GPII 1986 Insegnamenti - Alla messa al National Exhibition Center - Canberra (Australia)

Alla messa al National Exhibition Center - Canberra (Australia)

Cristo ci indica la strada della pace e della giustizia


"Lo spirito del Signore Dio è su di me "perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio..." (Is 61,1). Cari fratelli e sorelle.


1. Queste sono le parole di Gesù all'inizio della sua missione salvifica. Egli torno alla sinagoga di Nazaret, dove era cresciuto, e li pronuncio le stesse parole che abbiamo ascoltato nella liturgia di oggi. Poi aggiunse: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi" (Lc 4,21). E' l'inizio della sua vita pubblica e della missione messianica per la quale era venuto al mondo. E da allora in poi Gesù continua a predicare la buona novella, un messaggio di salvezza e di radicale libertà cristiana offerto attraverso la grazia di Dio: "Per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore" (Lc 4,18-19).


2. La missione messianica di Cristo, proclamata quel giorno a Nazaret, non conosce sosta. Continua a essere trasmessa attraverso la Chiesa. Ha messo radici tra i popoli e le nazioni di ogni continente. In nome di quella missione il successore di Pietro è venuto oggi nella capitale dell'Australia. Come il mio predecessore Paolo VI che, sedici anni fa, fu il primo Papa a visitare l'Australia, io vengo come pellegrino della fede. E' giusto che questo pellegrinaggio inizi a Canberra, capitale della nazione e simbolo di questa giovane e vigorosa società. Nell'amore di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, vengo a voi, miei fratelli e sorelle in Australia. Benché ogni cosa intorno a noi parli di novità, sono ben consapevole della grande antichità di questa terra e del suo popolo indigeno le cui origini si perdono nella storia. All'inizio della mia permanenza tra di voi esprimo il mio rispetto e la mia stima per i popoli aborigeni e della Torres Strait Island, e li assicuro della mia amicizia. Saluto i vescovi - in particolare lei, arcivescovo Carroll - e tutti i sacerdoti, i religiosi e i laici che sono qui e che rappresentano in questa celebrazione eucaristica tutta la Chiesa di questo Paese. Esprimo la mia sentita unione in preghiera coi membri di tutte le Chiese e le comunità ecclesiali cristiane. Saluto gli illustri rappresentanti della vita pubblica australiana. E in questa assemblea abbraccio tutto il Paese: i giovani e i vecchi, i deboli e i forti, coloro che credono e coloro il cui cuore è gravato dal dubbio. Vi abbraccio tutti e vi affido al nostro Padre celeste.


3. Gli esploratori che nel XVII e XVIII secolo partirono dall'Europa con tanto coraggio avevano già sospettato dell'esistenza di una grande distesa di terra a Sud. Alcuni di loro chiamarono questa terra ignota "la Terra del Sud dello Spirito Santo". I primi navigatori seguivano la rotta dei loro viaggi verso il sud guardando le stelle. Si rallegrarono nel vedere nel cielo notturno una costellazione con cinque punti luminosi a forma di croce. La croce del Sud non solo brilla su di voi nel cielo; è anche il vostro simbolo nazionale, visibile ovunque, sulla vostra bandiera. E' un elemento che costantemente ricorda agli uomini di fede che la croce di Cristo è al cuore della nostra esistenza terrena e garantisce il nostro destino celeste. Lo Spirito Santo e la croce ricordano entrambi che la morte salvifica di Cristo e il soffio dello Spirito Santo sono presenti al centro della nostra storia umana, e di conseguenza nella storia dell'Australia. Fu il potere dello Spirito Santo a sostenere il popolo cristiano nei primi giorni della colonizzazione e a mantenerlo fedele alle tradizioni della sua fede. E fu l'amore ardente di Cristo, che si manifesta più chiaramente sulla croce, a spingere i primi cappellani e sacerdoti a portare il ministero sia ai forzati sia ai liberi coloni con tanto coraggio e sopportazione, spesso in grande isolamento e solitudine. Fu lo Spirito Santo, portando la comprensione al di là delle barriere della divisione e del sospetto, a muovere il cuore del primo cappellano anglicano, il reverendo Richard Johnson, ad accogliere un gruppo di sacerdoti spagnoli in visita a Sydney nel 1793 con, nelle loro stesse parole, "gentilezza e umiltà, e una semplicità veramente evangelica". Eroiche testimonianze di amore affine a quello di Cristo di quei primi anni, il cui ricordo ed esempio non vanno mai dimenticati, sono l'arcivescovo John Bede Polding, Caroline Chisholm e madre Mary MacKillop. Anch'essi furono mossi da compassione da ciò che vedevano intorno a loro. In modo disinteressato servirono Cristo nella persona dei forzati, delle donne angosciate e prive di protezione, delle donne aborigene, del gregge sparso all'interno. I pionieri cristiani del XIX secolo parteciparono veramente alle sofferenze di Cristo e conobbero la potenza della sua risurrezione (cfr Ph 3,10). Si sacrificarono e lavorarono duramente, in quei tempi di ristrettezze prima che vi fosse quell'abbondanza che l'Australia è arrivata oggi a godere, a costruire chiese e scuole, affinché la verità di Cristo fosse insegnata, trasmessa e vissuta in questa terra. Queste straordinarie persone di fede amarono Maria Madre di Dio con una particolare devozione, e trovarono nel suo esempio di fede e di umile servizio la forza di perseverare e restare fedeli. Padre Therry pose la chiesa originaria di Saint Mary's a Sydney, la chiesa madre dell'Australia, sotto la protezione di Maria Nostra Signora Ausilio dei cristiani. Nel 1847 il mio predecessore Pio IX la nomino Patrona spirituale dell'Australia.


4. Come la gran moltitudine di testimoni che sono venuti prima di noi, non dobbiamo perdere di vista Gesù. La sfida a seguirlo oggi non è per nulla simile a ciò cui si trovarono di fronte ieri i pionieri. Tuttavia i mezzi per giungere a un autentico discepolato e testimonianza rimangono i medesimi per ogni generazione: l'incomparabile conoscenza e amore di Cristo. Nel Vangelo di oggi sentiamo Gesù dire agli apostoli: "Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti... Quando saro andato e vi avro preparato un posto, ritornero e vi prendero con me" (Jn 14,1-3). Gesù - colui che il Padre ha consacrato con l'unzione e mandato nel mondo - ci riporta "nella casa del Padre".

Questa frase ci parla della dimensione finale del nostro destino umano. Il messaggio del Vangelo sulla morte e risurrezione salvifiche di Cristo che conducono alla vita eterna ci rivela il vero significato della nostra esistenza.

Ci aiuta a capire che cosa è veramente in gioco nella vita umana. Le parole di Gesù: "Perché siate anche voi dove sono io" (Jn 14,3), sono la sfida definitiva e il significato ultimo delle nostre imprese umane. A ragione l'apostolo Tommaso esprime l'ansia che noi tutti avvertiamo quando meditiamo su ciò che sta dicendo Gesù. Essi chiedono: "Come possiamo conoscere la via?". Ed è proprio in risposta a questa domanda che Gesù esprime il pieno significato del suo ruolo messianico: "Io sono la via, la verità e la vita" (Jn 14,5-6). Queste sono le parole scelte come tema della mia visita in Australia.

E' opportuno che nel corso di questa celebrazione liturgica riflettiamo sul significato della nostra vita.


5. Gesù è la nostra via. La via di Gesù nel corso della vita non fu una via di sua scelta, ma quella che il Padre aveva scelto per lui. Egli la segui fermamente e umilmente, sino alla morte sulla croce (cfr Ph 2,8). Nel far questo Gesù divenne la via per noi. Solo una amorevole accettazione come la sua conduce al Padre. Noi seguiamo la via che è Gesù quando, come lui, lasciamo che il Padre ci riconduca a sé attraverso le strade che egli sa essere le migliori per noi. La nostra vita comincia in questo mondo temporale, ma la sua destinazione è l'eternità. "La nostra patria invece è nei cieli" (Ph 3,20), e noi cerchiamo "le cose di lassù, dove si trova Cristo" (Col 3,1). Vivere come se questo mondo visibile e transitorio fosse tutto ciò che abbiamo, significa smarrire la strada.

Siamo pellegrini che avanzano dal tempo all'eternità, e il nostro obiettivo è il Padre stesso. Egli ci chiama costantemente, al di là di ciò che è familiare e comodo, a nuovi sentieri di fede e di fiducia. Via via che ci avviciniamo, egli talvolta sembra ritrarsi, ma solo perché è un Dio misterioso i cui pensieri non sono i nostri pensieri, le cui vie non sono le nostre vie (cfr Is 55,8). Come Abramo, dobbiamo andare avanti, senza sapere dove veniamo condotti (He 11,8). Come Abramo, e Gesù dopo di lui, dobbiamo costantemente rivolgerci al Padre, che è fedele, e aver fiducia in lui. Momento per momento, se rispondiamo all'amore del Padre, egli infallibilmente ci condurrà, attraverso Gesù, a sé.


6. Gesù è la nostra verità. Egli stesso affermo che tutto ciò che diceva lo aveva appreso dal Padre. "Il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare" (Jn 12,49). E dato che la parola del Padre è verità (cfr Jn 17,17), Gesù dice la verità. In realtà Gesù è la Verità. Poiché egli è tutto ciò che il Padre ha da dire: egli è la Parola del Padre. Solo lui può ridare retta percezione alla nostra visione distorta affinché possiamo vedere e conoscere Dio, noi stessi e il nostro mondo nella verità. Nella verità che è Gesù conosciamo Dio quale Padre di infinito amore e misericordia. Conosciamo tutti gli altri quali figli stessi del Padre cui "è piaciuto di darvi il suo regno" (Lc 12,32), vale a dire se stesso. In Gesù vediamo tutti i figli del Padre chiamati a una meravigliosa unità e pace: "Non c'è più Giudeo né Greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Ga 3,28). Solo nella verità che è Gesù possiamo sperare di riconoscere, difendere e promuovere la dignità, la libertà e il benessere integrale della persona umana.


7. Per finire, Gesù è la nostra vita. Offrendo se stesso sulla croce egli ricevette la pienezza dei doni del Padre: "Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie" (Jn 17,10). Sollevato sulla croce dinanzi al mondo, Gesù è colmato di vita dal Padre e innalzato a fonte di vita per tutti coloro che credono in lui. La vita è sempre il dono del Padre, e chi la riceve deve rispettare ogni vita, in particolare la vita umana in tutte le fasi della sua crescita, e condannare ogni violenza contro di essa. Nell'Eucaristia, attraverso il potere dello Spirito Santo, Gesù è presente, donatosi con la morte e innalzato alla vita; è presente quale fonte di vita per coloro che vengono a lui. "Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me" (Jn 6,57).

In questa Eucaristia che stiamo celebrando nella capitale dell'Australia, Gesù nostra via, nostra verità e nostra vita offre se stesso al Padre per la salvezza del mondo. Egli prende su di sé le nostre speranze, le nostre gioie, le nostre sofferenze e le nostre angosce, e in cambio ci dà la forza di seguire la sua via, di vivere nella sua verità e di provare la sua vita. Questo è il suo dono al popolo australiano!


8. Stiamo offrendo questa Messa per la pace e la giustizia. In altre parole ci rendiamo conto che Gesù ci conduce alla casa del Padre mediante sentieri che attraversano un mondo che ha bisogno di redenzione, un mondo profondamente segnato dagli effetti dell'egoismo, della violenza e del peccato. Con umiltà, dunque, chiediamo le benedizioni di pace e giustizia di Dio per noi stessi e per l'intera famiglia umana. Non possiamo dimenticare i popoli lontani da noi. Non possiamo dimenticare i nostri fratelli e sorelle che stanno soffrendo e hanno bisogno del nostro aiuto, ovunque essi siano. In questo Anno internazionale della pace, molti appelli sono stati fatti, molte iniziative sono state proposte, e i popoli quasi ovunque hanno espresso il loro desiderio di pace. Ad Assisi di recente mi sono incontrato con i rappresentanti di diverse Chiese cristiane e comunità ecclesiali, oltre che con rappresentanti delle religioni non-cristiane, al fine di implorare questo grande dono da Dio. Non possiamo dubitare che sia sua volontà che i popoli vivano in pace. E tuttavia siamo consapevoli - sono parole di Paolo VI - che "la pace vera deve essere fondata sulla giustizia, sul senso dell'intangibile dignità umana, sul riconoscimento d'una incancellabile e felice eguaglianza fra gli uomini, sul dogma basilare della fraternità umana. Cioè del rispetto, dell'amore dovuto a ogni uomo, perché uomo". (Messaggio per la Giornata Mondiale della pace del 1971). E' qui che siamo carenti. La giustizia manca così spesso tra le persone, tra i gruppi, tra le nazioni e i blocchi di nazioni. All'opposto, la missione messianica di Cristo è una missione di pace e di giustizia. Egli venne "a portare il lieto annunzio... a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi... per consolare tutti gli afflitti" (Is 61,1-2). La pace può nascere solo là ove siano soddisfatte le esigenze della giustizia universale. Cari fratelli e sorelle: chiediamo a Cristo, "la Via, la verità e la vita", di indicarci la strada della pace e della giustizia. Chiediamogli di convincerci che la nostra comune umanità richiede solidarietà tra noi, e amore e rispetto per la vita umana ovunque.


9. Preghiamo anche affinché attraverso il servizio del vescovo di Roma, il successore di Pietro, la Chiesa tutta in Australia sia unita sempre più strettamente con Cristo, "la via, la verità e la vita". Come ci ricorda la Lettera ai Galati: "Quanti siete stati battezzati in Cristo... siete uno in Cristo Gesù. Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù" (Ga 3,29). Insieme siamo sul cammino verso la casa del Padre. Guarda, caro popolo d'Australia, e contempla questo tuo vasto continente! E' la tua casa! Il luogo delle tue gioie e dei tuoi dolori, delle tue imprese e delle tue speranze! E per tutti voi, australiani, la via per la casa del Padre passa attraverso questa terra. Gesù Cristo è la via, egli è la vostra verità e la vostra vita "Gesù Cristo... ieri, oggi e sempre!" (He 13,8). Amen.

Data: 1986-11-24 Lunedi 24 Novembre 1986




Al Corpo diplomatico - Canberra (Australia)

Una nuova visione contro le minacce alla pace del mondo


Eccellenze, cari amici, sono grato all'arcivescovo Brambilla per le sue parole di calda accoglienza a questa Nunziatura apostolica. Sono veramente felice di avere questa possibilità di salutare tutti voi e di esprimere la mia stima per il vostro importante ruolo di capi delle missioni diplomatiche qui a Canberra.


1. Nel 1970, durante la sua visita in Australia, anche il mio predecessore Paolo VI si incontro coi membri del Corpo diplomatico. In quella occasione egli parlo di un certo numero di somiglianze tra la missione del Corpo diplomatico e la sua missione. Disse: "Voi lavorate per la causa dell'ordine internazionale e del pacifico progresso dei popoli, impegnandovi a quel generale sforzo di collaborazione che è così necessario per il mondo di oggi collaborazione nello stabilire le condizioni di una giusta pace, e nel porre le fondamenta di una società interdipendente nella quale il ricco aiuta il povero e il forte sostiene il debole" (Sydney, 1 dicembre 1970). Queste memorabili parole riassumono gran parte di ciò che è importante ed essenziale nella vostra attività, gran parte di ciò che è nobile nella vostra vocazione di diplomatici.


2. Voi avete la grande fortuna di essere accreditati presso un paese che tiene in alta considerazione i valori sui quali si basa l'ordine internazionale e che molto ha fatto per il progresso pacifico dei popoli. Nello sforzo di esser testimone della dignità umana e di riconoscere il carattere interdipendente della società, l'Australia ha generosamente aperto le porte a milioni di immigranti e rifugiati, proclamando la libertà, l'uguaglianza e il rispetto per i diritti umani tra le sue priorità più elevate. E' in questo contesto che siete chiamati a offrire la vostra collaborazione e a dare il vostro contributo alla causa dell'ordine internazionale e del progresso pacifico tra i popoli.


3. In precedenza quest'anno ho espresso la mia convinzione secondo cui "l'instaurazione di un ordine basato sulla giustizia e la pace è oggi vitalmente necessario... la necessità di considerare il bene comune dell'intera famiglia delle Nazioni è in tutta chiarezza un dovere etico e giuridico" (Messaggio per la Giornata mondiale della pace 1986). Quali diplomatici avete assunto come vostro questo dovere etico e giuridico. Voi siete chiamati a essere servitori dell'umanità, specialisti nell'operare per il bene comune dell'intera famiglia delle nazioni. Naturalmente siete attenti ai vostri paesi e ai loro interessi. E tuttavia sapete che un eccessivo amor proprio non può mai essere veramente vantaggioso, perché a lungo andare nuocerà a se stesso. Allo stesso tempo ciò che giova al bene comune internazionale è veramente benefico per ciascuna nazione del mondo.


4. In quanto Corpo diplomatico complessivo, dovete dare esempio nei vostri rapporti reciproci della realtà che siete chiamati a promuovere nel mondo: solidarietà, dialogo e fratellanza. Questi obiettivi devono anche essere il vostro metodo e vi invitano a condividere e collaborare in uno spirito di reciproca fiducia. Questo significa dover essere uomini all'avanguardia del cambiamento là dove il cambiamento è necessario. E in realtà i maggiori cambiamenti necessari sono l'avere continuamente un cuore nuovo e un'apertura agli altri. Quali diplomatici siete sfidati a "fare dei bisogni basilari e primari dell'umanità il primo imperativo della politica internazionale". Questo perché l'umanità ha veramente un'unità d'interessi; l'umanità è veramente una sola famiglia.


5. La pace è il frutto di rapporti giusti e onesti a ogni livello della vita umana, ivi compreso il livello sociale, economico, culturale ed etico. E la pace mondiale è frutto di un giusto ordine internazionale. Venticinque anni fa Papa Giovanni XXIII comincio a focalizzare le richieste di giustizia nel rapporto tra nazioni di sviluppo economico diverso. Facendo appello alla solidarietà che unisce tutti i popoli e li rende membri della stessa famiglia umana, egli esorto tutte le nazioni che godono di un'abbondanza di beni materiali a non trascurare lo stato di quelle nazioni che sono afflitte da povertà e fame e che non godono dei diritti umani fondamentali (cfr MM 157). Voi stessi non potete fare tutto ciò che è necessario per rinnovare l'ordine internazionale, ma potere fare molto. La vostra condotta, i vostri contatti e le vostre decisioni devono tutti rispecchiare la visione di un ordine internazionale che è nuovo e colmo di speranza proprio perché riconosce una solidarietà umana universale. Questa visione deve allo stesso tempo riconoscere le minacce alla pace ovunque esse appaiano: in un amore proprio eccessivo e sterile; in blocchi esclusivi chiusi al benessere del resto del mondo; in tutto ciò che impedisce lo sviluppo dei popoli; nella corsa agli armamenti, sia nucleari che non; negli abissi sociali ed economici che separano le nazioni; nell'ingiustizia che calpesta i diritti umani; nella violenza dell'odio e del terrorismo; in sistemi totalitari che impediscono alla persona di decidere del proprio futuro.


6. E' sulla base di una nuova visione dell'ordine internazionale che tiene conto sia degli ostacoli alla pace sia della possibilità di superarli che ha luogo il dialogo di pace. Questo dialogo mira a eliminare il sospetto, la divisione e il confronto; lotta per difendere il fragile tesoro della fiducia - fiducia necessaria nella famiglia umana - tra fratelli e sorelle che condividono una stessa umanità. Questo dialogo di pace mira a promuovere una solidarietà universale nella causa dello sviluppo di tutto il mondo: aiutando gli affamati, gli ammalati e i bisognosi, e allo stesso tempo assistendo ampi settori di umanità a utilizzare il proprio talento per edificare, con l'aiuto di Dio, il loro futuro.

Tutto questo non è solo oggetto del vostro dialogo, ma anche scopo della vostra esaltante missione: l'edificazione di un ordine internazionale più giusto e pacifico. Cari amici: possa Dio Onnipotente darvi luce e forza nel servizio ai vostri paesi e all'intera famiglia delle nazioni interdipendenti.

Data: 1986-11-25 Martedi 25 Novembre 1986




Agli ammalati e handicappati - Canberra (Australia)

La comunità responsabile della protezione del dono della vita


Carissimi fratelli e sorelle.


1. Nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha amati e che ha dato se stesso per noi, vi saluto con profondo affetto. Il mio pellegrinaggio non sarebbe completo senza l'opportunità di visitare gli handicappati, gli invalidi e i malati. Visite come questa hanno sempre un posto speciale nel mio cuore, perché mettono in luce una verità misteriosa che è nel cuore stesso del mistero della Chiesa. Questa verità misteriosa si trova nella descrizione che ci dà san Paolo di ciò che Dio gli rivelo quando disse: "Ti basti la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza" (2Co 12,19).

Parlare di invalidità, di handicap e di malattia significa parlare della debolezza della condizione umana. Nessun nato in questo mondo è esente dalla fragilità umana, sia essa fisica, emotiva o spirituale. Ciascuno di noi deve venire personalmente a patti con questa fragilità. Forse desideriamo talvolta un tipo di vita più facile di quello che abbiamo. Forse alcuni di voi che sono fisicamente handicappati, invalidi o malati chiedono a Dio perché sono stati scelti per una vita che è diversa da quella degli altri. Ma nella divina Provvidenza una vita diversa non significa una vita meno importante. Non significa una vita con un minor potenziale di santità o una minore capacità di contribuire al benessere del mondo. I problemi e le preoccupazioni sono condivisi anche dalle vostre famiglie e dai vostri cari. Anch'essi devono affrontare le difficoltà e le croci che sono parte della vostra vita, come pure le buone occasioni e i momenti felici.

Anche ad essi offro il mio incoraggiamento e il mio appoggio. La Chiesa sa che deve esprimere la sua fede nel valore di ogni vita umana offrendo appoggio e aiuti pratici alle famiglie che sono particolarmente bisognose. La Chiesa, come un'unica famiglia di fede, non può e non deve trascurare le gioie o i dolori di nessuno dei suoi membri.


2. Tutti noi, come dice san Paolo, "portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù" (2Co 4,10). Ciò significa che nessuno di noi è immune dalla sofferenza e dalla morte, più di quanto lo fosse Cristo stesso. Ma san Paolo continua dicendo che soffriamo "perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo". Scopriamo qui il mistero della redenzione. Accettando la croce con amore perfetto, Cristo ha vinto una volta per tutte il potere che il peccato, la sofferenza, la debolezza e la morte avevano su di noi, e ci ha dato abbondanza di vita. Fratelli e sorelle carissimi: la croce di Cristo ha il potere di trasformare la vita di ciascuno e di ognuno di voi in una grande vittoria sulla debolezza umana. Le limitazioni fisiche che sperimentate possono essere trasformate dall'amore di Cristo in una cosa buona e bella, e possono rendervi degni del destino per il quale siete stati creati. Il comandamento che troviamo altrove in san Paolo, di "glorificare Dio nei nostri corpi", non vale soltanto per la condotta morale di quelli che sono in buona salute. Come Gesù Cristo glorifico il Padre abbracciando la croce con perfetto amore, così anche voi attraverso il potere di quello stesso amore potete glorificare Dio nel vostro corpo non lasciandovi sopraffare dalle difficoltà e dal dolore, non cedendo allo scoraggiamento o ad altre limitazioni. Nella profondità della vostra vita interiore potete morire e risorgere ogni giorno con Cristo. E potete così dare una messe abbondante di grazie e di bontà, non soltanto per voi stessi e per quelli che vi sono intorno, ma anche per la Chiesa e per il mondo. Ogni volta che superate la tentazione di scoraggiarvi, ogni volta che manifestate uno spirito gioioso, generoso e paziente, voi date testimonianza di quel regno che deve ancora venire nella sua pienezza, regno nel quale saremo guariti da ogni infermità e liberati da ogni dolore.


3. In una grande arcidiocesi come quella di Brisbane vi sono molti ospedali, case e asili, e servizi cattolici per i bisognosi. Molti di essi hanno una storia lunga e illustre che deve essere fonte di legittimo orgoglio e gioia per la Chiesa in questa regione. Testimoniano la generosità del laicato cattolico in tutti questi anni e la dedizione di tante suore e di tanti fratelli infermieri. Questi religiosi, che operano insieme a laici, uomini e donne, animati della stessa dedizione, continuano a fornire servizi che si estendono oltre la comunità cattolica per il bene di tutti. Saluto con particolare stima coloro che lavorano con gli invalidi, gli handicappati e i malati, non solo qui nel Queensland ma in tutto il territorio australiano. Stimolati dalla grazia di Dio, avete scelto come professionisti o come volontari di vivere come il buon samaritano, come colui che è vicino a tutti i bisognosi. Facendo questo voi adempite a una missione cristiana essenziale. E la misura del vostro successo in questa missione è l'amore che portate a coloro che sono affidati alle vostre cure, e la vostra preoccupazione non solo per i loro bisogni fisici ma anche per i loro pensieri, i loro sentimenti, le loro esigenze spirituali.


4. La pietra di paragone del servizio spirituale e materiale offerto in Australia è la nostra fede nella sacralità di ogni vita umana. E' una sacralità radicata nel mistero della nostra creazione a opera di Dio, e anche nel mistero della redenzione del quale ho già parlato. In un mondo nel quale il dono della vita umana è spesso disprezzato, strumentalizzato, offeso, che viene perfino deliberatamente annientato dall'aborto o dall'eutanasia, la Chiesa proclama senza esitazioni la sacralità di ogni vita umana. Quali che siano le nostre debolezze o limitazioni - siano esse fisiche, emotive o spirituali - la vita di ognuno di noi è unica; ha il suo inizio e la sua fine nel momento voluto da Dio. E' responsabilità dell'intera comunità - a livello di governo nazionale, statale e locale fino al singolo cittadino - proteggere questo sacro dono.


5. La sacralità della vita esige anche che ci sforziamo di migliorare la qualità della vita. Deve essere fatto ogni sforzo ragionevole per garantire che gli invalidi e i malati, gli anziani e i moribondi, gli afflitti e gli abbandonati, abbiano un punto di riferimento, perché sia data loro la possibilità di vivere con vera dignità. L'assistenza sanitaria sta diventando più sofisticata e costosa; eppure ci rendiamo sempre più chiaramente conto che la pura e semplice prestazione dei servizi non è sufficiente. Coloro che usufruiscono dei servizi devono anche partecipare concretamente alla comunità, e questo esige reciproco rispetto e disponibilità all'ascolto. Specialmente gli handicappati e gli invalidi cercano a buon diritto di essere più completamente integrati nella comunità, in quanto anch'essi hanno un importante contributo da dare agli altri. Solo lavorando insieme la comunità potrà sperare di trovare soluzioni degne del rispetto dovuto a ogni singola persona, e degne della lunga storia di amore e di servizio vissuta da popoli di ogni fede religiosa in Australia. Concludendo, carissimi fratelli e sorelle handicappati, invalidi o malati, vi chiedo le vostre preghiere, che sono particolarmente gradite a Dio.

Pregate per tutti coloro che soffrono nel mondo. Pregate per la pace. Pregate per la Chiesa, come anch'essa prega per voi. Ricordate tutti coloro che ci hanno preceduti nella fede: Maria nostra Madre, che ci custodisce, e i santi la cui vita rivela la potenza di Dio che risplende attraverso la debolezza umana. Ricordateli e non abbiate paura. Nell'amore del nostro Signore Gesù Cristo, impartisco a tutti voi la mia benedizione apostolica.

Data: 1986-11-25 Martedi 25 Novembre 1986




Agli operatori dei mass-media - Canberra (Australia)

Essere la lente con cui gli altri mettono a fuoco la realtà


Amici carissimi.


1. Ho atteso con impazienza il momento di questo incontro con i rappresentanti dei mezzi di comunicazione di massa. Vi do il benvenuto e vi porgo un caloroso e fraterno saluto non solo a nome mio personale ma anche a nome di coloro che hanno compiuto questo lungo viaggio con me da Roma in queste terre meridionali distanti ma ospitali. Alcuni di voi sono vecchi amici che incontro spesso a Roma e che mi hanno accompagnato nelle mie visite pastorali attraverso il mondo. Altri sono amici nuovi, appartenenti a organizzazioni per le comunicazioni nell'Australasia.

Sono lieto della vostra presenza qui. Desidero esprimere anche il mio apprezzamento per l'attenzione dedicata dalle vostre organizzazioni a questa visita, il cui primo obiettivo è di proclamare il perenne messaggio di Gesù Cristo, messaggio di riconciliazione, di pace e di unità tra tutti i figli di Dio.


2. Come sapete, la Chiesa cattolica si rende conto molto chiaramente dell'importanza dei mezzi di comunicazione. Ne fanno fede uno dei decreti del Concilio Vaticano II e molte misure pratiche adottate dalla Chiesa a Roma e in tutto il mondo. La Chiesa non solo deve servirsi dei mezzi di comunicazione per proclamare il Vangelo, ma ha anche la responsabilità di unirsi ad altri nell'affermare certi principi che devono essere osservati dai detentori e dagli operatori dei mezzi di comunicazione per il benessere morale e fisico della società. Il decreto del Concilio Vaticano II afferma l'esistenza, all'interno della società umana di "un diritto all'informazione su quanto, secondo le rispettive condizioni, convenga alle persone sia singole sia associate" (IM 5). Avete quindi un ruolo centrale nel garantire che da una parte non venga negato alla comunità questo diritto all'informazione, e che d'altra parte la comunicazione dell'informazione sia pienamente conforme ai principi morali, particolarmente a quelli della verità, della carità e della giustizia.


3. I progressi tecnici degli ultimi venticinque anni hanno aumentato ancor più la capacità dei mezzi di comunicazione d'influenzare gli eventi attraverso le opinioni e le azioni di un gran numero di persone. Un grande potere si trova dunque nelle mani di coloro che possiedono, che controllano o che operano nei mezzi di comunicazione. Se hanno una profonda comprensione e un grande rispetto per la dignità e i diritti di ogni individuo in quanto figlio di Dio, il loro uso di quel potere può contribuire a portare pace a un mondo che ne ha tanto bisogno.

Se mancano di questa preoccupazione per i diritti e la dignità di ogni individuo, questo potere può allora essere utilizzato per ingannare, opprimere e dividere.


4. Il mio messaggio a voi oggi è una parafrasi della sfida di Papa san Leone Magno ai cristiani. Io vi dico: "Specialisti delle comunicazioni: siate consapevoli della vostra dignità". Siate coscienti dell'opportunità che avete non solo di riferire sul male ma anche di contribuire a eliminarlo. Siate coscienti della responsabilità che avete non solo di riferire sulla sofferenza, ma anche di contribuire ad alleviarla. Siate coscienti della sfida che v'invita non solo a riferire su opere buone ma anche a incoraggiarle. Siate coscienti della vostra dignità: essere testimoni del mondo in avvenimenti che possono influenzare il suo destino; essere la lente attraverso cui gli altri mettono a fuoco la realtà; essere la lampada che illumina non solo gli angoli bui della vita umana, ma anche la via del pellegrinaggio umano per offrire guida, orientamento e certezza a coloro che cercano di camminare con sicurezza in compagnia dei loro fratelli e sorelle verso l'unione con Dio.


5. Molti di voi - forse la maggior parte di voi - hanno già fatto questo, e vi elogio a nome di un mondo che vi è grato. Ma tutti possiamo scoraggiarci; tutti possiamo perdere la giusta prospettiva quando concentriamo la nostra attenzione su un appuntamento vicino e dimentichiamo il significato, l'importanza, l'impatto durevole di ogni parola che scriviamo o pronunciamo e di ogni immagine che trasmettiamo. Quanto è prezioso ognuno di voi agli occhi di Dio! Quanto importante è il vostro lavoro quando partecipate con lui al compito di comunicare verità e amore al mondo! Ho ammirazione per voi; vi sono grato; prego per voi. E vi chiedo sinceramente di non limitarvi a riferire sulla mia visita, ma anche di pregare per me in quello che è in realtà il nostro comune lavoro, quello di diffondere la verità. Tra pochi giorni tornero a Roma, ma conservero il felice ricordo di questa visita pastorale, come quella della mia prima visita quasi quattordici anni fa. I bellissimi paesi e le popolazioni meravigliose del Sud Pacifico resteranno sempre nelle mie preghiere, come resterete tutti voi con i vostri cari, sui quali invoco ora con gratitudine le benedizioni del Signore.

Data: 1986-11-25 Martedi 25 Novembre 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Alla messa al National Exhibition Center - Canberra (Australia)