GPII 1987 Insegnamenti - Alle autorità della Repubblica Popolare di Polonia - Castello Reale di Varsavia (Polonia)

Alle autorità della Repubblica Popolare di Polonia - Castello Reale di Varsavia (Polonia)

Titolo: Ogni violazione dei diritti dell'uomo costituisce una minaccia alla pace

Testo:

Illustre signor Generale, Presidente del Consiglio di Stato! Illustri rappresentanti delle autorità dello Stato! Signori e signore! 1. L'odierno incontro, in occasione del mio terzo pellegrinaggio in patria, ha luogo nel Castello Reale di Varsavia.

Questo castello, distrutto, come tutta la capitale, durante la seconda guerra mondiale, è stato ricostruito e può continuare a testimoniare le tradizioni della Polonia come Stato, e la storia della patria indipendente e sovrana.

Ricollego nel mio pensiero questa residenza con il Castello Reale di Wawel, per avere un quadro più completo di questa storia nel corso dei secoli.

Occorrerebbe andare ancora più indietro - a Poznan e a Gniezno - le più antiche sedi dei Piast. Emerge allora davanti a noi la storia millenaria della nazione e dello stato polacco, di questa repubblica che - specialmente dalla fine del XIV secolo - ha raccolto due, tre e anche più nazioni. Un paese largamente aperto a tutti, indipendentemente dalle differenze etniche, culturali e religiose.

Frequentemente tornano alla nostra mente le parole di quel sovrano, che, in un periodo di grandi e spesso sanguinose tensioni, sapeva "di non essere il re delle coscienze umane" - e lo dichiaro pubblicamente.


2. Il Castello Reale di Varsavia è risorto dalle rovine. Esse sono scomparse, ma non è scomparso dalla coscienza dei Polacchi - così come del resto da quelle di molti altri popoli europei - il ricordo della seconda guerra mondiale.

Se nelle enunciazioni degli uomini di Stato - anche di quelli del signor Presidente del Consiglio di Stato - con tanta frequenza risuona la parola "pace", essa rimane legata prima di tutto a quella guerra che ha causato tante vittime.

Ricordero la mia presenza, nel 1975, sul terreno del campo di concentramento di Auschwitz; e le parole che ho pronunciato allora soffermandomi davanti alle lapidi con l'iscrizione in diciannove lingue. Ogni lapide rimane quasi un testimone muto della terribile ecatombe. Mi ricordo di aver allora nominato le lapidi con l'iscrizione in lingua ebraica, russa e polacca.

Queste lapidi testimoniano l'orrore della seconda guerra mondiale e costituiscono un monito!...


3. Questo ammonimento ha trovato eco nella coscienza dei Popoli, specialmente di quelli che in modo particolare sperimentarono su di sé le atrocità della guerra - e tra di loro la nazione polacca certamente occupa uno dei primi posti. Se lo ricordo oggi, lo faccio anche allo scopo di sottolineare ancora una volta questa grande affermazione della coscienza - in un certo senso comune a tutti gli uomini - espressa nella Carta dei Diritti dell'Uomo. Questo documento è posto quasi alle basi stesse dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, il cui scopo è vigilare sulla pacifica coesistenza delle nazioni e degli stati in tutto il globo.

L'eloquenza della Carta dei Diritti dell'Uomo è chiara ed universale. Se volete conservare la pace, ricordatevi dell'uomo. Ricordate i suoi diritti, che sono inalienabili, perché scaturiscono dall'umanità stessa di ogni persona.

Ricordate tra l'altro il suo diritto alla libertà religiosa, diritto ad associarsi e ad esprimere le proprie opinioni. Ricordate la sua dignità, in cui debbono incontrarsi le iniziative di tutte le formazioni sociali umane: comunità, società, nazioni e stati vivono pienamente una vita umana allorquando la dignità dell'uomo, d'ogni uomo, non cessa di guidare dalle basi stesse la loro esistenza ed attività.

Ogni violazione ed ogni mancanza di rispetto dei diritti dell'uomo costituisce una minaccia alla pace.


4. Proprio su questo tema ho parlato davanti alla Sessione Plenaria delle Nazioni Unite il I ottobre 1979, poiché questa verità sulla pace, in base all'insegnamento della Chiesa, possiede un'importanza chiave. Molte volte essa ha trovato espressione negli interventi della sede apostolica, in modo particolarmente prestigioso nell'enciclica "Pacem in terris" di Papa Giovanni XXIII.

Il tema della "pace sulla terra", legato così strettamente al messaggio evangelico, in un certo senso, sin dai suoi primi capitoli (cfr. Lc 2,14), non cessa di essere oggetto di costanti ammonimenti da parte della Chiesa, di interventi di singoli episcopati, ed in particolare della sede apostolica in diverse occasioni, a partire dal primo giorno di ogni anno. Nell'ultimo periodo - sullo sfondo dell'Anno della Pace proclamato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite - particolarmente eloquente è divenuto l'incontro ad Assisi: la preghiera per la pace, alla quale sono stati invitati non solo tutti i cristiani, ma anche i rappresentanti delle religioni non cristiane.


5. Quando sono stato l'ultima volta in patria, nei difficili giorni del 1983, il mio saluto fu espresso con queste parole: "Pace a te; Polonia, patria mia"! Prendendo oggi la parola, nel Castello Reale di Varsavia, ho davanti agli occhi dell'anima tutta la storia della patria, tanto spesso segnata dal marchio della guerra e della distruzione.

Queste esperienze storiche e specialmente le esperienze dell'ultima guerra, costituiscono per noi una particolare sfida ad intraprendere la "lotta per la pace", anche nella nostra patria.

Possiamo farlo diversamente dal riferirci alla "Carta dei Diritti dell'Uomo"? Infatti, la pace è sempre, tra le nazioni, e nel seno di una società, il frutto maturo della giustizia sociale: "opus iustitiae pax".

Bisogna dunque iniziare dalla società. Dagli uomini - da quegli uomini, che costituiscono la Polonia della seconda metà del ventesimo secolo. La Polonia degli anni sessanta, settanta, ottanta! Se ciascuno di questi uomini possiede la propria dignità personale, ha diritti che ad essa corrispondono. Nel nome di questa dignità è giusto che ciascuno e tutti tendano ad essere non solo oggetto delle direttive dell'autorità, o dell'istituzione statale, ma anche ad esserne il soggetto. Ed essere soggetto vuol dire: partecipare alla gestione della "cosa pubblica" di tutti i Polacchi.

La nazione vive autenticamente la propria vita, solo quando sperimenta la propria soggettività in tutta la vita dello Stato. Quando constata di essere padrona in casa propria, constata di partecipare alle decisioni mediante il suo lavoro, mediante il suo contributo.

Quanto è essenziale per la vita di una società che l'uomo non perda la fiducia nel proprio lavoro, che non provi una delusione a causa di questo lavoro! Possa egli in esso e per suo tramite affermarsi come uomo! Lui, la sua famiglia, le sue convinzioni! Ciò, a sua volta, ha un'importanza fondamentale per tutta l'economia nazionale. L'economia - come il lavoro - è per l'uomo, e non l'uomo per il lavoro, per l'economia. Si. Solo quando l'uomo ha coscienza della propria soggettività, quando lavoro ed economia sono ordinati a lui - allora anch'egli è per il lavoro, e per l'economia. Solo così si può costruire anche il progresso economico. L'uomo è sempre il primo.


6. Dico questo perché la suddetta verità fa parte del messaggio della Chiesa nel mondo contemporaneo. Del messaggio di pace e di giustizia.

Mi permetto di parlare così, anche perché sono profondamente consapevole del difficile periodo che sta attraversando la vita della nazione e dello Stato.

Difficile in senso socio-economico.

Per questo, desidero citare anche, a questo proposito, le seguenti parole del Concilio Vaticano II: "E' poi da lodarsi il modo di agire di quelle nazioni nelle quali la maggioranza dei cittadini è fatta partecipe della gestione della cosa pubblica in un clima di vera libertà"(GS 31).

Sottolineando in questo contesto la necessità della "solidità dei pubblici poteri", il Concilio continua: "Affinché... tutti i cittadini siano aperti a partecipare alla vita dei vari gruppi, di cui si compone il corpo sociale, è necessario che trovino in essi dei valori capaci di attirarli e di disporli al servizio degli altri. Legittimamente si può pensare che il futuro dell'umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza" (GS 31).


7. Prego incessantemente proprio per queste "ragioni di vita e di speranza", per la mia patria, per la nazione di cui sempre mi sento figlio. Come Vescovo di Roma, in questo spirito cerco di portare il mio servizio a tutti gli uomini ed a tutte le nazioni; questo infatti è il servizio proprio della Chiesa. In terra polacca lo esercitano i pastori della Chiesa.

Nello spirito di queste stesse "ragioni di vita e di speranza", formulo il mio augurio per tutti coloro che esercitano il potere, ed hanno, allo stesso tempo, una particolare responsabilità in questa attuale fase della storia della nostra nazione. Depongo questi auguri nelle mani del signor Presidente del Consiglio di Stato.

Auguro inoltre, che la Polonia abbia ed incrementi costantemente - il posto che le è dovuto tra le nazioni e gli stati d'Europa e dell'intero globo.

Ancora una volta ringrazio per l'invito. Estendo questo ringraziamento a tutti gli organi delle autorità regionali e locali, a tutti coloro per i quali il soggiorno del Papa tra i connazionali ha moltiplicato anche fatiche e responsabilità.

Tutti abbiamo il desiderio di servire le generazioni d'oggi e quelle future. E il contenuto di questo servizio viene espresso in modo molto esatto dalla frase: formare e trasmettere "ragioni di vita e di speranza".

Lo auguro di tutto cuore.

1987-06-08 Data estesa: Lunedi 8 Giugno 1987




Omelia durante la Messa inaugurale del Congresso Eucaristico Nazionale - Chiesa di Ognissanti di Varsavia (Polonia)

Titolo: L'Eucaristia appartiene all'ora redentrice della storia dell'uomo e del mondo

Testo:

1. "Li amo sino alla fine" (Jn 13,1).

Fate viva attenzione a queste parole di Cristo, voi, cari fratelli e sorelle, durante questi giorni del Congresso Eucaristico in Polonia, che oggi mi viene concesso di aprire.

Cristo Signore pronuncio queste parole il Giovedi Santo. Le troviamo annotate nel testo del Vangelo di Giovanni, all'inizio del discorso d'addio, unito all'Ultima Cena. "...Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amo sino alla fine" (Jn 13,1).

Queste parole - così come l'istituzione dell'Eucaristia - si uniscono a quell'"ora", che Gesù chiama "la sua ora" (Jn 13,1), l'ora in cui doveva in modo definitivo portare a compimento la missione datagli dal Padre (cfr. Jn 13,3).

L'Eucaristia appartiene proprio a quell'ora, all'ora redentrice di Cristo, alla redentrice ora della storia dell'uomo e del mondo. Questa è l'ora, nella quale il Figlio dell'uomo "amo sino alla fine". Sino alla fine ha confermato la potenza salvifica dell'amore. Ha rivelato che Dio stesso è amore. Non vi è mai stata e non vi sarà una rivelazione maggiore di questa verità una sua conferma più radicale: "non vi è un amore più grande di questo: dare la vita" (Jn 15,13) per tutti, perché essi "abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10).

Tutto questo si esprime nel Vangelo. L'Eucaristia è il memoriale e il segno sacramentale di tutto questo.


2. Entriamo dunque, cari fratelli, nel centro stesso della realtà eucaristica, mentre iniziamo a vivere i giorni del Congresso Eucaristico in Polonia, riferendoci a queste parole del Redentore stesso.

Presentandomi in mezzo a voi da questo altare, desidero unirmi con tutti coloro che durante quest'anno si sono raccolti, e specialmente nel corso della prossima settimana si raccoglieranno, attorno al Santissimo Sacramento, nello spirito delle parole pronunciate da nostro Signore nel Cenacolo.

Saluto cordialmente tutti i membri di questa assemblea liturgica, riunita per l'apertura del II Congresso Eucaristico Nazionale.

Saluto il Cardinale Primate, Arcivescovo Metropolita di Varsavia, i suoi Vescovi Ausiliari, i Cardinali Ospiti, gli Arcivescovi e i Vescovi, il Capitolo Metropolitano, il clero dell'arcidiocesi e della metropoli, i pellegrini delle diocesi vicine, quelli provenienti da tutta la Polonia e dall'estero.

Saluto e do il benvenuto ai rappresentanti degli istituti religiosi maschili e femminili, degli atenei cattolici e dei seminari ecclesiastici, ai membri del Servizio Liturgico dell'Altare e tutti coloro che provengono da particolari movimenti o gruppi pastorali.

Saluto voi tutti, cari fratelli e sorelle, miei connazionali.


3. L'apertura del Congresso Eucaristico cade il lunedi dopo la Pentecoste, quando la Chiesa in Polonia celebra la solennità di Maria Madre della Chiesa.

Questa circostanza ha una speciale eloquenza. Si può dire, che "la via polacca" all'Eucaristia passa attraverso Maria. Passa attraverso tutte le esperienze storiche della Chiesa e della nazione, unite in modo particolare al mistero dell'incarnazione. Nell'Eucaristia è costantemente con noi presente il Cristo, che "per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo". Egli, quasi prolungando il mistero della sua incarnazione fino alla fine dei tempi, edifica la Chiesa come suo corpo.

L'Eucaristia come sacramento del corpo e del sangue di Cristo ci introduce nel mistero della Chiesa - corpo di Cristo mistico. L'Eucaristia "edifica" la Chiesa sin dalle sue basi più profonde.

Tutto questo troviamo su quella via dell'esperienza "polacca" della fede, che porta da Jasna Göra, dall'atto di consacrazione alla Genitrice di Dio in occasione del millennio, all'Eucaristia, a questo congresso. Possiamo dunque dire a nostra volta: la nostra patria-esperienza dell'Eucaristia ci orienta anche verso Maria. Noi ricordiamo che il Figlio di Dio "ha preso il corpo umano dalla Genitrice, la Vergine immacolata".


4. La Madre di Dio è presente nel mistero di Cristo e della Chiesa, come insegna il Concilio. Lei, si può dire, partecipa in modo particolare ed eccezionale a quella "edificazione" della Chiesa, fin dalle basi, mediante l'Eucaristia.

Lei - la Madre del Verbo incarnato - è personalmente presente in questi momenti decisivi, in cui queste "basi" vengono poste nella storia della salvezza del mondo. Ce lo ricordano anche le letture dell'odierna liturgia.

E' presente prima ai piedi della croce. Si trova là come testimone, preparata in modo speciale dallo Spirito Santo, testimone particolarmente sensibile di quell'amore con cui Cristo, suo Figlio, "ci amo sino alla fine"; di quell'amore che trova la sua espressione sacramentale proprio nell'Eucaristia.

E a sua volta, come testimone particolarmente sensibile di quell'amore redentivo e salvifico, Maria si trova nel Cenacolo il giorno di Pentecoste, al momento della discesa del Consolatore, dello Spirito di verità sugli apostoli, al momento della nascita della Chiesa, di questa Chiesa, che costantemente vive di Eucaristia: "colui che mangia di me vivrà per me" (Jn 16,57).

Da quel giorno, dal giorno della nascita della Chiesa nel Cenacolo della Pentecoste - lo stesso in cui è stato istituito il sacramento del corpo e del sangue del Signore - da quel giorno, ripeto, Maria è presente nel mistero della Chiesa mediante la sua particolare maternità. Ella costantemente "precede" nella peregrinazione mediante la fede, come Madre del Redentore, tutto il Popolo di Dio.

Questa espressione della costituzione conciliare "Lumen Gentium" sulla Chiesa è anche il principale contenuto dell'ispirazione per l'"Anno Mariano", aperto ieri a Roma.

Le vie della Chiesa, provenendo da diverse parti, partendo da diverse esperienze storiche e contemporanee, si incontrano sempre accanto agli stessi misteri di Dio, che rimangono per noi "sorgente di vita e di santità".


5. E' bene dunque che l'iniziativa del Congresso Eucaristico sia stata intrapresa nella Chiesa che è in Polonia. E' bene che essa faccia riferimento alle parole di Cristo, che trattano del supremo amore: dell'amore "sino alla fine". Queste parole, nella bocca del nostro Maestro e Redentore, si riferiscono nello stesso tempo al sacrificio della croce e all'Eucaristia. La nuova alleanza nel sangue dell'Agnello, l'alleanza eterna, passa in un certo senso nel sacramento, e sotto la forma del sacramento lo stesso sacrificio salvifico e redentivo perdura sino alla fine dei secoli.

Terra polacca! Terra patria! Loda la croce di Cristo! Che essa testimoni ovunque colui che ci amo sino alla fine.

"Grazie alla morte e risurrezione di Cristo - diceva don Jerzy Popieluszko - il simbolo dell'ignominia e dell'umiliazione è divenuto un simbolo di coraggio, di fortezza, di aiuto e di fratellanza. Nel segno della croce oggi presentiamo ciò che vi è di più bello e di più prezioso nell'uomo. Attraverso la croce si va verso la risurrezione. Non vi è un'altra via. perciò le croci della nostra patria, le nostre croci personali, quelle delle nostre famiglie, devono condurre alla vittoria, alla risurrezione, se noi le uniamo con Cristo" (Kazania patriotyczzne/ "Omelie per la Patria", Paris 1984, pp. 65-66).

Terra polacca! Terra patria! Unisciti intorno all'Eucaristia di Cristo, nella quale il sacrificio cruento di Cristo si rinnova costantemente e si realizza di nuovo, sotto la specie del Santissimo Sacramento della fede! Mediante questo sacrificio è entrato nelle dimore divine Cristo, sacerdote "della nuova ed eterna alleanza" di Dio con l'uomo, dell'alleanza stipulata "nel sangue" dell'Agnello senza macchia. "...quanto più questo sangue, il sangue di Cristo, che con uno Spirito eterno offri se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente" (He 9,14).


6. Che dunque l'Eucaristia testimoni dinanzi a tutti noi, cari connazionali, questo amore, con cui Cristo ci ha amati sino alla fine! Che essa purifichi le nostre coscienze dalle opere morte.

Quanto è indispensabile una tale testimonianza! Quanto creativa! Solamente questo amore "sino alla fine" è capace di "purificare le coscienze", è capace di sconfiggere nell'uomo tutto ciò che appartiene al retaggio del peccato originale. La liturgia odierna ce lo ricorda nella prima lettura.

Dobbiamo continuamente liberarci da questo retaggio. Dobbiamo liberarci dal retaggio dell'odio e dell'egoismo, perché l'Eucaristià è il sacramento dell'amore di Dio per l'uomo e dell'amore dell'uomo per Dio. Nello stesso tempo, questo è il sacramento dell'amore dell'uomo per l'uomo, il sacramento che crea la comunità. Dobbiamo dunque costantemente vincere in noi quel modo di vedere il mondo, che accompagna sin dall'inizio la storia dell'uomo, un modo di vedere "come se Dio non esistesse", come se "egli non fosse amore". Le parole del Libro della Genesi "diventerete come Dio" (Gn 3,5) si uniscono con la negazione della verità su Dio, che è amore. Si uniscono con il fatto di porre il Creatore in stato di sospetto da parte delle creature, in stato di accusa.

Quanto siamo, a volte, vicini a questa tentazione. Quanto facilmente dimentichiamo "che tutto ci è stato donato" (cfr. 1Co 4,7). Anche ciò che l'uomo ritiene opera del proprio genio, anche questo ha la sua radice nel dono. Persino la sofferenza, se la si guarda attraverso il prisma del mistero di Cristo, della redenzione mediante la croce, acquista valore di un dono, mediante il quale "completiamo" il sacrificio redentivo del Figlio di Dio.

Molti uomini vivono oggi sulla soglia di frustrazioni, causate da diverse circostanze dell'attuale esistenza. Non solo qui, in questa terra travagliata e provata; ma anche negli ambienti del comfort e del piacere, nei paesi del "progresso tecnico", la frustrazione compare come una sensazione della mancanza del senso della vita.

Vi è un'uscita da questo stato dello spirito? Vi è una qualche strada per l'uomo? Questa via è proprio colui, che "amo fino alla fine".

La via è l'Eucaristia, il sacramento di questo amore.


7. Che Maria, la madre della Chiesa, la testimone più "sensibile" di questo amore di Cristo sino alla fine, ci aiuti tutti, cari fratelli e sorelle, ad uscire da situazioni senza via di uscita, dalle false strade verso le quali a volte, tende la nostra esistenza umana; ci aiuti a porci accanto a colui che è la via! E' la via, la verità e la vita (cfr. Jn 14,6).

Gesù Cristo: redentore dell'uomo.

Gesù Cristo: Eucaristia.

1987-06-08 Data estesa: Lunedi 8 Giugno 1987




Al mondo della cultura - Aula Magna dell'Università Cattolica di Lublino (Polonia)

Titolo: La società attende dalle sue università il consolidamento della propria soggettività

Testo:

1. Saluto di gran cuore tutti coloro che sono oggi riuniti nell'Aula Magna dell'Università Cattolica di Lublino. La visita di un ex-professore di questo ateneo ha fornito agli organizzatori l'occasione per invitare i rappresentanti del mondo della cultura da tutta la Polonia e anche dall'estero. Mi sento veramente onorato, illustri signore e signori, per questo invito e per la vostra presenza qui oggi.

So che oltre ai rappresentanti degli atenei del paese, dell'Accademia Polacca delle Scienze, sono presenti anche i rappresentanti di università estere, legate all'Università Cattolica di Lublino da una stretta collaborazione: da Leuven e Louvain-la-Neuve, a Milano, Parigi, Washington, Eichstätt, Nijmegen e Tilburg.

Nelle vostre persone incontro e saluto tutte le università, e tutte le facoltà che si trovano in terra patria, a cominciare dal più antico ateneo: quello Jagellonico, a Cracovia, al quale debbo i miei studi e le prime esperienze accademiche. Queste esperienze hanno impresso nella mia coscienza e in tutta la mia personalità profondi segni per tutta la vita. E ciò in modo particolare, forse perché sono legate prima al periodo che precedette la seconda guerra mondiale, e poi - soprattutto - al periodo dell'occupazione straniera, infine ai primi anni del periodo postbellico. Il ricordo di ciò che è l'università - "alma mater" - lo porto sempre vivo in me. Non solo il ricordo, ma la consapevolezza del debito che si è contratto per tutta la vita.


2. Da qui nasce in me il bisogno di iniziare il discorso facendo riferimento all'università come ad un particolare ambiente, ad una comunità in cui si incontrano i maestri e i discepoli, i docenti e gli studenti, rappresentanti di diverse generazioni, uniti da un comune scopo e da un comune compito. Si tratta di un compito di primaria importanza nella vita dell'uomo, ed anche in quella di una società - di una nazione e di uno stato.

Mentre vi parlo, illustri signori, ho davanti agli occhi dell'anima tutti questi ambienti, queste comunità, in cui il servizio alla conoscenza - cioè il servizio alla verità - diventa il fondamento della formazione dell'uomo.

Sappiamo che c'è stato qualcuno che ha detto: "conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,32). Nel corso del Congresso Eucaristico in Polonia, del quale sono ospite e partecipante, queste parole di Cristo riecheggiano con una forza particolare proprio qui, nell'aula universitaria, nel contesto dell'incontro con il mondo polacco della cultura e della scienza.

Queste parole riecheggiano e nel contempo vengono completate da quelle di san Paolo: "Operate la verità nella carità" (cfr. Ep 4,15).

Servendo la verità per amore della verità e di coloro ai quali la trasmettiamo, edifichiamo una comunità di uomini liberi nella verità, formiamo una comunità di uomini uniti nell'amore della verità e dal reciproco amore nella verità, una comunità di uomini per i quali l'amore della verità costituisce il principio del legame che li unisce.


3. A volte ho l'occasione ai avvicinarmi ai problemi di fondo del vostro ambiente.

In diverse interviste con uomini di scienza, che mi è stato dato di leggere negli ultimi anni, ho trovato espressioni di profondo impegno per la verità conosciuta e trasmessa, onde porre giuste esigenze a se stessi e agli studenti, in un clima pervaso da una "nota" di profonda sollecitudine! Abbiamo tanti giovani molto dotati; non mancano i talenti nella generazione degli studenti di oggi e dei giovani uomini di scienza che popolano i nostri atenei! Hanno essi tutte le condizioni necessarie affinché i loro studi producano pieno frutto? Qui in terra patria? Questo interrogativo riguarda il presente, l'attrezzatura degli ambienti del lavoro universitario, il contatto con i centri di avanguardia della scienza mondiale. Questo interrogativo riguarda anche il futuro. Quali sono le prospettive di questa generazione? Le prospettive di lavoro! Questo problema esiste anche in molti paesi dell'Occidente europeo.

Prospettive di vita, prima di tutto: quella dell'abitazione! La necessità di un tetto per le coppie di giovani sposi e per le famiglie! Bisogna che questi interrogativi vengano posti. Essi sono puramente ed esclusivamente un'espressione di sollecitudine per l'uomo. L'università è sempre stata il luogo di questa solidale sollecitudine. Una volta la si chiamava "aiuto fraterno".

Nello spirito proprio di questa solidale sollecitudine, mi permetto di ripetere la domanda davanti a voi, cari signori, giacché l'università, per sua natura, serve il futuro dell'uomo e della nazione. Il suo compito è di risvegliare costantemente nella coscienza sociale il problema di questo futuro. Di farlo in modo instancabile, intransigente. Abbiamo tanti giovani promettenti. Non possiamo permettere che essi non vedano un futuro per sé nella propria patria.

Dunque, anche come figlio di questa patria, oso esprimere l'opinione che bisogna riflettere su molti problemi della vita sociale, delle strutture, dell'organizzazione del lavoro, fino ai presupposti stessi dell'attuale organismo dello Stato, dal punto di vista del futuro della giovane generazione in terra polacca.

Le università, gli atenei, non possono tirarsi indietro di fronte alla necessità di dare una testimonianza in questo settore essenziale e fondamentale all'esistenza stessa della Polonia. 4. Se ho iniziato dall'ambiente - cioè dall'università intesa come comunità speciale - l'ho fatto in considerazione della questione della soggettività: un problema così essenziale per l'intera nazione. Questa soggettività viene formata ovunque, nei diversi luoghi di lavoro di questa nostra terra patria. Sono chiamati a questo gli ambienti di lavoro dell'industria e dell'agricoltura. Sono chiamati a questo ogni famiglia ed ogni uomo. La soggettività nasce dalla natura stessa dell'essere personale: corrisponde prima di tutto alla dignità della persona umana. E' la conferma, la verifica e insieme l'esigenza di questa dignità, sia nella vita personale che in quella collettiva.

Gli atenei, fucine di lavoro culturale, operanti secondo una molteplice metodologia, sono chiamati a questo in modo particolare. Sono chiamati a ciò "dall'interno", a motivo della propria costituzione, che è indispensabile al servizio della verità. Vi sono chiamati in un certo senso anche "dall'esterno" - in considerazione della società, nella quale essi vivono e per la quale operano.

La società attende dalle sue università il consolidamento della propria soggettività, attende la dimostrazione delle ragioni che la fondano, e dei motivi e delle iniziative, che la servono. A ciò è pure strettamente legata l'esigenza della libertà accademica - ovvero di una giusta autonomia delle università e degli atenei. Proprio questa autonomia al servizio della verità che viene conosciuta e trasmessa, è condizione in certo senso basilare della soggettività di tutta la società in mezzo alla quale le università realizzano la propria missione.

Era forse questa la meta che brillava davanti agli occhi dei nostri regnanti prima ancora della dinastia dei Piast, e poi dei Jagelloni - nella fondazione e nel rinnovamento della prima università in Polonia? Oserei dire si.


5. Questo quesito si collega al problema - forse ancor più fondamentale - che riguarda propriamente la "costituzione" dell'uomo: il posto dell'uomo nel mondo.

Nel cosmo. Per discuterlo, è indispensabile andare "all'inizio", all'"arché".

Si tratta di un problema di enorme importanza per le diverse discipline riguardanti l'uomo e il mondo, per esempio, per la paleontologia, la storia, l'etnologia. Scienze di questo tipo si sviluppano sulla base dei propri metodi empirici. Cercano gli indizi e le prove che si possono ricavare dall'esame dei reperti che evidenziano le più antiche tracce dell'uomo nel cuore della terra.

Permettete che, a questo punto, io riporti un testo biblico. Certamente esso non ha valore dal punto di vista dei principi e dei metodi della scienza empirica.

Possiede invece un'importanza simbolica. Sappiamo che "simbolo" vuol dire segno di convergenza, di incontro e di reciproca adesione di dati elementi. Penso che il testo del Libro della Genesi, che riferiro - senza pretese di esattezza dal punto di vista delle scienze empiriche - possieda anche un proprio, specifico significato per l'intelletto stesso che ricerca la verità sull'uomo.

Ecco il passo: "Allora il Signore Dio plasmo dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovo un aiuto che gli fosse simile" (Gn 2,19-20).

Ecco, indipendentemente da ciò che cogliamo con il metodo empirico (o piuttosto con molti metodi) sul tema dell'"inizio", il testo sopracitato sembra possedere una formidabile importanza "simbolica". Anzi, in un certo senso raggiunge le radici stesse del problema: "il posto dell'uomo nel cosmo". Si potrebbe anche dire che costituisce una certa espressione della convergenza di tutto ciò che contengono in sé le ricerche condotte coi metodi delle scienze empiriche. Tutte infatti, nella ricerca delle tracce originarie dell'uomo, si lasciano nel contempo guidare da un certo fondamentale concetto dell'uomo.

Possiedono una risposta elementare almeno all'interrogativo: in che cosà l'uomo si distingue dagli altri esseri nel cosmo visibile.

L'uomo, "sin dall'inizio", distingue se stesso da tutto il cosmo visibile, in particolare dal mondo degli esseri in certo senso a sé più vicini.

Essi tutti sono per lui un oggetto. Lui solo rimane il soggetto in mezzo a loro.

Lo stesso Libro della Genesi parla dell'uomo come di un essere creato ad immagine di Dio e a sua somiglianza. Anzi, alla luce del passo sopracitato è al tempo stesso chiaro che quella soggettività dell'uomo si collega in modo essenziale alla conoscenza. L'uomo è soggetto in mezzo al mondo degli oggetti, perché egli è in grido di obiettivare in modo conoscitivo tutto ciò che lo circonda. Infatti, mediante il proprio intelletto egli è "per natura" orientato verso la verità.

Nella verità è contenuta la sorgente della trascendenza dell'uomo nei riguardi del cosmo in cui vive.

Proprio mediante la riflessione sulla propria conoscenza, l'uomo si rivela a se stesso come l'unico essere del mondo che vede "dal di dentro", legato alla verità conosciuta - legato, e dunque anche "obbligato" a riconoscerla, se occorre, anche tramite la libera scelta, con atti di testimonianza in favore della verità. Questa è la capacità di superare se stesso nella verità. Per mezzo della riflessione sulla propria conoscenza, l'uomo scopre che il modo del suo esistere nel mondo è non solo totalmente diverso da ogni altro, ma che esso è anche distinto, superiore ad ogni altro nel proprio ambito. L'uomo semplicemente nota di essere un soggetto personale, una persona. Si pone faccia a faccia con la propria dignità.

Il testo biblico parla in certo senso delle prime, elementari verità (imponeva "nomi"), mediante le quali l'uomo ha constatato ed affermato la propria soggettività in mezzo al mondo. Si può dire, allo stesso tempo, che in questa descrizione viene annunciato e in certo senso "anticipato" tutto il processo conoscitivo che decide della storia della cultura umana. Non esiterei a dire che il primo libro della Bibbia apre la prospettiva d'ogni scienza e di tutte le scienze. La realtà - tutta la realtà, tutti i suoi aspetti ed elementi - costituiranno sin d'ora un'incessante sfida all'uomo, al suo intelletto. Anche tutto il moderno e contemporaneo, gigantesco sviluppo della scienza, viene già annunziato ed iniziato in questa descrizione. E nessuna nuova epoca della conoscenza scientifica va sostanzialmente "oltre" a ciò che in quella descrizione è stato già delineato - in modo figurativo ed elementare.


6. Il paradigma biblico "dell'uomo in mezzo al mondo" contiene, come si vede, un gruppo di elementi che non cessano di determinare il nostro pensiero sull'uomo.

Non cessano neanche di toccare le basi stesse della sua soggettività, ed anche - almeno in prospettiva - quella relazione che avviene da una parte tra l'"imporre nome" agli oggetti e il processo conosciuto che si sviluppa gradualmente anche nella forma della molteplicità delle scienze, e, dall'altra, il consolidamento del posto dell'uomo nel cosmo come soggetto. Più lontano arriva lo sforzo del conoscere, cioè la scoperta della verità sulla realtà oggettiva, più si approfondisce la ragione della soggettività umana. Questa ragione concerne non solo, e non tanto, l'uomo in mezzo al mondo, quanto ancor più l'uomo tra gli uomini, l'uomo nella società.

Si può dire paradossalmente che nella misura in cui cresce il progresso del sapere sul mondo (nelle dimensioni macro e microscopica), l'uomo deve sempre di più, sul terreno del progresso delle civiltà scientifico-tecniche, difendere la verità su se stesso.

L'uomo deve anche, nel nome della verità su se stesso, opporsi a una duplice tentazione, cioè quella di subordinare la verità su se stesso alla propria libertà, e alla tentazione di rendersi suddito del mondo delle cose. Egli deve resistere sia alla tentazione dell'autodeificazione sia alla tentazione dell'autoabbassamento. Secondo un'espressione di un autore del Medioevo: "Positus est in medio homo: nec bestia, nec deus"! Questo del resto appartiene al paradigma biblico del Libro della Genesi. L'uomo già "sin dall'inizio" viene lusingato dalla tentazione di sottomettere la verità su se stesso all'arbitrio della sua volontà e di situarsi mediante ciò "al di là del bene e del male". E' tentato dall'illusione di conoscere la verità sul bene e sul male, solamente quando egli stesso deciderà di essa. "...Si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male" (Gn 3,5).

Nello stesso tempo, l'uomo viene "sin dall'inizio" chiamato a "soggiogare la terra" (cfr. Gn 1,28), il che naturalmente costituisce il frutto "naturale", ed insieme il "prolungamento" pratico della conoscenza, cioè del "dominio" mediante la verità sul resto delle creature.

Qui desidero almeno toccare il problema, tanto attuale oggi in tutto il mondo, della protezione dell'ambiente naturale. Questo è - per quanto io sappia - un problema enormemente importante anche in Polonia. Dominare la terra vuol dire anche rispettare le sue leggi, le leggi della natura. In questo campo tramite lo sforzo di un saggio dominio sulle forze della natura e di una oculata gestione delle sue risorse, la scienza - come loro ben sanno - ha un grande compito da realizzare.

Tuttavia "soggiogare la terra" significa anche: non rendersi subordinati alla terra! Non permettere che né conoscitivamente, né praticamente l'uomo venga "ridotto" all'ordine degli oggetti. Conservare la soggettività della persona nell'ambito di tutta la "praxis" umana. Assicurare questa soggettività anche nella collettività umana: nella società, nello Stato, nei diversi ambienti di lavoro e persino nello svago collettivo.

Penso che tale sia l'ultima ragione e il senso di ciò che oggi vengono chiamati: diritti dell'uomo. Sulla base della conoscenza metodica, dunque della scienza, qui passa anche il punto d'incontro con la filosofia, ed in particolare con l'etica - ed anche in un certo senso con la teologia.


7. Il periodo dell'Illuminismo, e ancor più il secolo XIX, sviluppo la tesi sull'antinomia tra scienza e religione. Questa antinomia ha anche generato l'opinione (specie nel marxismo) sul carattere alienante d'ogni religione. La riduzione "dell'uomo al mondo", alle dimensioni dell'assoluta immanenza, dell'uomo "nei limiti del mondo", contenuta in questa concezione, porta con sé non solo la problematica di Nietzsche della "morte di Dio", ma anche - come è stato progressivamente notato - la prospettiva della "morte" dell'"uomo", il quale, in una tale visione, essenzialmente "materialista" della realtà, non dispone di un orientamento definitivo, escatologico, né di altre possibilità trascendenti, e si pareggia così al resto degli oggetti del cosmo visibile.

La suddetta posizione veniva proclamata con decisione e data per scontata, e persino "postulata" nei vari ambienti come sinonimo di unico metodo scientifico, anzi, del "concetto scientifico" del mondo.

Attualmente si può notare in questo campo una decisione non così assoluta. Il paradigma dell'"uomo-soggetto", (il quale, come è stato detto, ha le sue radici anche nel Libro della Genesi) sembra riaffacciarsi - mediante qualche via, non sempre attraverso l'entrata principale - alla coscienza degli uomini e delle società, anche nel mondo della scienza. Né si vede più nella religione l'avversario dell'intelletto e delle sue possibilità conoscitive. Piuttosto si riscontra in essa un altro genere di espressione della verità sull'uomo nel mondo.

Non vi è dubbio che ciò va di pari passo con un nuovo modo di scorgere la dimensione della trascendenza esclusivamente propria dell'uomo come soggetta. Si tratta - in certo senso di primo "acchito" - della trascendenza mediante la verità.

Sembra anche che l'uomo d'oggi si renda sempre più conto del fatto che Dio (e dunque anche la religione) - e specialmente il Dio-Persona della Bibbia e del Vangelo, il Dio di Gesù Cristo, rimane l'ultimo (e definitivo) garante della soggettività umana, della libertà dello spirito umano, specie nelle condizioni, in cui questa libertà e soggettività vengono minacciate non solo in senso teorico, ma, più ancora pratico, mediante un sistema ed una scala di valori. Mediante l'"ethos" (oppure l'antiethos) unilateralmente tecnocratico, mediante la diffusione del modello di civiltà consumistica, mediante diverse forme di totalitarismo del sistema.

In questo modo ritorniamo all'antichissimo paradigma della Bibbia: Dio-Creatore, ma anche Alleato dell'uomo-Dio dell'alleanza! Padre! 8. Per chiudere, desidero ancora dirvi la mia gioia speciale per il fatto che un incontro così eloquente con il mondo della scienza polacca abbia trovato luogo a Lublino. Questa città possiede una sua eloquenza storica. Non si tratta solo dell'eloquenza dell'"Unione di Lublino", ma di tutto ciò che costituisce il contesto storico, culturale, etico e religioso di questa "unione".

Tutto il grande processo storico dell'incontro tra l'Occidente e l'Oriente. La reciproca attrazione e repulsione. La repulsione - ma anche l'attrazione. Questo processo appartiene a tutta la nostra storia.

Forse più "ieri" che "oggi"; tuttavia non è possibile separare l'"oggi" dallo "ieri". La nazione vive costantemente tutta la sua storia. E la Chiesa della nazione - anche. E questo processo non è terminato.

E nessuno priverà la gente che vive qui, specialmente gli uomini di scienza, della responsabilità in ordine all'esito definitivo di tale processo storico in questo luogo dell'Europa! E del mondo! Nel luogo di una "difficile sfida".

Così dunque la questione indicata simbolicamente da questa città - Lublino - (e forse anche da questa università: l'Università Cattolica di Lublino) ha una dimensione non solo polacca ma europea, e addirittura universale. Tale dimensione avevo presente, quando, seguendo l'esempio di Paolo VI, che proclamo san Benedetto patrono d'Europa ho visto la necessità di estendere questo "patrocinio" ad altre due figure: gli apostoli degli Slavi i santi fratelli di Salonicco Cirillo e Metodio.

Tutti e tre hanno anticipato la storia della Polonia, nostra patria. Ma hanno anche in certo modo preparato in comune questo tempo - e tutto il nostro millennio passato.

Voglia il cielo che noi possiamo continuare fedelmente, autenticamente e creativamente questa grande eredità! "Al Re dei secoli incorruttibile, onore e gloria nei secoli dei secoli" (1Tm 1,17). "Soli Deo": chiudo con queste parole, che costituivano l'emblema episcopale del Cardinal Stefan Wyszynski, grande Primate del millennio, il quale qui, a Lublino, inizio il suo servizio episcopale alla Chiesa in Polonia.

1987-06-09 Data estesa: Martedi 9 Giugno 1987





GPII 1987 Insegnamenti - Alle autorità della Repubblica Popolare di Polonia - Castello Reale di Varsavia (Polonia)