GPII Omelie 1996-2005 62

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VISITA ALLA PARROCCHIA ROMANA DI S. MARIA DELLA SPERANZA



Domenica, 19 Gennaio 1997




1. “Il Signore chiamò: “Samuele!” e quegli rispose: “Eccomi”” (1S 3,4).

La Liturgia della parola dell’odierna domenica ci presenta il tema della vocazione. Esso viene delineato innanzitutto nella prima Lettura, tratta dal Primo Libro di Samuele. Abbiamo poc’anzi riascoltato il suggestivo racconto della vocazione del profeta, che Dio chiama per nome, destandolo dal sonno. In un primo momento il giovane Samuele non sa da dove provenga questa voce misteriosa. Soltanto in seguito e gradualmente, grazie anche alla spiegazione dell’anziano sacerdote Eli, scopre che quella da lui udita è la voce stessa di Dio. Allora egli risponde subito: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1S 3,10).

Si può dire che la chiamata di Samuele abbia un significato paradigmatico, poiché è la realizzazione di un processo che si ripete in tutte le vocazioni. La voce di Dio, infatti, si fa sentire con sempre maggiore chiarezza e il soggetto acquista progressivamente la consapevolezza della sua provenienza divina. La persona chiamata da Dio impara col tempo ad aprirsi sempre di più alla parola di Dio, disponendosi ad ascoltare ed a realizzare nella propria vita la sua volontà.

2. Il racconto della vocazione di Samuele nel contesto dell’Antico Testamento s’incontra, in un certo senso, con quanto scrive san Giovanni sulla vocazione degli Apostoli. Il primo ad essere chiamato fu Andrea, fratello di Simon Pietro. Fu proprio lui a condurre a Cristo il proprio fratello annunciandogli: “Abbiamo trovato il Messia” (Jn 1,41). Quando Gesù vide Simone, gli disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Jn 1,42).

In questa breve ma solenne descrizione della vocazione dei discepoli di Gesù è posto in primo piano il tema del “cercare” e del “trovare”.Nell’atteggiamento dei due fratelli, Andrea e Simone, si manifesta quella ricerca del compimento delle profezie che era parte essenziale della fede dell’Antico Testamento. Israele attendeva il Messia promesso; lo cercava con maggiore zelo specialmente da quando Giovanni Battista aveva iniziato a predicare sulle rive del Giordano. Il Battista non annunciò soltanto la prossima venuta del Messia, ma lo indicò presente nella persona di Gesù di Nazaret, venuto al Giordano per farsi battezzare. La chiamata dei primi Apostoli avvenne proprio in questo contesto, nacque cioè dalla fede del Battista nel Messia ormai presente in mezzo al Popolo di Dio.

Anche l’odierno Salmo responsoriale parla della venuta del Messia nel mondo. La Liturgia di questa domenica mette le parole del salmista in bocca a Gesù: “Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto di compiere il tuo volere” (Ps 39,8-9). Questa presenza del Messia, annunciata da Dio nei libri profetici, quando giunse la pienezza dei tempi divenne una realtà storica nel mistero dell’Incarnazione. Noi tutti, avendo da poco vissuto il periodo di Natale, tempo di gioia e di festa per la nascita del Salvatore, abbiamo ancora negli occhi e nel cuore la celebrazione di quel compimento delle profezie messianiche nella notte di Betlemme.

Terminato il tempo natalizio, la Liturgia ci mostra ora il graduale inizio della missione salvifica di Gesù attraverso i racconti semplici ed immediati della vocazione degli Apostoli.

3. Carissimi Fratelli e Sorelle della parrocchia di Santa Maria della Speranza! Sono lieto di essere con voi, oggi, a celebrare l’Eucaristia in questa Domenica che cade nella “Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani”. Sono certo che, nel corso di questi giorni, non mancherà di levarsi anche dalla vostra parrocchia una preghiera più insistente per questo scopo – l’unità dei cristiani – che tanto sta a cuore al Redentore Divino.

So che attendete da tempo questa mia Visita Pastorale. Vi saluto tutti con affetto, a cominciare dal Cardinale Vicario, Camillo Ruini, dal Vescovo Ausiliare del Settore, Mons. Enzo Dieci, e dal Rettor Maggiore dei Salesiani, Don Juan Edmundo Vecchi, che oggi abbiamo la gioia di avere con noi. Saluto pure il Parroco, Don Stelvio Tonnini, insieme con i Vicari parrocchiali e tutti i Figli e le Figlie di Don Bosco, che con tanta generosità operano in questa Comunità fin dalla sua fondazione.


Il mio pensiero va, poi, alle Suore dei Sacri Cuori, fondate da Don Variara, ai membri dei vari organi di partecipazione pastorale, ai rappresentanti dei numerosi e vivaci gruppi parrocchiali, ai tanti laici impegnati a vario titolo nelle diverse attività della vostra parrocchia.

Voi vivete in un grande quartiere metropolitano, dove i problemi sembrerebbero non essere così gravi come in altre zone di Roma. Tuttavia, anche qui, la gente deve quotidianamente affrontare disagi come, ad esempio, la difficoltà di vivere l’intera giornata lontano dalla propria abitazione, con conseguenze negative per la vita di famiglia e per il formarsi di rapporti di vera amicizia con il vicinato. In questo contesto la parrocchia, che costituisce l’unico centro di aggregazione, assume un compito importante. Con le sue proposte varie e ben organizzate, essa diventa un luogo idoneo per un cammino spirituale, formativo, culturale e ricreativo per tutti.

La vostra Comunità dispone ora di un luogo di culto bello ed ampio, fortemente voluto da tutti voi e, soprattutto, dal compianto Rettore Maggiore della Società Salesiana, Don Egidio Viganò, che ricordiamo con particolare affetto in questa Eucaristia. Prima della consacrazione di questo Tempio, avvenuta circa un anno fa, la parrocchia è stata ospitata per diversi anni nella cittadella della adiacente Pontificia Università Salesiana.Ringrazio i responsabili ed i docenti dell’Università Salesiana non solo per l’ospitalità offerta per lunghi anni alla vostra Comunità parrocchiale, ma anche per il generoso servizio teologico, pastorale e culturale che rendono alla Diocesi di Roma ed a tutta la Chiesa.

4. Carissimi Fratelli e Sorelle! In questo nostro incontro ho potuto osservare come la cura pastorale dei giovani, che tanto stavano a cuore a san Giovanni Bosco, sia per la vostra parrocchia una scelta privilegiata. Tante, infatti, sono le iniziative ed i cammini offerti a loro come, ad esempio, l’Oratorio-Centro Giovanile, nel quale sono impegnati ottanta animatori, tra giovani ed adulti, che conferiscono una nota di vivacità e di energia all’intera Comunità parrocchiale.

So che vi state preparando con impegno alla celebrazione della grande missione cittadina. Proprio ieri è stata resa pubblica la lettera che, nel giorno di Natale, ho indirizzato a tutti i romani per presentare loro il Vangelo di Marco: esso verrà consegnato anche ad ognuna delle famiglie di questa Comunità. In quella lettera ho sottolineato come nessuna notizia sia più sorprendente di quella contenuta nel Vangelo: “Dio stesso – in Gesù – ci è venuto incontro personalmente, si è fatto uno di noi, è stato crocifisso, è risorto e chiama tutti a partecipare alla sua stessa vita per sempre”.

Vi esorto a portare questa lieta notizia anche a quanti oggi non sono qui con noi; portatela a tutti i ragazzi e le ragazze, alle famiglie, alle persone sole, agli anziani ed ai malati. A tutti offrite la buona notizia del Vangelo, affinché possano dire, come l’apostolo Andrea: “Abbiamo trovato il Messia!” (Jn 1,41).

5. “Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?. . . O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi?” (1Co 6,15 1Co 6,19). Queste parole dell’apostolo Paolo ai Corinzi meritano una riflessione particolare, poiché descrivono la vocazione cristiana. Sì, lo Spirito Santo è presente in ciascuno di noi, e noi lo abbiamo ricevuto da Dio. Dunque, non apparteniamo più a noi stessi (cfr 1Co 6,19), poiché siamo stati “comprati a caro prezzo” (cfr 1Co 6,20).

Paolo vuole rendere consapevoli i Corinzi, destinatari della sua lettera, di questa verità: l’uomo appartiene a Dio, anzitutto perché è una sua creatura, ma ancor più per il fatto di essere stato redento dal peccato per opera di Cristo. Rendersi conto di questo significa raggiungere le radici stesse di ogni vocazione.

Ciò è vero in primo luogo per la vocazione cristiana e, su questo fondamento, è vero per ogni vocazione particolare: per la vocazione sacerdotale, per quella religiosa, per quella al matrimonio, come pure per qualsiasi altra vocazione legata alle varie attività ed alle diverse professioni come medico, ingegnere, artista, docente, ecc. Per un cristiano tutte queste vocazioni particolari trovano il loro fondamento nel grande mistero della Redenzione.

Proprio per essere stato redento da Cristo ed essere divenuto dimora dello Spirito Santo, ogni cristiano può trovare in se stesso quei vari talenti e carismi che gli permettono di sviluppare in modo creativo la propria vita. Egli è reso così capace di servire Dio e gli uomini, rispondendo in modo adeguato alla sua particolare vocazione nella Comunità cristiana e nel contesto sociale in cui vive.

Vi auguro di essere sempre consapevoli della dignità della vostra vocazione cristiana, attenti alla voce di Dio che chiama, generosi nell’annunciare la sua presenza salvifica ai fratelli.

Parla, Signore, che noi, tuoi servi, siamo pronti ad ascoltarti!
“Tu solo hai parole di vita eterna” (cfr. Acclamazione al Vangelo).
Amen!
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SANTA MESSA A CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA

DI PREGHIERA PER L'UNITÀ DEI CRISTIANI


Basilica di San Paolo Fuori le Mura

Sabato, 25 gennaio 1997




1. “Lodate il Signore, popoli tutti, voi tutte, nazioni, dategli gloria; perché forte è il suo amore per noi e la fedeltà del Signore dura in eterno” (Ps 116,1-2).

Con queste parole del Salmo già l’Antico Testamento annunciava il disegno salvifico di Dio riguardante tutte le nazioni. Si tratta di un disegno universale, si potrebbe anzi dire “ecumenico”, poiché riguarda l’intera terra abitata, cioè l’oikouméne.

Questa visione della salvezza offerta da Dio a tutti i popoli della terra viene descritta anche nella prima Lettura dell’odierna liturgia mediante l’immagine del banchetto messianico. “Il Signore degli eserciti preparerà su questo monte un banchetto di grasse vivande per tutti i popoli” (Is 25,6). Il profeta Isaia ci fa intravedere la misteriosa e provvida opera del Signore, che agisce a servizio dell’unità e della salvezza dell’umanità. Egli solleva il velo che offusca lo sguardo dei popoli, annienta la morte, asciuga le lacrime su tutti i volti (cfr Is 25,7-8).

Sì, questa straordinaria potenza proviene veramente da Dio; in Lui noi riponiamo le nostre speranze. Al tempo stesso, però, ci sentiamo impegnati ad assecondare con ogni nostra energia questo disegno di salvezza.

A queste prospettive universalistiche già presenti nell’Antico Testamento fa eco il Vangelo di oggi, che ci presenta il mandato missionario affidato da Gesù agli Apostoli prima della sua ascensione al cielo: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). Poi aggiunge: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,16). Al termine della sua missione messianica, con parole forti e decise Cristo conferma ancora una volta il piano universale della salvezza voluto dal Padre, e ne indica la dimensione planetaria parlando di tutte le nazioni e di tutta la terra.

2. Questa missione universale di salvezza assume un forte rilievo nel giorno in cui la Chiesa ricorda la conversione di san Paolo. Tra gli Apostoli, infatti, proprio Paolo esprime e realizza in modo particolare la missione universale della Chiesa. Sulla via di Damasco Cristo lo associa al disegno divino della salvezza universale: “Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà . . . perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini” (Ac 22,14-16).

Fino a quel momento lo zelante fariseo Saulo era convinto che il piano della salvezza riguardasse soltanto un unico popolo: Israele. Egli, perciò, combatteva con ogni mezzo i discepoli di Gesù di Nazaret, i cristiani. Da Gerusalemme si dirigeva verso Damasco proprio perché lì, dove il cristianesimo si stava rapidamente diffondendo, voleva imprigionare e punire tutti coloro che, abbandonando le antiche tradizioni dei padri, abbracciavano la fede cristiana. Presso Damasco egli è illuminato dalla luce proveniente dall’Alto. Cade a terra ed in quel drammatico momento Cristo lo rende cosciente del suo errore.

In tale circostanza Gesù si rivela pienamente a Paolo come Colui che è risorto dai morti. All’Apostolo è concesso, così, di “vedere il Giusto ed ascoltare una parola dalla sua stessa bocca” (Ac 22,14). Da quel momento, Paolo è costituito “apostolo” come i Dodici, e potrà affermare, rivolgendosi ai Galati: “Colui che mi scelse sin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani” (Ga 1, 15s).


La conversione di Paolo si compie attraverso la sofferenza. Si può dire che prima è stato sconfitto in lui Saulo, il persecutore, affinché potesse nascere Paolo, l’Apostolo delle genti. La sua è forse la più singolare chiamata di un Apostolo: Cristo stesso sconfigge in lui il fariseo e lo trasforma in un ardente messaggero del Vangelo. La missione che Paolo riceve da Cristo è in armonia con quella affidata ai Dodici, ma con un tenore ed un itinerario particolare: egli sarà l’Apostolo delle genti.

3. Carissimi Fratelli e Sorelle! È veramente una felice circostanza quella che ci riunisce ogni anno in questa antica Basilica per la Celebrazione eucaristica che conclude la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”. Noi ricordiamo la conversione di Paolo in questo tempio a lui dedicato. Dal momento in cui a Damasco Gesù risorto gli si rivelò, fino alla suprema testimonianza resa qui a Roma, Paolo fu fervente servitore della comunione che deve esservi fra le membra del Corpo di Cristo. Il suo “assillo quotidiano” era, come egli stesso confessa, “la preoccupazione per tutte le Chiese” (2Co 11,28).

Precisamente dalla sua attività apostolica per la riconciliazione e la comunione dei credenti trae ispirazione il tema della Settimana di preghiera di quest’anno: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2Co 5,20).

La tensione verso la riconciliazione secondo la verità e nella carità, che è stata al centro della nostra preghiera durante questa Settimana, deve accompagnarci ogni giorno. L’odierna Celebrazione eucaristica costituisce un segno della nostra ricerca di una comunione più profonda fra tutti i cristiani. Essa assume un significato ecumenico particolare grazie alla presenza del nostro carissimo fratello in Cristo, Catholicos della Grande Casa di Cilicia, Sua Santità Aram I, che saluto con cordiale e fraterno affetto.

La Nazione armena fu battezzata all’inizio del IV secolo. Sono note le prove e le persecuzioni sofferte lungo i secoli dal popolo armeno e dalla sua Chiesa. Proprio per questi eventi, all’inizio del secondo millennio, una parte della popolazione ha dovuto fuggire dall’Armenia e rifugiarsi in Cilicia, la patria di Paolo di Tarso. Il Catholicossato della Grande Casa di Cilicia ha svolto un importante ruolo nell’assicurare la vita cristiana al popolo armeno durante la diaspora.

4. L’abbraccio di pace del Catholicos e del Vescovo di Roma, successore dell’apostolo Pietro, e la benedizione che essi daranno insieme nel nome del Signore, testimoniano il reciproco riconoscimento della legittimità della successione apostolica. Pur nella diversità dei compiti a ciascuno affidati, siamo insieme corresponsabili di ciò che ci accomuna: trasmettere fedelmente la fede ricevuta dagli Apostoli, testimoniare l’amore di Cristo per ogni essere umano nelle situazioni spesso drammatiche del mondo contemporaneo, rafforzare il nostro cammino verso la piena unità di tutti i discepoli di Cristo. Per fare questo, abbiamo bisogno di consultarci periodicamente, in modo da poter annunciare il Vangelo con voce concorde e servirlo con cuore indiviso.

Invito tutti voi, carissimi Fratelli e Sorelle qui presenti, a pregare affinché la gradita visita al Vescovo di Roma del Catholicos della Grande Casa di Cilicia incoraggi ciascuno di noi a vivere sempre di più il mistero della comunione secondo la verità e nella carità. Il sangue dei nostri martiri e la comunione dei nostri santi ci aiutino a rinnovarci nella Tradizione che ci è comune. La recente visita del Catholicos di tutti gli Armeni, Sua Santità Karekin I, è stata un’eloquente testimonianza della nostra volontà di approfondire la comunione in una reciproca diakonia: “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme” (1Co 12,26). Ci si è così incoraggiati vicendevolmente a metterci a servizio gli uni degli altri per mezzo della carità (cfr Gal Ga 5,13).

5. In questi ultimi anni la celebrazione della conversione di san Paolo è divenuta la festa annuale dell’impegno ecumenico. A Roma, come in tutto il mondo, si incontrano i discepoli di Cristo delle varie Chiese e Comunità, per innalzare a Dio un coro di preghiere per l’unità dei cristiani. Il legame di tale preghiera con la festa liturgica della conversione di san Paolo mette in rilievo il fatto che l’unità e la comunione di tutti i cristiani possono essere raggiunte soltanto percorrendo la via della conversione.

Specialmente in questo giorno ricordiamo le parole della preghiera sacerdotale di Gesù: Padre, fa che “tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Jn 17,21). La preghiera di Cristo ci svela la dimensione profonda della conversione: convertirsi all’unità significa sgombrare la strada dall’ostacolo più grande per la conversione del mondo a Cristo.

Come Paolo di Tarso scoprì la vera via che porta alla salvezza e comprese che Cristo crocifisso e risorto ha introdotto in essa il popolo d’Israele e l’intera umanità, così anche i cristiani devono prender coscienza del fatto che il cammino della salvezza passa attraverso la loro unità in Cristo e che questa richiede da tutti loro un particolare impegno spirituale.

Il Concilio Vaticano II ha precisato il significato dell’Unitatis redintegratio fra tutti i cristiani, illustrandone metodi e mezzi nell’attuale momento storico della Chiesa. Nell’Enciclica Ut unum sint ho voluto ricordare, a trent’anni dalla sua pubblicazione, le indicazioni del Documento conciliare, traendone applicazioni aggiornate.

6. Oggi rendiamo grazie alla Santissima Trinità per gli sforzi compiuti in questi anni e, al contempo, domandiamo luce per i nuovi passi da compiere su questo cammino, in generosa e fedele adesione agli impulsi dello Spirito Santo.

Durante questa Settimana di preghiera si sono tenuti in tutto il mondo incontri ecumenici e speciali celebrazioni per chiedere a Dio il grande dono dell’unità. Anche la Chiesa che è in Roma, legata in modo particolare alla tradizione apostolica dei santi Pietro e Paolo, ha partecipato a questa corale preghiera di tutti i cristiani. Essa è fondata sulle colonne dei Corifei degli Apostoli. Proprio per questa sua particolare identità, desidera offrire segni di accoglienza e di comunione alle Comunità dei discepoli di Cristo di ogni parte del mondo. Insieme con loro, essa proclama anche nel nostro tempo a tutti i popoli la grandezza del nome del Signore.

“Lodate il Signore, popoli tutti,
voi tutte, nazioni, dategli gloria.
Forte è il suo amore per noie la fedeltà del
Signore dura in eterno”
Amen!
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FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE



Domenica, 2 febbraio 1997

I Giornata della Vita Consacrata




1. Lumen ad revelationem gentium: Luce per illuminare le genti (cfr Lc 2,32).

Quaranta giorni dopo la nascita, Gesù fu portato da Maria e Giuseppe al Tempio per essere presentato al Signore (cfr Lc 2,22), secondo quanto è scritto nella Legge di Mosè: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore” (Lc 2,23); e per offrire in sacrificio “una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge” (Lc 2,24).

Nel ricordare questi eventi, la liturgia segue intenzionalmente e con precisione il ritmo degli avvenimenti evangelici: la scadenza dei quaranta giorni dalla nascita di Cristo. Altrettanto farà in seguito per quanto concerne il periodo che va dalla risurrezione all’ascensione al cielo.

Tre elementi fondamentali emergono nell’evento evangelico che oggi si celebra: il mistero della venuta, la realtà dell’incontro e la proclamazione della profezia.

2. Innanzitutto il mistero della venuta. Le letture bibliche, che abbiamo ascoltato sottolineano la straordinarietà di questa venuta di Dio: lo annuncia con trasporto e gioia il profeta Malachia, la canta il Salmo responsoriale, la descrive il testo del Vangelo secondo Luca. Basta, ad esempio, porsi in ascolto del Salmo responsoriale: “Sollevate, porte, i vostri frontali . . ., ed entri il re della gloria. Chi è questo re della gloria? Il Signore potente in battaglia . . . Il Signore degli eserciti è il re della gloria” (Ps 23,7-8 Ps 23,10).

Entra nel Tempio di Gerusalemme l’atteso per secoli, Colui che è il compimento delle promesse dell’Antica Alleanza: il Messia annunziato. Il Salmista lo chiama “Re della gloria”. Solo più tardi diverrà chiaro che il suo Regno non è di questo mondo (cfr Jn 18,36) e che quanti appartengono a questo mondo stanno preparando per Lui, non una corona regale, ma una corona di spine.

La liturgia, tuttavia, guarda oltre. Vede in quel Bimbo di quaranta giorni la “luce” destinata ad illuminare le nazioni e lo presenta come la “gloria” del popolo d’Israele (cfr Lc 2,32). Egli è Colui che dovrà sconfiggere la morte, come annuncia la Lettera agli Ebrei, spiegando il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione: “Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’Egli ne è divenuto partecipe” (He 2,14), avendo assunto la natura umana.

Dopo aver descritto il mistero dell’Incarnazione, l’Autore della Lettera agli Ebrei presenta quello della Redenzione: “Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (He 2,17-18). Ecco una profonda e toccante presentazione del mistero di Cristo. Il brano della Lettera agli Ebrei ci aiuta a comprendere meglio perché questa venuta a Gerusalemme del neonato Figlio di Maria sia un evento decisivo per la storia della salvezza. Il Tempio fin dalla sua costruzione attendeva in un modo del tutto singolare Colui che era stato promesso. La sua venuta riveste, pertanto, un significato sacerdotale: “Ecce sacerdos magnus”; ecco, il vero ed eterno sommo Sacerdote entra nel Tempio.

3. Il secondo elemento caratteristico dell’odierna Celebrazione è la realtà dell’incontro. Anche se nessuno è ad attendere Giuseppe e Maria che giungono, confusi tra la gente, con il piccolo Gesù, nel Tempio di Gerusalemme avviene qualcosa di molto singolare. Qui essi incontrano delle persone guidate dallo Spirito Santo: l’anziano Simeone, del quale scrive san Luca: “Uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore” (Lc 2,25-26), e la profetessa Anna che, avendo vissuto “col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova . . . Aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal Tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere” (Lc 2,36-37). L’Evangelista prosegue: “Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme” (Lc 2,38).

Simeone ed Anna: un uomo e una donna, rappresentanti dell’Antica Alleanza che, in un certo senso, avevano vissuto l’intera loro esistenza in vista del momento in cui il Tempio di Gerusalemme sarebbe stato visitato dall’atteso Messia. Simeone ed Anna comprendono che il momento è finalmente giunto e, rassicurati dall’incontro, possono affrontare con la pace nel cuore l’ultimo tratto della loro vita: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza” (Lc 2,29-30).

In questo incontro discreto le parole ed i gesti esprimono efficacemente la realtà dell’evento che si compie. La venuta del Messia non è passata inosservata. È stata riconosciuta mediante lo sguardo penetrante della fede, che il vecchio Simeone manifesta nelle sue toccanti parole.

4. Il terzo elemento che emerge in questa festa è la profezia: oggi risuonano parole davvero profetiche. Con il cantico ispirato di Simeone la Liturgia delle Ore conclude ogni giorno la giornata: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza . . ., luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Lc 2,29-32).

L’anziano Simeone aggiunge rivolto a Maria: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,34-35).

Così, dunque, mentre siamo ancora all’alba della vita di Gesù, siamo già orientati al Calvario. È sulla croce che Gesù si confermerà in modo definitivo come segno di contraddizione, ed è là che il cuore della Madre verrà trafitto dalla spada del dolore. Tutto ci è detto fin dall’inizio, nel quarantesimo giorno dopo la nascita di Gesù, nella festa della presentazione di Gesù al Tempio, assai importante nella liturgia della Chiesa.

5. Carissimi Fratelli e Sorelle! L’odierna ricorrenza si arricchisce quest’anno di un nuovo significato. Per la prima volta, infatti, celebriamo la Giornata della Vita Consacrata.

A tutti voi, cari Religiosi e Religiose, ed a voi, cari Fratelli e Sorelle membri degli Istituti Secolari e delle Società di Vita Apostolica, è affidato il compito di proclamare con la parola e con l’esempio il primato dell’Assoluto su ogni realtà umana. È un impegno urgente in questo nostro tempo, che non di rado sembra avere smarrito il senso autentico di Dio. Come ho ricordato nel Messaggio a voi diretto per questa prima Giornata della Vita consacrata, ai nostri giorni “c’è davvero una grande urgenza che la vita consacrata si mostri sempre più “piena di gioia e di Spirito Santo”, si spinga con slancio sulle vie della missione, si accrediti in forza della testimonianza vissuta, giacché “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la I Giornata della Vita consacrata, 6 genn. 1997). Possa la vostra missione nella Chiesa e nel mondo essere luce e sorgente di speranza.

Insieme con l’anziano Simeone e con la profetessa Anna andiamo incontro al Signore nel suo Tempio. Accogliamo la luce della sua Rivelazione, impegnandoci a diffonderla verso i nostri fratelli, in vista dell’ormai prossimo Grande Giubileo del Duemila.

Ci accompagni la Vergine Santa,
Madre della Speranza e della gioia,
e ottenga per tutti i credenti
di essere testimoni della salvezza,
che Dio ha preparato davanti a tutti i popoli
nel suo Figlio incarnato, Gesù Cristo,
luce per illuminare le genti
e gloria del suo popolo Israele.
Amen!
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CELEBRAZIONE EUCARISTICA DEL MERCOLEDÌ DELLE CENERI

NELLA BASILICA DI SANTA SABINA ALL'AVENTINO


Mercoledì, 12 febbraio 1997




1. “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo” (Ps 50,12).

Queste parole del Salmo responsoriale contengono, in un certo senso, il nucleo più profondo della Quaresima e ne esprimono al tempo stesso il programma essenziale. Sono parole tratte dal salmo Miserere, nel quale il peccatore apre il proprio cuore a Dio, confessa la propria colpevolezza ed implora la remissione dei peccati: “Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato. Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto; . . . Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito” (Ps 50,4-6 Ps 50,13).

Questo Salmo costituisce un commento liturgico di singolare efficacia al rito delle Ceneri. La cenere è segno della caducità dell’uomo e della sua soggezione alla morte. In questo tempo, nel quale ci prepariamo a rivivere liturgicamente il mistero della morte in croce del Redentore, dobbiamo sentire e vivere più profondamente la nostra mortalità. Siamo esseri mortali, e tuttavia la nostra morte non significa distruzione ed annientamento. Dio ha inscritto in essa la profonda prospettiva della nuova creazione.Perciò il peccatore che celebra il Mercoledì delle Ceneri può e deve gridare: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo” (Ps 50,12).

2. Nella Quaresima la certezza di questa nuova creazione scaturisce dalla luce del mistero di Cristo: mistero della sua passione, morte e risurrezione. San Paolo, nell’odierna Liturgia, afferma: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di Lui giustizia di Dio” (2Co 5,20-21). Accettando di sperimentare nella sua carne il dramma della morte umana, Cristo divenne partecipe della distruttibilità legata all’esistenza temporale dell’uomo.

L’Apostolo ne parla con molta chiarezza quando afferma: “Dio lo trattò da peccato”. Ciò significa che Dio trattò Cristo, “Colui che non aveva conosciuto peccato”, alla stregua di un peccatore, e ciò a nostro vantaggio. Cristo infatti ha condiviso la nostra sorte di uomini gravati dal peccato, perché per mezzo di Lui potessimo diventare giustizia di Dio.

Per questa nostra fede in Cristo possiamo gridare insieme col Salmista: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo” (Ps 50,12). A che servirebbe l’imposizione delle ceneri, se non ci illuminasse la speranza della vita nuova, della nuova creazione, donataci da Dio in Cristo?

3. Durante tutto l’Anno liturgico la Chiesa vive del Sacrificio redentore di Cristo. Tuttavia, nel tempo della Quaresima, desideriamo immergerci in esso in modo particolarmente intenso, secondo l’esortazione dell’Apostolo: “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!” (2Co 6,2). In questo tempo forte ci sono dispensati in un modo del tutto speciale i tesori della redenzione, meritati per noi da Cristo crocifisso e risorto. L’esclamazione del Salmista: “Crea in me . . . un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo” diviene così, all’inizio della Quaresima, un forte richiamo alla conversione.

Con le parole del salmo Miserere il peccatore non solo si accusa delle proprie colpe, ma inizia al tempo stesso un nuovo itinerario creativo, il cammino della conversione: “Ritornate a me con tutto il cuore” (Jl 2,12), dice in nome di Dio il profeta Gioele nella prima Lettura. “Convertirsi” significa, dunque, entrare in profonda intimità con Dio, come propone anche il Vangelo di oggi.

Un’autentica conversione implica il compimento di tutte quelle opere che sono proprie del tempo di Quaresima: l’elemosina, la preghiera, il digiuno. Esse tuttavia non devono essere vissute soltanto come adempimento esteriore, ma come espressione dell’incontro intimo, e in certa misura sconosciuto agli uomini, con Dio stesso. La conversione comporta una nuova scoperta di Dio.

Nella conversione si sperimenta che in Lui risiede la pienezza del bene, rivelatasi nel mistero pasquale di Cristo, e ad essa s’attinge a piene mani nell’intima dimora del cuore.

Dio attende questo! Dio vuole creare in noi un cuore puro e rinnovare in noi uno spirito saldo. E noi, all’inizio di questa Quaresima, vogliamo aprire il nostro animo alla grazia di Dio, per vivere intensamente l’itinerario di conversione verso la Pasqua.



GPII Omelie 1996-2005 62