GP2 Discorsi 1999 288


AI PRESULI DELLE REGIONI OCCIDENTALI DEL CANADA


IN OCCASIONE DELLA VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»


Sabato, 30 ottobre 1999




Cari Fratelli nell'Episcopato,

1. Nell'amore di Cristo, per mezzo del quale "abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato" (Rm 1,5), porgo il benvenuto a voi, Vescovi di Alberta, British Columbia, Manitoba, Saskatchewan, dei Territori del Nord-Ovest, dello Yukon e del nuovo territorio di Nunavit, mentre compite la vostra visita ad limina Apostolorum.Il ministero che abbiamo ricevuto comporta non solo grandi gioie, ma talvolta anche gravosi fardelli e addirittura dispiaceri. Tutto questo voi lo portate presso le tombe degli apostoli, per poter imparare ancora una volta dalla loro testimonianza eterna che, quali che siano i fardelli e i dispiaceri, il ministero apostolico che abbiamo ricevuto è una grande gioia per noi e per tutto il Popolo di Dio, poiché non è altro che la gioia di predicare il Vangelo, che è "potenza di Dio per la salvezza" (Rm 1,16). Rivivendo questa gioia qui a Roma, riaffermate il vincolo di comunione gerarchica con il Successore di Pietro e l'intero Collegio dei Vescovi, che rappresenta il segno e la salvaguardia più sicura dell'unità della Chiesa e della sua perseveranza nella fede una, santa, cattolica e apostolica.

2. L'approssimarsi del Grande Giubileo e del nuovo millennio ci esorta a meditare sul mistero del tempo, che è di fondamentale importanza nella Rivelazione e nella teologia cristiana (cfr Tertio Millennio adveniente TMA 10). É così, perché il mondo è stato creato nel tempo e perché nel tempo si rivela il piano di Dio per la salvezza del mondo, che ha il suo culmine nell'Incarnazione del Figlio di Dio. Poiché il tempo è l'ambito sia della creazione sia della redenzione, che si realizzano pienamente in Cristo, possiamo affermare che nel "Verbo incarnato, il tempo diventa una dimensione di Dio, che in se stesso è eterno" (Ibidem). Da ciò nasce il dovere della Chiesa di santificare il tempo, cosa che essa fa in modo particolare nella commemorazione liturgica degli eventi della storia della salvezza e nella celebrazione di occasioni e anniversari speciali. Questa santificazione del tempo rappresenta il riconoscimento della verità proclamata dalla Chiesa alla vigilia di Pasqua, che tutti i tempi e tutte le ere appartengono a Cristo (cfr Liturgia della luce) "Cristo è il Signore del tempo; è il suo principio e il suo compimento; ogni anno, ogni giorno ed ogni momento sono abbracciati dalla sua Incarnazione e Risurrezione, per ritrovarsi in questo modo nella "pienezza del tempo"" (Tertio Millennio adveniente TMA 10 cfr Incarnationis mysterium, n 1; cfr Dies Domini, n. 15). Per santificare il tempo occorre quindi riconoscere ciò che Dio ha fatto del tempo in Gesù e come nel Mistero Pasquale il tempo stesso sia trasfigurato.

Per la terra irredenta, il tempo è sempre motivo di paura, perché conduce inesorabilmente all'esperienza della limitatezza della vita e all'enigma della morte. Ogni religione, quindi, affronta in qualche modo gli interrogativi più elementari: Cos'è l'uomo? Qual è lo scopo della vita? Che cosa c'è dopo l'esistenza terrena? (cfr Gaudium et spes GS 10). Nella Risurrezione di Gesù Cristo la paura del tempo è vinta una volta per tutte, poiché se la morte perde il suo pungiglione al momento della Pasqua (cfr 1Co 15,55), allora lo perde anche il tempo. É la Risurrezione a fare crollare la barriera apparentemente impenetrabile tra il tempo e l'eternità e a dischiudere il cammino all'esperienza piena del tempo come dono e sfida. In tal senso, san Paolo esorta i seguaci di Cristo a profittare "del tempo presente, perché i giorni sono cattivi" (Ep 5,16). Questa esortazione è particolarmente significativa se applicata alle responsabilità del Vescovo per la vita della comunità cristiana affidata alle sue cure.

289 3. Infine, è motivo dell'Incarnazione e della visione sacramentale che essa comporta (cfr Orientale lumen, n. 11) che la Chiesa è immersa così profondamente nel mondo, nel tempo e quindi in tutte le cose umane. Poiché il Verbo si è incarnato, il corpo umano è importante e lo sono le condizioni fisiche, sociali e culturale dalla famiglia umana. Poiché il Verbo si è incarnato nel tempo, la storia umana è importante; la vita quotidiana degli uomini e delle donne è importante. In questa prospettiva, possiamo affermare che la Chiesa è "del mondo" in senso molto positivo, proprio come Dio fu del mondo quando mandò suo Figlio in mezzo a noi come uomo. Essere del mondo in questo modo significa che la Chiesa s'impegna pienamente nella storia e nella cultura, ma per trasformarle, per cambiare la paura in gioia con la forza del Vangelo.

Tuttavia, il cristianesimo è anche escatologia. Il Nuovo Testamento non lascia alcun dubbio sul fatto che questi siano "gli ultimi giorni", che il mondo, così come noi lo conosciamo, passa e che quindi non è in alcun modo assoluto né tantomeno divino. É vero che anche nel Nuovo Testamento notiamo i segni dell'indebolimento del primo fervore escatologico quando si affievolisce la speranza iniziale di un ritorno imminente del Signore. Nonostante questa riformulazione della speranza escatologica, la Chiesa non ha mai cessato di attendere il ritorno del Signore, che segnerà la fine del mondo, ma anche il pieno compimento della sua redenzione. Pertanto, la concezione cristiana della domenica come "ottavo giorno", che attinge al ricco simbolismo escatologico del sabbath ebreo per evocare "l'era che verrà" (cfr Dies Domini, n 26), non ci ricorda solo l'inizio, quando Dio ha creato tutte le cose, ma indica la fine, quando egli ricapitolerà tutte le cose in Cristo (cfr
Ep 1,10).

La vita cristiana comprende quindi elementi sia dell'incarnazione sia escatologici; la nostra principale preoccupazione come Pastori è quella di assicurare che vi sia un equilibrio tra essi, che le Chiese che presiediamo nel nome di Cristo non siano né troppo del mondo né troppo lontane dal mondo, che siano "nel mondo ma non del mondo" (cfr Jn 17, 11, 15-16). A tale proposito è importante la questione del rapporto tra la Chiesa e il mondo, che è stato un tema fondamentale del Concilio Vaticano II e che rimane centrale nella vita della Chiesa all'alba del nuovo millennio, anche nel vostro Paese. La risposta che daremo a tale domanda determinerà il percorso che tracceremo per risolvere molte altre pressanti questioni.

4. Come Pastori, dobbiamo guidare il gregge di Cristo lungo un cammino che deve evitare la tentazione di eliminare o di accrescere esageratamente la separazione fra la Chiesa e il mondo, fra il messaggio cristiano e la cultura che prevale nel mondo attuale; il Vangelo non ci insegna né la soppressione né l'esagerazione; né l'una né l'altra è fedele all'insegnamento del Concilio e non può essere la via del futuro che Dio ha in mente per la Chiesa. Abbiamo bisogno di un'altra via, e l'insegnamento di Papa Paolo VI può aiutarci a trovarla. L'Enciclica Ecclesiam suam è spesso stata considerata a giusto titolo "l'Enciclica del dialogo", in quanto mette in evidenza con molti dettagli ciò che Papa Paolo VI descriveva come l'"atteggiamento" che la Chiesa dovrebbe assumere in questo periodo della storia del mondo (cfr c. III), un atteggiamento che comporta allo stesso tempo uno stile e un metodo per raggiungere la società moderna. Certo, le circostanze sono cambiate rispetto agli anni in cui l'Enciclica Ecclesiam suam è stata scritta, ma il suo insegnamento sul dialogo della Chiesa con il mondo è oggi tanto pertinente quanto lo era nel 1964.

Paolo VI ha utilizzato l'espressione colloquium salutis. Questo dialogo (colloquium) ha il suo fondamento su ciò che scriveva san Giovanni: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna". (Jn 3,16). La Chiesa ha per gli uomini e le donne di tutti i tempi e di tutti i luoghi un dono prezioso che non può mancare di offrire loro, anche quando la sua offerta è mal compresa o rifiutata.

5. Parte integrante di questo dono è la verità sulla persona umana, creata a immagine di Dio, verità pienamente rivelata in Gesù Cristo e affidata alla Chiesa. Noi Vescovi, soprattutto, non dobbiamo mai perdere la fiducia nella chiamata che abbiamo ricevuto a servire umilmente e risolutamente questa verità in quanto maestri e Pastori chiamati a difendere la verità e a diffonderla in un momento cruciale della storia, allorché nuove conoscenze, nuove tecnologie e un benessere materiale senza precedenti portano a entrare in un "mondo nuovo" di responsabilità e di sviluppo umani. La prima difesa da effettuare è quella della dignità inalienabile e del valore della vita stessa. Come avete sottolineato nei vostri insegnamenti, il "Vangelo della vita" per i cristiani non è una semplice opinione; è una dimensione essenziale della nostra obbedienza a Dio. Ognuno ha il serio obbligo di essere al servizio di questo Vangelo: "tutti siamo coinvolti e partecipi, con l'ineludibile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita" (Evangelium vitae EV 28). Nella catechesi, nell'educazione, nell'ambito della ricerca e della pratica mediche, fra i legislatori e i responsabili della vita pubblica, così come nei mezzi di comunicazione sociale, si deve compiere un grande sforzo per presentare il "Vangelo della vita" in tutta la forza della sua verità.

Come Pastori, siamo pienamente consapevoli del fatto che oggi numerose verità si fanno udire sulle questioni fondamentali del comportamento umano, di modo che, in molti casi, le esortazioni e l'insegnamento della morale cristiana diventano ardui combattimenti. Molti fra voi mi hanno detto quanto sono stati aiutati nel grande compito della formazione dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Questo compendio dell'insegnamento della Chiesa può essere uno strumento molto efficace per trasmettere una profonda e solida conoscenza della fede e regole di vita cristiana, nelle parrocchie, nelle scuole, nelle università e nei seminari. Nel corso degli ultimi decenni, vi sono stati casi in cui gli sforzi per rendere le verità della fede più accessibili, soprattutto nella catechesi dei bambini e dei giovani, hanno portato a svuotare il messaggio cristiano della sua essenza e della sua potenza. Non vi è senza dubbio nulla di più urgente nel nostro ministero pastorale, nulla per il quale abbiamo una più grande responsabilità di fronte al Signore, del garantire la trasmissione della fede che ci è stata trasmessa dagli Apostoli.

6. Insegnare la fede ed evangelizzare significa proclamare al mondo una verità assoluta e universale; dobbiamo però parlare in modi appropriati e significativi, che rendano le persone ricettive a tale verità. Riflettendo su ciò che questo comporta, Paolo VI ha specificato quattro qualità, che egli definisce perspicuitas, lenitas, fiducia, prudentia - chiarezza, umanità, fiducia e prudenza (Ecclesiam Suam, n. 81).

Parlare con chiarezza significa che occorre spiegare in modo comprensibile la verità della Rivelazione e gli insegnamenti della Chiesa. Non dovremmo solo ripetere, ma spiegare. In altri termini, abbiamo bisogno di una nuova apologetica, in sintonia con le esigenze attuali, che tenga presente che il nostro compito non è quello di prevalere nelle discussioni ma di conquistare le anime, di impegnarci non in dispute ideologiche, ma nella difesa e nella promozione del Vangelo.

Tale apologetica avrà bisogno di una "grammatica" comune con coloro che vedono le cose in modo differente e non condividono le nostre asserzioni, per evitare di usare linguaggi diversi anche se parliamo la stessa lingua.

La nuova apologetica dovrà respirare anche uno spirito di umanità, quell'umiltà compassionevole che capisce le ansie e gli interrogativi delle persone e che non si affretta a vedere in esse cattiva volontà o fede. Al contempo essa non lascerà prevalere un senso sentimentale dell'amore e della compassione di Cristo scisso dalla verità, ma insisterà sul fatto che l'amore e la compassione autentici pongono richieste radicali, proprio perché sono inscindibili dalla verità che, sola, ci rende liberi (cfr Jn 8,32).

290 Parlare con fiducia significherà che, per quanto gli altri possono negare la nostra competenza specifica o rimproverarci per le mancanze dei membri della Chiesa, non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che il Vangelo di Gesù Cristo è la verità alla quale tutte le persone anelano, per quanto esse possano apparire distanti, reticenti od ostili.

Infine, la prudenza, che Papa Paolo VI definisce saggezza pratica e buon senso, e che Gregorio Magno ritiene la virtù degli arditi (Moralia 22, 1), significherà che dobbiamo dare una risposta concreta a chi ci chiede: "Che cosa dobbiamo fare?" (
Lc 3,10 Lc 12 Lc 14). Papa Paolo VI concluse affermando che parlare con perspicuitas, lenitas, fiducia e prudentia "ci renderà saggi; ci renderà maestri" (Ecclesiam suam, n. 83). É a questo che siamo chiamati, cari Fratelli, innanzitutto ad essere maestri della verità che non cessano mai di pregare per "la grazia di vedere la vita nella sua completezza e la forza di parlare di essa in modo efficace" (Gregorio Magno, In Ezechielem, I, 11, 6).

7. Quella che noi insegniamo non è una verità di nostra invenzione, ma una verità rivelata, giunta a noi attraverso Cristo come dono incomparabile. Siamo inviati a proclamare questa verità e a esortare coloro che ci ascoltano a quella che l'apostolo Paolo definisce "obbedienza alla fede" (Rm 1,5).

Possano i martiri canadesi, il cui ricordo celebrate con gioia particolare nel 350º anniversario della loro morte, non cessare mai d'insegnare ai fedeli di Cristo in Canada la verità di questa obbedienza e di questa morte a se stessi al fine di vivere per Cristo!

Possano essi insegnare alla Chiesa in Canada il mistero della Croce, e possa il seme del loro sacrificio produrre un raccolto abbondanti nei cuori canadesi! Affido l'intera comunità di Dio nel vostro Paese all'intercessione della Vergine Maria, Regina degli Apostoli e Regina dei Martiri, e alla protezione di san Giuseppe, suo sposo. A voi, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose e ai fedeli laici delle vostre Diocesi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.



Novembre 1999


MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


AL PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE


PER LE CHIESE ORIENTALI




Al mio venerato Fratello Cardinale Achille Silvestrini
Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali

Sono lieto di salutare, per Suo tramite, i partecipanti all'incontro fra i Vescovi e i Superiori Religiosi delle Chiese Orientali Cattoliche in America e in Oceania e la Congregazione per le Chiese Orientali, che si svolgerà a Boston, dal 7 al 12 novembre 1999. Invio un ringraziamento particolare al Cardinale Bernard Law, Arcivescovo di Boston, che, grazie alla sua generosa ospitalità, ha reso possibile ciò.

Dopo l'incontro similare dei responsabili delle Chiese Orientali Cattoliche in Europa, svoltosi nel luglio del 1997, e incoraggiata dai numerosi frutti che esso ha prodotto, la vostra Congregazione ha sperimentato l'utilità di promuovere questa nuova opportunità per uno studio e una valutazione congiunti. Questo incontro ha lo scopo di riunire le diverse Chiese orientali perché riflettano e preghino insieme al fine di riconoscere, con la Congregazione, le caratteristiche uniche della loro presenza in America e in Oceania e di individuare vie di impegno per il futuro.

Si tratta di un'opportunità particolarmente preziosa per la Congregazione, poiché è proprio incontrando i responsabili delle Chiese che esso serve e ascoltando le loro necessità che il vostro Dicastero diviene maggiormente in grado di assistere il Successore di Pietro nel suo ministero di servizio. Tuttavia, si tratta di un momento molto prezioso anche e soprattutto per le Chiese Orientali stesse, perché è attraverso lo scambio di esperienze e di riflessioni che potranno discernere la voce dello Spirito che guida la Chiesa lungo il suo cammino nel tempo.

Attenti allo Spirito, i Vescovi potranno identificare alcune comuni linee di azione nel soddisfare le esigenze e le aspettative delle proprie comunità e degli uomini e delle donne di oggi. Una strategia comune è necessaria, non solo per far sì che l'annuncio del Vangelo sia più efficace e rilevante, ma anche affinché sia un segno visibile della comunione di tutta la Chiesa nella ricca varietà del suo patrimonio teologico, spirituale, liturgico e canonico, patrimonio di cui beneficiano tutti i suoi membri.
291 Nella vostra opera dei prossimi giorni, il Vescovo di Roma, che presiede la Chiesa con amore, vi accompagna con le sue preghiere. Chiedo al Signore di concedere che le Chiese Orientali Cattoliche, in fedeltà alle loro radici storiche e con un attento discernimento delle realtà sociali in cui vivono e governano, abbiano il coraggio di percorrere il cammino profetico che lo Spirito indica ai seguaci di Gesù Cristo all'approssimarsi del terzo millennio cristiano.

A questo punto, vorrei ricordare alcuni criteri, affidandoli alla vostra riflessione congiunta, che sono emersi dall'Assemblea Speciale per l'America del Sinodo dei Vescovi, svoltasi in Vaticano dal 16 novembre al 12 dicembre 1997. Pur riguardando la situazione specifica dell'America, queste osservazioni valgono ugualmente per la Chiesa in Oceania.

Nella mia Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in America, ho scritto: "L'immigrazione in America costituisce quasi una costante della sua storia dall'inizio dell'evangelizzazione fino ai nostri giorni. All'interno di questo complesso fenomeno va segnalato che, negli ultimi tempi, diverse regioni dell'America hanno accolto numerosi membri delle Chiese Cattoliche Orientali i quali, per diversi motivi, hanno abbandonato i loro territori d'origine. Un primo movimento migratorio proveniva soprattutto dall'Ucraina occidentale; in seguito, esso si è allargato alle nazioni del Medio Oriente" (n. 17) Quest'immigrazione ha riguardato tutte le Chiese Orientali, incluse quelle di altre regioni, per esempio l'India. Per questo, si rese "pastoralmente necessaria la creazione di una gerarchia cattolica orientale per questi fedeli immigrati e per i loro discendenti" (Ibidem).

Tale contesto ci permette di affrontare una questione che in realtà è l'oggetto principale di questo incontro: "la diaspora". Incoraggio tutti voi a esaminarla a fondo.

Il principio fondamentale che dovete sempre tenere in considerazione nelle vostre riflessioni si può anche ritrovare nella stessa Esortazione post-sinodale: "Le norme emanate dal Concilio Vaticano II, che i Padri Sinodali hanno ricordato, riconoscono che le Chiese Orientali "hanno il diritto e il dovere di reggersi secondo le proprie discipline particolari", avendo la missione di rendere testimonianza ad un'antichissima tradizione dottrinale, liturgica e monastica. D'altra parte, queste Chiese devono conservare le proprie discipline, essendo queste "più corrispondenti ai costumi dei loro fedeli e sono ritenute più adatte a provvedere al bene delle anime"" (Ibidem). Le Chiese Orientali Cattoliche sono dunque chiamate a mantenere una fedeltà duplice. La prima è quella alle tradizioni che sono state tramandate loro, affinché possano a loro volta perpetuarle fedelmente. A questo proposito, sono utili i vincoli che le uniscono alle loro Chiese Madri. La seconda è quella agli uomini e alle donne di oggi con le loro gioie e speranze, con le loro sofferenze e pene, con i loro desideri e le loro aspettative, anelanti alla verità e a quella pienezza di vita che ha origine solo in Dio. Questa è la fedeltà alla ricerca costante di un più profondo significato di vita, in particolare nelle società orientate al consumo.

Questa duplice fedeltà è fedeltà a Dio e alla sua Rivelazione e risplende nelle numerose e diverse tradizioni tramandate dagli Apostoli attraverso i Padri (cfr Orientalium ecclesiarum
OE 1) e fedeltà all'uomo e al suo bisogno di Dio, nei vari modi in cui esso si esprime.

Nel corso della vostra cooperazione, dovreste riflettere sulla situazione venutasi a creare per la presenza di cattolici orientali in territori nei quali i cattolici sono per la maggior parte di tradizione latina. Come ho osservato anche nella mia Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in America: "Se alla Comunità ecclesiale è necessaria la sinergia fra le Chiese particolari di Oriente e di Occidente per permetterle di respirare con i due polmoni, nella speranza di giungere a farlo pienamente attraverso la perfetta comunione fra la Chiesa cattolica e quelle orientali separate, non c'è che da gioire della recente implantazione in America delle Chiese orientali accanto a quelle latine, ivi presenti sin dall'inizio, perché in tal modo può meglio manifestarsi la cattolicità della Chiesa del Signore" (n. 17).

Per questo, vi ricordo che è necessario instaurare e promuovere un rapporto sempre più profondo di comunione fraterna fra le Chiese Orientali Cattoliche e la Chiesa Latina. Infatti, come ho sottolineato in Ecclesia in America, "non c'è dubbio che questa cooperazione fraterna, mentre offrirà un aiuto prezioso alle Chiese orientali, di recente fondazione in America, permetterà alle Chiese particolari latine di arricchirsi con il patrimonio spirituale della tradizione dell'oriente cristiano" (n. 38).

Spero che tutti i responsabili delle Chiese Orientali Cattoliche si sentano chiamati a essere segno tangibile per gli uomini e per le donne dei loro Paesi e delle loro culture di quell'amore che è il tratto distintivo dei discepoli di Cristo. Vi chiedo di trasmettere loro il mio invito a cooperare alla creazione di quell'unità che scaturisce dalla ricchezza e dall'armonia della varietà, affinché possano mostrare la ricchezza abbondante della Rivelazione di Dio e arrivare a individuare vie concrete per rendere possibile l'esperienza della comunione, seguendo le linee suggerite nell'Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in America (cfr n. 38).

In tal modo, tutti potremo godere dei frutti così ottenuti e, con entusiasmo e autentica sollecitudine per gli altri, saremo in grado di proseguire lungo il cammino che si snoda davanti a noi.

Quest'opera deve trarre ispirazione dal mistero centrale della nostra fede: l'Incarnazione del Figlio di Dio. Gesù Cristo, Dio vero e uomo vero, è l'espressione più alta della fedeltà a Dio e all'uomo. Dev'essere il Cristo Incarnato, oggetto della nostra contemplazione lungo il pellegrinaggio verso l'Anno Santo, il Grande Giubileo dell'Anno 2000, a guidare i nostri passi e a illuminare il nostro cuore. La vostra riunione e la celebrazione congiunta della Liturgia Divina devono essere occasione di autentico incontro con Cristo, pietra d'angolo e fondamento di tutti nostri progetti e piani

292 Implorando l'intercessione della Beata Vergine Maria, che umilmente ha accolto Cristo nel suo grembo e Lo ha generosamente donato al mondo intero, chiedo al Padre di riversare i doni del Suo Spirito su quanti prendono parte a questo incontro e sulle loro rispettive Chiese, affinché risplendano come Sacramento del Cristo Risorto, permettendo alle nuove generazioni d'America e d'Oceania di conoscere Gesù Cristo e trovare in Lui "la loro pace e la loro gioia" (Ecclesia in America, n. 76).

Con questi sentimenti, imparto di cuore a voi e a tutti i partecipanti a quest'incontro la mia Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 1° novembre 1999, Solennità di Tutti i Santi.

IOANNES PAULUS PP. II




MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


AI FEDELI DELLA DIOCESI DI ROMA


Carissimi Fratelli e Sorelle di Roma!


1. Siamo ormai prossimi all'inizio del Grande Giubileo! Dopo un periodo di intensa preparazione, ci apprestiamo a varcare la soglia di questo tempo di grazia e di perdono, nel quale vogliamo celebrare con gioia e gratitudine i 2000 anni dall'Incarnazione del Verbo.

Questo evento, che coinvolge tutta la Chiesa, pone Roma al centro della cristianità e la rende in maniera speciale "città sul monte" (cfr Mt 5,14), alla quale guardano tutte le nazioni. Qui è la sede di Pietro e dei suoi Successori, qui è il cuore della Comunità dei credenti, qui il centro della diffusione del Vangelo. Qui da ogni angolo della terra verranno i pellegrini per visitare le Basiliche e le chiese legate alla memoria degli Apostoli e dei Martiri, nonché alla perenne testimonianza di una fede feconda di santità e di civiltà.

Inseriti in Cristo, come eredi degli Apostoli Pietro e Paolo, i cristiani della città di Roma costituiscono l'edificio santo, che dà valore attuale e coinvolgente ai segni gloriosi del passato. Esorto, pertanto, ciascuno a vivere con piena disponibilità e generosità questa grazia che il Signore elargisce alla nostra Città.

L'episodio di Zaccheo, riferito dall'evangelista Luca (cfr 19, 1-10), ricorda le meraviglie che il passaggio di Gesù opera nella vita dell'uomo che liberamente gli apre la porta della sua casa. Il Signore gli dona la capacità di convertirsi e di impegnarsi sulla via della giustizia e dell'amore verso gli altri.

La gioia che sperimentò Zaccheo è la stessa che provano coloro che incontrano Cristo e ne seguono le orme con rinnovato entusiasmo spirituale. E' questa l'esperienza del Giubileo, un singolare passaggio di Gesù nella nostra Città.

2. A questo straordinario evento voi vi state preparando da tempo. In particolare, la Missione cittadina, da poco conclusa, ha aperto le case, gli ambienti e soprattutto il cuore di tanti abitanti all'annuncio di Cristo unico Salvatore del mondo. Occorre ora consolidare i risultati conseguiti con la Missione, predisponendo gli animi a celebrare l'Anno Santo con intensità di fede e di amore evangelico.

Il Giubileo per i credenti è tempo propizio per uscire da un modo abitudinario di vivere la fede e riscoprire l'amicizia vera con il Signore. E' tempo opportuno per dare alla conversione il significato di un taglio netto con il peccato, sperimentando la gioia del perdono accolto e donato. E' tempo quanto mai favorevole per riscoprire nelle parrocchie, nei movimenti e nelle varie comunità la comunione e la fraternità, rimuovendo gli ostacoli dell'indifferenza, della estraneità, del rifiuto degli altri, e portando a compimento un'autentica riconciliazione con tutti.

293 E' ancora e sempre tempo per far risuonare in ogni cuore e in ogni ambiente l'annuncio forte: "Dio ti ama e ha mandato Gesù Cristo suo Figlio per salvarti".

3. Parlando ai concittadini nella sinagoga di Nazaret, Gesù collegò l'anno di grazia del Signore, che la sua presenza inaugurava, con l'annuncio di un lieto messaggio ai poveri, con la liberazione dei prigionieri, con il dono della vista ai ciechi e della libertà agli oppressi (cfr
Lc 4,18-20). Egli indicava in tal modo che celebrare il Giubileo significa anche aprire il cuore ai nostri fratelli e sorelle, particolarmente a quelli più poveri e sofferenti.

Fedele all'insegnamento del divino Maestro e degli Apostoli, la Chiesa di Roma ha scritto lungo i secoli pagine luminose di accoglienza, specialmente in occasione dei Giubilei, con segni concreti e permanenti di amore per il prossimo. Nel Grande Giubileo del 2000, ancora una volta Roma è chiamata ad offrire l'ospitalità evangelica ai pellegrini che giungeranno numerosi da ogni parte della Terra.

A questo scopo, lungo l'arco dell'Anno Santo ci saranno solenni celebrazioni giubilari comuni e opportuni momenti di incontro e di preghiera nelle parrocchie. Quanti provengono da altre Chiese locali ripartiranno confortati, se avranno sperimentato come l'unica fede in Cristo renda membri a pieno titolo di una stessa comunione ecclesiale.

E' importante, pertanto, che questi nostri fratelli trovino al loro arrivo non solo una Città pronta a riceverli e in grado di mostrare loro luoghi carichi di memorie di storia e di fede, ma specialmente una Comunità che incarna il Vangelo e manifesta segni concreti del sommo precetto dell'amore di Cristo.

4. In questa prospettiva, mi rivolgo a tutti voi, figli di questa Chiesa i cui inizi furono irrorati dal sangue degli Apostoli, e dico: "Roma cristiana non esitare ad aprire le porte delle tue case ai pellegrini. Esercita con gioia la fraterna ospitalità, in particolare durante gli eventi di maggior significato e ampiezza, come ad esempio la Giornata Mondiale della Gioventù, in programma dal 15 al 20 agosto del 2000. Ogni struttura esistente nelle parrocchie, istituti, scuole ed ogni altro luogo di accoglienza sia posto a loro disposizione.

Diventerai, in tal modo, Città dell'ospitalità come la casa amica di Marta, Maria e Lazzaro a Betania, dove Gesù sostava volentieri, insieme ai suoi discepoli, trovando ristoro fisico e spirituale!".

Questo invito è rivolto alle famiglie cristiane, perché sperimentino la stessa gioia di coloro che accoglievano Gesù in Galilea, in Samaria e in Giudea; alle parrocchie e alle numerose comunità religiose presenti nella Diocesi, perché offrano piena e cordiale accoglienza ai pellegrini poveri; alle Istituzioni e ai molti volontari, perché siano preparati a rispondere alle necessità dei pellegrini e rendano per quanto possibile confortevole il soggiorno a Roma agli anziani, ai malati ed ai portatori di handicap.

5. Fratelli e Sorelle di Roma! Questa Lettera è per ciascuno di voi. Mentre vi ringrazio per la vostra disponibilità, desidero con tutto il cuore affidarvi alla celeste Madre di Dio, perché il Grande Giubileo del 2000 sia per voi profonda esperienza spirituale e stimolo a crescere nella fraterna solidarietà.

Maria che per prima accolse il Verbo del Padre e con fede amorosa lo donò al mondo intero; Lei, che, mossa dallo Spirito, aprì il cuore alla Parola e pronunciò il suo "sì" alla volontà del Padre, aiuti gli abitanti di Roma a spalancare con spirito docile le porte a Cristo, nostro Redentore. Col suo cuore di Madre, parli a chi è indifferente o vive una fede senza opere e senza entusiasmo, a chi è lontano e talora persino contrario al Vangelo. Possa, per sua intercessione, questa nostra Città diventare protagonista di fede autentica e costruttrice della civiltà dell'amore.

Le numerose immagini mariane, che ornano le chiese e le strade della Città, testimoniano una devozione incessante dei Romani verso Maria. A Lei insieme con tutti voi dico: "Vergine Madre di Dio benedici Roma e quanti in essa vivono; proteggi i bambini e i giovani, le famiglie e le parrocchie, i malati ed i sofferenti, le persone sole e quanti sono senza speranza. Mostra a tutti Gesù, il frutto benedetto del tuo seno, perché Egli trasformi ogni uomo ed ogni donna di questa Città in testimone credibile di speranza e di pace".

294 Con tali voti, invio volentieri a ciascuno di voi, carissimi Fratelli e Sorelle, la mia Benedizione, perché il Signore, per intercessione di Maria, "Salus populi romani", degli Apostoli Pietro e Paolo e di tutti i Santi, compia in voi l'opera che ha iniziato.

Dal Vaticano, 1° Novembre 1999, Solennità di Tutti i Santi.

IOANNES PAULUS PP. II


MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


ALL’ARCIVESCOVO DI SANT’ANGELO DEI


LOMBARDI-CONZA-NUSCO-BISACCIA PER LA RIAPERTURA


AL CULTO DELLA CATTEDRALE DI SANT’ANTONINO


Al venerato Fratello

SALVATORE NUNNARI

Arcivescovo di Sant'Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia

1. La felice riapertura al culto della Cattedrale dedicata “ab antiquo” a sant'Antonino, Diacono e Martire, e semidistrutta dal tragico sisma del 23 novembre 1980, mi offre l'occasione per rivolgermi, ancora una volta, ai fedeli di codesta cara Arcidiocesi, sempre presente nei miei pensieri e vicina al mio cuore.

Si realizza, finalmente, una lunga attesa e si compie un desiderio vagheggiato da diciannove anni: avere come famiglia di Dio una “Casa”, nella quale vivere più intensamente la comunione con il Padre e con i fratelli.

Saluto con affetto Lei, venerato e amato Fratello nell'Episcopato, che solo da alcuni mesi ha iniziato con solerte generosità il suo pastorale servizio all'Arcidiocesi. Rivolgo il mio fraterno pensiero ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi, alle religiose, ai seminaristi. Saluto con deferenza le Autorità civili, politiche e militari. Invio un cordiale abbraccio alle madri ed ai padri di famiglia, ai giovani, ai bambini e, in modo singolare, a quanti si trovano nella sofferenza, in ristrettezze fisiche o spirituali, ed a coloro che sono senza lavoro. A tutti ed a ciascuno ripeto con l'apostolo Paolo: “Grazia a voi e pace da parte di Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (Ga 1,3).

La ricostruzione dell'antica Cattedrale di sant'Angelo dei Lombardi evoca il lungo cammino del Popolo di Dio in codesta terra e testimonia la fede conservata integra nel corso dei secoli, anche in momenti di grandi prove e calamità. Ben si addicono, pertanto, all'esperienza di codesta Comunità le parole di Dio, proclamate per bocca del profeta Sofonia: “Non temere Sion, non lasciarti cadere le braccia, il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente” (3, 16).

2. Il periodo tra il 1073 ed il 1085, a cui risale la fondazione della Cattedrale, costituisce una tappa significativa per la vostra Terra. Il primo edificio, di cui permangono alcuni significativi resti, rivive nell'attuale Cattedrale di sant'Antonino, quale segno della perseverante adesione di codesto Popolo al Vangelo. La memoria dell'originario tempio, testimonianza concreta della fede degli antenati, aiuta i cristiani di oggi a non smarrire la loro identità e li spinge a guardare verso il futuro con solida speranza. La preziosa reliquia del braccio di sant'Antonino, custodita in una teca d'argento, traslata in codesta chiesa da Valencia in Spagna e rimasta intatta pur nel corso di tragici eventi, costituisce quasi una promessa di celeste soccorso. Essa testimonia che Dio non abbandona i suoi figli nel momento della prova e ricorda che, per costruire un futuro di pace, di fratellanza e di giustizia, occorre conservare integro il patrimonio di fede trasmesso dai santi delle precedenti generazioni, primo fra i quali il Patrono Antonino, che la Chiesa venera come Diacono e Martire.

Il tempio fatto di pietre costituisce un segno tangibile della Chiesa viva, costituita sul fondamento degli Apostoli ed avente come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In essa, come ricorda il Concilio Vaticano II, i credenti sono inseriti come pietre viventi per formare su questa terra un tempio spirituale (cfr Lumen gentium LG 6). “Voi siete l'edificio di Dio” (1Co 3,9), ricordava l'apostolo Paolo ai Corinzi, e, in occasione della dedicazione d'una chiesa, la Comunità liturgica si rivolge così al Signore: “Tu ci hai dato la gioia di costruirti tra le nostre case una dimora dove continui a colmare di favori la tua famiglia pellegrina sulla terra e ci offri il segno e lo strumento della nostra comunione con te. In questo luogo santo, tu ci edifichi come tempio vivo e raduni e fai crescere come corpo del Signore la tua Chiesa diffusa nel mondo, finché raggiunga la sua pienezza nella visione di pace della città celeste, la santa Gerusalemme” (Prefazio della Dedicazione).

Convocato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, il Popolo di Dio riceve in questo luogo santo il dono della salvezza nei Sacramenti e, mediante l'ascolto della Parola e la “frazione del Pane”, si apre all'amore di Dio per essere pronto a servire i fratelli, specialmente i più poveri e bisognosi.


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