglie né avanzamenti in questo secolo". Da quel momento incominciava per Agostino una vita nuova: termino l'anno scolastico - le vacanze della vendemmia erano vicine -, si ritiro nella solitudine di Cassiciaco; al termine delle vacanze rinuncio all'insegnamento, torno a Milano agli inizi del 387, s'iscrisse tra i catecumeni, e nella notte del sabato santo - 23/24 aprile - fu battezzato dal vescovo Ambrogio dalla cui predicazione aveva tanto imparato. "E fummo battezzati, e si dileguo da noi l'inquietudine della vita passata. In quei giorni non mi saziavo di considerare con mirabile dolcezza i tuoi profondi disegni sulla salute del genere umano". E aggiunge manifestando l'intima commozione dell'animo: "Quante lacrime versai ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che risuonavano dolcemente nella tua Chiesa". Dopo il battesimo l'unico desiderio di Agostino fu quello di trovare un luogo adatto dove poter vivere insieme con i suoi amici secondo il "santo proposito" di servire il Signore. Lo trovo in Africa, a Tagaste, suo paese natale, dove giunse dopo la morte della madre a Ostia Tiberina e la permanenza di alcuni mesi a Roma per studiare il movimento monastico. Giunto a Tagaste, "rinuncio ai suoi beni e, insieme con quelli che erano uniti a lui, viveva per Dio nei digiuni, nelle preghiere, nelle buone opere, meditando giorno e notte la legge del Signore". L'appassionato amante della verità voleva dedicare la sua vita all'ascetismo, alla contemplazione, all'apostolato intellettuale. Il primo biografo aggiunge infatti: "E delle verità che Dio rivelava alla sua intelligenza faceva parte ai presenti e agli assenti, ammaestrandoli con discorsi e con libri".

A Tagaste scrisse libri e libri, come aveva fatto a Roma, a Milano, a Cassiciaco.

Dopo tre anni scese a Ippona con l'intento di cercare un luogo dove fondare un monastero e d'incontrare un amico che sperava di guadagnare alla vita monastica, e trovo invece, suo malgrado, il sacerdozio. Ma non rinuncio al suo ideale: chiese e ottenne di fondare un monastero: il "monasterium laicorum", in cui visse, e da cui uscirono molti sacerdoti e molti vescovi per tutta l'Africa.

Divento, dopo cinque anni, vescovo, trasformo l'episcopio in monastero: il "monasterium clericorum". L'ideale concepito al momento della conversione non lo lascio cadere mai, neppure da sacerdote e da vescovo. Scrisse anche una regola "ad servos Dei", che tanta parte ebbe e ha nella storia della vita religiosa occidentale. II. IL DOTTORE Mi sono intrattenuto un poco sui punti essenziali della conversione di Agostino, perché da essa vengono tanti utili insegnamenti non solo per i credenti ma anche per tutti gli uomini di buona volontà: come sia facile deviare nel cammino della vita e come sia difficile ritrovare la via della verità. Ma questa mirabile conversione ci aiuta inoltre a capire meglio la sua vita successiva di monaco, sacerdote, vescovo. Egli resto sempre il grande folgorato della grazia: "Ci avevi bersagliato il cuore con le frecce del tuo amore e portavamo le tue parole confitte nelle viscere". Soprattutto ci aiuta a penetrare più facilmente nel suo pensiero, che fu così universale e profondo da rendere a quello cristiano un servizio incomparabile e imperituro, tanto che possiamo chiamarlo, non senza fondamento, il padre comune dell'Europa cristiana. La molla segreta della sua insonne ricerca fu la stessa che l'aveva guidato lungo l'itinerario della conversione: l'amore per la verità. Infatti, dice egli stesso: "che cosa desidera l'uomo più fortemente che la verità?". In un'opera di alta speculazione teologica e mistica, scritta più per bisogno personale che per esigenze esterne, ricorda questo amore e scrive: "Ci sentiamo rapiti dall'amore di indagare la verità". E questa volta l'oggetto dell'indagine era l'augusto mistero trinitario e il mistero di Cristo rivelazione del Padre, "scienza e sapienza" dell'uomo: nacque così la grande opera su "La Trinità".

L'orientamento della ricerca, che l'amore incessante nutriva, ebbe due coordinate: l'approfondimento della fede cattolica e la sua difesa contro coloro che la negavano, come i manichei e i pagani, o ne davano interpretazioni errate, come i donatisti, i pelagiani, gli ariani. E' difficile inoltrarsi nel mare del pensiero agostiniano, e tanto più difficile riassumerlo, se pur questo è davvero possibile. Mi si consenta pero di ricordare, a comune edificazione, alcune luminose intuizioni di questo sommo pensatore.


1. Ragione e fede Prima di tutto quelle riguardanti il problema che più lo attanaglio in gioventù e sul quale egli torno con tutta la forza dell'ingegno e la passione dell'animo, quello riguardante le relazioni tra la ragione e la fede: un problema di sempre, di oggi non meno che di ieri, dalla cui soluzione dipende l'indirizzo del pensiero umano. Ma problema difficile, perché si tratta di passare incolumi tra un estremo e l'altro, tra il fideismo che disprezza la ragione e il razionalismo che esclude la fede. Lo sforzo intellettuale e pastorale di Agostino fu quello di mostrare, senza ombra di dubbio, che "le due forze che ci portano a conoscere", devono cooperare insieme. Egli ascolto la fede, ma non esalto meno la ragione, dando a ciascuna il suo primato, o di tempo o di importanza. Disse a tutti il "crede ut intelligas", ma ripeté anche l'"intellige ut credas". Scrisse un'opera, sempre attuale, sull'utilità della fede e spiego che è la fede la medicina destinata a sanare l'occhio dello spirito, la fortezza inespugnabile per la difesa di tutti, particolarmente dei deboli, contro l'errore, il nido in cui si mettono le penne per gli alti voli dello spirito, la via breve che permette di conoscere presto, con sicurezza e senza errori, le verità che conducono l'uomo alla sapienza. Ma sostenne anche che la fede non è mai senza ragione, perché è la ragione che dimostra "a chi si debba credere". Pertanto "anche la fede ha i suoi occhi con i quali vede in qualche modo che è vero quello che ancora non vede". "Nessuno dunque crede se prima non ha pensato di dover credere", poiché "credere altro non è che pensare con assenso ("cum assentione cogitare")..." tanto che "la fede che non sia pensata non è fede". Il discorso sugli occhi della fede sfocia in quello della credibilità, di cui Agostino parla spesso adducendone i motivi, quasi a confermare la consapevolezza con cui era tornato egli stesso alla fede cattolica. Giova riportare un testo. Scrive: "Molte sono le ragioni che mi trattengono in seno della Chiesa cattolica. A parte la sapienza dell'insegnamento (questo argomento, per Agostino fortissimo, non era ammesso dagli avversari)... mi trattiene il consenso dei popoli e delle genti; mi trattiene l'autorità fondata coi miracoli, nutrita con la speranza, aumentata con la carità, consolidata con l'antichità; mi trattiene la successione dei vescovi, della sede stessa dell'apostolo Pietro, a cui il Signore dopo la risurrezione diede a pascere le sue pecore, fino al presente episcopato; mi trattiene infine lo stesso nome di cattolica che non senza ragione solo questa Chiesa ha ottenuto". Nella grande opera della "Città di Dio", che è insieme apologetica e dommatica, il problema ragione e fede diventa quello di fede e cultura. Agostino, che tanto opero per fondare e promuovere la cultura cristiana, lo risolve svolgendo tre grossi argomenti: l'esposizione fedele della dottrina cristiana; il ricupero attento della cultura pagana in ciò che aveva di ricuperabile, e che sul piano filosofico non era poco; la dimostrazione insistente della presenza nell'insegnamento cristiano di quanto di vero e di perennemente valido v'era in quella cultura, col vantaggio di trovarvisi perfezionato e sublimato. Non per nulla la "Città di Dio" fu molto letta nel medioevo; e merita molto di essere letta anche oggi come esempio e stimolo per approfondire l'incontro del cristianesimo con le culture dei popoli. Vale la pena di riportare un importante testo agostiniano: "La città celeste... convoca cittadini da tutte le nazioni non badando alla differenza dei costumi, delle leggi, delle istituzioni... non sopprime né distrugge alcuna di queste cose, anzi accetta e conserva tutto ciò che, sebbene diverso nelle diverse nazioni, tende a un solo e medesimo fine: la pace terrena, a condizione che non impediscano la religione che insegna ad adorare l'unico Dio, sommo e vero".


2. Dio e l'uomo L'altro grande binomio che Agostino approfondi senza posa è Dio e l'uomo. Liberatosi, come ho detto sopra, dal materialismo che gli impediva di avere un'esatta nozione di Dio - e quindi la vera nozione dell'uomo -, fisso in questo binomio i grandi temi della sua ricerca e li studio sempre insieme: l'uomo pensando a Dio, Dio pensando all'uomo, che ne è l'immagine. Nelle "Confessioni" si pone queste due domande: "Che cosa sei tu per me, Signore?", "e che cosa sono io per te...?". Per rispondere ad esse impiega tutte le risorse del suo pensiero e tutta l'insonne fatica del suo apostolato. Egli è pienamente convinto dell'ineffabilità di Dio, tanto da esclamare: "Che c'è di strano se non comprendi. Se comprendi non è Dio"; perciò "non è un piccolo inizio della conoscenza di Dio se, prima di sapere che cosa egli è, cominciamo a sapere che cosa egli non è". Occorre dunque cercar "di capire Dio, se possiamo, per quanto lo possiamo, buono senza qualità, grande senza quantità, creatore senza necessità", e così via per tutte le categorie del reale che Aristotele aveva descritte. Nonostante la trascendenza e l'ineffabilità divina Agostino, partendo dall'autocoscienza dell'uomo che sa di essere, di conoscere e di amare, e confortato dalla Scrittura che ci rivela Dio come l'Essere supremo (Ex 3,14), la somma Sapienza (Sap passim) e il primo amore (1Jn 4,8), illustra questa triplice nozione di Dio: essere da cui procede, per creazione dal nulla, ogni essere, verità che illumina la mente umana perché possa conoscere con certezza la verità, amore da cui procede e a cui tende ogni vero amore. Dio infatti, come egli ripete tante volte, è "la causa del sussistere, la ragione del pensare, la norma del vivere" o, per riportare un'altra formula celebre, "la causa dell'universo creato, la luce della verità che percepiamo, la fonte della felicità che assaporiamo".

Ma dove il genio di Agostino si esercito maggiormente fu nello studiare la presenza di Dio nell'uomo, presenza che è insieme profonda e misteriosa. Egli trova Dio, "l'interno-eterno", remotissimo e presentissimo: perché remoto l'uomo lo cerca, perché presente lo conosce e lo trova. Dio è presente come "sostanza creatrice del mondo", come verità illuminatrice, come amore che attrae, più intimo di quanto vi è nell'uomo di più intimo e più alto di quanto vi è di più alto.

Riferendosi al periodo antecedente la conversione, Agostino dice a Dio: "Dov'eri dunque allora e quanto lontano da me? Io vagavo lontano da te... tu, invece, eri più dentro in me della mia parte più profonda e più alto della mia parte più alta"; "eri con me, e io non ero con te". E insiste: "eri davanti a me, ma io mi ero allontanato da me, e non mi ritrovavo. Tanto meno ritrovavo te". Chiunque non trova se stesso non trova Dio, perché Dio è nel profondo di ciascuno di noi.

L'uomo dunque non s'intende se non in ordine a Dio. Agostino ha illustrato con vena inesauribile questa grande verità, mentre studiava il rapporto dell'uomo con Dio e lo espresse nelle maniere più varie e più efficaci. Egli vede l'uomo come una tensione verso Dio. Sono celebri le sue parole: "Ci hai fatti per te e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te". Lo vede come capacità di essere elevato fino alla visione immediata di Dio: il finito che raggiunge l'Infinito. L'uomo, scrive ne "La Trinità", "è immagine di Dio, in quanto è capace di Dio e può essere partecipe di lui". Questa capacità "impressa immortalmente nella natura immortale dell'anima razionale" è il segno della sua grandezza suprema: "in quanto è capace e può essere partecipe della natura suprema, l'uomo è una grande natura". Lo vede inoltre come un essere indigente di Dio, perché bisognoso della felicità che non può trovare se non in Dio. "La natura umana è stata creata in tanta eccellente grandezza che, per quanto mutabile, solo aderendo al Bene immutabile, che è il sommo Dio, può conseguire la felicità, né può colmare la sua indigenza senza essere felice, ma a colmarla non basta se non Dio".

Da questo rapporto costituzionale dell'uomo con Dio dipende l'insistente richiamo agostiniano all'interiorità. "Torna in te stesso; nell'uomo interiore abita la verità; e se troverai che la tua natura è mutabile, trascendi te stesso" per trovare Dio, fonte della luce che illumina la mente. Insieme alla verità c'è nell'uomo interiore la misteriosa capacità d'amare, la quale, come un peso - è questa la celebre metafora agostiniana -, lo porta al di fuori di sé, verso gli altri e soprattutto verso l'Altro, cioè Dio. Il peso dell'amore lo rende costituzionalmente sociale, al punto che "nessuno", come scrive Agostino, "è tanto sociale per natura quanto l'uomo". L'interiorità dell'uomo, dove si raccolgono le ricchezze inesauribili della verità e dell'amore, costituisce "un abisso", che il nostro dottore non cessa mai di scrutare, e mai cessa di stupirsene. Ma a questo punto occorre aggiungere che l'uomo appare, per chi sia pensoso di sé e della storia, un grande problema, come dice Agostino, una "magna quaestio". Troppi sono gli enigmi che lo circondano: l'enigma della morte, della divisione profonda che soffre in se stesso, dello squilibrio insanabile tra ciò che è e ciò che desidera; enigmi che si riducono a quello fondamentale, che consiste nella sua grandezza e nella sua incomparabile miseria. Su questi enigmi, dei quali ha parlato a lungo il concilio Vaticano II quando si è proposto di illustrare "il mistero dell'uomo", Agostino si è gettato con passione e vi ha esercitato tutto l'acume della sua intelligenza non solo per scoprirne la realtà, che è spesso molto triste - se è vero che nessuno è tanto sociale per natura quanto l'uomo, è vero anche, aggiunge l'autore della "Città di Dio" edotto dalla storia, che "nessuno quanto l'uomo è tanto antisociale per vizio" - ma anche e soprattutto per cercarne e proporne la soluzione. Ora in quanto alla soluzione non ne trova che una, quella che gli era apparsa alla vigilia della sua conversione: Cristo, redentore dell'uomo. Su questa soluzione ho inteso il bisogno di richiamare anch'io l'attenzione dei figli della Chiesa e di tutti gli uomini di buona volontà nella mia prima enciclica, appunto la "Redemptor Hominis", lieto di raccogliere nella mia voce la voce di tutta la tradizione cristiana. Entrando in questa problematica il pensiero di Agostino, pur restando fondamentalmente filosofico, si fa più teologico, e il binomio Cristo e la Chiesa, che aveva prima negato e poi riconosciuto negli anni della giovinezza, incomincia a illustrare quello più generale di Dio e dell'uomo.


3. Cristo e la Chiesa Si può ben dire che Cristo e la Chiesa siano il fulcro del pensiero teologico del vescovo di Ippona, anzi, si potrebbe aggiungere, della sua stessa filosofia, in quanto egli rimprovera ai filosofi di aver fatto filosofia "sine homine Christo". Da Cristo è inseparabile la Chiesa. Egli riconobbe al momento della conversione e accetto con gioia e gratitudine la legge della Provvidenza che ha posto in Cristo e nella Chiesa "l'autorità più eccelsa e la luce della ragione ("totum culmen auctoritatis lumemque rationis") allo scopo di ricreare e riformare il genere umano". Senza dubbio egli ha parlato a lungo ed egregiamente, nella grande opera sulla Trinità e nei discorsi sul mistero trinitario tracciando la strada alla teologia posteriore. Ha insistito insieme sull'uguaglianza e sulla distinzione delle Persone divine illustrandole con la dottrina delle relazioni: Dio "è tutto ciò che ha, eccetto le relazioni per cui ogni persona si riferisce all'altra". Ha sviluppato la teologia sullo Spirito santo, che procede dal Padre e dal Figlio, ma "principaliter" dal Padre, perché "di tutta la divinità o, meglio, della deità, il principio è il Padre"; ed egli ha dato al Figlio di spirare lo Spirito Santo, che procede come Amore e perciò non è generato. Per rispondere poi ai "garruli ragionatori", ha proposto la spiegazione "psicologica" della Trinità cercandone l'immagine nella memoria, nell'intelligenza, nell'amore dell'uomo, studiando così insieme il più augusto mistero della fede e la più alta natura del creato qual è lo spirito umano. Ma parlando della Trinità tiene sempre lo sguardo fisso nel Cristo rivelatore del Padre, e nell'opera della salvezza. Da quando, poco prima della conversione, comprese i termini del mistero del Verbo incarnato, non cesso mai di approfondirlo riassumendo il suo pensiero in formule tanto piene ed efficaci da preannunziare quella di Calcedonia. Ecco un testo significativo da una delle sue ultime opere: "Il cristiano fedele crede e confessa in Cristo la vera natura umana, cioè la nostra, ma assunta in maniera singolare da Dio Verbo, sublimata nell'unico Figlio di Dio, così che colui che assume e ciò che è assunto sia un'unica persona nella Trinità... una sola persona Dio e l'uomo. Perché noi non diciamo che Cristo è solo Dio... e nemmeno diciamo che Cristo è solo uomo... e neppure diciamo che è uomo ma con qualcosa in meno di ciò che con certezza appartiene alla natura umana... Noi al contrario diciamo che Cristo è vero Dio, nato dal Padre... e che lo stesso è vero uomo, nato da madre che fu creatura umana... e che la sua umanità, con la quale è minore del Padre, non toglie nulla alla sua divinità con la quale è uguale al Padre: due nature, un solo Cristo". O, più brevemente: "Colui che è uomo quello stesso è Dio e colui che è Dio quello stesso è uomo, non per la confusione della natura, ma per l'unità della persona", "una persona in due nature". Con questa ferma visione dell'unità della persona in Cristo, "totus Deus et totus homo", Agostino spazia nell'ampio panorama della teologia e della storia.

Se lo sguardo d'aquila si fissa sul Cristo Verbo del Padre, non insiste meno su Cristo uomo. Anzi, afferma energicamente: senza Cristo uomo non c'è né mediazione, né riconciliazione, né giustificazione, né risurrezione, né appartenenza alla Chiesa, di cui Cristo è capo. Su questi temi egli torna sovente e li svolge ampiamente sia per rendere ragione della fede che aveva riconquistato a 32 anni, sia per le esigenze della controversia pelagiana. Cristo, uomo-Dio, è l'unico mediatore tra Dio giusto e immortale e gli uomini mortali e peccatori, perché è mortale e giusto insieme; è pertanto la via universale della libertà e della salvezza. Fuori di questa via, che "non è mai mancata al genere umano, nessuno è stato mai liberato, nessuno viene liberato, nessuno sarà liberato". La mediazione di Cristo si compie nella redenzione, che non consiste solo nell'esempio di giustizia, ma prima di tutto nel sacrificio di riconciliazione che fu verissimo, liberissimo, perfettissimo. La redenzione di Cristo ha come carattere essenziale l'universalità, la quale dimostra l'universalità del peccato. In questo senso Agostino ripete e interpreta le parole di san Paolo: "se uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti" (2Co 5,14), morti a causa del peccato. "Tutta la fede cristiana consiste dunque nella causa di due uomini", "uno e uno: uno che porta la morte, uno che dona la vita". Ne segue che "ogni uomo è Adamo, come in coloro che credono ogni uomo è Cristo".

Negare questa dottrina voleva dire per Agostino "rendere vana la croce di Cristo" (1Co 1,17). Perché ciò non avvenisse parlo e scrisse molto sull'universalità del peccato, compresa la dottrina del peccato originale, "che la Chiesa, scrive egli, crede fin dall'antichità". Infatti Agostino insegna che "il Signore Gesù Cristo non per altro motivo si è fatto uomo... se non per vivificare, salvare, liberare, redimere, illuminare coloro che prima erano nella morte, nell'infermità, nella schiavitù, nella prigionia, nelle tenebre dei peccati. E' logico che nessuno potrà appartenere a Cristo se non ha bisogno di questi benefici della redenzione". Poiché unico mediatore e redentore degli uomini, Cristo è capo della Chiesa, Cristo e la Chiesa sono una sola persona mistica, il Cristo totale. Scrive arditamente: "Siamo diventati Cristo. Infatti se egli è il capo, noi le sue membra, l'uomo totale è lui e noi". Questa dottrina del Cristo totale è una delle più care al vescovo di Ippona e anche una delle più feconde della sua teologia ecclesiologica. Altra verità fondamentale è quella dello Spirito Santo anima del corpo mistico - "ciò che è l'anima per il corpo, questo stesso è lo Spirito Santo per il corpo di Cristo che è la Chiesa" -, dello Spirito Santo principio della comunione che unisce i fedeli tra loro e alla Trinità. Infatti "il Padre e il Figlio hanno voluto che noi entrassimo in comunione tra noi e con loro per mezzo di colui che è a loro comune e ci hanno raccolto nell'unità mediante l'unico dono che essi hanno in comune, cioè per mezzo dello Spirito Santo, Dio e dono di Dio". perciò egli dice nello stesso luogo: "la comunione dell'unità della Chiesa o la "societas unitatis", fuori della quale non c'è perdono dei peccati, è l'opera propria dello Spirito Santo con il quale operano insieme il Padre e il Figlio, poiché in certo modo lo stesso Spirito Santo è il legame o la "societas" che unisce il Padre e il Figlio". Guardando alla Chiesa corpo di Cristo e vivificata dallo Spirito Santo che è lo spirito di Cristo, Agostino svolse in molte forme una nozione sulla quale si è soffermato con particolare compiacenza anche il recente concilio: la Chiesa comunione. Ne parla in tre modi diversi e convergenti: la comunione dei sacramenti o realtà istituzionale fondata da Cristo sul fondamento degli apostoli, della quale discute a lungo nella controversia donatista difendendone l'unità, l'universalità, l'apostolicità e la santità, e dimostrando che ha per centro la "sede di Pietro", "nella quale fu sempre in vigore il primato della cattedra apostolica"; la comunione dei santi o realtà spirituale che unisce tutti i giusti da Abele fino alla consumazione dei secoli; la comunione dei beati o realtà escatologica che raccoglie tutti coloro che hanno raggiunto la salvezza, cioè la Chiesa "senza macchia e senza ruga" (Ep 5,27). Altro tema caro all'ecclesiologia agostiniana fu quello della Chiesa madre e maestra. Su questo tema Agostino scrisse pagine profonde e commoventi, perché esso toccava da vicino la sua esperienza di convertito e la sua dottrina di teologo. Sulle vie del ritorno alla fede egli incontro la Chiesa non più opposta a Cristo come gli avevano fatto credere, bensi manifestazione di Cristo, "madre dei cristiani verissima", e garante della verità rivelata. La Chiesa è madre che genera i cristiani: "Due ci hanno generato per la morte, due ci hanno generato per la vita. I genitori che ci hanno generato per la morte sono Adamo ed Eva, i genitori che ci hanno generato per la vita sono Cristo e la Chiesa". La Chiesa è madre che soffre per quelli che si allontanano dalla giustizia, soprattutto per quelli che ne lacerano l'unità, è la colomba che geme e chiama perché tutti tornino o approdino sotto le sue ali, è la manifestazione della paternità universale di Dio attraverso la carità la quale "per gli uni è carezzevole, per gli altri severa; a nessuno è nemica, a tutti è madre". E' madre, ma anche, come Maria, vergine: madre per l'ardore della carità, vergine per l'integrità della fede che custodisce, difende, insegna. A questa maternità verginale si riallaccia il suo compito di maestra che la Chiesa esercita in obbedienza a Cristo. Per questo Agostino guarda alla Chiesa come garante delle Scritture, e proclama che egli resta sicuro in essa, qualunque difficoltà si presenti, insegnando insistentemente agli altri a fare altrettanto.

"così, come ho detto spesso e ripeto insistentemente: qualunque cosa noi siamo, voi siete sicuri: voi che avete Dio per padre e la Chiesa per madre". Nasce da questa convinzione l'esortazione accorata ad amare Dio e la Chiesa, appunto Dio come padre, la Chiesa come madre. Nessun altro, forse, ha parlato della Chiesa con tanto affetto e con tanta passione come Agostino. Ne ho riproposto alcuni accenti, pochi in verità ma sufficienti, spero, per far comprendere la profondità e la bellezza d'una dottrina che non sarà mai studiata abbastanza, particolarmente sotto l'aspetto della carità che anima la Chiesa come effetto della presenza in lei dello Spirito Santo. "Abbiamo lo Spirito Santo, scrive, se amiamo la Chiesa; e amiamo la Chiesa se rimaniamo nella sua unità e nella sua carità".


4. Libertà e grazia Non si finirebbe più a indicare, sia pure per sommi capi, i diversi aspetti della teologia agostiniana. Un altro argomento importante, anzi fondamentale, legato pur esso alla conversione, è quello della libertà e della grazia. Come già ho ricordato, fu alla vigilia della conversione che prese coscienza della responsabilità dell'uomo nelle sue azioni e della necessità della grazia dell'unico Mediatore, di cui sperimento la forza nel momento dell'ultima decisione. Ne è testimonianza eloquente il libro VIII delle "Confessioni". Le riflessioni personali e le controversie sostenute poi, particolarmente con i seguaci dei manichei e dei pelagiani, gli offrivano l'opportunità di approfondire i termini del problema e di proporne, sia pure con grande modestia a causa della misteriosità della questione, una sintesi. Sostenne sempre che la libertà è un caposaldo dell'antropologia cristiana. Lo sostenne contro i suoi antichi correligionari, contro il determinismo degli astrologi di cui egli stesso era stato vittima, contro ogni forma di fatalismo; spiego che la libertà e la prescienza non sono inconciliabili, come pure non lo sono libertà e aiuto della grazia divina. "Il libero arbitrio non viene tolto, perché viene aiutato, ma viene aiutato perché non viene tolto". E' celebre del resto il principio agostiniano: "Chi ti ha creato senza di te, non ti giustifica senza di te. Dunque, ha creato chi non sapeva, non giustifica chi non vuole". A chi dubitava di questa conciliabilità o affermava il contrario dimostra con lunga serie di testi biblici che libertà e grazia appartengono alla divina rivelazione e che occorre tener ferme insieme le due verità. Vedere in profondità la loro conciliazione è questione difficilissima che pochi sono in grado di capire, e che può creare angustia per molti, perché difendendo la libertà si può dare l'impressione di negare la grazia e viceversa. Occorre pero credere nella loro conciliabilità come nella conciliabilità di due prerogative essenziali di Cristo dalle quali l'una e l'altra rispettivamente dipendono. Cristo infatti è insieme salvatore e giudice. Ora, "se non c'è la grazia, come salva il mondo? se non c'è il libero arbitrio come giudica il mondo?". D'altra parte Agostino insiste sulla necessità della grazia, che è insieme necessità della preghiera. A chi diceva che Dio non comanda l'impossibile e perciò la grazia non è necessaria, risponde che si, è vero, "Dio non comanda l'impossibile, ma comandando ti ammonisce di fare ciò che puoi e di chiedere ciò che non puoi", e aiuta l'uomo perché possa, egli che "non abbandona nessuno se non è abbandonato". La dottrina sulla necessità della grazia diventa la dottrina sulla necessità della preghiera, su cui Agostino tanto insiste, perché, così egli scrive, "è certo che Dio ha preparato alcuni doni anche a chi non li implora, come l'inizio della fede, altri solo a chi li implora, come la perseveranza finale".

La grazia è dunque necessaria per rimuovere gli ostacoli che impediscono alla volontà di fuggire il male e di compiere il bene. Questi ostacoli sono due, "l'ignoranza e la debolezza", soprattutto il secondo, "perché anche quando incomincia a non rimanere più nascosto ciò che si deve fare..., non si agisce, non si esegue, non si vive bene". perciò la grazia adiuvante è soprattutto "l'ispirazione della carità per cui facciamo con santo amore ciò che conosciamo di dover fare". Ignoranza e debolezza sono due ostacoli che occorre superare per poter respirare la libertà. Non sarà inutile ricordare che la difesa della necessità della grazia è per Agostino la difesa della libertà cristiana. Partendo dalle parole di Cristo: "se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi" (Jn 8,36), egli si fece difensore e cantore di questa libertà che è inseparabile dalla verità e dall'amore. Verità, amore, libertà, i tre grandi beni, che appassionarono l'animo di Agostino e ne esercitarono il genio. Su di essi getto molta luce di intelligibilità. Per fermarsi un momento su quest'ultimo bene - quello della libertà - è il caso di osservare che egli descrive ed esalta la libertà cristiana in tutte le sue forme. Queste vanno dalla libertà dall'errore - la libertà invece dell'errore è "la peggior morte dell'anima" -, attraverso il dono della fede che assoggetta l'anima alla verità, fino alla libertà ultima e indefettibile, quella maggiore, che consiste nel non poter morire e nel non poter peccare, cioè nell'immortalità e nella piena giustizia. Tra queste due, che segnano l'inizio e il termine della salvezza, illustra e proclama tutte le altre: la libertà dal peccato opera della giustificazione; la libertà dal dominio delle passioni disordinate, opera della grazia che illumina l'intelletto e dà tanta forza alla volontà da renderla invitta contro il male, come sperimento egli stesso nella conversione, quando fu liberato dalla dura schiavitù; la libertà dal tempo che divoriamo e ci divora, in quanto l'amore ci permette di vivere ancorati all'eternità. Sulla giustificazione, di cui espone le ineffabili ricchezze - la vita divina della grazia, l'inabitazione dello Spirito Santo, la "deificazione" - fa un'importante distinzione fra la remissione dei peccati che è piena e totale, piena e perfetta, e il rinnovamento interiore che è progressivo e sarà pieno e totale solo dopo la risurrezione quando tutto l'uomo diventerà partecipe dell'immutabilità divina. Sulla grazia che fortifica la volontà insiste nel dire che essa opera per mezzo dell'amore e pertanto rende invitta la volontà contro il male senza toglierle la possibilità di non volere. Trattando delle parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni: "nessuno viene a me se il Padre non lo attira" (Jn 6,44), commenta: "non pensare di essere attratto contro la tua volontà: l'animo è attratto anche dall'amore". Ma l'amore, osserva ancora, opera con "liberale soavità", perciò "compie la legge liberamente chi la compie con amore": "la legge della carità è legge di libertà". Non meno insistente è l'insegnamento di Agostino sulla libertà del tempo, libertà che Cristo, Verbo eterno, è venuto a portarci entrando nel mondo con l'incarnazione: "O Verbo, esclama Agostino, che esisti prima dei tempi, per mezzo del quale furono fatti i tempi, anche tu nato nel tempo pur essendo la vita eterna, tu chiami all'esistenza gli esseri temporali e li rendi eterni". Si sa che il nostro dottore ha scrutato molto il mistero del tempo e ha sentito e ha ridetto il bisogno di trascendere il tempo per essere veramente. "Se anche tu vuoi essere, trascendi il tempo. Ma chi può trascendere il tempo con le sue forze? Ci elevi su in alto colui che ha detto al Padre: "Voglio che dove sono io, siano anch'essi con me" (Jn 17,24)". La libertà cristiana, di cui ho fatto poco più che un accenno, viene vista e studiata nella Chiesa, la città di Dio, che ne mostra gli effetti e, sostenuta dalla grazia divina, li partecipa, per quanto dipende da lei, a tutti gli uomini. E' fondata infatti sull'amore "sociale" che abbraccia tutti gli uomini e vuole unirli nella giustizia e nella pace; al contrario della città degli iniqui che divide e pone l'uno contro l'altro perché fondata sull'amore "privato".

Giova ricordare qui qualcuna delle definizioni della pace che Agostino ha coniato secondo le realtà alle quali viene applicata. Partendo dalla nozione che "la pace degli uomini è l'ordinata concordia", definisce la pace della casa come "l'ordinata concordia degli abitanti nel comandare e nell'obbedire"; così pure la pace della città; continua poi: "la pace della città celeste è la ordinatissima e la concordissima società di coloro che godono di Dio e vicendevolmente in Dio". Dà poi la definizione della pace di tutte le cose che è la tranquillità dell'ordine. Infatti definisce l'ordine stesso, che altro non è se non "la disposizione di realtà uguali e disuguali che dà a ciascuno il proprio posto". Per questa pace opera e a questa pace "sospira il popolo di Dio durante il suo pellegrinaggio dalla partenza al ritorno".



GPII 1986 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Castel Gandolfo (Roma)