GPII 1986 Insegnamenti - All'aeroporto internazionale di Satolas - Lione (Francia)

All'aeroporto internazionale di Satolas - Lione (Francia)

Vengo ad annunciare l'amore di Dio, cammino della vera pace


Signor presidente.


1. Ringrazio vivamente vostra eccellenza per le parole di benvenuto. Sono molto commosso che lei sia venuto personalmente ad accogliermi nuovamente sul suolo di Francia. In lei rendo omaggio a colui che incarna la sovranità del Paese, con l'importante incarico di presiedere al suo destino in questa difficile ora, e rendo omaggio a tutta la nazione francese. Ringrazio insieme a lei tutti coloro che hanno preparato con cura questo viaggio con sforzi di cui mi rendo pienamente conto, e grazie a una lodevole collaborazione tra rappresentanti dell'amministrazione civile e rappresentanti della Chiesa. Voglia permettere, signor presidente, che saluti anche i miei confratelli nell'episcopato, che mi hanno invitato, con suo gradimento, e che sono venuti ad accogliermi qui, in particolare il card. Albert Decourtray, arcivescovo di questa città, mons. Jean Vilnet, presidente della Conferenza episcopale, con i cardinali francesi, i cardinali e i prelati invitati da altre nazioni, e i vescovi della regione, in particolare mons. Gabriel Matagrin, la cui diocesi è qui vicino.

Con loro, con i fedeli cattolici di questa nazione, avremo molte altre occasioni di dialogo.


2. Dall'inizio di questo viaggio pastorale, il mio pensiero si rivolge a tutto il popolo francese. Sono certo che esso comprende il vero scopo della mia visita, anche se essa interessa direttamente coloro che condividono la fede cristiana. Il Vescovo di Roma porta la sollecitudine di tutte le Chiese; egli viene a confermare i fratelli nella fede e a riceverne la testimonianza, in uno scambio, simpatico e fruttuoso. Egli svolge anche la missione universale di messaggero di pace, che quasi tutti gli Stati riconoscono. In Italia visito le province una dopo l'altra.

Negli altri stati compio generalmente una sola lunga visita. Si deve riconoscere che la Francia è particolarmente vicina, visto che ho la gioia di venirvi per la terza volta! Oggi, il motivo della mia presenza è dato dall'omaggio che desidero rendere ad alcuni grandi santi e dalla visita a luoghi di pellegrinaggio. Sono questi gli atti specifici della mia missione spirituale.


3. So che la storia, le ricchezze culturali e il dinamismo attuale della Francia si esprimono anche in molti altri campi. La Francia è una grande nazione, dalla storia prestigiosa, nota alle altre nazioni e particolarmente alla mia natia Polonia. Il suo attuale posto nel mondo le conferisce un ruolo significativo nella vita internazionale. Si conta molto sulle sue vedute generose e realistiche per contribuire a placare le tensioni, promuovere la giustizia, rafforzare la pace, sviluppare con i paesi del Terzo mondo una cooperazione particolarmente utile, nell'onore e nell'equità. Siamo perciò veramente costernati nel vedere gli attentati alla pace che la Francia subisce in questo momento sul proprio territorio o altrove. La Francia è anche, e forse soprattutto, una grande tradizione culturale, che ha prodotto numerosi capolavori letterari, artistici, architettonici, in patria e altrove, e che ha impresso un dinamismo particolare nel mondo del pensiero, con un'attenzione alla lucidità, all'equilibrio, alla raffinatezza. Come non augurarsi che la Francia testimoni ancora questo genio, in ciò che ha di migliore affiancandolo a quello delle altre civiltà, come fattore stimolante in spirito di apertura e di fraternità?


4. Ma penso anche che, legata a questa tradizione culturale, o addirittura alla sua radice, vi è una tradizione spirituale, frutto della fede di tutto un popolo che ha innalzato cattedrali, prodotto opere mistiche, promosso innumerevoli iniziative di carità, intrapreso un'epopea missionaria, o, più semplicemente, plasmato quotidianamente l'anima dei vostri connazionali con le sue virtù di fede, di tenacia nella prova, di libertà, di dono di sé, di perdono. I santi hanno ampliamente contributo a questa animazione. Essi sono stati simili a fari che rischiarano il cammino. Diceva Bernanos: "I santi hanno il genio dell'amore". E l'indimenticabile Pascal, genio scientifico, letterario e spirituale, aveva affermato: "Da nessun corpo e da nessuno spirito si potrebbe trarre un movimento di vera carità: esso è di un altro ordine".


5. Questo amore, per noi credenti, affonda le sue radici nell'amore di Dio. Esso trova nei confronti del prossimo applicazioni sempre nuove, ardite, come nel caso del curato d'Ars, del padre Chevrier a fianco degli operai di Lione, o in Francesco di Sales nello Chablais all'epoca dei conflitti religiosi. Questo amore cerca la giustizia, la tolleranza, la libertà, il rispetto degli altri, della loro coscienza e della loro vita. Esso è il cammino della vera pace. Pensiamo che oggi ne abbiamo tutti un gran bisogno, nelle famiglie, nei quartieri in cui vivono fianco a fianco uomini di origini diversissime, nelle imprese in cui gli interessi si contrappongono, tra le nazioni ricche e quelle povere, tra i popoli della terra che lui stesso, signor presidente, visita da Est a Ovest. Sarà questo il mio messaggio nella vostra patria, per i fedeli cattolici e per tutti coloro che vorranno liberamente ascoltarlo. Il mio discorso non potrà ignorare gli sforzi coraggiosi da intraprendere, i valori morali da promuovere o da riaffermare. Il cammino della felicità e del bene non è un cammino facile. Chi ha una responsabilità nella società lo sa bene. Ma l'essenziale è dare il gusto del bene, l'impulso dell'amore, la gioia della pace, la speranza. Mi auguro che il mio itinerario spirituale a Lione, a Taizé, a Paray-le-Monial, ad Ars, ad Annecy, vi contribuisca, grazie all'accoglienza del popolo francese. Dio mantenga la Francia e la mantenga in pace! Signor presidente, le rinnovo tutta la mia gratitudine e i miei auguri per lei e per la sua cara nazione.

Data: 1986-10-04 Sabato 4 Ottobre 1986




Incontro ecumenico nell'anfiteatro - Lione (Francia)

Preghiera e conversione del cuore, via maestra dell'ecumenismo


Carissimi fratelli e sorelle in Cristo.


1. Avete voluto che la mia visita pastorale in questa regione della Francia avesse inizio con questo incontro di preghiera, in questo luogo altamente simbolico dove nel 177 un folto gruppo di cristiani subirono orribili torture e infine la morte per testimoniare la loro fedeltà a Gesù Cristo. Questa testimonianza e questo sacrificio dei vostri primi martiri appartengono a tutti i cristiani e a tutte le Chiese, come ha appena ricordato il mio amato confratello il card. Decourtray. Vi ringrazio di avermi offerto l'occasione di meditare su questa comune eredità e di pregare con voi perché siamo degni successori di questi grandi testimoni di Cristo. "Sono cristiano", rispose con semplicità e fermezza uno di questi martiri, il diacono Sanctus, ai suoi carnefici. E "questa affermazione faceva per lui le veci di nome, di città, di razza, di tutto", come viene precisato nella lettera dei cristiani di Lione e di Vienne (Eusebio, "Hist. Eccl." V, 1,20). Noi pure siamo cristiani e tutta la nostra esistenza presente e futura, tutta la nostra vocazione, tutta la nostra missione, sono comprese in questo titolo. Siamo cristiani, vale a dire siamo di Cristo ed è in lui che "il Dio di ogni grazia ci ha chiamati" (cfr 1P 5,10), è "per la grazia del Signore Gesù che crediamo di essere stati salvati" (Ac 15,11), è nel suo "Spirito che siamo stati battezzati per formare un solo corpo" (1Co 12,13). E' lui che ci manda "in tutto il mondo a predicare il Vangelo a ogni creatura" (Mc 16,15). I martiri di Lione e di Vienne erano pienamente consapevoli che il titolo di cristiano significa questa straordinaria ricchezza e questa grande responsabilità. Non vollero rinnegare Colui che aveva comunicato loro la sua vita e li aveva chiamati ad essere suoi testimoni. Sappiamo che sono ancora oggi numerosi, sparsi in tutto il mondo, coloro che subiscono oltraggi, che sono esiliati, perfino torturati a causa della loro fedeltà alla fede cristiana. In essi Cristo manifesta la sua potenza. I martiri di oggi e i martiri di ieri ci circondano e ci sostengono perché teniamo fisso lo sguardo su Gesù, che è il capo della nostra fede e la perfezione (cfr He 12,2).


2. Cristiani di Lione, di Vienne, di Francia, cosa fate dell'eredità dei vostri gloriosi martiri? Certo, non siete consegnati oggi alle bestie feroci, non si cerca di uccidervi a causa di Cristo. Ma si può forse negare che un'altra forma di prova pesa insidiosamente sui cristiani? Correnti di pensiero, stili di vita e talvolta perfino leggi opposte al vero senso dell'uomo e di Dio, minano alle basi la fede cristiana nella vita delle persone, delle famiglie, della società. I cristiani non vengono maltrattati, godono addirittura di ogni libertà; ma non esiste forse il rischio concreto di vedere la loro fede imprigionata da un ambiente che tende a relegarla nell'ambito della sola vita privata dell'individuo? La grande indifferenza di molti riguardo al Vangelo e al comportamento morale che esso esige, non è forse un modo di sacrificare oggi, progressivamente, a questi idoli che sono l'egoismo, il lusso, il godimento, il piacere ricercati ad ogni costo e senza limiti? Questa forma di pressione o di seduzione sarebbe capace di uccidere l'anima senza attaccare il corpo. Lo spirito del male che aggrediva i nostri martiri è sempre all'opera.

Attraverso altri mezzi, continua a tentare di fuorviare dalla fede. Cristiani di Lione e di Francia, non lasciatevi sorprendere né ingannare. Nel nostro mondo, che offre all'uomo tante possibilità di autentica libertà e di crescita spirituale, che ha realizzato progressi immensi al servizio dell'uomo, cosa fate voi per smascherare questi idoli dei nostri tempi, per liberarvene? Possiate voi avere sempre il discernimento e il coraggio della fede. Avete qui un compito comune da svolgere. Un solo e unico Battesimo vi ha consacrati in Cristo. Nella fedeltà alla sua Parola, senza fare da soli nulla di ciò che potete fare insieme per rispondere alle esigenze dell'uomo di oggi, "restate fermi nella fede" (2P 5,9)


3. Sulla via verso la piena comunione tra i discepoli di Cristo, l'opera ecumenica dei cristiani di Lione, quella di ieri e quella di oggi nelle sue diverse realizzazioni, è ben nota ed è stata ricordata proprio ora da S.E. mons. Zakarian.Il cammino delle nostre Chiese verso l'unità raggiunge sempre nuove tappe. Ma agli occhi di molti, particolarmente a quelli delle giovani generazioni, questo cammino è lento, troppo lento, rispetto a ciò che chiede Cristo che vuole l'unità "perché il mondo creda" (Jn 17,21). Ritrovare insieme un'espressione comune della fede, base dell'unità organica tra i cristiani, esige certamente molto lavoro, molto discernimento, molti scambi e di conseguenza molto tempo. Ora che abbiamo ritrovato una fiducia reciproca e stabilito già una collaborazione tra le nostre Chiese e comunità cristiane, siamo in grado di vedere più chiaramente ciò che ancora ci separa. Si tratta spesso di punti delicati e importanti che riguardano i nostri modi di comprendere la parola di Dio, di trasmettere la dottrina corrispondente al "buon retaggio" (cfr 2Tm 1,4), di "ascoltare ciò che lo Spirito dice alle Chiese" (Ap 3,22) di vivere i misteri della fede, di comprendere la natura e il compito della Chiesa. Il movimento ecumenico è frutto dello Spirito Santo. Non bisogna né retrocedere, né fermarsi su questo cammino. I responsabili delle Chiese e i teologi hanno gli uni come gli altri delle gravi responsabilità per eliminare gli ostacoli sulla via verso la piena comunione, e vigilare allo stesso tempo perché essa corrisponda autenticamente alla verità del progetto di Cristo sulla sua Chiesa, nel rispetto della legittima diversità delle usanze, delle culture e delle sensibilità spirituali, che il grande vescovo Ireneo conciliava con la necessaria unità della fede e delle Chiese. Quale Vescovo di Roma, successore di Pietro, sono perfettamente consapevole di essere impegnato in special modo a servire l'unità di fede e d'amore. Ma non esiste forse il rischio che i progressi conseguiti a livello di coloro che portano le più grandi responsabilità restino privi di effetto, perché insufficientemente compresi e vissuti dal popolo cristiano? Dobbiamo chiedere incessantemente allo Spirito Santo di suscitare in noi intuizioni, audacia e l'umile disponibilità necessarie per poter accogliere, con prudenza e fiducia, nella vita quotidiana delle nostre parrocchie e di tutte le nostre comunità, le conoscenze già acquisite. Si tratta di mettere in pratica questi progressi con piena lealtà, senza confonderli con il fine, cosa che rischierebbe di fermarci nel nostro cammino anziché incitarci a proseguirlo. Tutto questo non ci distoglie in alcun modo dal nostro servizio all'uomo. Al contrario i cristiani, avvicinandosi gli uni agli altri nella ricerca dell'espressione di una stessa fede, devono trarre da essa nuovo impulso per la giustizia e la pace, per il rispetto e la dignità di ogni uomo. Non occorre insistere su questo aspetto in questa Chiesa di Lione, nella quale la preoccupazione per i più poveri ha suscitato e continua ancora oggi a suscitare iniziative mirabili.


4. Ma riguardo alla causa dell'unità, come a tutte le altre, è indispensabile corrispondere sempre all'azione della grazia divina. Ecumenismo spirituale della preghiera e della conversione del cuore: ecco la via maestra, il cammino obbligato, il fondamento di tutto l'ecumenismo. La Chiesa cattolica lo ha chiaramente sottolineato nel suo decreto conciliare "Unitatis Redintegratio" (UR 8). Ha fatto sua, infatti, la mirabile intuizione di padre Paul Couturier, apostolo dell'unità dei cristiani, che esattamente ottant'anni fa fu ordinato sacerdote per la diocesi di Lione. Ricordo che fu lui a rinnovare la Settimana di preghiera per l'unità, e che, per sua iniziativa, nacque il "Groupe des Dombes" che da quasi cinquant'anni, animato sempre dal suo spirito di preghiera e di riconciliazione, continua a promuovere scambi e iniziative volti ad aprire linee di convergenza nella nostra ricerca di unità nella fede. L'abate Couturier voleva per la Chiesa universale i frutti di questa preziosa eredità lasciata alla Chiesa dai martiri di Lione e di Vienne: "Essi andarono a Dio nella pace, senza lasciare inquietudini alla loro Madre (la Chiesa), o motivi di dissenso o conflitto ai loro fratelli, ma al contrario lasciando gioia, pace, concordia e amore" (Eusebio, "Hist. Eccl." V, II,7). Fortificati dalla gloriosa testimonianza di coloro che proprio qui diedero la vita per Cristo, uniamoci in un'unica preghiera. Chiediamo soprattutto al Signore, secondo la bella formula di padre Couturier, che possa realizzarsi l'unità visibile di tutti i cristiani, "quale Cristo la vuole e attraverso tutti i mezzi che vorrà". Come lo abbiamo appreso dal Signore e obbedienti al suo comandamento possiamo dire "Padre nostro che sei nei cieli / sia santificato il tuo nome; / venga il tuo regno; / sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. / Dacci oggi il nostro pane quotidiano / e rimetti a noi i nostri debiti / come noi li rimettiamo ai nostri debitori, / e non ci indurre in tentazione, / ma liberaci dal male". Amen.

[Al termine della celebrazione ecumenica:] Fratelli in Cristo, voi tutti sapete che il 27 di questo mese si terrà ad Assisi, su mio invito, una Giornata ecumenica interreligiosa di preghiera per la pace. I responsabili delle vostre Chiese e comunità cristiane, come quelli di molte altre religioni, hanno già risposto favorevolmente a questa iniziativa. La nostra preghiera in comune per un futuro pacifico dell'umanità porterà frutto nella misura in cui coloro che oggi sono impegnati in azioni di guerra accetteranno di prendere parte attiva all'iniziativa. Infatti, se i capi politici e militari delle nazioni e dei gruppi coinvolti in conflitti armati potessero, con un gesto significativo, appoggiare le invocazioni di quasi tutte le religioni del mondo, testimonierebbero che anche per essi la violenza non ha l'ultima parola nei rapporti fra gli uomini e fra le nazioni. Per ciò, in questo giorno della festa di san Francesco, apostolo della pace evangelica, da questa città di Lione, al termine della nostra celebrazione ecumenica, desidero lanciare solennemente a tutte le parti in conflitto nel mondo un appello ardente e pressante affinché esse osservino, "almeno durante tutta la giornata del 27 ottobre, una tregua completa dei combattimenti". Lancio con fiducia questo appello, perché credo al valore e all'efficacia spirituale dei segni. La tregua del 27 ottobre sia un incitamento, per le parti in conflitto a intraprendere o a proseguire una riflessione sui motivi che le spingono a ricercare attraverso la forza, con il suo seguito di miserie umane, quello che potrebbero invece ottenere attraverso i negoziati sinceri e il ricorso agli altri mezzi offerti dal diritto. Rivolgo quest'appello anche a coloro che cercano di raggiungere i loro scopi con il terrorismo o altre forme di violenza. Tornino rapidamente a sentimenti di umanità. Possano queste persone e i loro mandatari, possano tutti i popoli e le fazioni in guerra ascoltare l'appello che Dio rivolge alla loro coscienza, prendere in considerazione la scelta degli uomini religiosi e il desiderio unanime degli uomini di pace per unirsi a coloro che pregano, e testimoniare, attraverso la loro adesione alla tregua universale del 27 ottobre, che esiste comunque, anche in loro, il desiderio di porre fine al più presto alla violenza delle armi per l'onore di Dio e la tranquillità degli uomini!

Data: 1986-10-04 Sabato 4 Ottobre 1986




Alle autorità civili - Lione (Francia) - Cercare il bene dei cittadini specialmente degli emarginati


Signor ministro.


1. E' stata per me una grande gioia poter salutare al mio arrivo il signor presidente della Repubblica e, per mezzo di lui, tutta la nazione francese. E ora ricevo la stessa calorosa accoglienza dal rappresentante del Governo francese, che ringrazio di cuore per le sue amabili parole. La vostra carica di ministro di Stato mi spinge a formulare i migliori auguri perché la Francia contribuisca a far progredire nel mondo la comprensione tra i popoli, la giustizia, la pace, la solidarietà. Vorrei salutare anche tutte le personalità qui presenti, i ministri e gli ex ministri, le autorità prefettizie delle regioni Rhone-Alpes e Bourgogne e dei relativi dipartimenti, i deputati e i senatori, i consiglieri regionali e generali, i sindaci e i loro collaboratori, in special modo quelli della città di Lione e tutti coloro che, a diverso titolo, sono al servizio della nazione, della città e della regione, nonché le famiglie e gli amici che li accompagnano.


2. Signore e signori, sono lieto che le varie autorità francesi abbiano voluto incontrare il Papa nel pieno rispetto della sua missione religiosa e umana.

Possiamo ringraziare Dio di vivere in un'epoca in cui la distinzione delle competenze spirituali e temporali è più agevole e pacifica che nei secoli passati, per esempio ai tempi di Papa Bonifacio VIII e di Filippo il Bello! Il carattere propriamente universale della missione del successore di Pietro risalta meglio agli occhi di tutti, e il Papa è molto più libero di accogliere tutte le vostre umane preoccupazioni quali responsabili del bene comune e di sostenere i vostri nobili sforzi, nello spirito della costituzione conciliare "Gaudium et Spes" su "La Chiesa nel mondo contemporaneo".


3. Dopo la mia visita ufficiale a Parigi, la capitale, i lionesi si aspettavano che mi fermassi anche nella loro città, attualmente la seconda della Francia per popolazione urbana. Ma ci sono dei precedenti: nove Papi vi sono passati, vi hanno soggiornato o sono originari di questa città. L'occasione mi è stata offerta oggi dalle celebrazioni in onore di due umili sacerdoti, Jean-Marie Vianney e Antoine Chevrier. Ma comunque, come l'apostolo Paolo, ritengo importante portare il Vangelo e raggiungere il popolo cristiano nel cuore delle grandi città.

La posizione privilegiata di Lione, situata alla confluenza di tre province della Francia, non era sfuggita al legato romano Munazio Planco fin dal 43 a.C. e l'Impero Romano teneva questa colonia in così alta considerazione che aveva permesso ai suoi figli di sedere in Senato, prima di cadere in disgrazia ai tempi di Settimio Severo. I secoli successivi hanno permesso alla città di riprendere nella libertà il suo sviluppo, di dare impulso alla cultura e alle arti, di estendere la sua influenza, di manifestare la sua vitalità in tutti i settori dell'economia e degli scambi. Anche la Chiesa ha considerato Lione come luogo privilegiato da quando i primi martiri vi testimoniarono la loro fede e il primo vescovo della Francia vi ha esercitato il suo ministero. Vi si sono tenuti due grandi Concili ecumenici: latini e greci vi hanno cercato l'unità. E lo spirito d'iniziativa, che contraddistingue i cittadini nella vita civile, si incontra anche nei ministri della Chiesa, fra cui molti furono pionieri. Ma altri incontri mi offriranno l'occasione di tornare su questa storia della Chiesa.


4. Ora, prima di salutare ad una ad una le personalità presenti, voglio subito rassicurarle della mia stima e dei miei auguri per le funzioni che essi svolgono al servizio della società, qualunque siano le loro convinzioni religiose e le loro opinioni politiche, dal momento che si tratta di cercare sinceramente il bene comune dei loro concittadini. Poiché se ho lodato la vitalità di Lione, non posso dimenticare i complessi problemi che affrontate ogni giorno: quelli della ristrutturazione economica, dell'occupazione, di una urbanizzazione a misura d'uomo, della sicurezza, della convivenza pacifica, della qualità dei costumi, dell'educazione delle nuove generazioni: tutto ciò, insomma, che fa il vanto di una città, il benessere dei suoi membri, la garanzia del suo progresso. Le istanze ecclesiali hanno un ruolo, di ordine spirituale e morale, che contribuisce a educare al senso della giustizia e dell'amore, con una speciale attenzione a coloro che il progresso rischia di emarginare. Credo che, su molti punti, l'attenzione della Chiesa coincida con la vostra, per promuovere condizioni di vita sempre più umane. Prego Dio che orienti le vostre coscienze a ricercare il maggiore bene dei vostri concittadini nella concordia e nella fraternità. E' questo il significato della mia benedizione. Grazie per la vostra accoglienza.

Data: 1986-10-04 Sabato 4 Ottobre 1986




Omelia beatificazione nel parco Euroexpo - Lione (Francia)

Antonio Chevrier, figura attuale nel dramma della povertà



1. "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11,25). Queste parole sono state pronunziate per la prima volta da Gesù di Nazaret, figlio d'Israele, discendente di David, Figlio di Dio; esse hanno costituito una svolta fondamentale nella storia della rivelazione di Dio all'uomo, nella storia della religione, nella storia spirituale dell'umanità. E' stato allora che Gesù ha rivelato Dio come Padre e si è rivelato egli stesso come Figlio, della stessa natura del Padre: "Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27). Si, il Figlio, che pronuncia queste parole esultando nello Spirito Santo (cfr Lc 10,21), attraverso di esse rivela il Padre ai piccoli.

Poiché il Padre si compiace in loro.


2. Cari fratelli e sorelle di Lione e delle altre diocesi di Francia, noi ritroviamo oggi con emozione queste parole di Cristo. Esse assumono un'attualità nuova perché abbiamo sotto gli occhi la figura di un sacerdote strettamente legato a questa città nella Chiesa del XIX secolo, padre Antonio Chevrier. Mi è dato proclamarlo oggi beato a Lione, tra voi, e ne sono veramente felice.

Oggi la Chiesa universale festeggia san Francesco d'Assisi: anch'egli aveva riposto la propria gioia nel seguire il Cristo nella più grande povertà e umiltà; nel XIII secolo, aveva fatto si che i propri contemporanei riscoprissero il Vangelo. Padre Chevrier è stato un fervente ammiratore del Poverello d'Assisi; apparteneva al Terzo Ordine Francescano. Nella stanza in cui è morto si può vedere una statuetta di san Francesco, e anche una statuetta di san Giovanni Maria Vianney che egli ando a consultare nel 1867 ad Ars, quando, giovane sacerdote, si interrogava sul cammino di povertà che gli suggeriva il mistero della mangiatoia.

Sapete che vengo a celebrare ad Ars il bicentenario della nascita del santo Curato. Questi tre santi hanno in comune il fatto di essere tra quei "piccoli", quei "poveri", quei "miti e umili di cuore" nei quali il Padre del cielo ha trovato la sua piena gioia, ai quali Cristo ha rivelato il mistero insondabile di Dio, concedendo loro di conoscere il Padre come solo il Figlio lo conosce, e allo stesso tempo di conoscere se stesso, lui, il Figlio, come solo il Padre lo conosce. Insieme a Gesù, anche noi dunque proclamiamo la lode di Dio per queste tre ammirevoli figure di santi. Essi erano animati dallo stesso amore appassionato di Dio, e vivevano in una povertà simile, ma col proprio carisma. San Francesco d'Assisi, diacono, coi suoi compagni ha ridestato l'amore di Cristo nel cuore del popolo delle città italiane. Il curato d'Ars, solo con Dio nella sua chiesa di campagna, ha ridestato la coscienza dei suoi parrocchiani e di folle innumerevoli offrendo loro il perdono di Dio. Il padre Chevrier, sacerdote secolare in un ambiente urbano, è stato, coi suoi confratelli, l'apostolo dei quartieri operai più poveri della periferia lionese nel momento in cui nasceva la grande industria.

Ed è questo zelo missionario che lo ha stimolato ad adottare anch'egli uno stile di vita radicalmente evangelico. a ricercare la santità. Guardiamo specialmente Antonio Chevrier: egli è uno di quei "piccoli" che non può essere paragonato ai "saggi" e ai "sapienti" del suo secolo e degli altri secoli. Egli costituisce una categoria a parte, ha una grandezza del tutto evangelica. La sua grandezza si manifesta proprio in quella che si può chiamare la sua piccolezza, o la sua povertà. Vivendo umilmente, coi mezzi più poveri, egli è il testimone del mistero nascosto di Dio, testimone dell'amore che Dio porta alle folle dei "piccoli" a lui simili. E' stato il loro servitore, il loro apostolo.

Per loro, è stato il "sacerdote secondo il Vangelo", per riprendere il primo titolo della raccolta delle sue esortazioni sul "vero discepolo di Gesù Cristo".

Per i numerosi sacerdoti qui presenti, a cominciare da quelli del Prado che ha fondato, egli è una guida incomparabile. Ma tutti i laici cristiani che formano questa assemblea troveranno anch'essi in lui una gran luce, perché egli mostra a ciascun battezzato come annunciare la buona novella ai poveri e come rendere Gesù Cristo presente attraverso la propria esistenza.


3. Apostolo, ecco cosa aveva voluto essere padre Chevrier preparandosi al sacerdozio. "Gesù Cristo è l'inviato del Padre; il sacerdote è l'inviato di Gesù Cristo". I poveri stessi hanno acceso il suo desiderio di evangelizzarli. Ma è Gesù Cristo che lo ha "colpito". La meditazione di fronte al Presepe nel Natale 1856 lo ha particolarmente sconvolto. Da allora cercherà sempre di conoscerlo meglio, di diventare suo discepolo, di conformarsi a lui, per meglio annunciarlo ai poveri. Rivive specialmente l'esperienza dell'apostolo Paolo del quale avete appena udito la testimonianza: "Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù" (Ph 3,7-8). Che radicalismo in queste parole! Ecco che cosa caratterizza l'apostolo. In Cristo, "partecipando alle sue sofferenze", "sperimentando la potenza della sua risurrezione", egli trova la "giustizia" divina offerta all'umanità peccatrice, offerta a ciascun uomo come dono della giustificazione e della riconciliazione col Dio infinitamente santo. L'apostolo è dunque un uomo "colpito dal Cristo Gesù". L'apostolo ha fiducia assoluta che, "diventandogli conforme nella morte" potrà "giungere alla risurrezione dai morti" (Ph 3,11). Egli è così l'uomo dalla speranza escatologica che si traduce nella speranza di ogni giorno, in un programma di vita quotidiana, attraverso il ministero di salvezza che esercita per gli altri.

Padre Chevrier impiega tutte le sue energie a perseguire questa conoscenza di Gesù Cristo, per meglio raggiungere Cristo, così come egli è stato raggiunto. Medita incessantemente il Vangelo; scrive migliaia di pagine di commentari, per aiutare i propri amici a divenire anch'essi veri discepoli. Cerca anche di riprodurre la vita di Cristo nella propria vita. "Dobbiamo rappresentare Gesù Cristo povero nella mangiatoia, Gesù Cristo che soffre nella passione, Gesù Cristo che si lascia mangiare nella santa Eucaristia" ("Il vero discepolo", Lione 1968, p. 101; d'ora innanzi citato VD). E ancora: "La conoscenza di Gesù Cristo è la chiave di tutto. Conoscere Dio e il suo Cristo, in questo è tutto l'uomo, tutto il sacerdote, tutto il santo" ("Lettera ai propri seminaristi", 1875). Ecco la preghiera che corona la sua meditazione: "O Verbo! O Cristo! Quanto siete bello! Quanto siete grande!... Fate che io vi conosca e che vi ami. Voi siete il mio Signore e il mio solo e unico Maestro" (VD, p. 108). Una tale conoscenza è una grazia dello Spirito Santo. Da allora padre Chevrier è completamente disponibile per l'opera di Cristo: "Conoscere Gesù Cristo, lavorare per Gesù Cristo, morire per Gesù Cristo" ("Lettere", p. 89). "Signore, se avete bisogno d'un povero... di un pazzo, eccomi... per fare la vostra volontà. Sono vostro. Tuus sum ego" (VD, p. 122).


4. Il salmo di questa liturgia traduce bene i sentimenti dell'apostolo che si è lasciato impregnare di Gesù Cristo: "Non ho nascosto la tua giustizia in fondo al cuore... Esultino e gioiscano in te quanti ti cercano" (Ps 39,11 Ps 39,7). "Signore Gesù, il tuo amore mi ha colpito: annuncero il tuo nome a tutti i miei fratelli".

Padre Chevrier si è lasciato totalmente assorbire dal servizio degli altri. I suoi fratelli sono innanzitutto i poveri, quelli che il Signore gli ha fatto incontrare nel quartiere alluvionato de La Guillotière nel 1856, i senza tetto. Sono i bambini della città del Bambin Gesù che gli ha fatto conoscere Camillo Rambaud, un laico. Sono quelli che ha raccolti, con altri più anziani, nella stanza del Prado, privi d'istruzione e non edotti nella fede, incapaci di seguire altrove la preparazione alla prima Comunione. Erano talvolta abbandonati, spesso disprezzati, sfruttati; divenivano, diceva, "macchine da lavoro fatte per arricchire i loro padroni" ("Sermoni", ms. III, p. 12). Sono inoltre ogni sorta di miserabili, di emarginati, che hanno coscienza di "nulla avere, nulla sapere, nulla valere". Gli ammalati, i peccatori, fanno anch'essi parte di questi poveri.

Perché padre Chevrier è specialmente attratto da coloro che, come il Vangelo, chiama "i poveri"? Egli ha una viva consapevolezza della loro miseria umana, e allo stesso tempo vede l'abisso che li separa dalla Chiesa. Sente per loro l'amore e la tenerezza di Cristo Gesù. Attraverso di lui è Cristo stesso che sembra dire ai suoi contemporanei: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorero. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero" (Mt 11,28-30). Padre Chevrier sa che Gesù ha dato questo, come primo segno del regno di Dio: "La buona novella è annunciata ai poveri" (cfr Lc 3,18 Mt 11,15). Ha constatato egli stesso che i poveri che ricevono il Vangelo ridestano molto spesso negli altri la comprensione e l'amore di questo Vangelo. E' vero, il Signore gli ha dato un carisma speciale per accostarsi ai poveri. E attraverso di lui, Cristo ha fatto riudire le sue beatitudini a questa città e alla Francia del XIX secolo; attraverso questo beato, Cristo ci ripete oggi: "Beati i poveri in spirito... beati i misericordiosi... beati quelli che hanno fame e sete della giustizia" (Mt 5,3 Mt 5,6 Mt 5,7)! Certo, tutti i ceti debbono essere evangelizzati, i ricchi come i poveri, gli istruiti come gli ignoranti.

Nessuno deve essere oggetto di incomprensione, negligenza, ancor meno di disprezzo da parte della Chiesa. Tutti sono in un certo senso, poveri di Dio. Ma nelle condizioni in cui ha vissuto padre Chevrier, il servizio dei poveri era una testimonianza necessaria, e lo è oggi ovunque si incontri la povertà. Egli è uno di quei numerosi apostoli che, nel corso della storia, hanno realizzato quella che noi chiamiamo l'opzione preferenziale per i poveri. Padre Chevrier volge su di essi uno sguardo evangelico, li rispetta e li ama nella fede. Egli trova Cristo nei poveri e, allo stesso tempo, i poveri in Cristo. Non li idealizza, conosce i loro limiti e le loro debolezze; sa del resto che spesso sono mancati loro amore e giustizia. Ha il senso della dignità di ogni uomo, ricco o povero che sia. Vuole il bene di ciascuno di loro, la loro salvezza: l'amore vuole salvare. Il suo rispetto lo spinge a farsi uguale ai poveri, a vivere in mezzo a loro, come Cristo; a lavorare talvolta come loro; a morire con loro. Spera che così i poveri capiranno che non sono abbandonati da Dio, che li ama come un Padre (cfr VD, p. 63). Quanto a lui, fa questa esperienza: "E' nella povertà che il sacerdote trova la propria forza, la propria potenza, la propria libertà" (VD, p. 519). Il sogno di padre Chevrier è formare dei sacerdoti poveri per unirsi ai poveri.


5. Oggi chiediamo al beato Antonio Chevrier di insegnarci sempre più il rispetto e la sollecitudine evangelica verso i poveri. Cari fratelli e sorelle, voi sapete chi sono questi poveri nel nostro mondo attuale. Sono tutti coloro cui manca pane, ma anche lavoro, responsabilità, considerazione della loro dignità; coloro cui manca anche Dio. Non è più solo il mondo operaio ad essere colpito, ma molti strati sociali. In una civiltà dei consumi a oltranza, vi sono paradossalmente dei "nuovi poveri" che non hanno il "minimo sociale". Vi è la moltitudine di coloro che soffrono a causa della disoccupazione, giovani che non trovano impiego o persone di età matura che l'hanno perso. So che molti di voi, in particolare nei movimenti giovanili, desiderano offrire loro un efficace sostegno. Pensiamo anche agli stranieri, ai lavoratori immigrati, molto numerosi in questa regione, e che, in questi tempi di crisi economica, sono più minacciati a causa della loro situazione precaria. Anche se il problema della loro integrazione rimane complesso, in considerazione del bene comune del paese, la Chiesa non accetterà che si manchi di rispetto verso le persone e le loro radici culturali, né di equità di fronte alle loro necessità e a quelle delle loro famiglie che hanno bisogno di vivere con loro. I cristiani saranno in prima fila tra coloro che lottano perché i loro fratelli originari di altri paesi usufruiscano di legittime garanzie, e perché le mentalità si aprano in modo più accogliente allo straniero. Saranno attenti alle loro difficoltà e aiuteranno gli immigranti ad assumersi le proprie responsabilità. Si, come i vostri vescovi mi hanno coraggiosamente sottolineato a più riprese, come io stesso dicevo al secondo Congresso mondiale della pastorale della migrazione (18 ottobre 1985), la Chiesa si farà ancora voce di chi non ha voce. Si sforzerà d'essere l'immagine e il lievito di una comunità più fraterna. I poveri sono anche tutti coloro che soffrono di una vita marginale, come gli ammalati e gli handicappati. Sono i detenuti: questi ultimi sono tra i più poveri, qualunque sia la causa della loro detenzione. Le parole di Gesù ci interpellano: "Ero ammalato, ero prigioniero... e siete venuti a trovarmi". Infine, fuori dalla vostra città, dal vostro paese che dispone di tante risorse, vi sono, in tutto il mondo, le moltitudini che soffrono a causa della fame, della mancanza di un tetto e della carenza di cure. E' l'esperienza impressionante che faccio io stesso nel corso dei miei viaggi apostolici, in Africa, in America Latina, in India. Si tratta di paesi, di continenti interi. E questi popoli che arrivano così difficilmente allo sviluppo necessario per sopravvivere ed espandersi interpellano con vigore i popoli che hanno la fortuna d'avere in abbondanza beni materiali e possibilità tecniche. E' in gioco tutta la posta dei rapporti Nord-Sud. Padre Chevrier non poteva conoscere in tutta la sua ampiezza questo dramma universale della povertà. E' essere fedeli al suo spirito divenire il prossimo di questi popoli fratelli. Essi non chiedono un'elemosina, ma la considerazione dei loro problemi, la preoccupazione dell'equità negli scambi commerciali e gli investimenti, la solidarietà generosa nelle situazioni d'urgenza, l'aiuto a lungo termine perché possano realizzare il proprio sviluppo, e, al di sopra di tutto, la stima della loro dignità di poveri, che hanno del resto ricchezze umane e spirituali da condividere con noi. Cristo si identifica con questi affamati. E non di solo pane vive l'uomo: egli ha sete di dignità, di libertà, di libertà di coscienza, ha sete d'amore e, senza sempre esserne consapevole, sete di Dio.


6. Si, dobbiamo contribuire a liberare l'uomo da tante schiavitù, senza confondere la nostra lotta solidale con la violenza, l'odio, le prese di posizione ideologiche che porterebbero mali peggiori di quelli che si vogliono eliminare. La speranza abita veramente nel cuore dell'uomo solo quando egli ha fatto l'esperienza del Salvatore. La parola di Dio è allora una forza di liberazione dal male, e anche dal peccato. Annunciare il Vangelo è il più alto servizio reso agli uomini. Padre Chevrier voleva liberare i poveri dall'ignoranza religiosa. Nel Prado, desiderava allo stesso tempo dare ai giovani l'istruzione, quella che oggi si chiamerebbe alfabetizzazione, e l'insegnamento della fede per permettere loro di partecipare all'Eucaristia. E per questo compito animava e formava un gruppo di volontari, uomini e donne. "Il mio più grande desiderio sarebbe di preparare dei buoni catechisti per la Chiesa, e di formare un'associazione di sacerdoti che lavorino a questo fine" ("Lettera ai propri seminaristi", 1877). Essi andrebbero dappertutto "per mostrare Gesù Cristo", come testimoni che predicano attraverso la catechesi - semplice e attentamente preparata - ma anche attraverso la loro vita.

Vi dedicava egli stesso gran parte del suo tempo, con mezzi poveri ma adeguati, commentando concretamente ciascuna parola del Vangelo, e anche il rosario, la Via Crucis. Diceva: "Catechizzare gli uomini è la grande missione del sacerdote oggi" ("Lettere", p. 70). I poveri in effetti hanno diritto alla totalità del Vangelo. La Chiesa rispetta le coscienze di chi non condivide la sua fede, ma ha la missione di testimoniare l'amore di Dio verso di loro. Oggi, cari fratelli e sorelle, il contesto religioso non è più quello dell'epoca di padre Chevrier. Esso è contrassegnato dal dubbio, lo scetticismo, la mancanza di fede, se non l'ateismo, e da una rivendicazione massima della libertà.

Ma il bisogno di una proposta chiara e ardente della fede - della totalità della fede - si fa sentire ancora di più. L'ignoranza religiosa si estende in modo sconcertante. So che molti catechisti ne hanno preso coscienza e dedicano generosamente il loro tempo e il loro talento, a Lione come altrove in Francia, a porvi rimedio. L'appello di padre Antonio Chevrier dovrebbe stimolarci tutti, mantenerci in uno stato di missione. Non udite la sua esclamazione: "Saper parlare di Dio, quanto è bello!"? ("Lettere", 1873).


7. Cari fratelli e sorelle di Francia, presenti oggi a Lione o a noi collegati attraverso la televisione, possa questa beatificazione far crescere in voi la fede, la speranza e l'amore che si nutrono dell'esempio dei santi e dell'esperienza della grazia! Chiesa che sei a Lione, tu sei stata battezzata nel sangue dei tuoi martiri, ricorda il tuo primo fervore col vescovo Potino, il diacono Santo, la schiava Blandine. E' la prima testimonianza che abbiamo dei cristiani della Gallia: ci si stupisce della loro forza, della loro speranza, del loro attaccamento al Cristo vivente. Chiesa di Lione, ricordati anche del vescovo Ireneo che, per tutta la Chiesa, ha difeso la vera fede nel Verbo Incarnato, vero Dio e vero uomo, di fronte alle gnosi che già tentavano di spegnere questa fede.

Chiesa di Lione, ricordati di tutte le iniziative prese dai tuoi figli e dalle tue figlie nel corso dei secoli per santificare la Chiesa, servire la sua unità, per portarla al servizio della società, come Mario Gonin e Giuseppe Folliet, per sviluppare l'ecumenismo come padre Couturier, contribuire all'educazione dei giovani come la beata Claudine Thévenet, stimolare l'irradiamento missionario della Chiesa come Paolina Jaricot, assicurare una presenza contemplativa in mezzo ai non cristiani come padre Giulio Monchanin. Sono legioni, "folla immensa di testimoni", e costituiscono per noi delle guide, una famiglia, degli intercessori, secondo l'espressione del Prefazio dei santi. E specialmente tu, famiglia spirituale del Prado - sacerdoti, sorelle e membri dell'Istituto femminile -, ricordati del tuo fondatore: egli aveva forse tutto per restare un uomo ordinario, ma il suo attaccamento a Gesù Cristo l'ha portato alla santità. "Solo i santi potranno rigenerare il mondo, lavorare utilmente per la conversione dei peccatori e per la gloria di Dio" ("Lettera ai propri seminaristi", 1872). E tu, Chiesa che sei in Francia, tu che visito per la terza volta su invito della Conferenza episcopale, ricordati del tuo battesimo, dell'alleanza che Dio non ha mai rinnegato! Ricordati del suo amore. Ricordati dello Spirito Santo che abita in te e che può sempre suscitare in te una nuova primavera spirituale, se lo desideri veramente! Non temere. Non lasciarti scoraggiare dalle difficoltà a vivere oggi la fede. I tuoi santi le hanno conosciute e superate. Il profeta Sofonia ci diceva: "Cercate il Signore, voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini; cercate la giustizia, cercate l'umiltà" (So 2,3). E parlava di un resto piccolo e povero, il resto di Israele. Oggi, grazie a Dio, ho sotto gli occhi un popolo immenso, il popolo cristiano che è voluto venire a celebrare la propria fede col successore di Pietro. Come padre Chevrier, sapete che non si può dissociare Gesù Cristo dalla sua Chiesa, che non si può dissociare la comunità diocesana dal suo vescovo né dal Vescovo di Roma. E' in questa comunione che il nostro beato trovava la propria forza: uniti a Gesù Cristo e alla Chiesa, non si può che camminare sicuri malgrado le contrarietà, le battaglie, le lotte e le persecuzioni (VD, p. 511).

E' in questo spirito che saluto tra di voi i bambini e i giovani, i lavoratori e i responsabili del bene comune. Saluto specialmente coloro che conoscono le prove della malattia, della solitudine, della lontananza dal loro paese d'origine. Saluto i laici cristiani e le loro famiglie che formano le cellule di base nel popolo di Dio. Spetta a voi diffondere la grazia del vostro battesimo, vivere la fede cristiana in un clima di fedeltà e d'amore generoso, e trasmetterla facendola apprezzare alle giovani generazioni. Lo ripetero a Paray-le-Monial. Saluto i sacerdoti che sono al servizio di tutto il popolo di Dio, come padre Chevrier e il curato d'Ars, per annunciare la buona novella e trasmettere la vita di Cristo. Meditero con voi ad Ars. Saluto i religiosi e le religiose coi quali preghero Notre-Dame de Fourvière. Voi tutti, fratelli e sorelle qui presenti, non abbiate timore a impegnarvi nel rinnovamento del cuore senza il quale le riforme esterne e i programmi pastorali sarebbero sterili. Fatelo alla scuola di Maria che sempre accompagna i discepoli di suo Figlio. Vivete l'assoluto del Vangelo, che solo risveglia e attira le coscienze assopite o esitanti. Ricercate sinceramente la santità, inseparabile dalla missione.


8. E tu, padre Antonio Chevrier, guidaci sulla via del Vangelo. Sei beato! La tua figura si innalza e risplende nella luce delle otto beatitudini di Gesù. Questa città di Lione ti chiamerà beato, lei che sin dal giorno della tua morte già ti circondava di venerazione. Lo stesso vale per la Chiesa, che venera in te il "piccolo" - esaltato da Gesù più dei saggi e dei sapienti -, il sacerdote, l'apostolo, il servitore dei poveri. Come Paolo, colpito da Cristo, hai vissuto dimenticando ciò che avevi alle spalle, tutto proteso in avanti. Si, tu sei totalmente rivolto verso l'avvenire, verso il grande avvenire di tutti i popoli in Dio. Hai corso verso la meta per cogliere il premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. E' il premio dell'amore. E' l'Amore!

Data: 1986-10-04 Sabato 4 Ottobre 1986





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