GPII 1987 Insegnamenti - Commemorazione del XX anniversario della "Populorum Progressio" promulgata da Paolo VI - Aula del Sinodo dei Vescovi (Roma)

Commemorazione del XX anniversario della "Populorum Progressio" promulgata da Paolo VI - Aula del Sinodo dei Vescovi (Roma)

Titolo: Un'enciclica evangelica su un vero dramma della storia: il progresso di molti, la miseria dei più

Testo:

Signori Cardinali, cari fratelli nell'episcopato, illustri Rappresentanti del Corpo Diplomatico, Signore e Signori.


1. Siamo qui riuniti oggi per commemorare, in seduta solenne, il ventesimo anniversario dell'enciclica "Populorum Progressio", promulgata dal mio venerato predecessore Paolo VI il 26 marzo 1967. Sono molto lieto di trovarmi qui con voi, per contribuire alla commemorazione dell'importante documento con alcune riflessioni che la circostanza suscita nel mio animo. Ringrazio il signor Cardinale Etchegaray e il signor Rafael Caldera per le profonde riflessioni che ci hanno proposto.

Rivolgo a tutti un cordiale saluto, mentre desidero esprimere il mio vivo compiacimento per questa iniziativa opportunamente promossa dalla Pontificia Commissione "Iustitia et Pax" e mi auguro che essa possa suscitare una maggiore attenzione per gli insegnamenti sociali della Chiesa.

Vorrei innanzitutto con voi ringraziare il Signore, per aver concesso alla Chiesa e a Papa Paolo VI di poter rispondere con questa enciclica alle attese e alle speranze, ed anche alle angosce, anzi alle "grida" (cfr. Paolo VI PP 30) di tantissimi uomini e donne di ogni ceto e condizione sociale, di ogni origine etnica e di ogni fede religiosa, che si sono così sentiti interpretati dal tenore dell'enciclica, gli uni per ricavarne nuove forze e ragioni per vivere, gli altri per meglio capire responsabilità che noi tutti, senza eccezione, abbiamo nei confronti dei nostri fratelli e sorelle in condizioni più bisognose.

Ringraziamo il Signore anche perché, nel corso di questi anni, gli insegnamenti dell'enciclica hanno spesso trovato un terreno fertile ed hanno prodotto frutto abbondante.

Dio solo sa quante iniziative e quante opere, nella Chiesa cattolica e al di fuori di essa, sono state messe in moto dall'insegnamento della "Populorum Progressio". Sia ringraziato e benedetto per questo.


2. L'eco suscitata dall'enciclica mostra quanto il messaggio in essa contenuto fosse attuale e necessario.

Noi ricordiamo infatti che, in quegli anni, vi era una certa euforia, illusoriamente ottimistica, circa il "progresso" e lo sviluppo. Si parlava, con un certo ingenuo compiacimento di diversi "miracoli" economici. Nonostante, pero, un innegabile progresso economico e sociale in molti ambienti e una più diffusa consapevolezza che i criteri economici non sono gli unici per determinare il valore della vita, in realtà le piaghe, nascoste ma non guarite, restavano in tante regioni del mondo con tutto il loro drammatico potenziale di morte. Anzi più il "miracolo" sembrava luccicare, più si preparava la manifestazione delle sue ombre e carenze. Il mondo era diventato piccolo; questo era appunto uno degli effetti del "miracolo". Ma in conseguenza di ciò Lazzaro non era più, come prima, distante ed invisibile, bensi vicino alla porta dell'uomo ricco; e vi era "coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco" (cfr. Lc 16,19-21). Era vicino insomma alla nostra porta.

"La questione sociale", osservava dal canto suo l'enciclica con realismo, "ha acquistato una dimensione mondiale" (Paolo VI PP 3 PP 9).

Infatti, alcuni mesi dopo la sua promulgazione, sarebbero esplose a catena, una dopo l'altra, tante manifestazioni violente, specie tra i giovani, delusi, disgustati e insofferenti. E queste manifestazioni, con i loro dolorosi strascichi, sarebbero scoppiate in quella parte del mondo dove il "miracolo" economico si era apparentemente avverato.


3. Non emerge forse, già, da questo fatto, un notevole indizio delle carenze e dei limiti di quel cosiddetto "miracolo" e del prezzo che per esso si è dovuto pagare? Se, quindi, in quel movimentato contesto storico, l'enciclica "Populorum Progressio" ha incontrato un'eco positiva, che perdura fino ad oggi, ciò si deve, indubbiamente, al fatto che essa è riuscita a capire il vero dramma di quel momento della storia: il progresso di molti, la miseria dei più, lo scandalo della giustapposizione della una situazione con l'altra e, in cima a tutto, la dolorosa sensazione che un certo tipo di sviluppo non recava con sé l'agognata felicità.

Al di là di ogni teoria economica specifica, anzi in margine ad una lettura dei fatti in chiave politica, il grande merito di Paolo VI sta nell'aver colto l'appello che da questa situazione drammatica veniva lanciato ad ogni coscienza umana ed anzitutto ad ogni coscienza cristiana.

L'analisi, del resto, che permetteva a questo appello di esprimersi e di farsi sentire, non era poi così difficile da fare, né si richiedeva a questo scopo una speciale metodologia sociologica.


4. Bastavano infatti per essa due chiavi di lettura delle quali il Papa fece uso sapiente. La prima era la parola di Dio, alla cui luce la Chiesa ed i suoi pastori sono chiamati a leggere il senso degli avvenimenti che ci circondano ed in cui siamo immersi, a leggere, cioè, i cosiddetti "segni dei tempi".

E l'altra era l'esperienza stessa della Chiesa, "esperta in umanità", come disse Paolo VI: esperienza che viene autorevolmente espressa, per quanto riguarda la vocazione dell'uomo nella società, dal magistero sociale della Chiesa.

In questo senso, e tenuto ben conto di queste due fonti di luce, l'enciclica "Populorum Progressio" merita certamente la qualifica di "evangelica".

Essa infatti non è l'esclusivo risultato di uno studio fatto con l'aiuto delle scienze sociali, per quanto queste abbiano contribuito alla sua preparazione. E' invece anzitutto il frutto di una approfondita meditazione pastorale sulla realtà umana del mondo di quegli anni, sotto la guida magnanima ma esigente del Vangelo e della tradizione della Chiesa in materia sociale.


5. La "Populorum Progressio" è riuscita ad interpretare, grazie alla sua fedeltà alla parola di Dio e alla sua continuità col magistero sociale precedente, i timori e le attese di migliaia e migliaia di uomini e donne, ravvivando le speranze, svegliando i cuori e le menti intorpidite, spronando a nuovi e decisivi impegni, segnando più umani, solidali traguardi.

Se taluni poi, in quel momento, e forse tuttora, hanno reagito con una certa insofferenza, pensando che il magistero della Chiesa trattando di certi argomenti, sconfini dalla propria competenza, non sarà forse inutile che considerino appunto le due fonti d'ispirazione testè riferite: il Vangelo e l'esperienza storica della Chiesa stessa.

Essa, nel promulgare un documento come l'enciclica "Populorum Progressio", non ha fatto altro che applicare alla realtà concreta di un determinato frangente storico la luce che riceve dalla parola di Dio e dalla propria riflessione su di essa.


6. L'enciclica si inserisce così in un ormai lungo cammino magisteriale, mediante il quale la Chiesa, ed in particolare la Santa Sede, fondandosi sulla missione ricevuta da Cristo Signore, intende rispondere alle questioni che toccano la vita concreta degli uomini e delle donne di questo mondo, in quanto portatori dell'immagine divina e quindi soggetti di diritti inalienabili, chiamati ad un destino eterno di comunione con Dio e tra di loro, ma anche a quella misura di terreno benessere che è richiesta dalla loro comune dignità.

In questo cammino, che, dopo la fondamentale tappa dell'enciclica "Rerum Novarum", si snoda attraverso la "Quadragesimo Anno" e la "Mater et Magistra" fino alla "Evangelii Nuntiandi" e alla "Laborem Exercens", la "Populorum Progressio" segna una fase particolarmente significativa.

Essa infatti ha avuto come effetto immediato di porre agli uomini di questi ultimi vent'anni la questione difficile, ma inevitabile, del senso e della nozione del vero progresso. Sembra infatti oramai acquisita, non senza amarezze e delusioni, l'esperienza della non linearità e della crescita non indefinita dello sviluppo.

Tutti siamo così diventati consapevoli dei limiti intrinseci ed estrinseci che ad esso sono posti dalla finitezza della natura, dalle esigenze etiche, ed in fondo dalla vera vocazione umana e dalla sua finalità. Un certo tipo di progresso viene messo, in questo modo, radicalmente in questione (cfr. Paolo VI PP 14ss.).


7. L'analisi del progresso materiale, e specialmente di quello economico, non può fare a meno di queste fondamentali considerazioni. Non si può concepire ed attuare il progresso come se ciò che conta fosse soltanto l'arricchimento materiale ed egoistico, a costo di esaurire le risorse naturali, di rovinare l'ambiente ecologico, di non attendere alle necessità umane di ogni lavoratore e alla giusta gerarchia dei beni e dei fini.

In questo senso, il richiamo dell'enciclica al principio di antica tradizione cristiana della destinazione universale dei beni (cfr. Paolo VI PP 22), già ricordato, ed in termini non meno forti, dalla costituzione pastorale "Gaudium et Spes" del Concilio Vaticano II (cfr. GS 69), nella linea dei Padri della Chiesa e dei Dottori medievali, rimane un caposaldo della dottrina sociale e della nozione stessa di progresso.

E ancora, quando l'enciclica fa presente, con chiare espressioni, che il progresso va concepito come transito da condizioni meno umane a condizioni più umane di vita, si deve dire che essa dà alla nozione di progresso un nuovo e più profondo contenuto.

Tale nozione di progresso, richiesta dalla vocazione propria dell'uomo e dalla sua finalità temporale, ed eterna, svolge una critica penetrante sia delle varie forme di capitalismo liberale, sia dei sistemi totalitari, ispirati al collettivismo. Anche in questi, infatti, il valore economico è visto come supremo con la conseguenza che ad esso e al tipo di sviluppo che ne deriva l'uomo e la vocazione sua propria vengono fatti servire. Alla luce della profonda analisi proposta dall'enciclica, è dato vedere come, per certi versi, i due sistemi che, almeno nelle loro forme più rigide, oggi si dividono il mondo, hanno certe convergenze che il confronto politico tende a dissimulare.


8. Da questo punto di vista. è doveroso dire che l'enciclica ha chiarito come le divisioni che lacerano il tessuto della umanità non sono soltanto quelle ideologico-politiche, esistenti tra Est ed Ovest, ma anche quelle economico-sociali, rilevabili tra Nord e Sud; e che le prime non sono poi del tutto indipendenti dalle seconde. Per ricucire queste lacerazioni non bisogna dimenticarne nessuna, ma cercare di superarle tutte, sia pur con metodi diversi.

L'enciclica, in uno dei suoi asserti, divenuto ormai proverbiale, indica appunto come queste diverse lacerazioni incidano l'una sull'altra, e si aggravino a vicenda, affermando che "lo sviluppo è il nuovo nome della pace" (Paolo VI PP 73).

Ciò significa, tra l'altro, che il divario tra una parte del mondo, ricca di beni, e l'altra, povera e carente influisce sulle divisioni politiche e ne accentua il carattere conflittuale e la potenziale esplosività. Non a caso lo stesso Paolo VI, a Bogotà, l'anno seguente (1968), parlava delle "rivoluzioni esplosive della disperazione" (cfr. Discorso per la giornata dello sviluppo, 23 ottobre 1968: "Insegnamenti di Paolo VI", VI [1968] 388).

A venti anni di distanza, queste parole appaiono dotate di valore profetico. Chi oserebbe oggi mettere in dubbio l'intrinseca connessione tra la realtà lacerante della denutrizione, della mortalità infantile, della fame, della disoccupazione, della speranza di vita limitata, dell'indebitamento internazionale, dello sviluppo ostacolato di intere nazioni, e la precarietà di ogni forma di pace a livello locale, regionale e mondiale? L'enciclica "Populorum Progressio" ha avuto il merito insigne di porre la questione in questi termini precisi alla coscienza dell'umanità.


9. Si, i tempi sono cambiati, e di molto. Al ritmo accelerato con cui attualmente i mutamenti sociali si succedono tra loro, venti anni sono già molti. E d'altronde, siamo ormai alle soglie di quella scadenza, convenzionale quanto si vuole, ma ciò nonostante significativa ed in sé importante, che è l'anno 2000.

Se la questione sociale ha oggi l'ampiezza del mondo, quali dimensioni avrà, per quella data, ormai vicina? Nel 1967 era iniziata da alcuni anni la conquista dello spazio. Da allora abbiamo visto il progressivo perfezionarsi della tecnologia che ha raggiunto traguardi fino a ieri inimmaginabili, giungendo a manipolare le sorgenti stesse della vita. La rete sottile di sistemi globali di informazione, dal canto suo, ci avvolge da ogni parte e penetra anche nella nostra vita privata.

Purtroppo, queste sofisticatissime forme della tecnologia contemporanea, in se stesse buone, ma distribuite così disegualmente e da taluni utilizzate senza preoccupazioni di ordine etico, sono servite troppo spesso alla progettazione e alla realizzazione di interventi contrari alla vita e alla dignità dell'uomo.

E a questo panorama non certo roseo si aggiunge ancora la piaga della disoccupazione, della quale ho parlato nell'enciclica "Laborem Exercens" (Giovanni Paolo II LE 18).


10. Tale piaga, lungi dall'essere contenuta o ridotta, continua a dilagare a danno soprattutto delle giovani generazioni. E' questo un sintomo estremamente preoccupante non soltanto dello stato della nostra società, ma anche delle condizioni dell'economia, la quale si rivela incapace di porvi rimedio.

Si potrebbe dire come rilevava la "Populorum Progressio" (cfr. Paolo VI PP 3 PP 9), che la questione sociale ha dimensioni mondiali, non soltanto in senso geografico, ma anche e forse soprattutto in senso intensivo, perché raggiunge e coinvolge tutte le categorie sociali, dai giovani agli anziani, dagli uomini alle donne, e persino ai bambini.

Questi anni hanno visto anche il riacutizzarsi e l'aggravarsi, in modo preoccupante, del debito internazionale, che, come una trama insidiosa, coinvolge tutti, paesi indebitati e paesi creditori, banche creditrici ed istituzioni internazionali.

Ne parlava già l'enciclica che stiamo ricordando (cfr. Paolo VI PP 54). Più recentemente, la Pontificia Commissione "Iustitia et Pax" ha pubblicato un documento su questo tema, che è ben noto a tutti voi.


11. Tutto questo concorre a provare, se ve ne fosse bisogno, che l'insegnamento evangelico dell'enciclica "Populorum Progressio" resta sempre valido ed attuale.

Ed è ad esso, nel solco della grande tradizione del magistero sociale della Chiesa, precedente e seguente, che si deve far riferimento, per trovare il modo di far fronte, con idee e misure urgenti ed efficaci, alle ardue sfide del presente e del futuro.

Occorre pertanto riconoscere, oggi specialmente, che la Chiesa ha in questo campo un ruolo da svolgere. Tale ruolo non consiste certamente nel proporre dei piani tecnici particolareggiati, ma nell'individuare, alla luce dell'eredità evangelica, le esigenze etiche e le vere finalità, degne dell'uomo, che devono guidare tutta l'attività umana, personale e sociale, privata e pubblica, economica, politica, internazionale.

A tale ricerca può recare un valido contributo il colloquio, che in questa occasione è stato organizzato dalla Pontificia Commissione "Iustitia et Pax", e che verrà inaugurato questo pomeriggio.


12. Non dubito che le analisi e le proposte che saranno presentate in tale colloquio sapranno attingere dall'insegnamento dell'enciclica e dal magistero sociale della Chiesa nuovi spunti e nuove applicazioni, allo scopo di aiutare gli uomini e le donne di questo mondo a cercare quel benessere, quella pace e quella libertà a cui hanno diritto.

L'enciclica "Populorum Progressio", è in se stessa un "messaggio di liberazione" e una "parola di riconciliazione" (cfr. 2Co 5,19), i cui echi risuoneranno per lungo tempo ancora.

Nel servire a questi scopi, voi, e noi tutti, non facciamo altro che essere fedeli alla missione della Chiesa, così come è stata descritta dalla costituzione LG 1: quella di essere "sacramento, cioè segno e strumento, dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano".

Unione e unità che si realizzano anzitutto nella duplice e pur unica virtù della carità verso Dio e verso l'uomo (cfr. Mt 22,34-40). Sono scopi che inscindibilmente richiedono da parte nostra l'esercizio della giustizia e l'impegno per la pace, autentiche espressioni dell'amore a cui tende e verso cui si orienta il vero umano progresso, che così speriamo di ottenere, più che dalle nostre forze, dal dono misericordioso del Signore.

Con tali sentimenti ed auspici, benedico i vostri lavori, vi benedico tutti personalmente, insieme coi vostri collaboratori e con quanti seguiranno l'attività del colloquio.

1987-03-24 Data estesa: Martedi 24 Marzo 1987





Ai giovani - Basilica di san Pietro: Il 25 marzo indica l'inizio dell'era del Cristianesimo


Carissimi giovani!

1. E' giunta la primavera e voi giovani siete giunti a Roma numerosi da ogni parte d'Italia.

Sono felice di vedervi! Vi saluto tutti con grande affetto e vi esprimo la mia profonda letizia nell'incontrarvi e nel trattenermi con voi, anche se purtroppo solo brevemente. Avete portato qui in questa incomparabile Basilica vaticana, la vostra fede cristiana, la vostra gioia e l'entusiasmo della vostra giovinezza, fremente di vita: vi ringrazio di cuore, perché la vostra presenza mi è di conforto, pensando all'avvenire della Chiesa e dell'umanità.

Questo incontro con il Papa sia per voi un momento nel cammino della vostra esistenza che lasci in voi il desiderio e l'impegno di approfondire sempre di più la conoscenza della fede cristiana che professate e di viverla con sempre maggiore coerenza negli ambienti in cui vivete: in casa, in scuola, sul lavoro, nel gioco.

L'incontro con il Papa in questa Basilica, che si eleva sulla tomba di san Pietro, sia per tutti voi di stimolo ad essere sempre più buoni, studiosi, obbedienti, veri amici di Gesù, portatori nel mondo di pace e di speranza! 2. Oggi, come sapete, ricorre un'importante festività liturgica: l'annunciazione del Signore.

Essa ricorda quando l'arcangelo Gabriele annunzio alla Vergine Maria che da lei sarebbe nato, in modo miracoloso, il Messia atteso dal popolo di Israele; Gesù, il Figlio di Dio, che si incarnava nel suo grembo, per compiere poi la salvezza dell'umanità. Il 25 marzo è perciò una data di importanza fondamentale, perché indica l'inizio della nuova era nella "storia della salvezza": l'era del Cristianesimo.

Oggi poi viene pubblicata l'enciclica "Redemptoris Mater", che ho scritto per l'Anno Mariano, il quale incomincerà la domenica di Pentecoste e terminerà con la solennità dell'Assunta del prossimo anno.

Durante questo speciale periodo dedicato alla Madonna, ma poi anche per tutta la vostra vita, sia vostro impegno leggere la nuova enciclica mariana, insieme con gli altri documenti già emanati dal magistero della Chiesa sul consolante argomento della presenza di Maria nella nostra vita e nella intera storia umana.

Il mio vivo desiderio è che Maria santissima vi accompagni sempre, vi illumini, vi sostenga nelle vostre difficoltà; la mia esortazione è che amiate la nostra Madre del cielo, che la invochiate, che recitiate il rosario. Confidate sempre in Maria, pregatela con amore e con fiducia, imitatela nelle sue virtù, abbandonatevi nelle sue braccia materne! 3. Desidero ora salutare tutti i gruppi presenti, dei quali è stato letto l'elenco, in modo particolare saluto i soci dell'Associazione Nazionale Marinai d'Italia, appartenenti alla regione "Abruzzo-Molise", che partecipano all'udienza insieme con i familiari e i rappresentanti delle amministrazioni comunali interessate. Carissimi, siete venuti numerosi, con fede e con entusiasmo! Auspico per tutti serenità e coraggio nella testimonianza della vostra identità cristiana, con l'aiuto di Maria santissima e con la mia benedizione.

Porgo pure il mio cordiale saluto al Vescovo di Termoli-Larino, Monsignor Cosmo Francesco Ruppi ed al Sindaco di quella città qui convenuti assieme con i marinai di Termoli per ricordare la mia visita pastorale di quattro anni fa.

Vi ringrazio per questa significativa presenza, che conclude la settimana annuale della fede, celebrata nella vostra diocesi, sul tema "I laici nella Chiesa e nella società".

Mi compiaccio per questa bella iniziativa. La vita del laico è vita di fede e di grazia vissuta all'interno dell'impegno secolare. Dalla grazia la vostra attività terrena riceve linfa vivificante che vi porta a far vivere ogni vostra attività nel senso voluto da Dio. Il laico cristiano sa unificare "gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi" (cfr. GS 43). Vi auguro di sapere operare in voi una vera unità tra fede e impegno nel mondo.

A tutti i presenti il mio saluto e la mia benedizione.

1987-03-25 Data estesa: Mercoledi 25 Marzo 1987









Alla FIDAE del Lazio - Aula Paolo VI (Roma)

Titolo: Creare le condizioni giuridico-sociali affinché la scuola cattolica raggiunga le sue specifiche finalità

Testo:

Fratelli e sorelle, della Federazione Istituti di Attività Educative.


1. Nell'accogliere voi, rappresentanti delle diverse componenti della comunità educante del Lazio, che si articola in un insieme di circa seicento istituti, il mio pensiero va immediatamente al grande esercito degli insegnanti cattolici e cooperatori, che, sotto le più varie forme, sono impegnati a collaborare con la Chiesa e con i genitori nello svolgimento dell'alto compito formativo nelle scuole. Vi saluto tutti con grande affetto.

Ringrazio il Presidente Regionale fratel Giuseppe Lazzaro per le parole di omaggio a me rivolte a nome di voi qui presenti, - religiosi, religiose, docenti, genitori, studenti, ex alunni -, e di quanti non son potuti intervenire, ed apprezzo in particolare l'assicurazione di perseverante impegno nella fedeltà alla sede apostolica. La scuola cattolica, infatti, o rimane fedele alla linea irrinunciabile dell'insegnamento della Chiesa o compromette la sua qualifica di cattolica col pericolo di svuotare di senso il proprio servizio.


2. A tal proposito desidero innanzitutto richiamare la vostra attenzione sulla personalità eccezionale del vostro celeste patrono Tommaso d'Aquino, il quale fu maestro per la santità della vita e per l'esempio di perfetta correlazione tra fede ed esistenza vissuta, prima ancora che per i contenuti del suo metodo e del suo pensiero. Ponendosi il problema se un uomo possa ammaestrare un altro uomo, egli, dopo aver analizzato acutamente la questione risponde in senso affermativo con le parole di san Paolo "Io sono stato fatto maestro nella fede e nella verità" (san Tommaso I 117,1).

Compito del maestro è di guidare e sviluppare l'intelligenza del discepolo orientandolo innanzitutto verso la conoscenza di Dio, nella quale soltanto può trovare la sua ragion d'essere e la sua piena autorealizzazione. Il maestro umano può essere tale se rimane sotto la guida del Maestro divino, Cristo Gesù, uomo Dio, ricapitolatore dell'universo e via che porta l'umanità a riconoscere ed a raggiungere il Padre.

In ciò consiste l'attualità del pensiero e del metodo di san Tommaso d'Aquino, che insegna anche agli educatori di oggi a tener presente Dio come fine ultimo, Gesù come redentore e mediatore, la persona umana come valore sommo a cui si deve il massimo rispetto insieme con l'aiuto che le possa facilitare il conseguimento del bene supremo.


3. Cari fratelli e sorelle, questo incontro mi offre l'occasione per confermarvi nella vostra specifica missione, e per ribadire ancora una volta la rilevanza che la scuola cattolica riveste soprattutto nel mondo contemporaneo e nel contesto dell'Italia di oggi. Il pensiero della Chiesa a tale proposito è così costante e chiaro da non prestare il fianco ad equivoci o fraintendimenti.

Basti fare riferimento al Concilio, in particolare alla dichiarazione "Gravissimum Educationis", nella quale già le prime parole lasciano comprendere il grande rilievo che la Chiesa attribuisce al compito pedagogico e formativo. Il Concilio, nell'ambito più ampio della scuola in genere, illustra la "particolarità" della scuola cattolica, proiettata per sua stessa natura a perseguire non soltanto le finalità culturali proprie della scuola, ma anche la formazione integrale della persona umana, coordinando l'insieme della cultura con il messaggio della salvezza.

Il testo conciliare, pero, va oltre per sottolineare l'importanza "somma" della scuola cattolica nelle "circostanze presenti" (GE 8).

E' chiaro che il mondo contemporaneo, con la rapidità del suo progresso tecnologico, con l'assuefazione a modelli ideologici fra loro diversi, con la diffusione di una mentalità fortemente pluralistica, richiede a tutte le componenti ecclesiali spirito d'iniziativa per inventare nuove forme in grado di venire incontro alle esigenze dell'uomo moderno e di portarlo al traguardo della salvezza. Ma il modo più sicuro di garantire opere nuove e valide è di preoccuparsi di formare elementi in grado di attuarle.

E' questo, senza dubbio, uno degli scopi preminenti, da non perdere mai di vista, di una scuola cattolica che sia degna di questo nome: preparare gli allievi a mettersi al servizio della diffusione del regno di Dio, come fermento di salvezza della comunità umana, impegnandosi ad aprirsi alle esigenze determinate dall'attuale progresso, così da promuovere efficacemente il bene della città terrena mediante l'attiva partecipazione alla vita sociale (GE 8).

Uno degli aspetti prioritari del rinnovamento consiste perciò nello sforzo concorde dei singoli istituti e dell'intera federazione per creare le condizioni giuridiche e sociali nelle quali la scuola cattolica possa raggiungere le sue specifiche finalità.


4. E' questa la prospettiva in cui si muovono tutti gli interventi post-conciliari della Chiesa ai vari livelli: la Congregazione per l'Educazione Cattolica sul piano internazionale, la Conferenza Episcopale Italiana sul piano nazionale, lo stesso Codice di Diritto Canonico, il quale nel suo ordinamento non solo dà alla scuola cattolica un posto di rilievo, ma raccomanda vivamente ai fedeli di favorirla, agli istituti religiosi, che si dedicano all'insegnamento, di mantenere con fedeltà questa loro specifica missione, ai genitori di affidare i figli alle scuole che garantiscono l'educazione cattolica e di cooperare strettamente con esse.

Cari fratelli e sorelle, nel regolamento in vigore si legge che la vostra associazione, riconosciuta come persona giuridica, promuove l'incremento, la qualificazione e il coordinamento degli istituti e delle scuole associate presso le autorità ecclesiastiche e civili.

E' comunemente ammesso che il rinnovamento della società parte dal rinnovamento della scuola. Ebbene, se il vostro sodalizio, sulla base della genuinità della sua ispirazione cristiana e contando sulla forza di unione, che gli proviene dall'apporto delle più varie componenti - religiosi, laici, genitori, docenti, alunni, ex alunni - riuscirà a rivitalizzare la scuola cattolica, avrà l'indubbio merito di recare un sicuro contributo al rinnovamento di tutta la scuola nazionale.

Aggiungo che se la federazione della FIDAE del Lazio si muoverà decisamente verso questi obiettivi, farà sentire positivamente, per l'impulso che danno i modelli concreti, il suo influsso su tutto l'arco della FIDAE nazionale.

La vostra federazione regionale, facendo perno su una città come Roma, dove si concentra la gamma più varia e ricca di istituti, può divenire l'associazione pilota in grado di dare il via all'auspicato rinnovamento di qualità.

Molto dunque dipende da voi, dallo stimolo del vostro impegno e dalla forza del vostro coraggio. La Vergine Madre, maestra dell'arte pedagogica, vi illumini e vi guidi con la sua particolare materna assistenza, perché l'Anno Mariano, che sta per aprirsi, segni la vigilia di un terzo millennio contraddistinto dall'adesione alla fede e dell'amore per la verità.

A tutti la mia benedizione.

1987-03-26 Data estesa: Giovedi 26 Marzo 1987




Omelia durante la Messa per gli universitari - Basilica di san Pietro (Roma)

Titolo: Solo Cristo può offrire il principio di unità al mondo del sapere umano e della cultura

Testo:

1. "...Chi non raccoglie con me, disperde" (Lc 11,23).

Iniziando col Mercoledi delle Ceneri, la Chiesa ha intrapreso il cammino del digiuno di quaranta giorni. In questo modo essa cerca di imitare Cristo: anch'egli infatti ha digiunato nel deserto per quaranta giorni, preparandosi ad iniziare la missione che aveva ricevuto dal Padre: la missione messianica.

Il luogo del digiuno di Cristo - il deserto - richiama alla memoria la grande esperienza del Popolo di Dio nell'antica alleanza: l'uscita dall'Egitto.

Liberati dalla schiavitù del faraone, i figli d'Israele, sotto il comando di Mosè, avanzarono per quarant'anni attraverso il deserto, verso la terra promessa.

Le letture dell'odierna liturgia fanno riferimento a questa peregrinazione, durante la quale Dio provava il popolo da lui eletto, dandogli i suoi comandamenti ed insegnandogli la fiducia e la fedeltà.

"Ascoltate la mia voce! Allora io saro il vostro Dio e voi sarete il mio popolo" (Jr 7,23).


2. Tuttavia, proprio sulla via dell'esodo dalla schiavitù egizia, il popolo eletto si ribello più volte a Dio, che lo aveva liberato.

Il profeta Geremia ne parla oggi con parole molto severe: "Ma essi non ascoltarono né prestarono orecchio; anzi procedettero secondo l'ostinazione del loro cuore malvagio" (Jr 7,24). Il profeta, che vive, come si sa, molto più tardi, abbraccia in retrospettiva tutta la storia del suo popolo, quando scrive: "...da quando i loro padri uscirono dal paese d'Egitto fino ad oggi. Io inviai a voi tutti i miei servitori, i profeti... sempre; eppure essi... non prestarono orecchio... Divennero peggiori dei loro padri" (Jr 7,25-26).

Così il profeta Geremia.

E il salmista ricorda questo luogo, ancora durante la peregrinazione del deserto, dove gli antenati "tentarono" il loro Dio. Ed esclama: "Ascoltate oggi la sua voce: ''Non indurite il cuore, / come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, / dove mi tentarono i vostri padri: / mi misero alla prova, / pur avendo visto le mie opere"" (Ps 94/95,8-9).

Quanto sono significative queste parole! L'uomo può "mettere alla prova" Dio! può "tentarlo". Si, può provocarlo con il suo comportamento, con la sua infedeltà, con il suo peccato. Pero questo è il Dio dell'alleanza. Il Dio che non solo ha chiamato all'esistenza, non solo ha creato l'uomo libero - ma: ha scelto l'uomo. Per questo "si espone" in un certo senso, per tutto ciò che da parte dell'uomo è contrario alla sua volontà. Alla sua volontà salvifica. Al suo amore.

L'Antico Testamento non esita a parlare di un Dio "geloso" (Ex 20,5).


3. Il cammino che la Chiesa percorre durante i quaranta giorni a partire dalle Ceneri, si riferisce costantemente alla storia dell'antica alleanza, e in particolare al viaggio d'Israele attraverso il deserto. Questo è il tempo di una prova speciale.

Cristo ha concluso il suo digiuno di quaranta giorni, accettando per tre volte di essere tentato.

La liturgia l'ha ricordato nella prima domenica di Quaresima. Il Messia - cioè colui che viene "consacrato con l'unzione" dello Spirito Santo - riporta la vittoria sul tentatore: "il principe di questo mondo" e "padre della menzogna" (Jn 8,44). L'odierna lettura del Vangelo secondo san Luca mostra la continuità di questa vittoria.

Essa appartiene alla missione del Messia, che, conforme all'antichissimo annuncio del Libro della Genesi, entro nel flusso centrale stesso di quella "inimicizia", che insieme al peccato ha pervaso tutta la storia dell'uomo sulla terra. Anzi, Cristo in diverse occasioni non esita a ricordare quell'"inimicizia" e ad indicare il "nemico".

Ne parla l'odierno Vangelo. Gesù ècosi deciso in questa lotta e così vittorioso, che "alcuni" addirittura lo tacciano di un patto segreto con lo spirito maligno. "E' in nome di Beelzebul, capo dei demoni, che egli scaccia i demoni" (Lc 11,15). Cristo tuttavia dimostra tutta la contraddizione, tutta l'assurdità di questo sospetto, come leggiamo nella odierna pericope, affermando: "Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio"(Lc 11,20); in Matteo leggiamo "Io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio" (12,28).


4. così dunque ci troviamo sulla via del regno di Dio. La Chiesa vi rimane costantemente. Pero - si può dire - nel periodo di Quaresima essa s'incammina per quella via con una particolare intensità. Per questo, proprio la Chiesa ci dimostra, giorno per giorno, la necessità di combattere tutto ciò che si oppone a questo regno. La necessità di andare alle radici stesse del male.

Questa è in un certo senso una particolare sfida rivolta a mettere in questione la realtà del male, del peccato e specialmente le sue più profonde radici, sia dentro di sé che fuori! Anche se allo stesso tempo egli è braccato così fortemente da questo male! Da qui un'osservazione di natura "metodologica": ascoltando il Vangelo, leggendolo, non dobbiamo cedere alla tentazione della "riduzione". Seguiamo tutto il realismo della parola di Dio! 5. Vale anche la pena di ricordare che tutta la liturgia quaresimale era e continua ad essere, una particolare catechesi destinata a coloro, che si preparavano ed anche oggi si preparano a battesimo. Ai catecumeni.

Così è nelle missioni. E qui, nella Basilica di san Pietro, ogni anno, durante la veglia pasquale, alcune decine di catecumeni adulti - donne e uomini - ricevono i sacramenti dell'"iniziazione" cristiana: battesimo e confermazione, partecipando nello stesso tempo all'Eucaristia e ricevendo per la prima volta il corpo e il sangue del Signore.

Ed ecco, a ciascuno di questi catecumeni il Papa si rivolgerà la notte della veglia pasquale con queste domande: "Rinunci al peccato, per vivere nella liberta dei figli di Dio?".

"Rinunci alle seduzioni del male per non lasciarti dominare dal peccato?".

"Rinunci a Satana, origine e causa di ogni peccato?".

Queste domande, come vediamo, conservano lo spirito dello stesso realismo che troviamo nell'odierno Vangelo - ed anche in tutta la Bibbia.

La notte della veglia pasquale ci prepara alla manifestazione della vittoria definitiva di Cristo - crocifisso e obbediente fino alla morte - sul male del peccato e della morte. Questa vittoria è nella vita della Chiesa il coronamento di tutto il cammino del digiuno di quaranta giorni. Cristo si presenta davanti agli occhi della nostra fede come colui che è "più forte" non solo del male, della morte e del peccato, ma "più forte" innanzitutto di colui che è l'"artefice" originario del male nella storia dell'uomo.

Nella prospettiva, dunque, di questa vittoria, bisogna intendere anche le parole dell'odierna pericope: "Chi non è con me, è contro di me"; -e quelle successive - "e chi non raccoglie con me, disperde" (Lc 11,23).


6. Chiediamoci dunque oggi che cosa significano queste parole per noi, qui riuniti. Il periodo della Quaresima non è per noi tempo di catecumenato nel senso stretto della parola. Abbiamo, infatti, ricevuto, generalmente il sacramento del battesimo nei primissimi giorni della nostra vita, prima ancora di raggiungere l'uso della ragione, e dunque prima di prender coscienza della fondamentale importanza di questo sacramento.

Prima del battesimo eravamo "catecumeni", ma non abbiamo sperimentato ciò che sin dall'inizio della Chiesa era - e continua ad essere - il catecumenato vero e proprio. In un certo senso, si può dire che questo catecumenato è stato "spostato", nella nostra vita, a più tardi. Al solo periodo di preparazione alla prima santa comunione? o alla confermazione? In una certa misura, si. Ma non solo.

Noi dobbiamo adempiere con tutta la nostra vita ciò che nell'esperienza cristiana è la preparazione al santo battesimo. Il periodo di Quaresima è, da questo punto di vista, un tempo privilegiato. Già nel Mercoledi delle Ceneri risonava nella santa Messa questa esortazione: "...vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio... Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza" (2Co 6,2).

E questa sera Cristo dice: "...Chi non raccoglie con me, disperde".


7. Nel porgere a tutti i presenti un cordiale saluto, rivolgo un grato e deferente pensiero ai magnifici rettori delle università, ai docenti, agli studenti.

Mi piace poi rilevare che, con questa celebrazione eucaristica, si apre anche il convegno promosso dalla Commissione della diocesi di Roma per la pastorale universitaria. Tale convegno, che si prefigge di approfondire i rapporti della Chiesa con l'Università dell'Urbe, è una buona occasione per voi, docenti e studenti, in questo periodo di grazia che è la Quaresima, per rendervi sempre più consapevoli del dono battesimale che avete ricevuto e di portarlo ad una maggiore fruttificazione, conforme alle esigenze poste dall'attivita culturale che state svolgendo.

Che lo spirito di questo convegno - per il quale esprimo il mio vivo compiacimento - si ispiri a questo "raccogliere con Cristo" del quale parla il Vangelo di Luca.

Che la vostra presenza di cristiani all'Università di Roma sia questo fermento di sintesi e di riunificazione nella luce della parola di Dio, questo principio di unità e di pacificazione nella verita, che è rappresentato dall'immagine del "raccogliere" usata dal divino Maestro.

Il mondo del sapere e della cultura sente oggi un enorme bisogno di un principio di unità che non coarti le singole discipline, ma anzi le salvi nella loro legittima autonomia. Soltanto Cristo può offrire questo principio supremo di unità. E' solo raccogliendo attorno a lui l'umano sapere, che questo trova la suprema sintesi che, con le sue sole forze, non è capace di trovare.


8. Siamo dunque chiamati a "raccogliere con Cristo". Che cosa vuol dire questo? "Raccogliere" con Cristo vuol dire approfondire il suo mistero pasquale, che è allo stesso tempo il mistero della redenzione del mondo: della nostra redenzione.

Occorre ritrovare questo mistero in lui - e contemporaneamente in noi stessi.

La redenzione è inscritta in tutta la storia dell'uomo. Nel medesimo tempo essa è inscritta nell'umanità stessa di ciascuno di noi. L'uomo è in un certo senso l'incessante via di questo mistero, che si manifesta e agisce per opera dello Spirito Santo.

"..Io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio" - dice Cristo - con "il dito di Dio"; e anche lo Spirito viene chiamato "il dito": "digitus paternae dexterae".

Ecco dunque l'obiettivo: ritrovare se stessi sul cammino del digiuno di quaranta giorni - ritrovare se stessi sul cammino del mistero della redenzione.

Si! Ritrovare se stessi! Cristo "svela" l'uomo all'uomo" - come insegna il Concilio, gli indica la sua vera e definitiva vocazione.

"Raccogliere con Cristo" - vuol dire: scoprire questa vocazione.

Identificarsi con essa.

Identificarsi con essa sullo sfondo di tutta la lotta tra il bene e il male che invade il mondo.


9. Ora comprendiamo anche il perché dei sacramenti. Perché il battesimo all'inizio del nostro "raccogliere con Cristo".

Ma anche perché la penitenza, specialmente ora durante la Quaresima! Perché la confessione? "Raccogliere con Cristo" vuol dire: costantemente ritornare, fare dietro-front dalla "dispersione". "Chi non raccoglie con me, disperde".

Il sacramento della penitenza è la magnifica misura del passaggio dalla "dispersione" dei tesori interiori della nostra umanità - al "raccogliere", a "raccoglierli" in uno "con Cristo".

Allora diventa chiaro anche il rapporto tra la penitenza e l'Eucaristia.

Questo è il punto culminante sulla via del "raccogliere in uno" tutti i tesori della nostra umanità insieme con colui che "conosce ogni cosa nell'uomo" (cfr. 1Jn 3,20) e che "amo sino alla fine" (Jn 13,1) ciascuno di noi. Proprio l'Eucaristia è l'espressione sacramentale di tutto questo.


10. E ancora una cosa...

Sapete che per l'anno in corso è stata fissata l'assemblea del Sinodo dei Vescovi. L'argomento sara: "I laici e la loro partecipazione nella missione della Chiesa" - uno dei temi fondamentali del Concilio Vaticano II.

"Raccogliere con Cristo" (non "disperdere") possiede anche un senso ecclesiale. La Chiesa è "il sacramento" del nostro "raccogliere" con Cristo. E in questo senso è il corpo di Cristo -perché "il corpo" è l'organismo, è l'unità, è la vitalità, è anche l'epifania del Dio invisibile nel mondo visibile.

In questo mondo la Chiesa rappresenta la pienezza del cammino dell'uomo dalla "dispersione": dal "caos" al "cosmo", all'ordine salvifico in Cristo.

Così dunque in quest'anno siamo chiamati in modo particolare ad inserirci più consapevolmente e in modo più maturo nella missione della Chiesa, che ebbe inizio il giorno di Pentecoste. E all'inizio di questo cammino sappiamo che - insieme con gli apostoli - vi era Maria. E lei costantemente "precede" in questo cammino.

Costantemente ci aiuta a "raccogliere" con Cristo. A passare dalla "dispersione" e dal caos, al cosmo, alla "salvifica fusione" di quelle molteplici vie lungo le quali procede l'uomo, nel pensare come nell'agire.


11. Cari partecipanti all'odierno incontro quaresimale. Cari professori e studenti! Accogliete questa meditazione sulla liturgia di oggi. Nella preghiera dei fedeli cercate di esprimere tutto ciò che concerne o assilla il vostro ambiente universitario.

"Venite, in ginocchio adoriamo il Signore che ci ha creati" (Ps 94/95,6). Nell'Eucaristia accogliamo ancora una volta nei nostri cuori il mistero redentivo di Cristo! Il dono del suo amore! Ritroviamo in esso sempre più pienamente noi stessi e la nostra altissima vocazione! Stiamo con lui! Raccogliamo con lui! Superiamo la divisione e la "dispersione"! Raccogliamo!

1987-03-26 Data estesa: Giovedi 26 Marzo 1987





GPII 1987 Insegnamenti - Commemorazione del XX anniversario della "Populorum Progressio" promulgata da Paolo VI - Aula del Sinodo dei Vescovi (Roma)