GPII Omelie 1996-2005 48

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VIAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA

SANTA MESSA IN OCCASIONE DEL XVI CENTENARIO


DELLA MORTE DI SAN MARTINO




Base aerea 705 di Tours - Sabato, 21 settembre 1996




Cari Fratelli e care Sorelle,

1. “Canterò senza fine le grazie del Signore” (Ps 88,2). In Francia da sedici secoli la Chiesa canta l’inno alla carità. Attraverso la testimonianza di uomini vivi la Chiesa canta l’inno alla carità scritto da san Paolo nella lettera ai Corinzi (cf. 1Co 13,1-13).

Questo inno si eleva da numerose regioni del vostro Paese. San Martino di Tours è un importante testimone della carità evangelica. Ogni anno, l’11 novembre, la liturgia ci ricorda la sua nobile figura. La sua vita è la narrazione delle meraviglie che Dio ha compiuto in lui. Gli eventi che la compongono sono diventati, per così dire, simbolici: legati alla figura di questo santo, prima soldato e poi Vescovo, sono stati conosciuti in tutta la Chiesa.

La città in cui fu Vescovo accoglie oggi il Vescovo di Roma, garante dell’unità della Chiesa per la quale Martino operò. Ringrazio di cuore Monsignor Jean Honoré, Arcivescovo di Tours e successore di san Martino, per le parole di benvenuto che mi ha rivolto e saluto di tutto cuore i Cardinali e i Vescovi della Francia e degli altri Paesi che si sono uniti a noi, vi saluto tutti, cari fedeli di questa Diocesi e delle Diocesi vicine. L’anno martiniano in corso è per voi un’occasione privilegiata per riaffermare la parte migliore del vostro patrimonio spirituale. Penso in particolare ai cristiani di Blois e del Loir-et-Cher, la cui Diocesi è stata fondata tre secoli fa.

Porgo il benvenuto ai membri dell’Ufficio del Consiglio delle Chiese cristiane in Francia, che oggi hanno voluto unirsi alla nostra preghiera. Saluto di cuore le personalità civili che partecipano a questa celebrazione in onore di una grande figura della vostra nazione.

2. Nato a centinaia di chilometri da qui, in Pannonia, vale a dire in Ungheria, Paese che ho appena visitato, san Martino percorse distanze considerevoli per “annunciare la Buona Novella ai poveri”. Oggi ringrazio il Cardinale László Paskai per aver intrapreso lo stesso cammino. Per amore di san Martino. Il suo culto si diffuse non solo in Francia, ma in tutta l’Europa. La forza duratura della sua influenza svolse un ruolo importante nella conversione di re Clodoveo e nella vita del popolo francese. Migliaia di chiese e di parrocchie presero il suo nome.

Conosciamo tutti il famoso evento della vita di san Martino, che ebbe luogo il giorno in cui, ancora soldato, egli incontrò un povero, nudo e tremante per il freddo. Martino prese il suo mantello, lo divise a metà e con esso coprì l’infelice. È proprio questo che dice il Vangelo secondo Matteo che abbiamo appena ascoltato: “(ero) nudo e mi avete vestito” (Mt 25,36). Durante il giudizio universale, Gesù rivolgerà queste parole a coloro che porrà alla sua destra, a quanti avranno fatto del bene. Essi allora domanderanno “Signore, quando mai ti abbiamo veduto . . .? Quando ti abbiamo visto . . . nudo e ti abbiamo vestito?” (Mt 25,38). E Cristo risponderà loro: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

Donando al povero di Amiens la metà del suo mantello, Martino ha tradotto in un gesto concreto le parole di Gesù che annunciano il giudizio universale: quando alla presenza del Figlio dell’uomo si riuniranno “tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra” (Mt 25,32-33). Egli dirà a coloro che sono alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25,34). Contemplando la vita di san Martino, e soprattutto il suo ardore nel praticare l’amore verso il prossimo, la Chiesa è giunta subito alla conclusione che il Vescovo di Tours si trovava nel novero degli eletti.

3. Per riconoscere il Cristo presente in ognuno dei suoi “fratelli più piccoli” (Mt 25,45) bisogna avere percepito la sua presenza nel raccoglimento interiore. Uomo di preghiera, Martino si lasciò completamente prendere da Cristo. Poté affermare, come san Paolo: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Ga 2,20). La sua esistenza fu contrassegnata dalla ricerca della semplicità. Chiamato suo malgrado all’episcopato, conservò il suo senso d’umiltà e rimase il monaco che aveva voluto essere fin dalla sua adolescenza. Lui, che fu uno dei fondatori del monachesimo d’Occidente, si preoccupò di avere al suo fianco, vicino a Tours, una comunità monastica per condurre una vita di lode alla gloria di Dio e praticare le virtù cristiane, in particolare il perdono ricevuto e concesso.

4. Evangelizzatore dei villaggi e delle campagne, Martino fu un fondatore la cui opera sussiste ai nostri giorni come appello a diffondere il Vangelo fino ai confini della terra (cf. Mt Mt 28,20). Cari Fratelli e care Sorelle, l’edificazione della Chiesa prosegue. Animate le vostre parrocchie e le vostre comunità con tutta la forza della speranza! Occorre chiedersi: come può la comunità cristiana proporre e difendere i valori evangelici in un mondo che spesso li ignora? Lasciatevi prendere dalla parola di Cristo e mettetela in pratica nella vita di ogni giorno! Ascoltate la parola che la Chiesa trasmette a nome del Signore, sappiate comprenderla e trasmetterla in modo chiaro!

Avete ricevuto doni diversi ma in un unico Spirito (cf. 1Co 12,4). Alcuni si dedicano all’animazione della comunità insieme ai loro Pastori, in primo luogo per rendere la liturgia viva e bella; altri si pongono più spontaneamente al servizio umile e generoso dei poveri, degli stranieri, dei malati; altri ancora sapranno meglio portare ai propri fratelli e alle proprie sorelle la Buona Novella, per dire loro come Cristo illumina le vie della vita. Che ognuno accolga nella preghiera ciò che lo Spirito gli suggerisce, che ogni battezzato, di qualsiasi età, si assuma la sua parte di responsabilità e di servizio, in seno a comunità ecclesiali unite, aperte e amichevoli! Avanzerete così lungo il cammino tracciato da san Martino: egli aveva compreso che Cristo vuole raggiungere tutti gli uomini e dire loro che sono amati da Dio e chiamati a conoscerlo. Gesù ha dato la vita per amore di tutta l’umanità. E voi, che siete configurati a Cristo attraverso il battesimo, come risponderete al suo amore?

5. San Martino rimase un buon Pastore fino alla fine. Il racconto della sua morte ci è stato tramandato. Egli fece sue le parole di san Paolo: “Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia” (Ph 1,20). Ciò che leggiamo nella Lettera ai Filippesi costituisce, in un certo modo, il modello al quale si è conformato. Come san Paolo, poteva dire: “Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d’altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne” (Ph 1,21-24).Prossimo alla morte Martino, come l’Apostolo, espresse il suo desiderio di morire per essere con Cristo e accettò di continuare a servire come Pastore se gli uomini avevano bisogno di lui. Questo atteggiamento simboleggia tutta la verità dell’esistenza cristiana.

6. Il Vangelo è la via che conduce a Cristo e, attraverso di Lui, alla casa del Padre. Tutti i suoi discepoli vogliono raggiungere questa casa; essi desiderano essere con Cristo. Una tale prospettiva tuttavia non dispensa coloro che professano Cristo dall’impegnarsi nella vita quotidiana. Seguendo Cristo, gli uomini della tempra di san Martino sono consapevoli che il cammino passa per le molteplici forme di servizio del prossimo, incominciando dalla prima di esse, l’annuncio della salvezza operata da Cristo. Tale servizio vi farà avanzare verso la casa del Padre lungo le vie aperte da Cristo.

Fratelli e Sorelle, san Martino vi lascia una testimonianza eccezionale di appartenenza a Cristo. La sua totale disponibilità è per voi un modello e un incoraggiamento: continuate ad annunciare il Vangelo, proprio come fece lui, “in ogni occasione opportuna e non opportuna” (2Tm 4,2)! Offrite la vostra vita a Cristo con fiducia e serenità: egli la prenderà e le permetterà di dare il meglio di sé.

San Martino è stato un apostolo ammirevole, ma non è sufficiente ricordarlo. Nelle diverse condizioni presenti, siate a vostra volta membri vivi della Chiesa viva, comunità unite e accoglienti, che sappiano rendere conto della speranza che è in loro (cf. 1P 3,15). Solo pochi anni ci separano ancora dal terzo millennio: siate puntuali all’appuntamento! San Martino di Tours vi accompagna.

Beati siete voi, cristiani di Francia, che avete meritato di ricevere un tale Patrono agli albori della vostra storia!

Grazie Chiesa di Tours. Che il sole ti accompagni oggi come ieri a Sainte-Anne-d’Auray! Auguri!


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VIAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA

CELEBRAZIONE DELLA PAROLA CON GLI AMMALATI E I SOFFERENTI




Basilica di San Martino a Tours - Sabato, 21 settembre 1996




Cari Fratelli e care Sorelle,
1. “Beati voi, perché vostro è il Regno dei cieli”!

Saluto tutti voi con affetto, poiché attribuisco una grande importanza a questo nostro incontro. I vostri volti esprimono la speranza; i vostri volti parlano anche di Dio, poiché voi avete valore ai suoi occhi. San Martino ci riunisce questo pomeriggio nella Basilica che accoglie la sua tomba. In tutta la sua esistenza, egli cercò di vivere pienamente il messaggio delle Beatitudini, proprio quello che abbiamo appena riascoltato. Egli ci accompagna invisibilmente; io gli chiedo di venire ad illuminarci, dal momento che egli fu uno dei più grandi Apostoli del Vangelo sulla terra del vostro Paese. In lui, la Chiesa riconosce l’esempio del cristiano totalmente rivolto verso il suo prossimo: egli donò la sua vita per i suoi fratelli nella sequela di Cristo.

Ognuna delle Beatitudini è stata vissuta da san Martino: povero di cuore, egli attese ogni cosa da Dio, senza contare sulle proprie forze fisiche, intellettuali o spirituali. In uno spirito d’abbandono, sapeva che la volontà di Cristo su di lui era la sua unica ragione di vita. Di natura dolce, egli abbandonò le armi per servire il suo prossimo. Commosso dinanzi alla miseria spirituale della sua epoca, percorse le campagne, “annunciando ai poveri la Buona Novella, ai prigionieri la liberazione, agli afflitti la gioia”. Affamato e assetato di giustizia, seppe stabilire uno stile di vita conforme alla giustizia di Dio, che supera quella degli uomini. “Unito al Signore da una tenerissima misericordia” (Sulpicio Severo), fu un uomo di perdono e andò in soccorso dei poveri che Dio pose lungo il suo cammino. Uomo dal cuore puro, seppe resistere alle tentazioni. Artefice di pace, riuscì a risolvere numerosi conflitti della sua epoca, senza rifiutare “il peso della giornata e il caldo” (Mt 20,12). Perseguitato a causa della giustizia, mostrò che Cristo riempie tutta la vita e merita di essere seguito, costi quel che costi.

2. Nella società attuale conosciamo troppe forme di povertà, di tristezza e di afflizione. La povertà materiale, la malattia, la sofferenza fisica, i diversi tipi di esclusione che affliggono i nostri contemporanei, le forme di infelicità sono molteplici: nessuno può essere sicuro di sfuggire ad esse nel corso della propria vita. Alcuni ne subiscono più di una, poiché esse si generano a vicenda. Arriva un momento in cui ogni via d’uscita sembra chiusa, in cui la vita non appare più come un dono di Dio, bensì come un fardello. È allora che la beatitudine degli afflitti acquista tutto il suo senso. Cristo ha osato proclamare che coloro che piangono sono beati e saranno consolati (cf. Mt Mt 5,5). Ha affermato che essi sono chiamati alla felicità eterna. Grazie al suo amore infinito, il Signore risponde così al desiderio di felicità che dimora nel cuore di ogni uomo. Cosa c’è, infatti, di più grande e di più importante dell’essere amati e riconosciuti per se stessi, per la bellezza del proprio essere interiore, che non dipende né dalle apparenze né dall’interesse immediato che si può rappresentare per gli altri?

Come san Martino, siamo invitati ad aprire gli occhi e a riconoscere nel povero che sta morendo di freddo alle porte della città, nel forestiero che bussa alla nostra porta, un fratello da accogliere e da amare. Una società viene giudicata dallo sguardo che rivolge ai sofferenti della vita e dall’atteggiamento che adotta nei loro confronti. Ognuno dei suoi membri dovrà un giorno rispondere delle proprie parole e dei propri atti nei confronti di coloro che nessuno guarda, nei confronti di coloro dai quali ci si allontana. Il poverello di Amiens, si narra nella Vita di San Martino, “per quanto supplicasse i passanti di avere pietà della sua miseria, tutti proseguivano senza fermarsi” (3,1). Per la loro indifferenza, essi non hanno saputo riconoscere il proprio fratello. Ignorando il prossimo, si sono fatti beffe di una parte della loro stessa umanità. Quel giorno nessuno di essi è stato capace di vedere Cristo che moriva di freddo nella persona del povero.

Ogni essere straziato nel corpo o nello spirito, ogni persona privata dei propri diritti fondamentali, è un’immagine vivente di Cristo. “Nei poveri e nei sofferenti, la Chiesa riconosce l’immagine del suo Fondatore povero e sofferente” (Lumen gentium LG 8). Con la sua morte sulla croce, Cristo, che ha conosciuto la sofferenza estrema, resta vicino a noi. Contemplando il mistero della sua Passione, noi scopriamo tuttavia la speranza offerta dal Signore. Tramite il suo amore per noi, Egli ci ha aperto un nuovo cammino. Con la sua Risurrezione il mattino di Pasqua, Egli attesta che la morte e la sofferenza non hanno più l’ultima parola sull’uomo e che un futuro è sempre possibile. Un’esistenza che, sul piano umano, poteva sembrare rinchiusa in un vicolo cieco, è diventata un passaggio. Sì, cari amici, voi che portate il peso della sofferenza, siete ai primi posti tra coloro che Dio ama. Come a tutti coloro che Egli ha incontrato lungo le vie della Palestina, Gesù vi ha rivolto uno sguardo ricolmo di tenerezza; il suo amore non verrà mai meno. Poiché sin dalla vostra origine siete figli di Dio, voi occupate nella Chiesa, Corpo di Cristo, un posto privilegiato.

Di fronte al moltiplicarsi degli attentati alla dignità e all’integrità delle persone, di fronte all’aumento del numero degli esclusi, occorre trovare nuovi stili di vita personali e collettivi che permettano di superare le crisi, soprattutto in quei Paesi che, come il vostro, dispongono di abbondanti risorse umane e naturali. Occorre porre in essere delle nuove forme di solidarietà, sia all’interno di ogni società che tra le nazioni. Per garantire a tutti l’accesso al lavoro, non converrebbe rivedere alcune pratiche e favorire una più equa distribuzione dei beni? Coloro che hanno la fortuna di avere redditi sufficienti sono pronti a condividerli maggiormente con coloro che non riescono a vivere in maniera accettabile? Uno stile di vita più sobrio permetterebbe a molti di evitare gli sprechi e di essere più attenti alle necessità del prossimo.

Ogni essere umano, per quanto bisognoso, è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, e nulla può fargli perdere questa dignità. Qualunque sia la sua origine, qualunque sia il peso della sua prova, rifiutare di vederlo significa condannarsi a non comprendere nulla della vita.

3. Ascoltiamo il messaggio delle Beatitudini: “Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia”! (Mt 5,7). La misericordia di cui parla Cristo è la tenerezza di Dio; il perdono ne è un’espressione importante. Il cuore misericordioso si lascia così commuovere dalla miseria altrui e rimane inquieto finché non ha fatto tutto quanto è in suo potere per recare conforto a quanti sono nel bisogno. Per entrare nel Regno, occorre avere questo cuore misericordioso, non soltanto sensibile al bisogno, ma anche capace di alleviare la sofferenza, di infrangere la solitudine e di impegnarsi attivamente per accogliere i propri fratelli e le proprie sorelle meno fortunati.

I misericordiosi otterranno misericordia. “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me” (Mt 25,40), dirà loro Cristo nell’ultimo giorno. La felicità dell’eternità sarà la felicità di vedere Dio e di riconoscerlo nella persona di tutti coloro che saranno stati posti da Lui sul nostro cammino, con i quali vivremo per sempre dell’amore che non finirà mai. Questa felicità, noi la percepiamo sin da oggi. Il Vangelo ci invita ad agire fraternamente nei confronti del nostro prossimo, proprio perché in lui Dio è presente e ci attende. Il rapporto con Dio è indissociabile dall’amore per il prossimo, e in particolare per il povero che incontriamo.

4. L’attenzione rivolta ai poveri costituisce uno dei criteri fondamentali dell’appartenenza a Cristo. Essa deve caratterizzare l’impegno temporale del cristiano. La fede deve essere accompagnata da un’azione in favore dei nostri fratelli in umanità, poiché “l’amore del Cristo ci spinge” (2Co 5,14) a servire ogni uomo, quello che amiamo e quello che non amiamo abbastanza. Ecco perché lancio un appello a favore di una solidarietà reale fra tutti. Quando dunque sarà davvero rispettato il diritto di ognuno al lavoro, alla casa, alla cultura, alla salute, ad un’esistenza degna di questo nome? La Chiesa verrebbe gravemente meno alla sua missione se non ricordasse questo imperioso dovere di fare tutto il possibile, nelle società ricche dell’Occidente e in ogni società, per debellare i flagelli che non cessano di imperversare sulla superficie del nostro pianeta. Cristo è venuto per “annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4,18). Nessuno dei suoi discepoli, nessuno dei suoi fratelli è dispensato dal prendere parte a questa opera impegnativa, salutare e gratificante.

5. Che san Martino vi guidi ogni giorno! Che egli vi ispiri le parole, i gesti, gli atteggiamenti d’amore, di fraternità, di compassione che vi aiuteranno a vivere! Da milleseicento anni egli intercede presso il Padre a favore di coloro che sono ricorsi a lui con fiducia. Se lo pregate, egli non abbandonerà nessuno di voi, nessuno di coloro che vede soffrire lungo le vie tortuose della vita. Alle porte di Amiens, Martino donò metà del suo mantello. Che egli continui ad essere il nostro modello di carità reale ed autentica!

Come segno dell’amore che proviene da Dio, come pegno della speranza fondata sul Cristo, vi imparto di tutto cuore la Benedizione Apostolica e la estendo a tutti coloro che voi rappresentate, a quanti soffrono a causa di una ferita e chiedono al Signore di venire a guarirla. Voglio dirlo al nostro mondo: la condivisione è fonte di felicità! La gioia è possibile! Che Dio vi custodisca sempre!
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VIAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA

SANTA MESSA IN OCCASIONE DEL XV CENTENARIO


DEL BATTESIMO DEL RE CLODOVEO




Aeroporto di Reims - Domenica, 22 settembre 1996




1. Cari Fratelli e care Sorelle di Francia qui riuniti,

il Vescovo di Roma vi saluta in questa commemorazione solenne di un evento saliente della storia del vostro Paese. Ringrazio l’Arcivescovo di Reims, Mons. Defois, per la sua accoglienza, così come tutti i Vescovi che mi circondano. Sono lieto inoltre per la presenza di Pastori e di fedeli venuti dai Paesi vicini che condividono la stessa eredità.

Saluto in modo particolare i Cardinali e i Vescovi venuti da numerosi Paesi d’Europa. Rivolgo un saluto fraterno ai rappresentanti delle altre confessioni cristiane, la cui presenza testimonia i loro legami amichevoli con i cattolici di Francia. Desidero inoltre formulare i miei voti ferventi alla comunità ebrea, che inizia questa sera il digiuno e la preghiera del Kippur.

Saluto cordialmente le autorità civili che si associano a questa celebrazione festiva.

2. “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ep 4,5).

La liturgia di questa Messa ci invita a riscoprire le fonti del nostro battesimo. Quindici secoli fa il re dei Franchi, Clodoveo, ricevette questo sacramento. Il suo battesimo ebbe il medesimo significato di qualsiasi altro battesimo. Ricordiamoci delle parole di Cristo: “se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Jn 3,5). Venne così concesso al sovrano dei Franchi di essere chiamato alla vita del Regno di Dio. Egli aveva a lungo meditato il messaggio cristiano testimoniato presso di lui da Clotilde, Remigio, Vaast e Genoveffa. Fece quindi la scelta di rinunciare allo spirito del male, a tutto ciò che conduce al male e ad ogni forma di orgoglio; allo stesso tempo, professava la fede della Chiesa e aderiva a Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto per la redenzione del mondo. Il battesimo lo ha liberato dal peccato originale e da ogni altro peccato commesso e, mediante la grazia santificatrice, lo ha reso partecipe della vita di Dio. I suoi concittadini battezzati con lui ricevettero gli stessi doni. Essi divennero cristiani, figli adottivi di Dio. Divennero anche membri del Popolo di Dio, la Chiesa.

3. Abbiamo ascoltato il profeta Ezechiele. Le sue parole sottolineano soprattutto questo secondo aspetto del battesimo. Egli si rivolge ai figli e alle figlie del Popolo di Dio, al plurale e non al singolare, e ciò ha un significato. Ezechiele dice: “Vi prenderò dalle genti ( . . .) Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure ( . . .) vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, ( . . .) vi farò vivere secondo i miei precetti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi” (Ez 36,24-27). Quando il neobattezzato riceve lo Spirito, entra nella comunità dei battezzati, arricchita da questo dono, la comunità che Dio riunisce e purifica per donarle uno Spirito nuovo. Il profeta Ezechiele si rivolge al Popolo di Dio della Prima Alleanza, a Israele. Il Popolo della Nuova Alleanza è costituito da tutti i battezzati, provenienti da tutti i popoli e da tutte le nazioni, e ognuna di queste nazioni ha una propria storia: una storia contraddistinta dall’adesione a Cristo da parte di uomini e donne delle generazioni successive.

4. Il Vangelo di questa Messa, a sua volta, mostra come il battesimo riguardi anche la comunità nel suo insieme. Cristo dice ai discepoli: “Voi siete il sale della terra ( . . .) Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,13-14). Nel dire ciò Egli pensa a ogni persona: ogni cristiano è il sale della terra e deve impegnarsi a far sì che questo sale non perda sapore; se lo lascia diventare insipido, esso non serve più a nulla. Tuttavia, allo stesso tempo, Cristo si rivolge all’intera comunità: voi, cristiani battezzati, voi, cattolici di Francia, come comunità, potete conservare il sapore del messaggio evangelico, oppure potete perderlo. In quanto comunità, serbando nel vostro cuore la luce che proviene da Dio, potete essere la luce che illumina gli altri, come una città situata su una montagna, oppure potete diventare il contrario di questa luce che illumina gli altri. Gli uomini possono vedere il bene che fate e renderne gloria al Padre che è nei cieli (cf. Mt Mt 5,16), oppure possono non vederlo, forse semplicemente perché la luce resta nascosta sotto il moggio, oppure perché si sta spegnendo!

Questa grande celebrazione giubilare del battesimo vi fornisce l’occasione per riflettere sui doni che avete ricevuto e sulle responsabilità che ne derivano. Nel corso dei secoli, questi doni sono stati, certamente, moltiplicati molte volte in tutti coloro che sono divenuti, nel vostro Paese, il sale della terra, in coloro che hanno fatto risplendere e continuano a far risplendere la grande luce della testimonianza cristiana, dell’apostolato, dello spirito missionario, del martirio, di tutte le forme di santità. Si pensi ai martiri, a partire da Potino e Blandina di Lione, ai Pastori come Martino o Remigio, Francesco di Sales o Eugenio di Mazenod, alle sante come Giovanna d’Arco, Margherita Maria o Teresa di Lisieux, agli apostoli della carità come Vincenzo de’ Paoli, ai santi educatori come Nicolas Ronald o Giovanni Battista de la Salle in questa stessa città, alle fondatrici missionarie come Anne-Marie Javouhey o Claudine Thévenet. Questo grande giubileo del battesimo deve spingervi a fare un bilancio della storia spirituale dell’“anima francese”. Ricordate certamente i tempi bui, le molte infedeltà e gli scontri, conseguenze del peccato. Tuttavia ricorderete anche che ogni prova attraversata costituisce un pressante appello alla conversione e alla santità, al fine di seguire fino in fondo Cristo che ha donato la sua vita per la salvezza del mondo. È quando la notte ci avvolge che dobbiamo pensare all’alba che verrà; è allora che dobbiamo credere che la Chiesa rinasce ogni mattina grazie ai suoi santi. “Chi l’ha capito una volta - diceva Bernanos - è entrato nel cuore della fede cattolica, ha sentito vibrare nella sua carne mortale ( . . .) una speranza sovrumana” (Georges Bernanos, Giovanna, relapsa e santa).

5. San Paolo scriveva agli Efesini: “Vi esorto dunque a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto” (Ep 4,1). Paolo pensa evidentemente alla vocazione personale di ognuno dei destinatari di questa lettera, ma, contemporaneamente, si rivolge a tutta la comunità della Chiesa che è a Efeso. In quanto Chiesa, gli Efesini debbono comportarsi in maniera degna della loro vocazione, con umiltà e mansuetudine, con pazienza e carità (cf. Ef Ep 4,2). Tutti dovrebbero avere a cuore di “conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace” (Ep 4,3). Affinché il Corpo di Cristo sia unito, occorre che tutti siano animati dallo stesso Spirito. Scrive Paolo: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ep 4,5-6). Tutti i battezzati sono chiamati all’unità: l’unità della fede, della carità e della vita cristiana, l’unità sacramentale della Chiesa. Questa unità è opera di Dio - dello Spirito Santo - e, al contempo, è affidata a ciascuno affinché contribuisca secondo i doni ricevuti.

Nel contesto del giubileo celebrato oggi, le parole di san Paolo possiedono un significato profondo. È proprio perché avete dietro di voi tanti secoli di cristianesimo che siete chiamati ad agire in maniera degna della vocazione cristiana. La vocazione dei battezzati ha una dimensione costante, eterna, e una dimensione specifica, temporale. In un certo senso, i cristiani del nostro tempo hanno la stessa vocazione delle prime generazioni di cristiani della vostra terra e, allo stesso tempo, la loro vocazione è determinata dalla presente tappa della storia. La Chiesa è sempre una Chiesa del tempo presente. Essa non guarda alla sua eredità come al tesoro di un passato ormai compiuto, ma come ad una potente ispirazione per avanzare nel pellegrinaggio della fede lungo vie sempre nuove. La Chiesa sta per entrare nel suo terzo millennio. Occorre decifrare la nostra vocazione cristiana in funzione del nostro tempo, alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II sulla Chiesa, Luce delle nazioni, e sulla Chiesa nel mondo di questo tempo: in un atteggiamento fraterno, con amore per tutti gli uomini, la Chiesa non ha altro scopo che di “continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito” (Gaudium et spes GS 3). Cattolici di Francia, in comunione nella fede, nella speranza e nell’amore con i vostri fratelli di tutte le regioni del mondo, siate oggi il riflesso vivente del volto di Cristo, presente nel suo Corpo che è la Chiesa!

6. Fratelli e Sorelle, abbiamo cantato il seguente responsorio del Salmo: “Ho scelto di abitare nella casa di Dio, ho scelto la felicità e la vita!”. Che questa celebrazione giubilare del battesimo di Clodoveo vi colmi di gioia, poiché ricorda la scelta operata quindici secoli fa. Bisogna gioire per la scelta rinnovata nel corso dei secoli da tanti figli e da tante figlie della vostra terra; bisogna gioire ora per la scelta compiuta dalla nostra generazione, alla fine del secondo millennio. “Ho scelto di abitare nella casa di Dio”: queste parole ci collocano anche nella prospettiva escatologica della vocazione cristiana, nella prospettiva della fine dei tempi, quando Cristo riunirà tutte le membra del suo Corpo nel Regno del Padre. Mediante il dono della sua grazia, possiamo anche cantare: “ho scelto la felicità e la vita”. Sì, abitare nella casa del Signore è fonte di vita e di felicità. Ricordiamo coloro che ci hanno preceduto e che dimorano ormai nella casa di Dio; preghiamo allo stesso tempo per coloro che sono in cammino e perché molti altri lo intraprendano. Che la luce della fede non cessi di brillare! Gioite per aver scelto liberamente di essere uniti a Cristo mediante il battesimo per camminare con i vostri fratelli lungo le vie della vita!

Così celebriamo oggi il XV centenario del battesimo del Re Clodoveo. Amen!
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RITO DI BEATIFICAZIONE DI DIVERSI BEATI



Domenica, 6 ottobre 1996




1. « La vigna del Signore è il suo popolo » (Sal. Resp.).

La Parola di Dio dell'odierna Domenica ci propone il tema biblico della vigna: tema caro ai profeti, presente nei salmi e ripreso da Cristo, che lo ha portato a compimento nel mistero della sua Persona, giungendo addirittura a definire se stesso come «la vera vite », di cui il Padre è il vignaiolo (Jn 15,1). La Liturgia mette in risalto il drammatico contrasto tra la fedeltà di Dio e l'infedeltà dell'uomo, ma sottolinea al tempo stesso il provvidenziale disegno divino che tutti chiama alla santità. Nel «Cantico della vigna» del profeta Isaia (Is 5,7) abbiamo ascoltato la stupenda allegoria dell'amore appassionato e non ricambiato di Dio per i1 suo popolo. Egli ha dedicato mille attenzioni alla sua vigna, ma essa purtroppo ha prodotto frutti cattivi. Cocente è pertanto la delusione del Signore, che minaccia di abbandonare la vigna alla rovina.

2. Fa eco alla prima Lettura il Vangelo di Matteo, nel quale Gesù mette i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo di fronte alle loro responsabilità. Come i loro antenati che hanno ucciso i profeti, essi tramano ora di uccidere Lui, inviato di Dio.

Sembra così vincere il male ed invece trionfa la misericordia divina. Infatti, con il suo sacrificio Gesù sconfiggerà definitivamente l'odio e il peccato. « La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d'angolo » (Mt 21,42). È su Gesù Cristo, roccia di salvezza, che viene ricostruita la «vigna del Signore degli eserciti », «la sua piantagione preferita».

Piantagione preferita di Dio, carissimi fratelli e sorelle, sono stati coloro che oggi ho la gioia di proclamare Beati. Si tratta di persone uomini e donne - che hanno dato testimonianza di incrollabile fedeltà al Padrone della vigna. Non lo hanno deluso, ma rimanendo uniti a Cristo come i tralci alla vite hanno portato i frutti sperati di conversione e di santità. Hanno perseverato, anche a costo del sacrificio supremo.

3. « ( . . .) Rolnicy chwycili jego slugi i jednego obili, drugiego zabili, trzeciego zas kamieniami obrzucili».

Czyz ten sam los nie stal sic udzialem Wincentego Lewoniuka i jego towarzyszy, meczenników z Podlasia? Jako wierni «sludzy» Pana, pelni ufnosci w moc Jego laski, dali swiadectwo swojej przynaleznosci do Kosciola Katolickiego w wiernosci wlasnej tradycji wschodniej. Uczynili to z pelna swiadomoscia i nie zawahali sie zlozyc ofiary z zycia na potwierdzenie swego oddania Chrystusowi.

Nie szcezedzac siebie, meczennicy z Pratulina bronili nie tylko swiatyni, przed która poniesli smierc, ale takze Kosciola, który Chrystus zawierzyl apostolowi Piotrowi.. Tego Kosciola », którego czuli sie czescia, jako zywe kamienie. Przelali swa krew zjednoczeni, Bozym Synem, wyrzuconym z winnicy i zabitym dla zbawienia i pojednania czlowieka z Bogiem. Wyniesieni dzisiaj na oltarze Wincenty Lewoniuk i jego dwunastu towarzyszy, przez swój przyklad i wstawiennictwo, zapraszaja nas wszystich, abysmy meznie kontynuowali wedrówke ku pelnej jednosci calej rodziny uczniów Chrystusa w duchu wskazan ekumenicznych Soboru Watykanskiego II.

4. Blessed Edmund Ignatius Rice is a shining example of the fruitfulness of the Christian life when, as St Paul writes to the Philippians , we "fill our minds with `erg that is true, noble, good and pure". Here we have an outstanding model of a true lay apostle and a deeply committed religious. The love which he first gave to his young wife and which, after her untimely death, he always showed for his daughter, blossomed into a host of spiritual and corporal works of mercy, as he helped the clergy of his parish meet the pressing needs of his fellow citizens oppressed by poverty and the weight of anti-Catholic legislation.

The Spirit eventually led him to the total consecration of himself and his companions in the religious life. Today, his spiritual sons, the Christian Brothers and the Presentation Brothers, continue his mission: a mission which he himself described in this simple and clear intention: "Trusting in God's help, I hope to be able to educate these boys to be good Catholics and good citizens". Who will ever measure all the good that has come from the spiritual insight, warm heart and determined faith of Blessed Edmund Ignatius Rice? Once more Ireland has given the Church and the world a striking testimony of complete fidelity to Christ: "Keep doing all the things that you have been taught by him . . . Then the God of peace will be with you"

5. La alegoría de la viña nos habla del amor entrañable de Dios por sus hijos. A este amor supo responder generosamente la Madre Maria Ana Mogas Fontcuberta, y dar así abundantes frutos. Ella, renunciando a una posición social acomodada, forjó, junto al sagrario y a la Cruz, su espiritualidad inspirada en el Corazón de Cristo y basada en la entrega a Dios y al prójimo con «amor y sacrificio ». Fiel al ideal franciscano, mostró su preferencia por los pobres, la capacidad de perdonar y olvidar las ingratitudes e injurias, así como la dedicación a la educación de la infancia, la atención a los enfermos y a los que padecían alguna carencia. De ese modo respondió a la llamada del Señor a trabajar en su viña, con un estilo tan auténtico, que su santidad no impedía quo fuera tan jovial».

Este es el estilo que transmitió a sus hijas, las Franciscanas Misioneras de la Madre del Divino Pastor, expresado en su última exhortación: « Amaos unas a otras como yo os he amado y sufríos Como yo os he sufrido. Caridad, caridad verdadera, Amor y sacrificio ».

6. « Kto trwa we Mnie, a Ja w nim, ten przynosi owoc obfity ».W dniu dzisiejszym Kosciól raduje sie z wyniesienia na oltarze Blogoslawionej Marceliny Darowskiej, Wspólzalozycielki Zgromadzenia Sióstr Niepokalanego Poczecia Najswietszej Maryi Panny. Cale zycie Blogoslawionej Marceliny bylo nieustannym trwaniem w Bogu poprzez modlitwe i wierne nasladowanie Jezusa Chrystusa, który «do konca umilowal czlowieka ».

« Szerzyc Królestwo Boze w duszach ludzkich i wprowadzac je w swiat» oto program jej apostolskiej dzialalnosci, zrodzony w ciszy rozmodlonego serca. Chciala uczynic wszystko, aby prawda, milosc i dobro mogly zwyciezac w zyciu ludzi i przemieniac oblicze umilowanego narodu, Mozolne dzielo budowy Królestwa Chrystusowego prowadzila wielkodusznie ze wspólnota, niepokalanska, zwracajac szczególna uwage na religijna formacje mlodego pokolenia, zwlaszcza dziewczat, na rozwój katechizacji i prace wychowawcza. Szczególna, role w zyciu spoleczenstwa przypisywala chrzescijanskiej kobiecie, jako « zonie, matce i obywatelce kraju». Z wielka, gorliwoscia, troszczyla sie o rozwój Królestwa Bozego w rodzinie, poniewaz tylko rodzina zdrowa i swieta, rodzina, s która stoi na Bogu» - jak mówila moze byc fundamentem nowego spoleczenstwa. Nowa Blogoslawiona jest przykladem wiary apostolskiej, która tworzy nowe formy obecnosci Kosciola w swiecie, ksztaltuje spoleczenstwo bardziej sprawiedliwe i ludzkie, które « trwa i owocuje» w Chrystusie ».

7. «Il Dio della pace sarà con voi ».

Carissimi fratelli e sorelle, « il Dio della pace » é certamente con i nuovi Beati che oggi contempliamo nella gloria del Paradiso. Il Dio della pace sarà anche con noi se imiteremo il loro esempio e la loro coraggiosa fedeltà.

Noi siamo la « vigna di Dio », il popolo per il quale Cristo ha dato tutto se stesso. Accogliamo l'invito della Liturgia e lasciamoci attrarre dall'esempio luminoso di questi fratelli e sorelle nella fede che oggi rifulgono di splendida luce.

Con Maria, regina dei Martiri e dei Santi, che in questo mese del Rosario vogliamo invocare con particolare devozione, avanziamo fiduciosi verso Cristo glorioso senza mai lasciarci abbattere dalle difficoltà. Egli è con noi oggi e sempre.

Amen.

DIVINA LITURGIA IN RITO BIZANTINO-RUTENO IN OCCASIONE


DEL 350° ANNIVERSARIO DELL'UNIONE DI UZHOROD




Domenica, 27 ottobre 1996




Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!” (Ps 132,1).

1. Carissimi Fratelli e Sorelle in Cristo!

È veramente buono e soave per tutti noi celebrare oggi questa Divina Liturgia presso la Tomba dell’apostolo Pietro, in ricordo dei 350 anni trascorsi dall’Unione di Uzhorod. Lodiamo e ringraziamo insieme il Signore per quell’importante evento, che portò al ristabilimento della piena comunione della Chiesa di rito bizantino-ruteno con la Sede Apostolica di Roma. Allo stesso tempo, vogliamo invocare ancora una volta lo Spirito Santo, perché con la sua luce e la sua forza illumini e sostenga il cammino di tutti i cristiani verso la piena unità per la quale pregò Gesù nel Cenacolo (cf. Gv Jn 17,20-21).

Il vincolo di amore fraterno, che ha “come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù” (cf. Ef Ep 2,20), viene pienamente e perfettamente espresso nella nostra odierna partecipazione all’unica Eucaristia, che è “banchetto di comunione fraterna e pregustazione del convito del cielo” (Gaudium et Spes GS 38). Ci rallegriamo di essere “concordi” (Ac 1,14) in forza dell’effusione dello Spirito Santo, che nell’Eucaristia, mediante la grazia divina, approfondisce la comunione tra noi e con la Santissima Trinità (cf. Unitatis Redintegratio UR 15).

Quindi il Santo Padre ha proseguito la sua omelia in lingua inglese. Ne diamo qui di seguito la nostra traduzione italiana:

2. È con immensa gioia che vi do il benvenuto, Vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi, fedeli laici della Chiesa cattolica bizantina-rutena. Siete gli eredi dell’opera evangelizzatrice dei santi Cirillo e Metodio, gli Apostoli degli Slavi e allo stesso tempo siete anche gli eredi dell’atto di unione ecclesiastica celebrato trecentocinquanta anni fa nella cappella del Castello di Uzhorod, nell’Ucraina transcarpatica, che allora apparteneva al Regno d’Ungheria. Fu un atto di fede e fiducia profonde. Fu un inizio pieno di promesse. Fu un gesto di coraggio spirituale che portò, dietro l’impulso dello Spirito Divino, a nuove alte testimonianze di fedeltà a Cristo e a nuovi sforzi nell’edificazione del suo Corpo, che è la Chiesa (cf. Col Col 1,24).

Rendo dunque grazie a Dio che ci offre la grazia di questo incontro e di questa celebrazione presso la tomba dell’umile e glorioso Apostolo Pietro, Principe degli Apostoli e primo servo dell’unità di tutti i Cristiani (cf. Giovanni Paolo II, Ut unum sint UUS 94). Siete giunti in pellegrinaggio da diversi Paesi e da vari continenti per testimoniare la vostra gratitudine a Cristo, il “Pastore Supremo” (1P 5,4), per il dono di piena comunione fra la vostra Chiesa e la Chiesa cattolica: “Guardate che cosa buona e piacevole è che i fratelli dimorino insieme!”.

3. Il 24 aprile 1646, sessantatré sacerdoti dell’Eparchia di Mukacevo, riuniti nel Castello di Uzhorod, fecero professione di fede e vennero accolti in piena comunione con la Chiesa cattolica da Giorgio Jakusic, Vescovo di Eger. Questo passo compiuto dai vostri antenati era stato preparato da lungo tempo ed era parte di quel processo di riunificazione fra le Chiese proposto dal Concilio di Firenze (1439) che trovò un’espressione particolarmente significativa nell’Unione di Brest (1595), per mezzo della quale i Vescovi della Sede Metropolitana di Kiev avevano ristabilito la comunione con la Sede di Roma. Il clero ruteno di Uzhorod era spinto da numerosi motivi, alcuni dei quali legati ai diritti civili e alla libertà di pensiero. Tuttavia ciò che molti sacerdoti speravano dall’unione con Roma, era la confermazione nella fede e nella dottrina in un periodo di rivalità e di conflitti confessionali. Come condizione indispensabile essi insistevano giustamente sul rispetto per il proprio rito bizantino e sulla sua pratica sotto la guida di un proprio Vescovo.

Voi avete pagato questa unione a caro prezzo. Infatti, non avete mai smesso di sperimentare la Croce. Tuttavia, come fu per San Paolo le cui parole abbiamo appena ascoltato, questo è il vostro vanto: “quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo” (Ga 6,14). Dal modo in cui i fedeli ruteni sono rimasti saldi di fronte ai successivi conflitti e afflizioni, è chiaro che la luce di Cristo ha brillato ancora più luminosa sul vostro popolo, sulle vostre famiglie e sulle vostre comunità nell’Europa Orientale e nel Nuovo Mondo. Sono profondamente commosso nel pensare che siete qui oggi con il Vescovo di Roma, in comunione di spirito con i vostri martiri per rendere grazie per le nuove opportunità che vi vengono offerte. La vostra Chiesa esulta oggi mentre preparate una nuova fase del vostro cammino di fede. Anche per voi l’approssimarsi del Giubileo dell’anno 2000 deve indicare l’alba di una nuova era di evangelizzazione e di crescita.

4. Cari Fratelli e care Sorelle, la vostra identità spirituale è intimamente connessa con la ricerca dell’unità di tutti i cristiani. La vostra speciale vocazione consiste nell’operare mediante l’amore per il compimento delle ardenti preghiere che il Signore Gesù Cristo stesso elevò alla vigilia della sua Pasqua di sofferenza e di gloria: “perché tutti siamo una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te... perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Jn 17,21). Fate questo soprattutto nei vostri rapporti con i fratelli orientali, “in primo luogo con la preghiera, l’esempio della vita, la scrupolosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali, la mutua e più profonda conoscenza, la collaborazione e la fraterna stima delle cose e degli animi” (Orientalium ecclesiarum OE 24). In questa ricerca, la vostra guida e il vostro conforto sarà il Santissimo Theotokos che venerate con tenera devozione nella liturgia e che onorate quest’anno in modo particolare nel Santuario di Mariapocs, in Ungheria, in occasione del terzo centenario delle lacrime miracolose dell’icona ivi conservata.

Come indicato chiaramente dal brano del Vangelo che abbiamo letto oggi, agli occhi di Dio il povero e umile Lazzaro deve ricevere conforto mentre l’uomo ricco secondo i modelli del mondo deve rimanere in mezzo ai tormenti (cf. Lc Lc 16,19-24). Che voi, che avete molto sofferto per la fede possiate confidare totalmente nella Divina Provvidenza che ha sempre guidato i vostri passi e non vi abbandonerà mentre affronterete le grandi sfide che avete di fronte. Pace e misericordia su tutti voi (cf. Gal Ga 6,16). Amen.

SANTA MESSA CELEBRATA CON 700 PRESBITERI


DELLA DIOCESI DI ROMA




Venerdì, 1° novembre 1996




1. “Ecce Sacerdos magnus . . .”.

“Ecco il gran sacerdote che nei suoi giorni piacque a Dio, e fu trovato giusto, e nel giorno dell’ira fu strumento di riconciliazione . . . A lui diede la benedizione di tutte le genti e confermò il suo patto sopra il capo di lui” (cf. Sir Si 44, 16ss.;45, 3ss.).

Queste parole, tratte dalla Messa del Comune dei Confessori Pontefici secondo l’antica Liturgia, mi tornano spesso alla mente. Esse mi riportano ai tempi della mia Ordinazione sacerdotale, avvenuta cinquant’anni fa, proprio nel giorno in cui la Chiesa celebra tutti i Santi.

Il mistero di Cristo Sacerdote si inscrive, oggi, nella liturgia della Solennità di Tutti i Santi. In questo giorno la Chiesa proclama che “del Signore è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti. È lui che l’ha fondata sui mari e sui fiumi l’ha stabilita” (Sal 23[24], 1-2). Sullo sfondo di tutta la ricchezza del creato, il salmista contempla colui che è degno di salire il monte di Dio e di stare nel suo luogo santo (cf. Sal 23[24], 3). Colui cioè che “ha mani innocenti e cuore puro” (Sal 23[24], 4); che ha ricevuto “benedizione dal Signore” per presentarsi davanti a Lui a nome di tutte le generazioni desiderose di vedere il volto del Dio di Giacobbe.

In questo modo, l’odierna liturgia ci invita a rivolgere i pensieri e i cuori verso Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote.

2. “Ecce Sacerdos magnus . . .”: Cristo, Redentore del mondo, è questo “gran Sacerdote”. Sul suo capo viene “confermato il patto” di Dio col suo popolo. Egli è il Legislatore e il Testimone di quella nuova ed eterna Alleanza che ha la sua “magna charta” nelle otto Beatitudini, ricordate nel Vangelo di oggi. Quest’Alleanza con Dio, suggellata mediante la croce e la risurrezione di Cristo, continua immutabile nei secoli. È grazie ad essa che si attua ciò di cui parla il brano del Libro dell’Apocalisse poc’anzi proclamato. Ecco, “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono [di Dio] e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide . . . E gridavano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio . . . Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli”” (Ap 7,9-12).

Chi sono quelli avvolti in bianche vesti, che testimoniano l’eterna salvezza proveniente da Dio e da Cristo? Sono coloro che “sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7,14).

3. Gesù è il Sommo Sacerdote che, solo, può parlare a Dio con l’ineffabile linguaggio del proprio sacrificio. È a Lui che oggi rendiamo onore e grazie. Desidero farlo insieme all’intera comunità cristiana di Roma, ricordando il mio giubileo sacerdotale.

Carissimi Fratelli e Sorelle, grazie per la vostra presenza in questa circostanza così significativa per la mia vita. Saluto con affetto anzitutto il Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari, e tutti voi, cari Fratelli nel sacerdozio, che avete voluto unirvi a me nel ringraziamento al Signore per il dono inestimabile del sacerdozio ministeriale. Saluto inoltre e ringrazio per la loro gradita partecipazione il Presidente della Repubblica Italiana, il Sindaco della Città di Roma, il Presidente della Provincia e quello della Regione Lazio, come pure le altre Autorità presenti.

In quest’occasione mi è spontaneo pensare con particolare affetto e gratitudine a tutti i sacerdoti che operano e vivono qui a Roma. Ricordo in special modo gli anziani, gli ammalati, ai quali assicuro il mio quotidiano “memento” nella celebrazione del Sacrificio eucaristico. Il mio pensiero va anche ai giovani sacerdoti, che stanno affrontando le prime esperienze di ministero, con relative gioie ed amarezze, delusioni e speranze. Che il Signore non lasci mai mancare alle loro lampade l’olio della fede, che può gettare luce sulle umane vicende e può dare senso ad ogni sofferenza.

Lungo questi diciotto anni di servizio pastorale come Vescovo di Roma ho avuto la gioia di ordinare quasi duemila sacerdoti, dei quali non pochi al servizio diretto della nostra comunità diocesana. Come non elevare al Signore un cantico di lode e di ringraziamento per tutto questo? Ringrazio Iddio per il mio e per il vostro sacerdozio e lo faccio assieme a voi e a tutti i fedeli della diocesi di Roma, spiritualmente uniti a questa celebrazione giubilare. Invito tutti a pregare con me il “Padrone della messe”, perché moltiplichi gli operai di cui la sua messe abbisogna.

4. Come suonano eloquenti in questo giorno le parole di san Giovanni apostolo: “Quale grande amore ci ha dato il Padre” (1Jn 3,1); non soltanto ci ha “chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente” (1Jn 3,1), ma ci ha resi partecipi del sacerdozio di Cristo. Mediante il sacramento dell’Ordine, noi sacerdoti possiamo offrire “in persona Christi” l’unico ed eterno Sacrificio della Nuova Alleanza. Per questo rendo grazie a Dio perché mi ha concesso di celebrare la Santa Messa ogni giorno in questi cinquant’anni, a partire dal primo novembre 1946.

Scorrono di fronte a me, in questo momento, le immagini di quell’ormai lontano giorno, quando di mattina presto mi presentai nella residenza degli Arcivescovi di Cracovia, in via Franciszkanka, per ricevere l’Ordinazione sacerdotale, accompagnato da un piccolo gruppo di parenti e amici. Con emozione mi rivedo steso sul pavimento della cappella privata del Principe Metropolita; odo il canto del “Veni Creator” e delle Litanie dei Santi; attendo l’imposizione delle mani; accolgo l’invito a proclamare la Buona Novella, a guidare il Popolo di Dio, a celebrare i divini misteri. Sono ricordi incancellabili, che rivivo in questo giorno con indicibile gratitudine verso il Signore.

5. “Quale grande amore ci ha dato il Padre!”: un amore che ci trasforma e ci spinge alla santità! La santità è vocazione universale rivolta ad ogni battezzato, come ben sottolinea l’odierna Solennità di tutti i Santi. Il sacerdote esiste per offrire ai fedeli i mezzi predisposti da Cristo per questo cammino di progressiva santificazione. Tra questi mezzi di santità vi è anzitutto l’Eucaristia, memoriale della passione, morte e risurrezione del Salvatore. Attraverso il sacerdote, la Chiesa fa l’Eucaristia, ed è questa stessa Eucaristia che, a sua volta, fa la Chiesa. Così, il sacerdote diviene il servo della santità e della comunione dei battezzati.

È in questo spirito che ripenso agli anni del mio sacerdozio. Al di là della memoria degli eventi e delle persone, fisso lo sguardo in profondità, quasi per scrutare il mistero che lungo questi decenni mi ha accompagnato ed avvolto. Come sacerdote, Dio mi ha chiamato ad essere uomo della Parola, uomo del Sacramento, uomo del “Mistero della fede”. Nonostante il tempo trascorso, continuano a sgorgare quotidianamente dal mio cuore le parole del salmista: “Misericordias Domini in aeternum cantabo; in generationem, et generationem adnuntiabo veritatem tuam in ore meo” (Ps 88,2).

6. Annuncerò la tua verità, Signore, annuncerò il tuo amore: amore eterno, che incoraggia a guardare fiduciosi verso il futuro. Scrive san Giovanni: “Ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Jn 3,2). Attendiamo questo momento, attendiamo con trepidazione, ad esso ci prepariamo ogni giorno. L’amore di Dio ci permette di varcare ogni giorno questa soglia della speranza escatologica. “Lo vedremo così come egli è”. Lo vedremo faccia a faccia.

Lo vedremo insieme a quanti ci hanno accompagnato lungo il pellegrinaggio terreno; lo incontreremo con coloro che sono nella gloria del paradiso ed anzitutto con Maria, che oggi contempliamo Regina di tutti i Santi. E sarà gioia piena nella luce della Santissima Trinità.

A Dio, alla Santissima Trinità sia gloria ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen!

CELEBRAZIONE DEI VESPRI




Aula Paolo VI - Giovedì, 7 novembre 1996




1. Cum clamore valido . . . Il Cristo “nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime . . .” (He 5,7). Il breve passaggio della Lettera agli Ebrei, poc’anzi ascoltato, presenta una stupenda sintesi sul tema del sacerdozio; anzitutto del sacerdozio di Cristo e, in Lui, del nostro sacerdozio.

L’oggi eterno di Cristo Sacerdote Cristo, il Figlio unigenito del Padre, è il Sommo ed Eterno Sacerdote a cui il Padre celeste dice: “Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato” (He 5,5). Questo oggi è eterno. Non recitiamo forse nel Credo: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre . . .? Il Padre ha chiamato al sacerdozio il suo Figlio eterno: “Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchisedek” (He 5,6). E perché questo potesse compiersi, il Figlio consustanziale al Padre si è fatto uomo ed è nato dalla Vergine per opera dello Spirito Santo.

Così, dunque, “egli, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui [al Padre] che poteva liberarlo da morte” (He 5,7). Come non vedere in questo passo un’allusione alla preghiera nel Getsemani: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice” (Mt 26,39)? Anche se il calice non gli fu risparmiato, leggiamo tuttavia che egli “fu esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (He 5,7-8).

Giudicato, condannato a morte, flagellato, coronato di spine, compì la sua missione messianica sul legno della croce. Si fece “obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Ph 2,8). E “reso perfetto” proprio mediante la morte, “divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (He 5,9).

L’Eucaristia perpetua nella vita della Chiesa questo sacrificio. “La mia carne è vero cibo - dice Gesù - e il mio sangue vera bevanda” (Jn 6,55). Il suo sacrificio cruento si compie in modo incruento sotto le specie del pane e del vino, in adempimento dell’antichissima figura del re di Salem Melchisedek, “sacerdote del Dio altissimo”, il quale, dopo aver benedetto Abramo vittorioso sulla coalizione nemica, “offrì pane e vino” (Gn 14,18).

Il clima del Cenacolo

2. In questi giorni, ricordando il cinquantesimo della mia Ordinazione presbiterale, risento in fondo all’animo le parole dell’Ecce Sacerdos magnus, che ben pongono in luce “il dono e il mistero” del sacerdozio ministeriale.

Carissimi Fratelli nel sacerdozio, ordinati come me cinquant’anni or sono! Il dono che abbiamo ricevuto con l’imposizione delle mani episcopali è mistero di comunione che genera comunione; ecco perché ho voluto avervi accanto in questa ricorrenza piena di gioia e di commozione.

Vorrei che questi giorni, nei quali meditiamo insieme sul nostro sacerdozio, riproducessero il clima del Cenacolo, nell’intensa preghiera vicendevole attorno a Cristo, sorgente del nostro essere sacerdotale. Siete venuti anche da regioni molto lontane: grazie per la vostra presenza.

Benefica e irradiante presenza

3. A cinquant’anni dall’Ordinazione, scorre davanti ai miei occhi, sull’onda dei sentimenti più intimi, il ricordo di quel giorno benedetto. Rivedo il venerato Arcivescovo di Cracovia, Cardinale Sapieha, mio predecessore sulla Cattedra metropolitana e vero Padre, che con l’imposizione delle mani mi rese partecipe del mistero sacerdotale di Cristo. In Lui ho sempre avuto un esempio nobilissimo di salde virtù umane e di generosa dedizione ai compiti propri del ministero episcopale.

Ho presenti al mio affetto e alla mia gratitudine quanti hanno contribuito a condurmi all’altare: dalla mia famiglia alla mia parrocchia natale, dall’ambiente della fabbrica al seminario clandestino, dai miei confessori ai tanti altri sacerdoti amici. Ricordo con animo grato quanti mi hanno aiutato a scoprire il tesoro dell’eredità di Gesù Crocifisso, che disse: “Ecco tua Madre” e mi hanno incoraggiato a ricevere Maria nella mia casa interiore. Tante persone a me care: uomini e donne, dotti e semplici! I più sono ormai nell’eternità. Confido che, nella luce divina, continuino a seguirmi con una ancor più benefica e irradiante presenza.

“Eccomi” è la risposta alla domanda di significato che sale dal cuore delle persone

4. Sono trascorsi cinquant’anni, cari Confratelli giubilari. A noi tutti si riferiscono le parole della Lettera agli Ebrei: il “sacerdote, scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati” (He 5,1).

A tale chiamata abbiamo risposto: “Eccomi”! Abbiamo risposto con convinzione e gioia, racchiudendo in una così breve espressione la proclamazione pubblica e solenne di un precedente “Eccomi”: quello fiorito nelle profondità del nostro io sotto i raggi d’azione dello Spirito Santo quando, in una storia analoga e pur diversa per ciascuno, abbiamo preso coscienza della chiamata a prolungare l’unica opera redentrice di Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote.

Il nostro “Eccomi” esprime la disponibilità, consegnata nelle mani del Vescovo che ci ha ordinati, a vivere la preziosità del celibato per il Regno come dono di noi stessi “in” e “con” Cristo.

“Eccomi” manifesta il “sì” del servizio ai fratelli, fra le difficoltà e le gioie apostoliche, in atteggiamento di distacco e di umiltà.

“Eccomi” è la parola che sgorga ogni giorno dal profondo del nostro io, quando celebrando la Santa Messa presentiamo al Padre l’unico sacrificio della Croce per il bene dell’intera umanità.

“Eccomi” è la risposta alla domanda di significato che sale dal cuore di tante persone. La forza per rinnovare questo dono senza riserve proviene dalla quotidiana sosta davanti al Tabernacolo, dove è realmente presente Colui che è la nostra forza ed il nostro sostegno. È il Tabernacolo la nostra perenne scuola di autentico aggiornamento, scuola d’amore oblativo e di dinamismo pastorale.

Ci troviamo in questi giorni insieme per ripetere al Signore il nostro “Eccomi”

5. Con l’imposizione delle mani da parte del Vescovo e la preghiera consacratoria siamo stati, cinquant’anni fa, configurati ontologicamente a Cristo Sacerdote e Maestro, Santificatore e Pastore del suo Popolo (cf. Lumen Gentium LG 18-31 Presbyterorum Ordinis PO 2 Codex Iuris Canonici CIC 1008 Congregazione per il clero, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri CIC 6).

Ci ritroviamo in questi giorni insieme per ripetere al Signore il nostro: “Eccomi”! Ogni giorno che passa, questa volontà deve in noi rafforzarsi, come espressione dell’interiore perdurante giovinezza: “Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat iuventutem meam . . .” (Ps 42,4).

Per il tempo che Dio vorrà, ci attende ancora un compito formidabile

Col passare degli anni le forze corporali vanno via via affievolendosi. La forza interiore però non segue le leggi fisiche. Il sacerdozio, in effetti, non può essere ridotto ai soli aspetti funzionali. Siamo ministri di Cristo e della sua Sposa (cf. Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, 44) e, per il tempo che Dio vorrà, ci attende ancora un compito formidabile. Le difficoltà e le prove non ci scoraggino mai, né ci colga la tentazione di ripetere il lamento di Geremia: “Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono vecchio”. Il Signore ci sprona: “Non dire: sono vecchio, ma va’ da coloro ai quali ti manderò e annuncia ciò che ti ordinerò. Non temerli: Io sono con te per fronteggiarli. Ecco: ti metto le mie parole sulla bocca” (cf. Ger Jr 1,6-9).

Di giorno in giorno mettiamo a disposizione di Cristo le nostre labbra e le nostre mani

6. Cari Fratelli nel sacerdozio! Il nostro grazie a Cristo, in questo giorno significativo, si unisce a sentimenti di umiltà e di invocazione della misericordia di Dio. Ci sentiamo solidali con tutti coloro che vivono nell’ignoranza e nell’errore, perché anche noi siamo soggetti alle umane debolezze (cf. Eb He 5,2). Per questo ciascuno di noi deve “offrire anche per se stesso sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo” (He 5,3).Quando celebriamo l’Eucaristia, confessiamo all’inizio i nostri peccati insieme ai fedeli e chiediamo a Dio di perdonarci: Misereatur nostri omnipotens Deus et dimissis peccatis nostris perducat nos ad vitam aeternam.

E così, di giorno in giorno, si compie il nostro ministero sacerdotale. Di giorno in giorno, in un certo senso, mettiamo a disposizione di Cristo le nostre labbra e le nostre mani per l’amministrazione dei vari sacramenti, a cominciare dal Sacrificio eucaristico “fonte e apice di tutta la vita cristiana” (Lumen Gentium LG 11).

Ci può essere una vocazione più grande e sublime di questa?

7. Ci può essere una vocazione più grande e sublime di questa? Ecco perché per me è motivo di intima gioia rendere grazie a Dio insieme a voi, cari Fratelli, in modo così solenne, per l’ineffabile dono del sacerdozio. Era giusto che io, Vescovo di Roma, offrissi questo ringraziamento prima con la Comunità diocesana di Roma - e questo ha avuto luogo il giorno di Tutti i Santi - e poi con tutti voi, che rappresentate la Chiesa universale.

Cum clamore valido - con forti grida innalziamo fervide preghiere e suppliche (cf. Eb He 5,7) a Dio Padre e Creatore, affinché per il mistero pasquale di Cristo protegga da ogni male il mondo e l’umanità. Iddio conceda, altresì, a tutti noi di affrettare la realizzazione del suo Regno, rivelatoci mediante l’Unigenito suo Figlio.

Con questi sentimenti, cantiamo ora il “Magnificat”, invocando la materna intercessione di Maria ed il suo costante patrocinio: “Sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei Genitrix”.

La grazia divina ci aiuti a far sì che ogni istante della nostra vita segni una crescita in quell’amore che, nel tempo, si riconosce dalla fedeltà!

Voglio ancora ringraziare per questa celebrazione solenne dei Vespri e per tutto il programma liturgico e paraliturgico. A tutti voglio offrire una Benedizione a conclusione di questo indimenticabile incontro. Buona continuazione!
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GPII Omelie 1996-2005 48