GPII 1986 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Le Chiese e le religioni si impegnano per la pace



1. Nel cammino di preparazione alla Giornata ecumenica e interreligiosa di preghiera ad Assisi, ormai vicina, vorrei soffermarmi con voi, in questa breve meditazione prima dell'Angelus domenicale, per riflettere un istante sull'impegno delle Chiese e delle religioni per la pace. Siamo ben consapevoli del fatto che "la guerra può essere decisa da pochi, la pace suppone il solidale impegno di tutti" (Omelia del 25 gennaio 1986 a San Paolo fuori le mura). L'azione paziente e tenace per la costruzione della pace coinvolge quindi tutti: uomini di Stato e di governo, parlamentari, diplomatici, organismi internazionali pubblici e gruppi di ogni genere. Ma pure uomini e donne comuni, privati cittadini, sui quali normalmente si riverserebbe nel modo più gravoso l'immane peso della guerra; e poi i giovani, che così ardentemente aspirano all'intesa reciproca e alla fratellanza. Ma l'impegno per la pace deve coinvolgere più ancora i credenti. Ecco perché le Chiese cristiane e le grandi religioni del mondo considerano l'operare per la pace come uno dei loro compiti specifici. Per i credenti in Dio, poi, in un Dio "che ama la vita" (Sg 11,26), la mutua accettazione nel rispetto reciproco e nella solidarietà è una delle più logiche conseguenze del loro servizio a Dio e agli uomini. La consapevolezza della dimensione ultraterrena della vicenda umana non rende indifferenti nei confronti dei problemi che si pongono sulla terra. La parola di Cristo è chiara in proposito. Nel proclamare le beatitudini, egli enumera anche "gli operatori di pace, - ovviamente qui sulla terra - perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5,9).


2. Come "figli di Dio" e per diventarlo sempre più realmente, noi uomini e donne di fede, vogliamo quindi impegnarci in favore della pace. E questo, lo vogliamo fare insieme. Si, le nostre differenze sono molte e profonde. Esse non di rado, nel passato, sono state anche causa di dolorosi confronti. Ora il Signore ci fa meglio capire che, al di là delle nostre verità e divergenze, c'è l'uomo, c'è la donna, ci sono i bambini di questo mondo, a cui tutti vorremmo quello che di meglio abbiamo, la nostra fede che può trasformare il mondo. La comune fede in Dio ha un valore fondamentale. Essa, facendoci riconoscere tutte le persone come creature di Dio, ci fa scoprire l'universale fratellanza. Per questo vogliamo iniziare un cammino comune con il nostro incontro ad Assisi. L'azione politica, diplomatica, tecnica, non è il nostro compito, la nostra specifica competenza. Questa è soprattutto la preghiera, è l'invocazione del nome di Dio, è la supplica umile e fervente che trasforma i cuori. E siamo certi che questo nostro stare insieme per pregare, non mancherà di avere, per dono di Dio, un vero, profondo influsso sul presente dramma dell'umanità, la quale aspira profondamente alla pace.

Data: 1986-09-28 Domenica 28 Settembre 1986




A giornalisti d'una Radio Tedesca - Città del Vaticano (Roma)

Radicare la libertà d'informazione nella verità


Gentili signore e signori. Mi riempie di particolare gioia e soddisfazione, il fatto che la vostra visita di informazione quale delegazione della radio Sud-Ovest presso le diverse stazioni radio a Roma e in Vaticano abbia condotto anche a questo incontro di oggi. La vostra preghiera di potervi incontrare in questa occasione con il Papa significa che per voi il vostro lavoro nel campo dei mass-media è più che una semplice occupazione, più che una possibilità di guadagno o una semplice influenza personale sulle persone e sulla società. Voi siete convinti piuttosto del fatto che il vostro operare debba essere sostenuto da una profonda e onesta coscienza di responsabilità. Il modo con cui voi riferite e commentate gli avvenimenti può essere di grande utilità, come anche di grande danno. Potere rafforzare e incrementare la verità, la pace e la giustizia tra gli uomini ma anche darvi un influsso negativo e distruggerle. Solo un uso del microfono, nastro magnetico e schermo che si attenga ai valori morali può garantire al pubblico quell'informazione e quell'intrattenimento che corrispondano alle giuste esigenze dell'uomo, alla sua dignità e ai suoi diritti fondamentali, così come al bene comune. Possiate oggi, attraverso questo incontro in questo particolare luogo culturale e religioso, acquistare di nuovo coscienza della vostra responsabilità morale nel vostro lavoro così influente nella società, e sentirvi incoraggiati ad agire di conseguenza nella concretezza di ogni giorno. Come fossero "la coscienza della nazione", il cui controllo non arriva solo fino al singolo cittadino nel privato, ma addirittura sembra che le autorità, i parlamenti e persino la giustizia vi siano sottomessi. Questa è addirittura una troppo alta pretesa. La cosa decisiva è che gli stessi mass-media e coloro che vi partecipano riconoscano la propria responsabilità sui diversi piani decisionali e agiscano nel loro campo con coscienza. Solo così la necessaria libertà dell'informazione e la giusta indipendenza dei mass-media dalla politica e dagli interessi di parte portano non a un isolamento pieno di sé, ma a un vero essere ancorati ai valori di verità e giustizia, che superano i singoli uomini e le circostanze del tempo. Come cristiani siamo convinti che questi valori hanno la loro origine e il loro garante ultimamente in Dio stesso. Annuncio il mio grande apprezzamento per i vostri diversi lavori e compiti al servizio della comunicazione sociale. Contemporaneamente vorrei ringraziarvi in modo particolare per il vostro lavoro attraverso il quale vi adoperate per una giusta rappresentazione della vita ecclesiale e religiosa e per un'adeguata, comunicazione del messaggio e dei valori cristiani agli uomini.

La mia preghiera e la mia benedizione accompagnino voi e tutti i vostri collaboratori nella radio Sud-Ovest nel vostro futuro lavoro.

Data: 1986-09-29 Lunedi 29 Settembre 1986




Messaggio al popolo francese - Città del Vaticano (Roma)

Nonostante le prove, dimori fra voi il dono della pace


Cari amici di Francia. Per la terza volta mi reco da voi, dal 4 al 7 ottobre. Ne sono lieto e ringrazio vivamente coloro che mi hanno invitato, i vescovi di Francia e le autorità civili che hanno dato il loro consenso. Lione, Paray-le-Monial, Annecy e Ars, il paese del santo curato che è nato duecento anni fa sono le principali tappe. Luoghi di pellegrinaggio, nei quali sono felice di essere pellegrino a mia volta, luoghi santificati dai santi, la cui testimonianza è sempre vivente e fonte di grazia. "Là dove passano i santi, diceva il curato d'Ars, Dio passa con loro".

Non vengo primariamente per me, ma per voi, per il popolo cristiano di Francia, che desidera celebrare la sua fede con il successore di Pietro e con i suoi vescovi. Insieme ci fortificheremo nella fede e nell'amore. I santi hanno il genio dell'amore. E senza l'amore di Dio e del prossimo, che senso potrebbe avere la vita? So che una simile visita pastorale richiede preparativi considerevoli, e ringrazio tutti coloro che vi si dedicano al prezzo di grossi sacrifici, coscienti delle necessità spirituali di tutto il paese. Quanto a me, desidererei che tutto si svolgesse con semplicità. Apprezzerei contatti veri, una preghiera degna.

In questi giorni, cari amici di Francia, mi sono sentito ancora più vicino a voi con la simpatia e la preghiera, davanti agli attentati di odio che hanno ucciso e ferito innocenti e traumatizzato il vostro paese così attaccato alla libertà, alla pace, all'ospitalità. Da parte mia, vengo da voi con il messaggio di amore e di pace che ricevo dal Vangelo, che Gesù ha affidato specialmente a Pietro e ai suoi successori, un messaggio che raggiunge il meglio di ogni coscienza. Nonostante le prove, possa questo dono di pace e di fraternità dimorare con voi, cari fratelli e sorelle! Vi benedico tutti di cuore. Grazie e a presto!

Data: 1986-09-29 Lunedi 29 Settembre 1986




benedizione statua di san Michele - Città del Vaticano (Roma)

Affido a san Michele le sorti di Roma


Onorevole signor ministro, signor sindaco, illustri signori e gentili signore!


1. Nell'esprimere grato apprezzamento per le nobili parole con cui l'onorevole ministro per i Beni culturali e il signor sindaco hanno interpretato i comuni sentimenti, rivolgo un deferente, cordiale saluto a loro e a tutti i presenti. E' con viva gioia che mi trovo qui, nel giorno della festa dei santi arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, per questa significativa celebrazione del ritorno della celebre statua di san Michele arcangelo sulla sommità di questo Castello, che da essa prende nome. La presenza di tale effigie appartiene infatti al paesaggio e al volto di Roma ormai da molti secoli e ha acquistato una sua imponenza particolarmente maestosa e solenne da quando il mio predecessore Benedetto XIV inauguro, sul fastigio di questo edificio, l'attuale statua bronzea che raffigura l'Arcangelo nell'atto di riporre la spada nel fodero. Le testimonianze storiche di un culto reso in questo luogo all'arcangelo Michele portano molto indietro nel tempo. Notizie attendibili attestano l'esistenza, già dall'epoca di Papa Bonifacio IV, di una cappella dedicata al suo culto e situata nella parte alta di questo edificio. L'intenzione era, ovviamente, di affidare la Città alla protezione di questo arcangelo, nel quale già il popolo di Israele vedeva una sua guida sicura (cfr Da 12,1) e che la Chiesa di Cristo, nuova famiglia di Dio, poteva perciò continuare a invocare come celeste tutore.


2. Seguendo l'esempio dei miei predecessori, e in sintonia con la tradizione profondamente radicata nella pietà del popolo romano, anch'io desidero invocare san Michele arcangelo quale protettore di questa Città, le cui sorti affido alla sua intercessione e alla sua tutela. Protegga il santo arcangelo l'attività di tutti i romani, ne favorisca la prosperità spirituale e materiale; aiuti ciascuno a orientare la propria condotta secondo i dettami della norma morale; ravvivi negli amministratori della cosa pubblica la volontà di dedizione al bene comune nel rispetto delle leggi e del vero interesse dei cittadini; conforti l'impegno degli onesti nella promozione dei fondamentali valori della giustizia, della solidarietà e della pace; storni da questa città le calamità che ne insidiano il concorde impegno sulla via dell'autentico progresso: in particolare le calamità caratteristiche di questo nostro tempo che sono la dissacrazione della famiglia, la violenza e la droga. Con le parole di Dante, il vostro grande poeta, rivolgo anch'io al Signore la preghiera che tutte le riassume: "Come del suo voler li angeli tuoi / fan sacrificio a te, cantando osanna, / così facciano li uomini de' suoi" ("Purgatorio", XI, 10-12). Con questi voti rivolgo il mio pensiero benedicente all'intera popolazione romana, e specialmente agli infermi e ai bambini. E ora imparto alla restaurata statua dell'arcangelo san Michele, la mia benedizione, estendendola al complesso monumentale del san Michele che, dopo i lavori di restauro, viene destinato a funzioni di tutela e di valorizzazione del patrimonio culturale italiano.

Data: 1986-09-30 Martedi 30 Settembre 1986









Ad un pellegrinaggio calabrese - Città del Vaticano (Roma)

Olio alla lampada di san Francesco segno di anelito di pace


Venerati confratelli nell'episcopato, carissimi fratelli e sorelle della Calabria!


1. Sono sinceramente lieto di potermi incontrare oggi con voi, che siete diretti ad Assisi per offrire, a nome di tutta la Regione Calabra, l'olio per la lampada che arde perennemente presso la tomba di san Francesco. E' questo un significativo gesto, che ogni anno viene compiuto a turno da una Regione per manifestare la devozione di tutto il popolo italiano al suo grande santo patrono, così profondamente legato alla storia dell'Italia e a quella della Chiesa e dell'umanità. Saluto cordialmente tutti i presenti, con particolare pensiero ai vescovi, ai presidenti della Giunta e del Consiglio regionali, ai sindaci e ai presidenti delle amministrazioni provinciali di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria. I vostri vescovi, nel loro recente messaggio per la preparazione di tale pellegrinaggio francescano, hanno spiegato il simbolismo di questa offerta annuale: "L'olio è frutto della terra e del nostro lavoro, come preghiamo nell'offertorio della santa Messa. L'olio condisce, può servire come unguento, alimenta la fiamma che illumina e riscalda. Anche la figura di san Francesco di Assisi dà sapore cristiano alla nostra avventura umana. Portando la beatitudine evangelica della pace, egli riconcilia gli animi divisi nella Chiesa e nella società". La vita e la personalità del Poverello di Assisi sono straordinariamente ricche di molteplici aspetti della santità cristiana; ma indubbiamente uno dei messaggi, ispirati al Vangelo, che san Francesco ha vissuto in profondità e che continua a far risonare nelle coscienze dei contemporanei è quello dell'urgenza, dell'anelito alla pace. Quando, dopo la scelta totale e definitiva della vocazione a cui Dio l'aveva chiamato, egli con i suoi primi seguaci passava per le città e i villaggi, o sostava nelle piazze e nei casolari, ripeteva le parole, semplici e sublimi: "Pace e bene", che volevano essere non solo un augurio ma un impegno, che coinvolgesse gli ascoltatori, spesso dilaniati dalle divisioni e dalle lotte vicendevoli: regioni contro regioni, città contro città, villaggi contro villaggi, famiglie contro famiglie; nell'Italia medievale si innalzava e risonava la parola umile e dimessa, ma forte della potenza del Vangelo, di questo uomo di Dio, innamorato di Madonna Povertà, il quale viveva intensamente e originalmente la propria fraternità con tutti. Quest'umile frate fu visto e giudicato dai suoi contemporanei come "l'uomo nuovo, donato dal cielo al mondo" ("Fonti Francescane" [= FF] 1212). E nello spirito di Cristo, egli volle financo rendersi disponibile mediatore fra la cristianità e l'islamismo, giungendo a far visita al sultano d'Egitto, Melek-el Kamel, per presentargli - autentico profeta disarmato - il messaggio del Figlio di Dio incarnato.


2. Veramente possiamo dire che san Francesco fu non solo messaggero ma, ancor più, costruttore e operatore di riconciliazione e di pace: "ll Signore mi rivelo - egli dice - il saluto che dovevamo rivolgere dicendo: il Signore ti dia pace" (FF 121).

Il suo biografo, fra Tommaso da Celano, così presenta il comportamento del Poverello: "In ogni suo sermone prima di comunicare la parola di Dio al popolo, augurava la pace dicendo: il Signore ti dia pace! Questa pace annunziava sempre sinceramente a uomini e donne, a tutti quanti incontrava o venivano a lui. In questo modo otteneva spesso, con la grazia del Signore, di indurre i nemici della pace e della propria salvezza a diventare essi stessi figli della pace e desiderosi di salvezza eterna" (FF 359). Le cronache del tempo ci dicono che san Francesco riporto la concordia nella città di Arezzo, dilaniata da contese interne; ed è noto che, proprio nell'ultimo anno della sua vita, egli riusci a riappacificare il vescovo Guido II e il podestà di Assisi Oportulo. A questa straordinaria figura di cristiano e di santo, operatore instancabile di pace e di bene, ho inteso riferirmi quando ho invitato i rappresentanti delle varie Confessioni cristiane e di altre Religioni del mondo ad una "Giornata di preghiera per la pace", che si svolgerà il 27 ottobre ad Assisi, "luogo che la serafica figura di san Francesco ha trasformato in un centro di fraternità universale".


3. Ma questo odierno incontro porta alla memoria il mio viaggio apostolico, che ho compiuto nella vostra Regione dal 5 al 7 ottobre 1984: ricordo le tappe del mio pellegrinaggio calabrese: Lamezia Terme, Serra san Bruno, Paola, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria; questi nomi fanno riecheggiare nel mio animo le magnifiche manifestazioni di fede e di entusiasmo, che mi sono state testimoniate nel corso del mio intenso itinerario. Vorrei, in questo momento, nominare tutti coloro che prepararono quelle splendide giornate: i vostri vescovi, che nei prossimi giorni avro la gioia di incontrare singolarmente e in gruppo per la visita "ad limina"; i sacerdoti, i religiosi, le religiose; le autorità civili, politiche e militari; i rappresentanti dei giovani e del laicato cattolico e tutti i fedeli, che mi hanno circondato con il loro affetto e con la loro attenzione.

In questa occasione desidero ribadire e confermare quanto in quei tre giorni ho potuto dire a tutte le componenti della Chiesa di Dio che e in Calabria.

Anzitutto il mio affettuoso rispetto per la vostra Regione, nella quale il cristianesimo ha subito affondato le sue radici, rendendola feconda di alta spiritualità, nella fioritura di centri eremitici e monastici e altresi di eccezionali figure di santi: san Nilo, san Bonaventura di Rossano, san Francesco di Paola, il santo dell'umiltà e della carità. Questa ricca tradizione deve essere stimolo e sprone perché la Calabria di oggi - nei suoi sacerdoti, religiosi, religiose, uomini e donne - sappia dare una testimonianza di fede e di vita cristiana per la propria rinascita spirituale e anche economica e sociale.

Permangono - è vero - i problemi che concernono certe difficili condizioni di vita delle popolazioni; la disoccupazione giovanile, ma, soprattutto, alcuni aspetti relativi alla vita morale e religiosa e ai comportamenti etici, sia privati che pubblici. La vostra Regione è ancora - come vi dicevo - terra di contrasti e di contraddizioni: alla ricchezza di alcuni fa riscontro la ristrettezza, se non addirittura la povertà, di non pochi. In tale contesto socio-economico "hanno potuto manifestarsi e crescere fenomeni di segno negativo quali l'abbandono della campagna, l'emigrazione, la disoccupazione; e altresi, a fianco di queste tensioni, il permanere inquietante del fenomeno tristissimo della delinquenza organizzata".


4. Dinanzi a tali fenomeni aberranti i cristiani della Calabria debbono impegnarsi - tutti e a tutti i livelli - per formare una coscienza morale e sociale che coinvolga e spinga ciascuno a dare il proprio contributo per iniziative concrete e per assumere un atteggiamento di autentico servizio nei confronti della comunità civile. Riflettendo al loro glorioso passato le Chiese di Calabria hanno uno specifico compito da svolgere nella società regionale e nazionale: sarà necessario procedere anzitutto a una vera e propria nuova evangelizzazione e catechesi, per presentare tutto il patrimonio di valori cristiani, che possono orientare quel vero rinnovamento morale, che sta alla base del rinnovamento sociale ed economico: "Non perdete il senso autentico del bene e del male. La Legge Divina - vi dicevo - costituisce il fondamento di ogni vera giustizia, e solo tenendo conto di essa è possibile dare origine a modelli sociali conformi alla dignità umana. Quando si offusca la luce della norma morale, all'uomo viene a mancare la stella polare su cui orientare il proprio comportamento di vita ed egli finisce con l'organizzare la terra contro se stesso". Affido questi miei voti all'intercessione della Vergine santissima, dei vostri santi e delle vostre sante e di san Francesco d'Assisi, sulla cui tomba voi state portando l'olio degli ulivi di Calabria, simbolo della pace e della vostra ardente fede cristiana. La mia benedizione apostolica vi accompagni nel vostro pellegrinaggio ad Assisi e in tutta la vostra vita.

Data: 1986-10-02 Giovedi 2 Ottobre 1986




Alla Chiesa Luterana d'America - Città del Vaticano (Roma)

L'incontro di Assisi sia un autentico contributo alla pace


Cari fratelli in Cristo. Benvenuti a Roma, dove gli apostoli e i martiri Pietro e Paolo predicarono il Vangelo e versarono il loro sangue come testimonianza a Cristo.

Gesù Cristo, "l'unico mediatore tra Dio e l'uomo... che diede se stesso in riscatto per tutti" (1Tm 2,4-6), chiama i cristiani all'unità e alla riconciliazione gli uni con gli altri. L'unità dei cristiani perciò sarà sempre un argomento urgente. La Chiesa ha la santa missione di predicare il Vangelo della riconciliazione. Ogni autentico sforzo ecumenico aiuta a portare i cristiani più vicini a Cristo. Desidero congratularmi con voi per questo speciale viaggio ecumenico a Ginevra, Canterbury, Costantinopoli e Roma finanziato anche quest'anno dalla Chiesa Luterana in America per i suoi vescovi. Il fatto che siate ora raggiunti da un vescovo episcopalista e da un vescovo cattolico che sono attivamente impegnati nelle relazioni ecumeniche con le Chiese Luterane negli Stati Uniti indica il progresso ecumenico che si sta compiendo. Prego perché i vostri dialoghi continuino a portare frutto nella ricerca della piena unità nella fede. Il processo per la ricerca dell'unità è gioioso e gravoso. C'è un dolore a causa del peso di centinaia di anni di separazioni. Ma se Cristo è sempre il centro dei nostri sforzi ecumenici, diminuisce l'affanno e aumenta la gioia. Come san Pietro affermo: "Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciamo che tu sei il Santo di Dio" (Jn 6,68-69).

Sono a conoscenza che la Chiesa Luterana in America e due altre Chiese Luterane votarono nelle loro Convenzioni d'agosto di unirsi a formare la nuova Chiesa Evangelica in America, che incomincerà ad esistere nel 1988. Permettetemi di cogliere l'occasione per ringraziarvi di aver pregato per me durante la vostra convenzione della Chiesa Luterana in America. Vi prego di accogliere la mia gratitudine per ciò per il messaggio appena letto, al vescovo James Crumley al quale estendo i miei migliori auguri. Infine, vi chiedo di pregare per la riuscita della giornata di preghiera per la pace di Assisi, il 27 ottobre. Come sapete, i capi delle religioni cristiane e delle religioni del mondo sono stati invitati a dare una speciale testimonianza di preghiera per la pace quel giorno. Il Signore ha detto: "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5,9). Pregate perché con l'aiuto della grazia di Dio questa iniziativa ecumenica interreligiosa sia un autentico contributo alla pace nel mondo. "Grazie a voi e pace da Dio nostro Padre e Signore Gesù Cristo" (Ep 1,2).

Data: 1986-10-02 Giovedi 2 Ottobre 1986




Ai Missionari oblati di Maria - Città del Vaticano (Roma)

Nuovo soffio evangelico nella fedeltà al fondatore


Cari figli del beato Eugenio di Mazenod, membri del XXXI capitolo generale.

Provo un grande conforto ecclesiale nell'accogliervi poiché so che voi rappresentate quasi seimila religiosi consacrati alla evangelizzazione, specialmente tra le popolazioni diseredate. Che il Signore presieda egli stesso il nostro incontro così favorevole alla comunione degli spiriti e dei cuori!


1. Mi rivolgo innanzitutto a colui che avete appena eletto nuovo superiore generale, padre Marcello Zago, del quale ho apprezzato il buon lavoro al Segretariato per i credenti non cristiani. Gli presento i miei auguri di fruttuoso servizio ai Missionari oblati di Maria Immacolata. A nome della Chiesa devo anche ringraziare calorosamente padre Fernand Jetté. Tutti sanno che non ha risparmiato alcuna fatica per comunicare un nuovo soffio evangelico alla grande famiglia oblata. Possa egli aver più cura della sua salute così da poter servire ancora per lungo tempo la sua cara Congregazione perché gli sembra, in un certo senso, "di iniziare la sua opera poiché il cantiere che le apre davanti è ancora più vasto e più difficile dei tempi del fondatore".


2. Il capitolo del 1980 chiamava tutti gli oblati di Maria ad interiorizzare le Costituzioni e le Regole che aveva appena aggiornato e quindi a impegnarsi su una via di nuova conversione. Dopo due decenni, che hanno visto parecchi Istituti religiosi interrogarsi a moltiplicare le esperienze, talvolta al di là della soglia della saggezza, si è a poco a poco ritornati alle fonti primarie, a una rilettura serena e profonda del carisma dei fondatori. Voi stessi cari figli di mons. di Mazenod, provate la gioia di un'identità oblata meglio percepita e meglio vissuta, anche se resta del cammino da percorrere. Il capitolo del 1986 il cui tema è "La missione dell'oblato nel mondo di oggi", mi sembra nella stessa direzione del precedente e mi fa pensare all'adagio scolastico "operatio sequitur esse". Mi è stato gradito gettare uno sguardo sui lavori preparatori di questo capitolo. Ho colto una convergenza notoria delle diverse regioni della Congregazione in direzione di un lavoro missionario comunitario più nettamente consacrato alle popolazioni sfavorite, a costo di sacrificare gli impegni più personali. Questa prima convergenza ne fa apparire un'altra: l'accentuazione o anche la ripresa di una vera vita comunitaria, trasparente, fraterna, gioiosa, aperta, e quindi generatrice di fervore per la vostra vita religiosa e apostolica.

Da 160 anni gli oblati di Maria Immacolata hanno scritto un meraviglioso capitolo di storia missionaria della Chiesa contemporanea, dal Grande Nord all'Equatore. Mi permetterete di citare la grande figura di mons. Vital Grandin per il passato, e il coraggiosissimo presidente della Conferenza episcopale d'Africa del Sud, mons.

Hurley, per il presente. Rendo grazie a Dio per sentire che oggi un grande numero di oblati desiderano trascinare tutti i loro fratelli, vogliono cogliere a piene mani l'ideale portato dal loro beato fondatore in un'avventura evangelica missionaria della quale egli non osava immaginare il sorprendente sviluppo, visti i mille ostacoli incontrati sulla sua strada.


3. Questa "missione oblata" si svolge ora in luoghi e in un contesto culturale che non sono più quelli della Provenza e delle prime missioni "ad gentes" al tempo di mons. di Mazenod. Ahimè, il mondo moderno genera nuove miserie e nuovi poveri. Chi ci darà le statistiche esatte delle persone isolate, delle famiglie, delle popolazioni vittime di incessanti mutamenti socio-economici e culturali, sommerse da problemi che le sorpassano, scoraggiate da ingiustizie insopportabili, al punto di perdere il senso e il gusto della vita? Figli di Eugenio di Mazenod, il cui zelo per l'annuncio del Vangelo è stato paragonato al vento del mistrale, ereditari di una linea quasi due volte secolare di oblati appassionati a Gesù Cristo, lasciatevi più che mai attirare dalle folle immense e povere delle regioni del Terzo mondo occidentale stagnante nella miseria e spesso nell'ignoranza di Dio!


4. Le sintesi dei lavori preparatori di questo capitolo mettono anche in rilievo una condizione "sine qua non" di vitalità della Congregazione, cioè che gli oblati siano come avvinti, abitati dalla spiritualità del fondatore. Avete tutti in mente la grazia, senza dubbio di ordine mistico, accordata a Mazenod il venerdi santo dell'anno 1807. La sua contemplazione della passione sanguinante di Cristo fu determinante. Lo spinse irresistibilmente verso i poveri della Provenza e più tardi indirettamente dal suo episcopato a Marsiglia verso i poveri del mondo intero. La domanda fondamentale che egli pone oggi a tutti i suoi figli attraverso la voce del successore di Pietro è breve e sconvolgente: "Gesù Cristo è al centro della vostra vita?...".


5. Questo fervore di ogni oblato e di ogni comunità è la chiave del problema delle vocazioni. Come potrebbero dei giovani bussare alla porta di comunità mediocri, smarrite nel secolarismo? Da cinque anni sono stati dati notevoli incoraggiamenti attraverso gli insediamenti della Polonia, dell'Italia, del Lesotho, dello Zaire.

Avete raddoppiato il numero dei vostri studenti novizi tra il 1981 e il 1986.

Vogliate richiamare la vita missionaria oblata nel ministero presbiterale, ma anche nel servizio ben preparato e molto prezioso del fratello oblato. Continuate ad associare ampiamente il laicato cristiano ai vostri compiti di evangelizzazione dei poveri. Sappiate ascoltare la voce della giovane generazione oblata. Certamente i giovani non possono possedere la saggezza degli anziani. Tuttavia le loro aspirazioni, quando sono generose e sostenute giudiziosamente, costituiscono una grazia di rinnovamento per gli Istituti religiosi. Non posso mancare d incoraggiare molto vivamente il Consiglio generale e i provinciali di dare a tutti questi giovani una formazione filosofica e teologica, spirituale e pastorale di grande qualità in totale armonia con il magistero della Chiesa. Dicendo ciò, penso infatti che la vostra Congregazione come molte altre è chiamata a raccogliere una grande sfida: quella di annunciare Gesù Cristo all'uomo di oggi così facilmente abbagliato dalla scienza e dalla tecnologia e vittima di un materialismo ingannevole e annientante. Ovunque voi siete, in Europa, in America del Nord e del Sud, in Africa e in Asia, unitevi più che mai e cooperate al massimo tra regioni e province per annunciare Cristo e il suo Vangelo consolatore liberatore.

Vorrei finire questa conversazione familiare invitandovi a guardare di nuovo al luogo della Vergine Immacolata nella vostra vita personale, nelle vostre comunità e nel vostro lavoro missionario, vi ricordo che il beato Eugenio, avendo inizialmente deciso sul nome di "Oblati di san Carlo", ebbe a Roma una differente intuizione "Oblati di Maria". Il 22 dicembre 1825, egli scrisse al padre Tempier: "Oblati di Maria! Questo nome soddisfa il cuore e l'udito!". Sapete anche che il 15 agosto 1822 dopo aver meravigliosamente esaltato la Madre di Dio nella Chiesa della Missione, situata in Corso Mirabeau ad Aix e dopo aver benedetto una statua di Maria Immacolata, il vostro fondatore attribui a questa Madre di Dio una grazia singolare una sicurezza interiore del merito della sua società e del bene che avrebbe fatto in futuro. Cari figli del beato Eugenio di Mazenod, sempre e dovunque siate i missionari oblati di Maria Immacolata! Sotto la sua protezione siete sicuri di non perdere mai coraggio, fiducia, pace e gioia. Sono felice di darvi la mia benedizione apostolica e di estenderla a tutti gli oblati che rappresentate.

Data: 1986-10-02 Giovedi 2 Ottobre 1986




Ai vescovi del Nord-Africa in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Fedeli alla propria fede fortificando l'identità cristiana


Cari fratelli nell'episcopato


1. Quasi cinque anni fa vi ho ricevuti in visita "ad limina", e la mia gioia è sempre così grande nell'accogliervi, per sentire la testimonianza particolare della vita delle vostre comunità cristiane, e per confermarvi nella speranza.

Ringrazio il signor presidente per il suo omaggio; ringrazio il caro card. Duval e ciascuno dei vescovi che partecipano a questo incontro. Voi stessi ci tenete a fare di questa visita un tempo forte dei legami che vi uniscono alla Santa Sede e per mezzo suo alla Chiesa universale: avete previsto degli scambi approfonditi con tutti i Dicasteri. La vostra situazione di cristiani dispersi in un mondo musulmano vi fa sentire ancor di più la necessità di situarvi proprio nel cuore della Chiesa universale, e di apportarvi il vostro contributo. Da parte mia, ho ben presente le diverse situazioni di ciascuna delle vostre diocesi, prelature o vicariati apostolici; e attraverso le vostre persone, saluto tutti i cristiani affidati alla vostra responsabilità pastorale, con un pensiero speciale per coloro che sono provati e in situazioni di precarietà.


2. Quest'anno, la Chiesa intera ha gli occhi fissi sull'Africa del Nord per l'anniversario della conversione di sant'Agostino. Questo avvenimento memorabile ha dato luogo non solo alla mia lettera apostolica "Augustinum Hipponensem" ma a numerose manifestazioni culturali e spirituali, a Roma e altrove. Mons. Gabriel Piroird vi ha consacrato un interessante studio. Infatti il grande vescovo di Ippona ci dà l'esempio di un itinerario sorprendente - nel quale possiamo ammirare la grazia di Dio e la disponibilità di Agostino - e quello di un insegnamento teologico, spirituale e pastorale approfondito che non cessa d'illuminare la Chiesa e di nutrirla. E - senza dimenticare san Cipriano - un grande onore per tutte le Chiese dell'Africa del Nord, e una fonte di speranza. Certamente i tempi sono cambiati anche se sant'Agostino ha conosciuto grandi difficoltà all'interno e all'esterno della Chiesa, le vostre sono di un altro ordine. Non sapete come e quando il Signore farà fruttificare il vostro ministero. Il grano può rimanere a lungo sotterrato in terra. Ma io prego perché la stessa speranza ci abiti, poiché noi portiamo lo stesso tesoro della fede di sant'Agostino, noi siamo caricati dallo stesso spirito per affrontare un'altra situazione. E la parola guida di questo pastore, l'amore, è sempre la chiave del nostro ministero. Sono sicuro che tutta la Chiesa si sente solidale con il vescovo di Costantina e di Ippona e con tutti i vescovi dell'Algeria, della Tunisia, del Marocco, della Libia.


3. Sono consapevole della situazione particolare che vivete e apprezzo il vostro lavoro paziente. Voi occupate un posto speciale in rapporto alle cristianità ben stabilite e anche in rapporto alle giovani Chiese delle missioni che sono installate e che progrediscono con la partecipazione delle popolazioni autoctone.

La vostra situazione è piuttosto quella dei cristiani minoritari nei paesi in cui l'Islam pervade tutta la società e le sue strutture, con ancora questa particolarità che le vostre comunità sono abbastanza disperse, formate da stranieri, soprattutto da laici che cooperano per un tempo limitato nel vostro paese, appartenenti a lingue e culture diverse. Il decreto "Ad gentes" (AGD 12) non ignorava una simile situazione dichiarando: "Nella loro vita e attività, i discepoli di Cristo intimamente uniti agli uomini, sperano di presentare loro la vera testimonianza di Cristo e lavorare in vista della loro salvezza, anche là dove non possono pienamente annunciare Cristo". Significa che voi vivete in una situazione originale che ha il suo posto nella Chiesa e che è anche capace di aiutare altre Chiese. Potete contare sulla nostra vicinanza del cuore, sulla nostra comprensione, sui nostri incoraggiamenti e sulla nostra preghiera. Nel 1981 avevo già tracciato con voi alcuni orientamenti; con i cristiani di Casablanca, l'anno scorso, ho collocato il loro ruolo particolare. E so che l'organizzazione della vostra Conferenza episcopale vi permette di approfondire la riflessione e di prendere, in comunione con la Santa Sede, decisioni responsabili sui punti delicati che vi si presentano. Mi fermo soltanto su alcuni aspetti.


4. Innanzitutto conosco lo sguardo positivo che avete sui paesi nei quali siete pastori. Molti di voi sono nati. Avete adottato, quando avete potuto farlo, la nazionalità. Ne praticate la lingua. In questo senso non siete stranieri, e nemmeno lo sono i preti e i religiosi che lavorano con voi. Voi amate gli abitanti di questi paesi nei quali vedete dei fratelli e delle sorelle. Condividete le loro gioie e le loro preoccupazioni sull'avvenire, compreso l'avvenire economico che soffre della crisi internazionale in diversi settori. Conoscete i bisogni immensi dell'istruzione dei giovani, delle cure sanitarie, e siete pronti a portare il contributo della Chiesa, per il bene del paese, per il suo sviluppo che vi sta veramente a cuore. Cercate anche di promuovere il dialogo con i musulmani: voi conoscete gli aspetti buoni e santi di ciò che essi vivono, la loro fedeltà alla preghiera, la loro preoccupazione di osservare la legge di Dio.


5. Il vostro ministero a contatto con questi popoli musulmani e dei loro responsabili conosce evidentemente dei limiti. Nel dialogo rispettoso che voi perseguite sinceramente, non avete sempre l'impressione di incontrare la stessa disponibilità, gli interlocutori auspicati. Inoltre, la legge islamica ingloba fortemente tutti i rapporti sociali, al punto di rendere la Chiesa come marginale.

Avete coscienza di essere il piccolo gregge del Vangelo tra una moltitudine di altri credenti la cui fede è molto forte. Ciò suppone, presso i vostri cristiani, il rispetto, la stima, la comprensione di questa fede musulmana, che può stimolare anche in essi il senso dell'adorazione e della generosità verso Dio; ma bisogna anche fortificare la loro identità cristiana per permettere loro di essere fedeli alla propria fede, di viverla senza complessi e di darne testimonianza specifica che essendo essa rispettosa delle altre, si fa rispettare in nome della libertà di coscienza e per la qualità spirituale e morale della vita. I cristiani pensano che questo ambito della coscienza sia sacro, personale, nel quale ogni anima è responsabile davanti a Dio della sua adesione alla verità. Davanti agli amici musulmani di Casablanca, dicevo: "Il rispetto e il dialogo richiedono la reciprocità in tutti i campi, specialmente per quanto concerne le libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa" (19 agosto 1985). Noi osiamo sperare che, attraverso una maturazione degli spiriti compatibile con la fedeltà, la situazione si migliora sempre di più nel senso del vero dialogo e del rispetto delle persone. E' la convinzione della Chiesa, ben formulata dal Vaticano II, ma si può dire anche che c'è in proposito un consenso generale dell'opinione pubblica e delle organizzazioni internazionali.


6. Per quanto riguarda le comunità cristiane che sono sotto la vostra giurisdizione la linea pastorale è chiara. Esse assicurano una presenza qualificata della Chiesa in questi paesi, come espressione normale della fede dei loro membri. Non si tratta soltanto di una comunità di cristiani all'estero, ma di un'unità che fa corpo, che forma una Chiesa locale, ramificata, unita, solidale, capace di dare una testimonianza comunitaria. Il primo dovere dei pastori è di vegliare sul sostegno spirituale di questi cristiani, compito difficile vista la loro diversità, la loro dispersione, la loro presenza temporanea. Possono incontrare delle comunità accoglienti, desiderose di aiutarli, e di integrarli! Apprezzo molto gli sforzi che impiegate per la formazione della fede dei bambini, dei giovani, degli adulti; dei non praticanti, che siano permanenti o di passaggio, grazie alla catechesi, alle omelie, alla stampa. La loro fede infatti ha bisogno di essere nutrita, consolidata, affinché essi conservino la loro identità cristiana. Alcune categorie richiedono una sollecitudine speciale: quella degli studenti africani cristiani, il cui sradicamento in paesi musulmani mette la loro vita cristiana alla prova; e le donne cristiane che hanno sposato dei musulmani e che occupano anche una posizione difficile per la loro fedeltà e interessante allo stesso tempo per le loro relazioni naturali con il mondo dell'Islam.


7. La partecipazione dei cristiani alle assemblee eucaristiche, ai sacramenti, ai gruppi di preghiera, di riflessione biblica o di apostolato, a tutto ciò che può nutrire la loro fede, deve anche aiutarli a portare la testimonianza che conviene nel cuore del popolo. mons. Michel Callens ha giustamente intitolato il suo rapporto: "Voi sarete i miei testimoni". Questa testimonianza comporta tre aspetti. Una presenza contemplativa dei discepoli di Gesù Cristo, che vivono in un ambiente di musulmani: senza proselitismo, essi pregano discretamente in mezzo a loro, secondo la loro fede, offrono al Signore tutta la vita di coloro che li circondano e tessono con essi dei semplici legami di amicizia. Il padre de Foucauld e coloro che vivono secondo il suo insegnamento rimangono a questo proposito degli esempi, ben adatti a questo mondo musulmano; non dimentico tuttavia tutte le altre comunità di religiosi e di religiose, la cui presenza è fonte misteriosa di grazia e di illuminazione. Ma esistono altre forme di testimonianza che soprattutto i laici sono invitati a dare. Avete sviluppato questo tema in vista del prossimo Sinodo. E' tutta l'attività di servizio disinteressato e competente dei cristiani, penso per esempio ai medici, ai professori, l'aiuto allo sviluppo, all'educazione, alla sanità; opera per la quale si può esprimere il loro amore fraterno durante il tempo della loro cooperazione. A Casablanca ho insistito sull'importanza di questa testimonianza tipica dello spirito evangelico. I cristiani devono anche lasciar vedere ai loro fratelli musulmani che l'affermazione della propria fede, la preghiera, di adorazione e di lode, il sacrificio equivalgono al digiuno, hanno una grande importanza nella loro vita.

Altrimenti sarebbe uno scandalo per dei musulmani scoprire un minor senso religioso nei loro amici cristiani.


8. Vi preoccupa una questione che non voglio trascurare, è quella del rinnovamento del personale religioso: sacerdoti, religiosi, religiose, laici consacrati. Sono loro, alla fine, coloro che costituiscono i quadri permanenti delle vostre Chiese.

Un certo numero ha o aveva in carico delle istituzioni, altri assicurano dei servizi sociali attraverso un lavoro indipendente. Ora molti sono anziani, stanchi, e gli istituti religiosi possono difficilmente assicurarvi un ricambio.

In più essi soffrono di una certa precarietà. Ciò che giustifica la loro presenza e assicura la loro stabilità in molti casi, sono dei contratti di lavoro che sfortunatamente sono meno facilmente rinnovabili oggi. Si comprende inoltre che i responsabili di questi paesi, disponendo ora di compatrioti più preparati, facciano minore richiesta di un contributo professionale di persone originarie di altri paesi. I religiosi sono a buon diritto preoccupati del loro avvenire.

Tuttavia, non vorrei che i vostri preti si lasciassero scoraggiare. Cerchino di trovare nuove vie di presenza religiosa che sarebbero sempre dei servizi apprezzati dalla popolazione. Incoraggio la vostre Chiese a trovare delle soluzioni per il ricambio di questo personale con l'aiuto di altre Chiese. Poiché tutti devono comprendere che una presenza cristiana, religiosa, nell'Africa del Nord è benefica per gli abitanti e importante per la Chiesa universale.

Le religiose, da parte loro possono trovarsi in situazioni difficili.

Sono sicuro che voi, pastori, siate comprensivi e siate loro vicini evitando che esse siano troppo caricate, considerando il loro piccolo numero e tenendo conto che la loro vocazione alla vita religiosa ha delle esigenze precise, anche quella di un'assistenza religiosa sufficiente e regolare. Direte loro che il Papa, come loro vescovo, stima molto la loro dedizione, si congratula della loro gioia e invia loro i suoi incoraggiamenti più cordiali. Terminando questo intrattenimento familiare, vi affido il compito di dire a tutti i vostri diocesani il mio affetto e i miei voti ferventi. Il Papa apprezza vivamente la loro sollecitudine di essere presenti come cristiani in mezzo a dei musulmani, il loro dialogo leale, il loro spirito di servizio, la fermezza della loro fede, il loro senso della Chiesa. Che questo legame con il successore di Pietro e con la Chiesa universale di cui sono parte integrante li conforti! Auguro loro la pace e la gioia nel servizio del Vangelo, la pace e la gioia di Maria, l'ancella del Signore. Di cuore li benedico e vi benedico.

Aggiungo voti cordiali per tutti gli abitanti dell'Algeria, del Marocco, della Tunisia, della Libia, per coloro che hanno la responsabilità del bene comune per le famiglie, in particolare per i giovani che preparano l'avvenire dei paesi, per gli ammalati, e tutti coloro che sono nella prova: che l'Onnipotente doni loro ogni giorno il suo conforto e li mantenga nella pace.

Data: 1986-10-03 Venerdi 3 Ottobre 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)