GP2 Discorsi 1999 141


VIAGGIO APOSTOLICO IN ROMANIA (7-9 MAGGIO 1999)


AL PATRIARCA TEOCTIST,


E AGLI ALTRI MEMBRI DEL SANTO SINODO


Palazzo Patriarcale di Bucarest - Sabato, 8 maggio 1999

Beatitudine,

venerati Metropoliti e Vescovi del Santo Sinodo
della Chiesa Ortodossa Romena!

1. Una scena evangelica mi è tornata spesso in mente mentre mi preparavo a questo incontro tanto desiderato: quella dell'Apostolo Andrea, vostro primo evangelizzatore, che, pieno d'entusiasmo, si presenta a suo fratello Pietro per annunciargli la clamorosa novella: «Abbiamo trovato il Messia (che significa Cristo)!» (Jn 1,41). Questa scoperta cambiò la vita dei due fratelli: lasciarono le proprie reti e divennero «pescatori di uomini» (Mt 4,19); dopo essere stati trasformati interiormente dallo Spirito della Pentecoste, si misero in cammino lungo le vie del mondo per portare a tutti l'annuncio della salvezza. Con loro, altri discepoli continuarono l'opera evangelica che essi avevano intrapreso, invitando le nazioni alla salvezza e «battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19).

Beatitudine, venerati Fratelli nell'Episcopato, siamo i figli di questa evangelizzazione. Anche noi abbiamo ricevuto questo annuncio, anche noi siamo stati redenti in Cristo. Se ci troviamo oggi qui è grazie a questo disegno di tenerezza della Santissima Trinità che, alla vigilia del Grande Giubileo, ha voluto concedere a noi successori di quegli Apostoli di fare memoria di quel loro incontro. La Chiesa è cresciuta e si è diffusa nel mondo; il Vangelo ha fecondato le culture. Anche qui, in questa terra di Romania, tesori di santità, di fedeltà cristiana, acquisita a volte al prezzo della vita, hanno reso più prezioso quel tempio spirituale che è la Chiesa. In questo giorno rendiamo insieme grazie a Dio.

142 2. L'emozione suscitata dalla sua visita, Beatitudine, alla città dei santi Pietro e Paolo, i Corifei degli Apostoli, è sempre viva nella mia mente. Serbo un ricordo commovente di questo incontro, che ha avuto luogo in tempi difficili per la vostra Chiesa. Sono io ora, pellegrino della carità, a rendere omaggio a questa terra impregnata del sangue dei martiri passati e recenti che «hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello» (Ap 7,14). Vengo incontro a un popolo che ha accolto il Vangelo, che l'ha assimilato e l'ha difeso da ripetuti attacchi, considerandolo parte integrante del suo patrimonio culturale.

Si tratta di una cultura pazientemente elaborata, in linea con l'eredità della Roma antica, in una tradizione di santità che ha avuto origine nelle celle di innumerevoli monaci e monache che hanno dedicato il loro tempo a cantare lodi a Dio e a mantenere le braccia levate, come Mosè, per la preghiera, affinché fosse vinta la pacifica battaglia della fede, a beneficio delle popolazioni di questa terra. Il messaggio evangelico è giunto fino agli intellettuali, molti dei quali hanno contribuito, mediante il loro carisma, a promuovere la sua assimilazione da parte delle nuove generazioni romene, impegnate nella costruzione del loro futuro.

Beatitudine, sono venuto qui come pellegrino per dire quanto l'intera Chiesa cattolica sia a voi vicina con affetto, negli sforzi dei Vescovi, del clero e dei fedeli della Chiesa ortodossa romena, nel momento in cui un millennio sta terminando e un altro si profila all'orizzonte. Io vi sono vicino ed è con stima ed ammirazione che vi sostengo nel programma di rinnovamento ecclesiale che il Santo Sinodo ha intrapreso in ambiti fondamentali come la formazione teologica e catechetica, per far affiorare nuovamente l'anima cristiana che è un tutt'uno con la vostra storia. In questa opera di rinnovamento benedetta da Dio, sappia, Beatitudine, che i cattolici sono vicini ai loro fratelli ortodossi, attraverso la preghiera e la loro disponibiltà a qualsiasi collaborazione utile. L'unico Vangelo attende di essere annunciato da tutti, insieme nell'amore e nella stima reciproca. Quanti campi si aprono dinanzi a noi per un compito che ci coinvolge tutti, nel rispetto reciproco e nel desiderio condiviso di essere utili all'umanità per la quale il Figlio di Dio ha dato la propria vita! La testimonianza comune è un potente strumento di evangelizzazione. La divisione segna al contrario la vittoria delle tenebre sulla luce.

3. Beatitudine, tutti e due, nella nostra storia personale, abbiamo visto le catene e fatto l'esperienza dell'oppressione di una ideologia che voleva estirpare dall'anima dei nostri popoli la fede nel Signore Gesù Cristo. Tuttavia le porte dell'inferno non hanno prevalso sulla Chiesa, Sposa dell'Agnello. È Lui, l'Agnello immolato e glorioso, ad averci sostenuto nella prova e che ora ci permette di intonare il canto della libertà ritrovata. È Lui che uno dei vostri teologi contemporanei ha chiamato «il restauratore dell'uomo», colui che guarisce l'uomo malato e lo risolleva dopo la lunga sottomissione al pesante fardello della schiavitù. Dopo tanti anni di violenza, di repressione della libertà, la Chiesa può riversare sulle ferite dell'uomo il balsamo della grazia e guarirlo in nome di Cristo dicendo come Pietro allo storpio: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» (Ac 3,6). La Chiesa non si stanca di esortare, di supplicare gli uomini e le donne del nostro tempo di rialzarsi, di riprendere il loro cammino verso il Padre, di lasciarsi riconciliare con Dio. È questa la prima carità che l'umanità si aspetta da noi: l'annuncio evangelico e la rinascita nei sacramenti, che si prolungano nel servizio ai fratelli.

Beatitudine, sono venuto a contemplare il Volto di Cristo scolpito nella vostra Chiesa; sono venuto a venerare questo Volto sofferente, pegno di una rinnovata speranza. La vostra Chiesa, consapevole di avere «trovato il Messia», si sforza di condurre i propri figli e tutti gli uomini che cercano Dio con cuore sincero a incontrarlo; lo fa mediante la celebrazione solenne della divina Liturgia e l'azione pastorale quotidiana. Questo impegno coincide con la vostra tradizione, tanto ricca di figure che hanno saputo unire una profonda vita in Cristo a un generoso servizio ai bisognosi, un impegno appassionato nello studio a un'instancabile sollecitudine pastorale.Vorrei ricordare qui il santo monaco e Vescovo Callinico di Xernica, tanto vicino al cuore dei fedeli di Bucarest.

4. Beatitudine, cari Fratelli Vescovi, il nostro incontro ha luogo il giorno in cui la liturgia bizantina celebra la festa del santo Apostolo ed Evangelista Giovanni il Teologo. Chi meglio di lui, che fu profondamente amato dal Maestro, può comunicarci questa viva esperienza d'amore? Nelle sue lettere ciò che sembra essere la sintesi della sua vita, la parola che, nella vecchiaia, quando scompare il superfluo, gli rimase per indicare la sua esperienza personale, è «Dio è Amore». È ciò che aveva contemplato posando il suo capo sul cuore di Gesù e levando lo sguardo verso il suo fianco trafitto, da dove sgorgavano l'acqua del Battesimo e il Sangue dell'Eucaristia. Questa esperienza dell'amore di Dio non solo ci invita ma direi ci costringe dolcemente all'amore, sintesi unica e autentica della fede cristiana.

«La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode della ingiustizia, ma si compiace della verità, Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Co 13,4-7). Sono le parole rivolte dall'Apostolo Paolo a una comunità tormentata da conflitti e tensioni; sono parole valide per tutti i tempi. Oggi sappiamo bene che queste parole sono rivolte prima di tutto a noi. Esse non servono a rimproverare all'altro il suo errore ma a smascherare il nostro, quello di ognuno di noi. Abbiamo conosciuto contrasti, recriminazioni, reticenze interiori e chiusure reciproche. Tuttavia, e voi e noi siamo insieme testimoni del fatto che, nonostante queste divisioni, al momento della grande prova, quando le nostre Chiese sembravano scosse fino alle fondamenta, anche qui, in questa terra di Romania, i martiri e i confessori hanno saputo glorificare il nome di Dio con un solo cuore e con una sola anima. È proprio considerando l'opera meravigliosa dello Spirito, incomprensibile alla logica umana, che la nostra debolezza trova la propria forza e che il cuore riacquista coraggio e fiducia in mezzo alle difficoltà della situazione presente.

5. Sono lieto che sia stato possibile avviare concretamente qui in Romania un dialogo fraterno sui problemi che ancora ci dividono. La chiesa greco-cattolica di Romania ha subito in questi ultimi decenni una violenta repressione e i suoi diritti sono stati scherniti e violati. I suoi figli hanno sofferto molto, alcuni fino alla testimonianza suprema del sangue. La fine della persecuzione ha ripristinato la libertà, ma il problema delle strutture ecclesiali attende ancora una soluzione definitiva. Che il dialogo sia la via per curare le ferite ancora aperte e per superare le difficoltà che tuttora sussistono! La vittoria della carità sarà un esempio non solo per le Chiese, ma per l'intera società. Prego Dio, Padre di misericordia e fonte della pace, affinché l'amore, ricevuto e donato, sia il segno attraverso il quale i cristiani vengano riconosciuti come fedeli al loro Signore.

Le Chiese ortodosse e la Chiesa cattolica hanno percorso un lungo cammino di riconciliazione; desidero esprimere a Dio la mia gratitudine commossa e profonda per tutto ciò che è stato realizzato e desidero rendere grazie a voi, venerati Fratelli in Cristo, per gli sforzi che avete compiuto lungo questo cammino. Non è forse giunto il momento di riprendere risolutamente la ricerca teologica, sostenuta dalla preghiera e dalla buona disposizione di tutti i fedeli, ortodossi e cattolici?

Dio sa quanto il nostro mondo e anche la nostra Europa, che speravamo libera da lotte fratricide, hanno bisogno di una testimonianza di amore fraterno, che prevalga sull'odio e sui dissidi e che apra i cuori alla riconciliazione! Dove sono le nostra Chiese quando il dialogo tace e le armi fanno udire il loro linguaggio di morte? Come educare i nostri fedeli alla logica delle beatitudini, tanto diversa dal modo di ragionare dei potenti di questo mondo?

Beatitudine, cari Fratelli nell'Episcopato, ridiamo un'unità visibile alla Chiesa, altrimenti questo mondo sarà privato di una testimonianza che solo i discepoli del Figlio di Dio, morto e risorto per amore, possono rendergli per indurlo ad aprirsi alla fede (cfr Jn 17,21). Cosa può spingere gli uomini di oggi a credere in Lui, se noi continuiamo a strappare la tunica inconsutile della Chiesa, se non riusciamo ad ottenere da Dio il miracolo dell'unità, adoperandoci per eliminare gli ostacoli che impediscono la sua piena manifestazione? Chi ci perdonerà questa mancanza di testimonianza? Ho cercato l'unità con tutte le mie forze e continuerò a prodigarmi fino alla fine affinché essa sia fra le preoccupazioni principali delle Chiese e di coloro che le governano attraverso il ministero apostolico.

143 6. La vostra terra è disseminata di monasteri, come San Nicodemo di Tismana, nascosto sulle montagne e fra i boschi, ove batte il cuore della preghiera incessante, dell'invocazione del Santo Nome di Gesù. Grazie a Pasy Velitchkovsky e ai suoi discepoli, la Moldavia è divenuta il centro di un rinnovamento monastico che si è diffuso nei Paesi vicini alla fine del XVIII secolo e in seguito. La vita monastica, che non è mai venuta meno, anche al tempo delle persecuzioni, ha offerto e offre ancora personalità di grande statura spirituale, intorno alle quali vi è stata in questi ultimi anni una promettente fioritura di vocazioni.

I conventi, le chiese piene di affreschi, le icone, gli ornamenti liturgici, i manoscritti, non sono soltanto i gioielli della vostra cultura ma sono anche testimonianze commoventi di fede cristiana, di una fede cristiana vissuta. Questo patrimonio artistico, nato dalla preghiera dei monaci e delle monache, degli artigiani e dei contadini ispirati dalla bellezza della liturgia bizantina, rappresenta un contributo particolarmente significativo al dialogo fra Oriente e Occidente, così come alla rinascita della fraternità che lo Spirito Santo suscita in noi alla soglia di un nuovo millennio. La vostra terra di Romania, fra la latinitas e Bisanzio, può diventare terra di incontro e di comunione. È attraversata dal maestoso Danubio, che bagna regioni d'Oriente e d'Occidente: che la Romania sappia, come questo fiume, creare rapporti d'intesa e di comunione fra popoli diversi, contribuendo così a consolidare in Europa e nel mondo la civiltà dell'amore!

7. Beatitudine, cari Padri del Santo Sinodo, pochi giorni ci separano ormai dall'inizio del terzo millennio dell'era cristiana. Gli uomini hanno lo sguardo fisso su di noi, nell'attesa. Tendono l'orecchio per ascoltare da noi, dalla nostra vita ancor più che dalle nostre parole, l'annuncio antico: «Abbiamo trovato il Messia». Vogliono vedere se anche noi siamo capaci di lasciare le reti del nostro orgoglio e delle nostre paure per «predicare un anno di grazia del Signore».

Varcheremo questa soglia con i nostri martiri, con tutti coloro che hanno dato la propria vita per la fede: ortodossi, cattolici, anglicani, protestanti. Da sempre il sangue dei martiri è un seme che dà vita a nuovi fedeli di Cristo. Tuttavia, per farlo, dobbiamo morire a noi stessi e seppellire l'uomo vecchio nelle acque della rigenerazione, per rinascere come creature nuove. Non possiamo disattendere la chiamata di Cristo e le aspettative del mondo e non unire le nostre voci affinché la parola eterna di Cristo risuoni maggiormente per le nuove generazioni.

Grazie per avere voluto essere la prima Chiesa ortodossa a invitare nel proprio Paese il Papa di Roma; grazie per avermi dato la gioia di questo incontro fraterno; grazie per il dono di questo pellegrinaggio, che mi ha permesso di rafforzare la mia fede a contatto con la fede di ferventi fratelli in Cristo!

Venite, «camminiamo insieme nella luce del Signore!». A lui onore e gloria nei secoli dei secoli! Amen.

VIAGGIO APOSTOLICO IN ROMANIA (7-9 MAGGIO 1999)

CERIMONIA DI CONGEDO


Aeroporto di Baneasa (Bucarest) - Domenica, 9 maggio 1999


1. Al momento di lasciare questa amata terra di Romania, rivolgo anzitutto a Lei, Signor Presidente, il mio saluto e il mio ringraziamento per l'accoglienza che mi ha riservato. Questi sentimenti estendo, per suo tramite, a tutto il caro popolo romeno che, in questi giorni, ho sentito stringersi attorno a me con calore ed entusiasmo.

Un saluto particolare va a Sua Beatitudine il Patriarca Teoctist, ai Metropoliti, ai Vescovi e a tutto il popolo della venerabile Chiesa Ortodossa di Romania. Abbraccio fraternamente i Vescovi e le Comunità cattoliche, di rito sia bizantino che latino, tutte presenti al mio cuore. Il mio saluto va, inoltre, alle altre Confessioni cristiane e ai membri delle altre religioni presenti nel Paese.

2. Sono stati giorni di emozioni profonde che ho vissuto con intensità e che resteranno segnate indelebilmente nel mio animo. Riceviamo come un dono dalla mano di Dio gli eventi di cui siamo stati insieme partecipi, confidando che abbiano a produrre frutti di grazia sia per i cristiani che per l'intero popolo della Romania. Il vostro Paese ha come iscritta nelle sue radici una singolare vocazione ecumenica. Per la posizione geografica e per la sua lunga storia, per la cultura e la tradizione, la Romania è come una casa ove Oriente e Occidente si ritrovano in naturale dialogo.

Anche la Chiesa qui respira in modo particolarmente evidente con i suoi due polmoni. E in questi giorni abbiamo potuto sperimentarlo. Gli uni accanto agli altri, come lo erano Pietro, Andrea e gli altri apostoli raccolti in preghiera con la Madre di Dio nel primo cenacolo, abbiamo vissuto una nuova Pentecoste spirituale. Il vento dello Spirito Santo ha soffiato con forza su questa terra, e ci ha spinti ad essere più saldi nella comunione e più audaci nell'annuncio del Vangelo. La lingua nuova che ci è stata donata, la lingua della comunione fraterna, l'abbiamo praticata e ne abbiamo gustato la dolcezza e la bellezza, la forza e l'efficacia.

144 3. Mentre si sta per aprire la porta del terzo millennio, ci viene chiesto di uscire dai nostri abituali confini per far sentire con maggior vigore il vento della Pentecoste nei Paesi del vecchio continente e sino agli estremi confini del mondo. Purtroppo il fragore minaccioso delle armi sembra prevalere sulla voce suadente dell'amore e lo scatenarsi della violenza sta riaprendo le ferite che con fatica e pazienza si cercava di rimarginare.

Rinnovo l'auspicio che si arrivi finalmente a deporre le armi per tornare ad incontrarsi e ad intraprendere nuovi e più efficaci dialoghi di comunione e di pace! Un ruolo importante, a questo riguardo, spetta ai cristiani, qualunque sia la Confessione a cui appartengono. Essi sono chiamati oggi a vivere e a manifestare con maggiore audacia la loro fraternità, perché i popoli possano essere incoraggiati, anzi spinti a ritrovare e consolidare ciò che li accomuna. L'evento spirituale che abbiamo vissuto, benedetto da San Demetrio e dai santi martiri degli ultimi decenni, è un'esperienza da custodire e da trasmettere, nella speranza che il nuovo millennio che si apre davanti a noi sia un tempo di rinnovata comunione tra le Chiese cristiane e di scoperta della fraternità tra i popoli. E' questo il sogno che porto con me mentre lascio questa terra a me cara.

4. Vorrei affidare questo sogno a tutti voi. In particolare lo vorrei consegnare ai giovani. Sì, a voi, cari giovani di Romania! Avrei voluto incontrarvi personalmente; purtroppo non è stato possibile. Questa sera faccio mie le parole con cui Pietro, mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, annunciò a coloro che lo ascoltavano l'avveramento della promessa di Dio: "Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani avranno dei sogni" (
Ac 2,17). In questi giorni lo Spirito consegna a voi, giovani, il "sogno" di Dio: che tutti gli uomini facciano parte della sua famiglia, che tutti i cristiani siano una cosa sola. Entrate con questo sogno nel nuovo millennio!

Voi che vi siete liberati dall'incubo della dittatura comunista, non lasciatevi ingannare dai sogni fallaci e pericolosi del consumismo. Anch'essi uccidono il futuro. Gesù vi fa sognare una Romania nuova, una terra ove l'Oriente e l'Occidente possano incontrarsi con fraternità. Questa Romania è affidata alle vostre mani. Costruitela assieme, con audacia. Il Signore ve l'affida. Voi affidatevi a Lui, sapendo che "se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori" (Ps 126 [127], 1).

Benedica il Signore la Romania, benedica il suo popolo, benedica l'Europa!



MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


AL CARDINALE ANTONIO MARÍA ROUCO VARELA,


INVIATO SPECIALE ALLE CELEBRAZIONI DEL CONGRESSO


EUCARISTICO NAZIONALE A SANTIAGO DE COMPOSTELA




Al Signor Cardinale Antonio María ROUCO VARELA
Arcivescovo di Madrid
Presidente della Conferenza Episcopale Spagnola

1. I Pastori e i fedeli delle comunità ecclesiali di Spagna, con lo sguardo rivolto al mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio, che si commemorerà durante il Grande Giubileo dell'Anno 2000, hanno voluto riunirsi a Santiago de Compostela, presso il sepolcro dell'Apostolo, per proclamare e celebrare la loro fede in Gesù Cristo, Dio e uomo vero, presente nell'Eucaristia. In tal modo la «Statio Ecclesiarum Hispanae», con la quale si chiude il Congresso Eucaristico Nazionale di Santiago, prepara e annuncia la «Statio Orbis» del XLVII Congresso Eucaristico Internazionale che si terrà il prossimo anno a Roma. Con questo grande evento ho voluto sottolineare che l'Anno giubilare deve essere un anno «intensamente eucaristico» (Tertio Millennio adveniente TMA 55) per celebrare Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo, pane di vita nuova, «lo stesso ieri, oggi e sempre» (He 13,8). In effetti, Cristo nell'Eucaristia ci fa sentire la sua presenza e la sua compagnia. Ci invita a guardare al Grande Giubileo dell'anno 2000 non come al ricordo di un semplice fatto del passato, ma come alla commemorazione dell'ingresso definitivo di Dio nel mondo con l'Incarnazione del Verbo, per rimanere sempre con noi fino alla fine dei tempi.

Per questo, in atteggiamento di preghiera e di adorazione, mi unisco a tutti voi, Pastori e fedeli riuniti a Santiago, per celebrare questo evento ecclesiale che ha come centro l'Eucaristia, «sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale» (Sacrosanctum concilium SC 47).

2. La solenne celebrazione di questo Congresso è un momento importante del triennio di preparazione al Giubileo dell'Anno 2000, che ha avuto tappe molto significative nel Congresso di Pastorale Evangelizzatrice di Madrid del 1997 - con il tema «Gesù Cristo, la Buona Novella» - e nei Congressi Mariologico e Mariano di Saragozza del 1998 su «Maria, Vangelo vissuto ».

145 La città di Santiago de Compostela, sede di questa grande assemblea eucaristica, ha senza dubbio un significato particolare. La memoria di questo Apostolo ci rammenta che egli fu testimone dell'istituzione dell'Eucaristia nell'ultima Cena, come lo fu anche della gloria di Cristo nella Trasfigurazione e della sua sofferenza nell'Orto degli Ulivi. Giacomo, «il primo fra gli apostoli a bere il calice del Signore » (Prefatio della Misa de Santiago), non solo trasmise alla Chiesa, come gli altri apostoli, il memoriale della Cena del Signore e la fede nel mistero eucaristico, ma con il suo martirio celebrò anche il significato più profondo dell'Eucaristia con il corpo offerto e il sangue versato.

3. La Chiesa compostelana serba il ricordo di questo Apostolo, Giacomo, amico di Cristo e dei cristiani. Il «Campo de la Estrella», che secondo la tradizione accolse e conserva le reliquie dell'Apostolo, è stato nel corso dei secoli meta di numerosi pellegrinaggi, di cammini percorsi dai fedeli provenienti da tanti luoghi del mondo.

Un pellegrinaggio che, nel tradizionale cammino di Santiago, abbondava di frutti di verità e di vita, contrassegnato dalla penitenza e dalla conversione e alimentato dalla meditazione della Parola, vissuto in un'esemplare dimensione di carità, senza frontiere di nazionalità o di razza, da quanti compivano opere di misericordia, davano e ricevevano aiuto nei ricoveri, negli ospedali e nei monasteri. Pellegrinaggio intrapreso per ottenere la «grande perdonanza» e la piena riconciliazione con Dio, per mezzo di Gesù Cristo e per intercessione dell'Apostolo.

Il motto del congresso fa allusione al pellegrinaggio comunitario che la Chiesa realizza con la forza dell'Eucaristia, «cibus viatorum», alimento di pellegrini e viandanti. Così vivono e camminano i cristiani nel mondo, con lo sguardo rivolto alla meta finale, quando tutta l'umanità sarà un'offerta gradita a Dio Padre. Ce lo ricorda un bel testo del Concilio Vaticano II: «Un pegno di questa speranza e un viatico per il cammino il Signore lo ha lasciato ai suoi in quel sacramento della fede nel quale degli elementi naturali coltivati dall'uomo vengono tramutati nel corpo e nel sangue glorioso di lui, come banchetto di comunione fraterna e pregustazione del convito del cielo» (Gaudium et spes
GS 38).

4. L'Eucaristia è anche «panis filiorum », il pane dei figli di Dio. Questa espressione della pietà eucaristica della Chiesa ci ricorda un altro aspetto fondamentale che ha una risonanza particolare in questo anno di grazia, in cui con tutto il popolo santo volgiamo lo sguardo al Padre che è nei cieli (cfr Tertio Millennio adveniente TMA 49).

L'Eucaristia è l'alimento dei figli, il pane vivo di Dio sceso dal cielo che dà la vita al mondo. «Il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero» (Jn 6,32), dice Gesù. Per questo la Chiesa celebra l'Eucaristia con lo sguardo e il cuore rivolti al Padre, santo e misericordioso, fonte di ogni santità, che ogni giorno ci alimenta con il dono del corpo e del sangue del suo amatissimo Figlio.

La preghiera eucaristica trabocca di gratitudine verso il Padre, poiché ci offre la vittima della nostra riconciliazione, e in lei ricordiamo che Cristo è il pane dei figli di Dio, che ci rende partecipi della sua vita divina: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Jn 6,57). Tutto nell'Eucaristia viene dal Padre e tutto torna a Lui, attraverso Cristo nell'unità dello Spirito Santo.

Per partecipare degnamente alla mensa dell'Eucaristia, vero banchetto dei figli di Dio, è indispensabile indossare «l'abito nuziale» (Mt 22,11). Per questo la Chiesa ci offre il Sacramento della Riconciliazione. In esso si riceve il perdono, attraverso l'abbraccio misericordioso con il quale Dio ci accoglie (cfr Lc 15,20). Ciò è fonte di vera pace e di gioia interiore, che ci permette di sederci come figli e fratelli riconciliati attorno alla mensa dell'Eucaristia.

5. Il popolo pellegrino con la «frazione del pane» rivive la grazia e l'impegno della vita nuova, come la prima comunità di Gerusalemme (cfr seg.). La comunione fra le persone e i popoli s'intensifica, al di là delle differenze culturali, in seno alla cattolicità della Chiesa. Per questo l'Eucaristia è da sempre elemento di comunione nella diversità, nel condividere lo stesso pane di vita che accresce anche il dono della fraternità. Così lo esprime un testo dell'antica tradizione ispanica che precede la preghiera domenicale nella liturgia eucaristica: «Affinché con il desiderio dell'umiltà e con la professione della carità, attraverso l'alimento e il sangue del Signore, tutta la fraternità del suo corpo resti unita e noi possiamo dire con fiducia sulla terra, Padre nostro» (PT 96,247-248).

La Chiesa, che crede nell'Eucaristia e la celebra, è una comunità orante, che contempla e adora il mistero della presenza reale e permanente di Cristo nel sacramento e che impara a pregare con gli stessi atteggiamenti della preghiera eucaristica.

6. La celebrazione di questo Congresso Eucaristico Nazionale è una forte chiamata all'unità e alla comunione di tutta la Chiesa in Spagna, a un ritorno alle radici della fede cristiana che ha reso feconde le vostre comunità. Tante Chiese sorelle di tutto il mondo lo riconoscono. Lo evidenziano la testimonianza dei vostri martiri, la ricca spiritualità dei vostri santi, l'intraprendente dinamismo dei vostri missionari che hanno portato il messaggio del Vangelo dal «finis terrae» di Compostela ad altri luoghi del mondo.

146 L'Eucaristia costituisce ancora oggi una forte chiamata a vivere la fede cristiana alla luce del segno espressivo e sacramentale del «Dies Domini», giorno del Signore e pasqua settimanale, quando la famiglia dei figli di Dio si riunisce attorno alla mensa del Pane della Parola e del Pane eucaristico, quale testimonianza di fede nella presenza del Risorto in questo mondo.

L'Eucaristia, essendo segno di unità e fonte di carità, è anche un'effusione dello Spirito Santo nei nostri cuori e ci spinge a promuovere la fraternità in un mondo diviso, rendendo testimonianza della paternità amorosa di Dio verso tutti.

Come non ricordare che è stata l'Eucaristia, celebrata, adorata e assunta, il segreto della vitalità della Chiesa nella vostra Patria, in quel pellegrinaggio storico dei secoli passati che ha lasciato tanti monumenti di autentica pietà? Con questa certezza vi esorto a confidare nel futuro, affinché Cristo presente nell'Eucaristia vi renda ancora più saldi e rinnovi in tutti, specialmente nei giovani, l'impegno dell'evangelizzazione e l'anelito di recare una testimonianza pubblica e sociale di vita cristiana in questa fine di secolo e di millennio.

7. Che la fede nell'Eucaristia accresca la speranza, favorisca la fraternità e ci spinga verso la carità, e che vi accompagni con la sua presenza amica l'apostolo Giacomo, testimone della croce e della gloria di Nostro Signore, incoraggiando i pellegrini con il suo esempio e aiutandoli con la sua intercessione!

Non si può parlare dell'Eucaristia senza ricordare la Vergine Maria, Madre di Gesù, pellegrina della fede, segno di speranza e di consolazione del popolo pellegrino, che ci ha dato Cristo, il Pane vero.

In comunione con Lei e con la speranza di godere della sua compagnia nella gloria, celebriamo l'Eucaristia che è il sacramento della nostra fede, acclamando la presenza di Cristo, il Figlio della Vergine Maria: «Ave, verum Corpus, natum de Maria Virgine . . .»

Mentre mi sento unito a voi in questi giorni di grazia, imparto di cuore a tutti, Pastori e fedeli della Chiesa in Spagna, la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 13 maggio, Solennità dell'Ascensione del Signore, dell'anno 1999.

GIOVANNI PAOLO II




ALLA DELEGAZIONE


DEL «FÚTBOL CLUB BARCELLONA»


Sala dei Papi - Venerdì, 14 maggio 1999




Signor Presidente,
Signore e Signori,

147 1. Mi è grato ricevere i membri del Consiglio Direttivo e gli sportivi delle diverse sezioni del «Fútbol Club Barcelona», che quest'anno festeggia il suo Centenario. Ringrazio il Signor José-Luis Nuñez, Presidente della società, per le sue gentili parole e al contempo saluto cordialmente tutti i presenti. Mi fa piacere che, fra gli atti commemorativi di questo centenario, abbiate voluto avere questo incontro con il Papa.

La vostra presenza evoca in me il ricordo della vostra bella città, laboriosa e ricca di cultura, che ho avuto la gioia di visitare nel 1982, celebrando la Santa Messa proprio nel «Nou Camp», stadio che è testimone delle vostre competizioni sportive e dove mi è stato consegnata la tessera di socio del vostro club.

2. Voi siete i rappresentanti di un'attività sportiva che ogni fine settimana riunisce tanta gente negli stadi e alla quale i mezzi di comunicazione sociale dedicano ampio spazio. Per questo motivo avete una responsabilità speciale. Con l'affetto, non esente da ammirazione, che provo per gli sportivi, vi incoraggio a continuare a rendere degno il mondo dello sport, non solo apportando il meglio delle vostre forze fisiche nelle diverse specialità sportive, ma anche e soprattutto promuovendo quegli atteggiamenti che nascono dalle più nobili virtù umane: la solidarietà, la lealtà, il comportamento corretto e il rispetto per gli altri, che devono essere considerati come concorrenti e mai come avversari o rivali. Parimenti è necessario promuovere la buona volontà, la pazienza, la perseveranza, l'equilibrio, la sobrietà, lo spirito di sacrificio e il dominio di sé, elementi fondamentali di ogni impegno sportivo, che assicurano successo e classe all'atleta. Su questa base si sviluppano le virtù cristiane quando questi valori si assumono come autentica adesione interiore e si incoraggiano con l'amore di Cristo.

Sono convinto che lo sport, quando non si trasforma in mito, è un fattore importante di educazione morale e sociale, a livello sia personale che comunitario. A tale proposito il Concilio Vaticano II insegna che «esercizi e manifestazioni sportive . . . giovano a mantenere l'equilibrio dello spirito anche nelle comunità e offrono un aiuto per stabilire fraterne relazioni fra gli uomini di tutte le condizioni, di nazione o di stirpe diversa» (Gaudium et spes
GS 61).

3. Cari rappresentanti del «Barça»: questo incontro mi ha offerto l'opportunità di comunicarvi alcune considerazioni sul mondo dello sport, nel quale il vostro Club ha da cent'anni un ruolo di spicco. Nel felicitarmi con voi per questo centenario, vi invito a compiere un rinnovato sforzo, nobile e fecondo, in tal senso. E tutto ciò non solo per ottenere un esito migliore a livello competitivo, che dia legittima soddisfazione ai vostri tifosi, ma anche affinché gli incontri sportivi favoriscano sempre più i rapporti interpersonali, instaurando autentici vincoli di amicizia e di convivenza pacifica fra tutti i popoli.

4. Desidero che le vostre attività sportive siano illuminate da queste riflessioni. Il mio augurio in questo anno del Centenario è che la partecipazione ai diversi tornei elevi il vostro spirito verso mete più alte. Che, in questo sforzo di crescita spirituale e morale, vi accompagni sempre la materna protezione della Vergine della Mercede, Patrona di Barcellona, che tante volte vi ha accolto quando le avete offerto i vostri trofei! Rinnovandovi il mio ringraziamento per la vostra visita, vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica, che estendo alle vostre famiglie.




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