GP2 Discorsi 1999 127

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Lunedì, 3 Maggio 1999

Carissimi Fratelli e Sorelle!


1. Con grande gioia vi incontro nuovamente in questa Piazza, che ieri ha visto compiersi un evento da voi tanto atteso: la beatificazione di Padre Pio da Pietrelcina. Oggi, è il giorno del ringraziamento.

Poco fa si è conclusa la solenne celebrazione eucaristica, presieduta dal Cardinale Angelo Sodano, mio Segretario di Stato. A lui rivolgo un cordiale saluto, estendendolo a ciascuno degli altri Cardinali e Vescovi presenti, come pure ai numerosi sacerdoti ed ai fedeli intervenuti.

Con affetto speciale abbraccio voi, cari Frati Cappuccini, e gli altri membri della grande Famiglia francescana, che lodate il Signore per le meraviglie da lui compiute nell'umile Frate di Pietrelcina, seguace esemplare del Poverello di Assisi.

Molti di voi, cari pellegrini, sono membri dei gruppi di preghiera fondati da Padre Pio: vi saluto affettuosamente insieme con tutti gli altri fedeli che, mossi dalla devozione verso il nuovo Beato, hanno voluto essere presenti in questa lieta circostanza. Un saluto particolare desidero, infine, rivolgere a ciascuno di voi, cari malati, che siete stati i prediletti nel cuore e nell'azione di Padre Pio: grazie per la vostra preziosa presenza!

2. La divina Provvidenza ha voluto che Padre Pio fosse proclamato Beato alla vigilia del Grande Giubileo del Duemila, mentre si chiude un secolo drammatico. Qual è il messaggio che, con questo evento di grande importanza spirituale, il Signore vuole offrire ai credenti ed all'intera umanità?

La testimonianza di Padre Pio, leggibile nella sua vita e nella sua stessa persona fisica, ci induce a ritenere che questo messaggio coincida con il contenuto essenziale del Giubileo ormai vicino: Gesù Cristo è l'unico Salvatore del mondo. In Lui, nella pienezza dei tempi, la misericordia di Dio si è fatta carne, per donare la salvezza all'umanità, mortalmente ferita dal peccato. "Dalle sue piaghe siete stati guariti" (
1P 2,25), ripete a tutti il Beato Padre, con le parole dell'apostolo Pietro, lui, che quelle piaghe le ha avute impresse nel suo corpo.

In sessant'anni di vita religiosa, trascorsi quasi tutti a San Giovanni Rotondo, egli si è dedicato interamente alla preghiera ed al ministero della riconciliazione e della direzione spirituale. Lo mise in risalto molto bene il Servo di Dio Papa Paolo VI: "Guardate che fama ha avuto Padre Pio! . . . Ma perché?. . . Perché diceva la Messa umilmente, confessava dal mattino alla sera, ed era rappresentante stampato delle stimmate di Nostro Signore. Era un uomo di preghiera e di sofferenza" (20 febbraio 1971).

Tutto raccolto in Dio, portando sempre nel suo corpo la passione di Gesù, egli è stato pane spezzato per gli uomini affamati del perdono di Dio Padre. Le sue stimmate, come quelle di Francesco d'Assisi, erano opera e segno della divina misericordia, che mediante la Croce di Cristo ha redento il mondo. Quelle ferite aperte e sanguinanti parlavano dell'amore di Dio per tutti, specialmente per i malati nel corpo e nello spirito.

3. E che dire della sua vita, incessante combattimento spirituale, sostenuto con le armi della preghiera, centrata nei sacri gesti quotidiani della Confessione e della Messa? La Santa Messa era il cuore di ogni sua giornata, la preoccupazione quasi ansiosa di tutte le ore, il momento di maggiore comunione con Gesù, Sacerdote e Vittima. Si sentiva chiamato a partecipare all'agonia di Cristo, agonia che continua fino alla fine del mondo.

128 Carissimi, in questo nostro tempo, in cui ancora ci si illude di risolvere i conflitti con la violenza e la sopraffazione, e si cede non di rado alla tentazione di abusare della forza delle armi, Padre Pio ripete ciò che ebbe a dire una volta: "Che orrore la guerra! In ogni uomo colpito nella carne c'è Gesù che soffre". Non deve poi passare inosservato il fatto che entrambe le sue opere - la Casa Sollievo della Sofferenza e i Gruppi di preghiera - siano state da lui concepite nell'anno 1940, mentre in Europa si profilava la catastrofe della seconda guerra mondiale. Egli non rimase inerte, ma, dal suo convento sperduto sul Gargano, rispose con la preghiera e con le opere di misericordia, con la carità verso Dio e verso il prossimo. E oggi, dal Cielo, ripete a tutti che questa è l'autentica via della pace.

4. I Gruppi di preghiera e la Casa Sollievo della Sofferenza: ecco due "doni" significativi che Padre Pio ci ha lasciato. Pensata e voluta da lui come ospedale per i malati poveri, la Casa Sollievo della Sofferenza fu progettata fin dall'inizio come struttura sanitaria aperta a tutti, ma non per questo meno attrezzata degli altri ospedali. Padre Pio la volle, anzi, dotata dei più avanzati strumenti scientifici e tecnologici, perché fosse luogo di autentica accoglienza, di amorevole rispetto e di efficace terapia verso ogni persona sofferente. Non è forse questo un vero miracolo della Provvidenza, che continua e si sviluppa, seguendo lo spirito del Fondatore?

Quanto, poi, ai Gruppi di preghiera, essi furono da lui voluti come fari di luce e d'amore nel mondo. Egli desiderava che molte anime si associassero a lui nella preghiera: "Pregate - diceva - pregate il Signore con me, perché tutto il mondo ha bisogno di preghiere. Ed ogni giorno, quando il vostro cuore sente di più la solitudine della vita, pregate, pregate insieme il Signore, perché anche Dio ha bisogno delle nostre preghiere!". La sua intenzione era di creare un esercito di oranti, di persone che fossero "lievito" nel mondo con la forza della preghiera. Ed oggi la Chiesa tutta gli è grata per questa preziosa eredità, ammira la santità di questo suo figlio ed invita tutti a seguirne l'esempio.

5. Carissimi Fratelli e Sorelle, la testimonianza di Padre Pio costituisce un potente richiamo alla dimensione soprannaturale, da non confondere col miracolismo, deviazione da cui egli sempre rifuggì con fermezza. A lui guardino, in special modo, i sacerdoti e le persone consacrate.

Egli insegna ai sacerdoti a farsi strumenti docili e generosi della grazia divina, che guarisce le persone alla radice dei loro mali, restituendo ad esse la pace del cuore. L'altare e il confessionale furono i due poli della sua vita: l'intensità carismatica con cui egli celebrava i divini Misteri è testimonianza quanto mai salutare per scuotere i presbiteri dalla tentazione dell'abitudine ed aiutarli a riscoprire giorno per giorno l'inesauribile tesoro di rinnovamento spirituale, morale e sociale posto nelle loro mani.

Ai consacrati, in modo speciale alla Famiglia francescana, egli offre una testimonianza di singolare fedeltà. Francesco era il suo nome di battesimo, e del Serafico Padre egli fu, fin dal suo ingresso in convento, un degno seguace, nella povertà, nella castità e nell'obbedienza. Praticò in tutto il suo rigore la regola cappuccina, abbracciando con generosità la vita di penitenza. Non si compiacque del dolore, ma lo scelse come via di espiazione e di purificazione. Come il Poverello di Assisi, puntò alla conformità con Gesù Cristo, desiderando solo "amare e soffrire", per aiutare il Signore nella faticosa ed esigente opera della salvezza. Nell'obbedienza "ferma, costante e ferrea" (Epist. I, 488) trovò la più alta espressione il suo amore incondizionato a Dio ed alla Chiesa.

Quale consolazione sentire accanto a noi Padre Pio, che volle essere semplicemente "un povero frate che prega": fratello di Cristo, fratello di Francesco, fratello di chi soffre, fratello di ognuno di noi. Possa il suo aiuto guidarci sulla strada del Vangelo e renderci sempre più generosi nel seguire Cristo!

Questo ci ottenga la Vergine Maria, che egli ha amato e fatto amare con profonda devozione. Questo ci ottenga la sua intercessione, che con fiducia invochiamo.

Accompagno questi auspici con la Benedizione Apostolica, che di cuore imparto a voi, cari pellegrini qui presenti, ed a quanti si sono spiritualmente uniti a questo festoso incontro.


AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE


DEL CANADA (REGIONE ONTARIO),


IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»


Martedì, 4 maggio 1999




Cari Fratelli Vescovi,

129 1. Nella gloriosa speranza della Pasqua, vi do il benvenuto, Vescovi dell'Ontario, rallegrandomi di nuovo con voi poiché la promessa pasquale «poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Prego affinché durante questi giorni della vostra visita ad limina Apostolorum lo Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti agisca con vigore nel vostro cuore, cosicché possiate assaporare di nuovo la sua pace e la sua gioia nell'esercitare «l'ufficio sacro del vangelo di Dio» (Rm 15,16). Provenite da città, grandi e piccole, da vaste aree rurali del Canada, da culture anglofone e francofone e da Chiese d'Oriente e d'Occidente. Tuttavia, siete giunti sulle Tombe degli Apostoli uniti come fratelli in comunione gerarchica, come Pastori che portano la gioia e la speranza, la sofferenza e la preoccupazione del Popolo di Dio che Cristo vi ha chiamato a servire. Il ministero dei Vescovi è complesso ed esigente e le sue numerose pressioni possono a volte offuscare la nostra visione di ciò che Cristo ci chiama a essere e a compiere. Questa vostra permanenza a Roma è un'occasione che il Signore vi offre per soffermarvi un momento e concentrarvi ancora una volta su ciò che è veramente importante, per valutare attentamente il vostro ministero alla luce dell'amore del Signore per la Sua Chiesa e per fare piani per il futuro con un coraggio e una fiducia ancora maggiori.

È un momento di grande sfida per la comunità cattolica, ma è anche un tempo di grazia abbondante. Noi che guidiamo il Popolo di Dio nel suo pellegrinaggio non osiamo trascurare il dono che ora ci viene offerto. Ci troviamo alla soglia di un nuovo millennio, un tempo di profondi cambiamenti culturali che, come il millennio che sta per concludersi, è pieno di ambiguità. Tuttavia, fra complessità e contraddizioni, l'intera Chiesa si prepara a celebrare il Grande Giubileo del bimillenario della nascita del Salvatore, certa che la misericordia di Dio farà grandi cose per noi (cfr Lc 1,49). Vi sono segni del fatto che Cristo, pienezza della misericordia di Dio, agisce in modi nuovi e meravigliosi. Come in altri momenti significativi della sua storia, la Chiesa è sottoposta a giudizio. Sarà giudicata in base al fatto che riesca o meno a riconoscere e a rispondere alle esigenze di questa «ora di grazia». Più di altri, noi Vescovi siamo sottoposti a giudizio: «Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele» (1Co 4,2).

2. Il ricordo dell'Assemblea speciale per l'America del Sinodo dei Vescovi è ancora vivo nella mia mente: e come potrebbe essere altrimenti, con un'esperienza così profonda di comunione episcopale nella «preoccupazione per tutte le Chiese » (2Co 11,28)? Da Città del Messico, l'Esortazione Apostolica Ecclesia in America è giunta fino a voi e ai sacerdoti, ai religiosi e ai laici delle vostre Diocesi come un invito sincero a impegnarsi nella «nuova evangelizzazione». L'Esortazione Apostolica contiene molti elementi per pensare e agire e io desidero prendere in considerazione oggi con voi proprio uno di questi. L'Esortazione osserva che «evangelizzare la cultura urbana costituisce una sfida formidabile per la Chiesa, che come per secoli seppe evangelizzare la cultura rurale, così è chiamata oggi a portare a compimento un'evangelizzazione urbana metodica e capillare» (n. 21). Ciò che i Padri Sinodali hanno auspicato è stata proprio l'evangelizzazione che ho descritto come «nuova nell'ardore, nei metodi e nell'espressione» (cfr Discorso all'Assemblea del CELAM, 9 marzo 1983, III) e tale evangelizzazione è di certo necessaria all'alba del terzo millennio cristiano, in particolare nei grandi centri urbani dove vive attualmente una percentuale sempre maggiore di persone. Come hanno osservato i Padri Sinodali, in passato la Chiesa in Europa e altrove è riuscita a evangelizzare la cultura rurale, ma questo non è più sufficiente. Ora si profila un nuovo e grande compito ed è impensabile fallire nell'evangelizzazione delle città. «Colui che vi chiama è fedele, e farà tutto questo!» (1Th 5,24).

3. Il fenomeno delle megalopoli esiste da molto e la Chiesa non ha indugiato nel considerare il modo migliore per reagire. Nella sua Lettera Apostolica del 1971, Octogesima adveniens, Papa Paolo VI osservò quale grande sfida alla saggezza, all'immaginazione e alla capacità organizzativa dell'uomo fosse l'urbanizzazione irreversibile e crescente (cfr n. 10). Sottolineò in che modo l'urbanizzazione in una società industriale sconvolgesse i modi tradizionali e le strutture di vita causando nell'uomo «una nuova solitudine . . . nella folla anonima . . . in mezzo alla quale egli si sente come straniero » (cfr Ibidem). Essa produce anche ciò che il Papa chiamò «nuovi proletariati», nelle periferie delle grandi città, «cintura di miseria che già assedia in una protesta ancora silenziosa il lusso troppo sfacciato delle città consumistiche e sovente scialacquatrici» (cfr Ibidem). Sorge in tal modo una cultura di discriminazione e indifferenza «che si presta a nuove forme di sfruttamento e di dominazione» che minano profondamente la dignità dell'uomo.

Questa non è tutta la verità circa le moderne megalopoli, ma ne è una parte cruciale e lancia alla Chiesa, in particolare ai suoi Pastori, una sfida pressante e ineludibile. È vero che l'urbanizzazione offre nuove opportunità, crea nuovi modi di comunità, stimola molte forme di solidarietà, ma «nella lotta contro il peccato» (cfr He 12,4) è spesso il lato oscuro dell'urbanizzazione a occupare la vostra immediata attenzione pastorale.

Dal 1971, la verità delle osservazioni di Papa Paolo VI è divenuta sempre più evidente, man mano che il processo di urbanizzazione è andato avanti ed è aumentato. I Padri Sinodali hanno osservato che la migrazione delle persone verso le città è causata spesso dalla povertà, dalla mancanza di opportunità e dai servizi carenti delle aree rurali (cfr Ecclesia in America, n. 21). L'attrazione aumenta sempre più perché le città promettono occupazione e divertimento e sembrano essere la risposta alla povertà e alla noia quando, di fatto, non fanno altro che generarne nuove forme.

Per molte persone, in particolare i giovani, la città diventa un'esperienza di sradicamento, anonimato e iniquità, con conseguente perdita di identità e del senso della dignità umana. Il risultato è spesso la violenza che ora caratterizza così tante grandi città, anche nel vostro Paese. Al centro di questa violenza c'è un nucleo di profonda delusione: la città promette così tanto e dà così poco a così numerose persone. Questo senso di delusione è legato anche alla mancanza di fiducia nelle istituzioni politiche, giuridiche ed educative, ma anche nella Chiesa e nella famiglia. In questo mondo, un mondo di grandi assenze, sembra che i cieli siano preclusi (cfr Is 64,1) e che Dio sia molto lontano. Diventa un mondo sempre più secolare, un mondo a una sola dimensione che a troppe persone appare come una prigione. In questa «Città dell'uomo », siamo chiamati a edificare la «Città di Dio». Di fronte a un compito così difficile, siamo tentati forse, come il profeta Giona a Ninive, di scoraggiarci e di fuggire (cfr Jon 4,1-3 Octogesima adveniens Jon 12). Tuttavia, come nel caso di Giona, il Signore stesso ci guiderà con determinazione lungo il cammino che ha scelto per noi.

4. I Padri del Sinodo non hanno promosso una nuova evangelizzazione urbana in modo indeterminato: hanno precisato gli elementi dell'attività pastorale che una simile evangelizzazione richiede. Hanno parlato del bisogno di «un'evangelizzazione urbana metodica e capillare mediante la catechesi, la liturgia e il modo stesso di organizzare le proprie strutture pastorali» (Ecclesia in America, n. 21). Abbiamo dunque tre elementi molto precisi: la catechesi, la liturgia e l'organizzazione delle strutture pastorali, elementi che sono radicalmente legati alle tre dimensioni del ministero del Vescovo: insegnare, santificare e governare. Giungiamo così, cari Fratelli, al punto centrale di ciò che Cristo ci invita a essere e a fare nella nuova evangelizzazione.

Queste tre dimensioni hanno come obiettivo un'esperienza nuova e più profonda della comunità in Cristo che è la sola risposta efficace e duratura a una cultura segnata dallo sradicamento, dall'anonimato e dall'iniquità. Laddove questa esperienza è fragile, c'è da aspettarsi che sempre più fedeli si allontanino dalla religione o deviino verso sette e gruppi pseudo-religiosi, che si fondano sulla loro alienazione e si sviluppano fra i cristiani delusi dalla Chiesa, qualunque sia la ragione. Non ci si può più aspettare che le persone vengano nelle nostre comunità spontaneamente; vi deve piuttosto essere un nuovo impulso missionario nelle città, con uomini e donne devoti, soprattutto giovani, che s'impegnino in nome di Cristo per invitare le persone ad unirsi alla comunità ecclesiale. Si tratta di un elemento centrale dell'organizzazione delle strutture pastorali, necessario per una nuova evangelizzazione delle città. Questa comporterà un nuovo slancio, simile a quello che ha permesso la nascita della Chiesa nella vostra terra: in particolare l'impegno eroico di Jean de Brébeuf e d'Isaac Jogues, di Marguerite Bourgeoys e di Marguerite d'Youville. Ora però l'obiettivo è la città ed è qui che il nuovo eroismo missionario deve risplendere come ha fatto in passato, ma in modo diverso. Ciò dipenderà in gran parte dallo slancio e dalla dedizione dei missionari laici urbani: questi avranno anche bisogno del servizio di sacerdoti realmente zelanti, che saranno anch'essi abitati dallo spirito missionario e che sapranno come suscitare questo spirito negli altri. È essenziale che i seminari e le case di formazione siano chiaramente visti come scuole per la missione, formando sacerdoti che potranno aiutare i fedeli a diventare i nuovi evangelizzatori dei quali la Chiesa ha ora bisogno.

5. Quando rispondono all'appello del Signore e cercano di inserirsi maggiormente nella comunità dei credenti, i fedeli devono essere portati a conservare l'intimità con Cristo, attraverso la vita cultuale e la catechesi di cui i Padri del Sinodo hanno parlato. Il luogo privilegiato per questa esperienza resta la parrocchia, nonostante tutti i grandi cambiamenti che vi si producono nel contesto urbano di oggi (cfr Ecclesia in America, n. 41). È vero che la parrocchia ha bisogno di adattarsi per far fronte ai rapidi cambiamenti attuali, ma è anche certo che la parrocchia si è dimostrata in passato capace di incredibili adattamenti e che ne è ancora capace oggi.

Tuttavia, di fronte a qualunque adattamento, occorre tenere chiaramente presente che al di sopra di tutto è l'Eucaristia a rivelare la verità immutabile della vita cristiana.Per questo la liturgia ha un ruolo centrale ed è necessario che i Vescovi e i sacerdoti facciano tutto il possibile per garantire che la vita cultuale della Chiesa, in particolare la Messa, sia incentrata sulla presenza reale del Signore, perché «nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa» (Presbyterorum ordinis PO 5). Ciò richiede al contempo una catechesi sistematica per i giovani e gli adulti, così come un profondo spirito di fraternità fra tutti coloro che si riuniscono per celebrare il Signore. Non bisogna permettere all'anonimato delle città di invadere le nostre comunità eucaristiche.Bisogna trovare nuovi metodi e nuove strutture per costruire ponti fra le persone, in modo che si realizzi realmente quella esperienza di accoglienza reciproca e di vicinanza che la fraternità cristiana richiede. Potrebbe essere che questa esperienza e che la catechesi che deve accompagnarla si realizzino meglio in comunità più ridotte, come viene precisato nell'Esortazione Post-sinodale: «Una via di rinnovamento parrocchiale, particolarmente urgente nelle parrocchie delle grandi città, si può forse trovare considerando la parrocchia come comunità di comunità» (Ecclesia in America, n. 41). Una simile realizzazione dovrà essere compiuta in modo prudente, per non generare nuove fratture; tuttavia potrebbe anche essere che risulti «più facile, all'interno di un simile contesto umano, raccogliersi in ascolto della Parola di Dio, per riflettere alla sua luce sui vari problemi umani, e maturare scelte responsabili ispirate all'amore universale di Cristo» (Ibidem).

130 Non solo le parrocchie, ma anche le scuole cattoliche e le altre istituzioni si devono aprire alle urgenze pastorali necessarie per evangelizzare le città. In tal senso devono però assicurarsi che la loro identità cattolica non venga in alcun modo condizionata dalle influenze legate alla secolarizzazione. In Canada queste influenze a volte sono pesanti e voi, cari Fratelli, avete lottato per resistere ad esse. Vi esorto vivamente a proseguire questo cammino con coraggio e lucidità, in modo che le istituzioni cattoliche, proprio a motivo della loro identità cattolica, possano contribuire efficacemente all'opera di evangelizzazione, importante per la Chiesa. Tutto ciò fa profondamente parte del compito di vigilanza che Cristo ha affidato ai Vescovi.

6. Tuttavia, non dobbiamo mai dimenticare che i progressi a livello di struttura e di strategia pastorali hanno un solo scopo: portare le persone a Cristo. Questa era la visione semplice e luminosa del Sinodo, riflessa nell'Esortazione Post-sinodale. Le persone anelano sicuramente a questo, anche se a volte non riescono a capirlo. Le Scritture non lasciano dubbi sul fatto che non si può incontrare Cristo senza l'esperienza della comunità cristiana. Non possiamo trovare Cristo senza la Chiesa, la comunità di fede e la grazia salvifica. Senza la Chiesa, è certo che formuleremo un'idea di Cristo a nostra immagine, quando invece il nostro compito autentico consiste nel permettergli di creare noi a sua immagine. Il Nuovo Testamento descrive con precisione l'incontro con Cristo. Lo comprendiamo in particolare nel Tempo di Pasqua, quando leggiamo i racconti delle apparizioni del Signore Risorto che sono state proprio il seme del cristianesimo inteso come religione, non solo d'illuminazione, ma in particolare d'incontro. I Vangeli ci dicono che l'incontro con Cristo è sempre inatteso, sconvolgente e impegnativo. La chiamata di Cristo, come quella di Dio nel Vecchio Testamento, giunge a coloro che non se l'aspettano, in un tempo, un luogo e un modo che non avrebbero mai potuto immaginare. È sconvolgente nel senso che la vita non potrà mai più essere la stessa: c'è sempre un effetto perturbante nella chiamata di Cristo che dice «Seguitemi » (
Mt 4,19), con tutta la conversione di vita che ciò implica. Infine, chi incontra Cristo è sempre investito da Lui a continuare a condividere con gli altri il dono che ha ricevuto (cfr Mt 28,19-20). Questa, dunque, sarà la triplice forma dell'incontro con Cristo che conduce le persone più profondamente nella comunità di fede e che resta lo scopo del loro cammino di fede in seno alla Chiesa.

7. In una comunità più consapevole della presenza di Cristo le megalopoli troveranno il segno donato da Dio, che indica qualcosa che va al di là di una cultura di sradicamento, di anonimato e di iniquità. Si alimenterà la cultura della vita che voi, cari Fratelli, avete tentato con tanto vigore di promuovere e ciò, a sua volta, genererà una cultura della dignità umana, quella vera umanità che è radicata nell'atto creativo di Dio ed è sempre segno della forza redentrice di Cristo. Questa comunità sarà il seme «della città santa, la nuova Gerusalemme» che scende «dal cielo, da Dio» (Ap 21,2). Siamo coloro che hanno avuto questa visione della Chiesa: per questo «abbiamo imparato che c'è una Città di Dio e abbiamo desiderato divenire cittadini di tale città» (cfr Sant'Agostino, Città di Dio, XI, 1), nella quale «saremo quieti e vedremo; vedremo e ameremo; ameremo e loderemo» (ibidem, XXII, 30).

Lodando con il cuore e con le parole la Santissima Trinità, volgiamoci a Maria, «Madre d'America» (Ecclesia in America, n. 76). Che Ella, mediante la quale la luce è sorta sulla terra, illumini il vostro cammino mentre procedete con il vostro popolo nelle tenebre per incontrare il Signore Risorto. Affidando la Chiesa nell'Ontario alla sua costante sollecitudine e invocando l'infinita misericordia di Dio su di voi, sui sacerdoti, i religiosi e i laici, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.


AL CORPO DELLA GUARDIA SVIZZERA PONTIFICIA


Sala Clementina - Mercoledì, 6 maggio 1999

Signor Comandante,

Care Guardie,
Cari congiunti e amici delle Corpo delle Guardie Svizzere!

1. Fin dall'inizio dell'esistenza del Corpo delle Guardie Svizzere vi unisce in questo giorno un'ininterrotta tradizione, che vi ricorda l'impegno particolare per il bene e la vita del Successore di san Pietro. Così, anche quest'anno è per me una grande gioia ricevere voi, i vostri genitori, i vostri parenti e amici nel Palazzo Apostolico. Rivolgo un particolare benvenuto alle nuove reclute, che grazie al giuramento, verranno introdotte nel vostro Corpo. Con ciò si impegnano a dedicare alcuni anni della propria vita a un compito molto onorevole e pieno di responsabilità al centro della Chiesa universale.

2. Care reclute, avete scelto di dedicarvi a un servizio profondamente ecclesiale e desiderate attraverso di esso rendere una testimonianza al mondo.

Per questo vi ringrazio di cuore. Prestate il vostro servizio non come singoli, ma come comunità. In un giorno di festa come quello di oggi è una benedizione essere circondati e sostenuti da così tante persone. Vivere questa comunità ogni giorno è tuttavia anche una sfida. Se giovani uomini, come i membri della Guardia Svizzera, sono disposti a percorrere un certo tratto di strada insieme, allora devono guardare le proprie speranze e le proprie angosce, le proprie aspettative e le proprie necessità riflesse nello specchio delle comunità che esistevano all'origine della Chiesa.

131 I rapporti di vita fra le persone, anche fra i discepoli di Gesù, erano ai tempi biblici gli stessi di adesso.

Le Sacre Scritture non negano che alcune persone all'inizio seguirono san Paolo, ma in seguito si separarono da lui, per seguire la propria strada. Non regnava sempre una totale armonia perché il carattere, il temperamento e gli interessi erano tanto diversi. Tuttavia, dai discepoli che servirono Gesù, si è sviluppata una forza che attrae e coinvolge. Paolo, che come nessun altro poté sperimentare come Dio possa scrivere nelle linee storte della vita, spiegò sempre nei sui scritti come Dio amasse il Suo popolo e come non lo abbandonasse negli alti e bassi della sua storia, nella tensione fra fede e rifiuto. Dio ci ha donato il compimento definitivo di questo Suo costante impegno verso gli uomini attraverso suo Figlio, che per il mondo «secondo la promessa» ha tratto come «Salvatore, Gesù» (cfr
Ac 13,23).

3. Care Guardie, vorrei incoraggiarVi a dare testimonianza con gioia e vigore giovanile dell'amore di Dio in Gesù Cristo. Questa testimonianza si esprime particolarmente in due direzioni: entrando nel Corpo della Guardia Svizzera, manifestate la Vostra intenzione di voler dedicare il Vostro servizio in modo speciale al Santo Padre, cui è affidata la cura pastorale di tutto il gregge (cfr Jn 21,16). Inoltre, mediante il Vostro impegno nei diversi campi di lavoro del Vostro Corpo rendete testimonianza davanti agli uomini su chi è il Vostro Signore e quali sono i motivi a cui s'ispira la Vostra attività.

4. Con ciò desidero esprimere un pensiero che mi sta particolarmente a cuore.

I vostri sforzi, volti alla formazione e al regolamento del servizio, sono importanti affinché acquisiate una sana idoneità e una competenza professionale. È anche importante che utilizziate il vostro soggiorno a Roma come opportunità unica per evidenziare il profilo del vostro essere cristiani. Penso soprattutto alla vostra vita spirituale che deve porsi la questione di quale disegno Dio ha per ognuno di voi. Al contempo, ricordo quanto siano importanti i rapporti reciproci, che sono propri dei fratelli che si definiscono «cristiani», sia nello svolgimento del servizio sia nel tempo libero. Un dialogo autentico e fraterno può essere a volte faticoso ed esigente, ma se viene condotto in maniera autentica e onorevole, permette alle persone di sviluppare personalità mature.

5. Colgo l'occasione, care giovani guardie, per augurarvi di vivere un periodo felice nella Città eterna. Invito le guardie che garantiscono da lungo tempo il loro servizio in seno al Corpo, come i responsabili del comando, a favorire rapporti di fiducia in grado di sostenere e di incoraggiare tutti i membri della Guardia Svizzera, anche nei momenti difficili. Auspico che, durante il vostro servizio a Roma, i vincoli con i vostri genitori, i vostri parenti e gli amici che avete nel vostro Paese, restino vivi. Allora tutti gioiranno con voi per la straordinaria opportunità che vi viene data di fare nuove esperienze che recheranno frutti.

Invocando su di voi l'intercessione della Vergine Maria e dei vostri santi Patroni, Nicola da Flüe, Martino e Sebastiano, vi imparto di tutto cuore la Benedizione Apostolica, che estendo a tutte le persone venute per sostenervi mentre prestate giuramento.


AI PARTECIPANTI AL PRIMO SINODO DIOCESANO


DELL’ORDINARIATO MILITARE ITALIANO


Giovedì, 6 maggio 1999




Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Con vivo piacere do il mio benvenuto a ciascuno di voi, membri delle Forze Armate Italiane, che così numerosi avete voluto rendermi visita a conclusione del primo Sinodo della Chiesa Ordinariato Militare. Saluto con affetto il Vostro Pastore, Mons. Giuseppe Mani, e lo ringrazio per le cortesi espressioni indirizzatemi a nome dei presenti. Con lui saluto gli Ordinari Militari di altre Nazioni, che hanno condiviso con voi questo momento di viva comunione. Il mio cordiale pensiero va, altresì, ai Rappresentanti delle diverse Confessioni religiose, impegnati nell'assistenza spirituale ai militari, che hanno voluto arricchire con la loro presenza i vostri lavori sinodali.

Desidero poi ringraziare il Signor Ministro della Difesa, gli Onorevoli Sottosegretari ed i Capi di Stato Maggiore per la loro significativa partecipazione ad un evento tanto importante della Chiesa Ordinariato Militare. Mi è gradito, infine, far giungere il mio affettuoso saluto ai Cappellani ed alle Religiose, che offrono il loro prezioso sostegno morale e spirituale a quanti svolgono un così impegnativo servizio alla Comunità nazionale. Anche a tutti coloro che a vario titolo collaborano con le Forze Armate porgo fervidi voti di pace e di bene nel Signore risorto.

132 2. L'assistenza spirituale dei militari italiani, sin dall'unità d'Italia, ha costituito un costante impegno per la Chiesa che, attraverso l'azione generosa di molti sacerdoti, si è preoccupata di non far mancare la Parola di Dio ed i Sacramenti a quanti erano impegnati al servizio della Patria. Tale presenza divenne più diffusa ed organica dopo il primo Conflitto mondiale, quando la Santa Sede, d'intesa con le Autorità dello Stato Italiano, assicurò l'assistenza spirituale alle Forze Armate, costituendo il Vicariato Castrense per l'Italia con un Ordinario Militare.

I Cappellani hanno svolto un ruolo spirituale ed umano insostituibile, condividendo la vita ed i problemi dei militari ed offrendo a tutti la luce del Vangelo e la Grazia divina. In questa attività, spesso umile e nascosta, si sono distinte splendide figure di sacerdoti, che hanno onorato la Chiesa e le Forze Armate.

Tra questi, mi piace ricordare il Beato Secondo Pollo, sacerdote zelante e apprezzato educatore dei giovani, che concluse la sua vita terrena a soli 33 anni, il 26 dicembre 1941, sul fronte del Montenegro, colpito da una raffica di mitragliatrice mentre soccorreva i suoi alpini feriti in un’imboscata. A lui, immolato nella violenza della guerra in quella stessa Regione balcanica, dove nuovamente risuona un tragico rumore di armi, chiediamo di ottenere a quella martoriata Terra il dono di una pace duratura e rispettosa dei diritti di ogni popolo.

3. La provvidenziale spinta al sano aggiornamento impressa dal Concilio Ecumenico Vaticano II, grazie all'azione sapiente e generosa degli Ordinari Militari e dei Cappellani, ha trovato pronta accoglienza tra il popolo cristiano militare, suscitando nuova coscienza di Chiesa e rinnovato impegno soprattutto tra i fedeli laici. Si è passati così da un "servizio di Chiesa" offerto ai militari, ad una "Chiesa di servizio", radunata tra quanti nel mondo militare sono chiamati ad esercitare il loro sacerdozio battesimale operando per la convivenza pacifica tra gli uomini, in unione a coloro che col sacrificio della vita hanno reso la suprema testimonianza di amore.

Con la Costituzione Apostolica Spirituali Militum Curae, del 1986, ho desiderato incoraggiare tale promettente cammino, configurando la Chiesa Ordinariato Militare, come Chiesa particolare, territoriale, personale, che nel nome stesso esprime la sua natura teologica, la sua struttura organizzativa e la sua specificità. Di essa fanno parte i battezzati militari, i loro familiari e parenti come pure i collaboratori che abitano la stessa casa, e quanti per legge sono assunti al servizio delle Forze Armate o sono ad esse collegati.

Con l'odierno incontro si conclude il primo Sinodo della vostra Chiesa particolare, celebrato proprio alla vigilia del Grande Giubileo dell'Anno Duemila. In questi tre anni di preghiera e di riflessione, sotto la guida del vostro Pastore, avete avuto l'opportunità di rileggere alla luce della Parola di Dio il piano che il Signore ha sulla vostra Comunità ecclesiale, della quale avete approfondito l'identità di popolo di Dio radunato tra i militari nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Vi siete di conseguenza interrogati su come annunciare il Vangelo nell'ambito della vita militare odierna.

Quante nuove prospettive di evangelizzazione e di servizio si aprono alla Chiesa Ordinariato Militare alle soglie del Nuovo Millennio cristiano!

4. Nelle società democratiche va affermandosi sempre più la convinzione che le Forze Armate sono chiamate ad essere strumento di pace e di concordia tra i popoli e di sostegno verso i più deboli. Come non ricordare, in proposito, le numerose missioni, durante le quali i militari sono stati in prima linea per offrire il loro aiuto generoso alle popolazioni colpite da calamità naturali o da tragedie umanitarie? Come non pensare con ammirazione ai pericoli ed ai sacrifici che incontrano quanti svolgono opera di pacificazione in Paesi devastati da assurde guerre civili? Con questi interventi, i militari si accreditano sempre più come difensori dei valori inalienabili dell'uomo quali la vita, la libertà, il diritto e la giustizia. Concezione, questa, della vita militare, in sintonia con il messaggio evangelico che apre alla Chiesa Ordinariato Militare non poche opportunità pastorali. Nel vostro ministero voi incontrate ogni anno la maggior parte della gioventù, chiamata a trascorrere alcuni mesi sotto le armi. Si tratta di una peculiarità che fa apparire la vostra Chiesa come una famiglia con molti figli giovani e vi dà l'occasione di entrare a contatto con il mondo giovanile, con le sue speranze e le sue delusioni.

Le attese e le problematiche giovanili, come pure le sfide che esse costituiscono per la vostra Chiesa Ordinariato Militare, hanno avuto grande spazio nell'Assise sinodale. Nell'esprimere il mio apprezzamento per il lavoro compiuto, desidero esortarvi a guardare al mondo dei giovani con fiducia, certi che ogni parola, ogni gesto di concreta attenzione, ogni fatica per aprire il loro cuore a Cristo produrrà abbondanti e generosi frutti di bene nel loro spirito.

Vi invito, altresì, a porre ogni cura per essere in mezzo a loro testimoni prima che maestri ed icone viventi dei valori che annunciate. Siate per loro sicure guide spirituali e sosteneteli ogni giorno con la vostra preghiera ed il vostro esempio.

5. Come ha ricordato all'inizio il vostro Arcivescovo, il mondo militare, nel passato come nel presente, si presenta spesso come veicolo di evangelizzazione e luogo privilegiato per raggiungere le vette della santità: penso ai Centurioni del Vangelo, penso ai primi soldati martiri ed a quanti nel corso della storia, servendo un sovrano terreno, hanno imparato a diventare soldati e testimoni dell’unico Signore, Gesù Cristo.

133 Il mio pensiero va, in particolare, al Servo di Dio, il Brigadiere dei Carabinieri Salvo D'Acquisto, che in circostanze molto difficili ha saputo testimoniare con il dono della vita la fedeltà a Cristo ed ai Fratelli. Questa splendida schiera di credenti e di santi vi incoraggia a proseguire nel vostro apostolato. Formulo voti che la celebrazione del primo Sinodo susciti in voi entusiasmo e creatività per diventare sempre più, all'interno della Forze Armate, fermento fecondo di speranza e di salvezza.

Con tali auspici, mentre invoco la materna protezione di Maria, Regina della Pace, imparto di cuore alla Chiesa Ordinariato Militare, al suo Pastore ed a ciascuno di voi, una speciale Benedizione Apostolica.


GP2 Discorsi 1999 127